Bordiga a Salvemini
Napoli, 14 ottobre 1912
Egregio signor direttore,
Confido che Ella vorrà concedermi poco spazio per rispondere ad un articolo di commento al recente Congresso Nazionale dei giovani socialisti, apparso nel suo interessante periodico.
I rilievi del signor Pietro Silva, poco benevoli verso quella tendenza che, non solo per effetto di discorsi più o meno roboanti, ma per la ferma convinzione dei compagni intervenuti, ha prevalso nel Congresso, danno a credere che egli abbia seguito molto superficialmente le nostre discussioni e non conosca affatto le considerazioni in base alle quali ci dichiarammo dissenzienti dalla corrente d'idee del compagno A. Tasca, senza ulularlo, ma contrapponendo alle sue opinioni altri argomenti, frutto di studio e di esperienza del movimento non meno seri dei suoi. Noi non abbiamo dichiarato affatto la guerra alla cultura, noi non negliamo che il socialismo attraversi oggi fra noi un periodo di crisi, noi non ci nascondiamo la necessità di studiarne le cause e trovare i mezzi adatti ad eliminarle, solo seguiamo in tutto questo una diversa valutazione.
Siamo più che mai d'accordo col Silva nel riconoscere le cause della crisi nel localismo e nel particolarismo, nelle tendenze di categoria che si delineano nel movimento operaio, nella mancanza di unità di intenti nei socialisti.
Ma non possiamo consentire col Tasca e col suo articolista nel risolvere il vasto problema con la formula semplicista "crisi di cultura". Più ancora, in questo li riteniamo in aperta contraddizione con se stessi.
Come non vedere che quel particolarismo ha dato invece luogo ad una vera e propria crisi di fede e di sentimento socialista? Se le masse cedono ad impulsi di categoria, se i gruppi locali seguono indirizzi discordi, è perchè essi - nella eccessiva valutazione di problemi locali, corporativi, egoistici, - dimenticano la visione integrale delle finalità del socialismo. E le autonomie, che il Silva a giusta ragione critica, sono volute, caldeggiate, provocate non dai proletari, ma dagli intellettuali, che hanno concetti troppo ristretti dell'azione socialista derivati dalla specializzazione a cui essi si danno nello studiare problemi immediati e pratici, spinti da interessi locali ed egoistici che impediscono loro di sentire le necessità collettive, universali della classe lavoratrice.
Posta così la questione, noi vediamo la necessità di dare al movimento giovanile un indirizzo che rimedi a questa crisi di sentimento. E ne consegue che dobbiamo farne un movimento di argine vivacemente antiborghese, un vivaio di entusiasmi e di fede, nè vogliamo disperdere energie preziose nel tentativo di rimediare, secondo metodi scolastici, a quello che è uno dei caratteri essenziali, incancellabili del regime del salariato: lo scarso livello della cultura operaia. Il partito cattolico, che spende milioni in questo campo, non ha potuto formare una cultura cattolica popolare.
Evidentemente noi dissentiamo su questo punto dalla tendenza rappresentata dal suo giornale. Riteniamo che la cultura operaia possa figurare nei programmi della democrazia, ma abbia scarso valore nel campo dell'azione sovversiva del socialismo.
Questo non vuol dire che noi rinneghiamo la cultura socialista. Al contrario, crediamo che l'unico modo d'incoraggiarla sia quello di lasciarla all'iniziativa individuale, senza chiuderla nel campo odioso del regime scolastico. E quella iniziativa può essere eccitata solo portando i giovani proletari nel vivo della lotta e del contrasto sociale, che sviluppa in essi il desiderio di rendersi più adatti alla battaglia.
Se la nostra Avanguardia assumesse indirizzo di cultura, dopo quattro numeri gli operai non la leggerebbero più. Ma i nostri giovani compagni la cercano e la amano oggi che vedono in essa un segnacolo di lotta, che ritrovano nelle nostre campagne tutta l'anima proletaria, con i suoi slanci e le sue rivolte.
Ci si potrà dire che l'entusiasmo senza la convinzione è poco duraturo. Ebbene questo è vero sempre, fuori che nel campo dei movimenti di classe. Nell'operaio socialista la convinzione è figlia dell'entusiasmo e del sentimento, e c'è qualche cosa che non lascia spegnere questo sentimento: la solidarietà istintiva degli sfruttati. Chi non ha più fiducia in questa e vuole sostituirla con la scuoletta teorica, lo studio, la coscienza dei problemi pratici, si trova, a creder nostro, malinconicamente fuori dal socialismo.
Amadeo Bordiga
Da "L'Unità" n. 46, 16 ottobre 1912