Bordiga al CE del PCI

Napoli, dicembre 1923

Carissimi compagni del CE, del PCI,

Credo opportuno, per ben precisare i miei rapporti col partito, dirigervi la presente lettera, pregandovi di volerne comunicare una copia al CE della Internazionale.

Ragioni pratiche intuitive mi suggeriscono di ripetere anche talune comunicazioni già fatte a voi e alla Centrale internazionale medesima.

Prendo atto anzitutto che l'ultima riunione del Comitato Esecutivo allargato della IC, modificando la composizione del CE del nostro partito, non comprendeva me (ed altri compagni) nel nuovo CE, e che tale decisione non significava né la accettazione delle dimissioni presentate dal vecchio CE, né una sostituzione di quei suoi componenti che erano in prigione, a titolo definitivo e temporaneo. Infatti Fortichiari, dimissionario anche egli, non veniva sostituito, e Repossi, libero, veniva sostituito.

Come persona non sollevo alcuna eccezione a tale procedura, né protesto contro di essa. Non si tratta certo di una lesione di miei interessi personali, sia perché le cariche del partito non sono un benefizio su cui mettano ipoteca gli uomini che si sono fatti attraverso esso una certa notorietà, sia perché il provvedimento in parola mi pone nella situazione che io avrei scelta da me: quella di semplice gregario del partito. Persistendo le note divergenze tra la Internazionale e la corrente del partito a cui appartengo, io penso infatti di non poter partecipare agli organi direttivi del partito, sia perché essi sono composti da esponenti delle due correnti in disaccordo, sia perché, anche se questa eterogeneità non vi fosse, penso che le direttivi della IC devono essere tradotte in atto da chi le accetta per convinzione e non per sola disciplina.

Se però soggettivamente non ho nulla da dire contro la posizione in cui sono stato messo, oggettivamente considerando la cosa, credo che sulla procedura adottata, ed accettata ormai da me e da tutti gli interessati nel caso specifico, si possano fare però alcune riserve, che potranno eventualmente essere svolte in sede di discussione sui criteri organizzativi interni della IC nel seno dei congressi di questa. Voglio qui intanto accennarle.

Che il CE della Internazionale possa mutare il Ce di una sezione, e tanto più in circostanze eccezionali come nel caso nostro, è criterio lodevole, ma che non dovrebbe venire applicato come un improvviso espediente, bensì per effetto di clausole degli statuti che abbiamo chiaramente previsto e regolato il caso e le modalità della sua soluzione in tal senso. lo penso anzi che si dovrebbe sancire la necessità che la Centrale di ogni sezione venga dopo la sua elezione locale "confermata" dalla IC, che in casi specifici deve anche poterla destituire o mutare. Ma queste norme devono animare tutta la vita interna della nostra organizzazione internazionale, e non variare nella applicazione caso per caso. Si confronti ad esempio lo episodio che ci occupa con quello del partito comunista francese! Se in questo mancava la particolare condizione della impossibilità di convocare il congresso, vi erano però delle circostanze, di altra natura, ma di gravità non minore, come il pericolo che il partito cadesse nell'opportunismo. E quale procedura si credette appena legittima? Non il CE, ma il Congresso del Comintern "prego" il Congresso del PCF di votare una data lista per il CD. Ora io sono per la regola d'organizzazione più centralista, ma non per la sostituzione della regola con un foglio bianco su cui volta per volta si scriva ciò che si vuole, con motivazioni più o meno attendibili. Questo è il rovescio del centralismo, e ricorda quanto noi rimproveriamo agli organismi socialdemocratici, quando ne critichiamo al tempo stesso il federalismo organizzativo e la dittatura della burocrazia dirigente.

Una seconda considerazione. Non essendovi una regola "normale" da applicare al caso, non volendosi accettare la norma della accettazione di dimissioni, né quella di rimpiazzare i detenuti (che però non credo soddisfacente per un partito rivoluzionario) la sanzione presa assume un carattere di punizione ed ha il significato di una taccia di incapacità e di indisciplina inflitta ai dirigenti destituiti; vi è per lo meno da chiedersi se un simile procedimento è legittimo contro compagni assenti, e per motivo ben giustificato, quindi impossibilitati a difendersi dalle accuse.

Altra strana misura è stata quella di non pubblicare che il CE del partito era stato cambiato. Durante la detenzione nostra ciò poteva parere una manovra per salvarci, ed era inopportuno farlo; anche oggi è consigliabile non fare i nomi dei nuovi dirigenti del partito, ma ciò non toglie, che se si ritiene regolare cambiare al partito la sua direzione, non può esserlo altrettanto il farlo senza neppure dargliene comunicazione. Non che la disciplina non possa imporre di portare la responsabilità di quanto fanno altri compagni, ma si tratta di inconvenienti organizzativi di altro genere su cui non occorre neppure fermarsi, per la evidenza di essi.

Vi è poi la questione delle mie dimissioni dal CC e della ventilata minaccia di applicare le sanzioni stabilite al 40 Congresso per i dimissionari. Ma in realtà, con quelle dimissioni, io non facevo che dare atto di una cessazione di funzioni conseguente al deliberato del CE allargato. La modifica del CE infatti non è stata nemmeno proposta al CC del partito perché la deliberasse, ma attuata senz'altro al di fuori del CC stesso. Ed infatti la modifica stessa aveva lo scopo di imprimere al partito un indirizzo diverso da quello corrispondente alle opinioni della maggioranza del CC. La funzione del CC del nostro partito, sia per una lodevole consuetudine, che per le esigenze della situazione, consisteva infatti nella elezione del CE e nel tracciamento a questo delle direttive politiche fondamentali. Facendo l'una e l'altra cosa senza intervento neppure formalistico del CC, il CE allargato veniva a sopprimere di fatto le funzioni del CC italiano. In esso io non avrei più avuto da fare che occupare ogni due o tre mesi una seggiola. Nella sua ultima riunione so che infatti il CC ha dovuto porsi la questione della sua... inutilità ed insovranità. Il CC o è un organismo gerarchicamente più alto del CE o non è. Sarebbe addirittura ridicolo invocare sanzioni disciplinari pel rifiuto di un posto al quale non corrisponde nessuna funzione e nessuna attività. Certo tale questione viene già considerata esaurita.

Quanto poi alle cariche internazionali, io non ho accettato la nuova che si voleva darmi nel Presidium, e che avrei dovuto occupare dopo la mia liberazione, sostituendo Terracini. Vi sono a giustificare il mio rifiuto ragioni procedurali, ma sono assorbite nella ragione politica: uscito appena dal carcere ed in attesa di altri processi, poco pericolosi per me ma utili alla propaganda della nostra causa, farei cosa nociva al partito rifugiandomi precipitosamente fuori d'Italia. Credo che anche i compagni che non sono entusiasti delle mie attitudini a dirigere un partito comunista, mi riconoscono quella di essere un buon... imputato. Funzione più modesta, e non, come dovrebbe essere quella di membro del Presidium, più ardua di quella a cui sono risultato inadatto.

Per rispondere poi ad eventuali inviti, di cui qualcuno già avuto in via ufficiosa, a coprire altri posti di partito, devo poi aggiungere qui, in via più che riservata, talune aperte pur se delicate dichiarazioni.

Quella stessa procedura applicata al vecchio CE, che nella sua rudezza sarebbe simpatica, messa a confronto colle forme diplomatiche adottate quando si aveva a che fare cogli opportunisti e i semi-opportunisti della IC, diventa un sintomo di una malattia, nel temere gli effetti della quale non dubito di avere la solidarietà di tutti i buoni compagni e di quelli soprattutto che dirigono la Internazionale: il funzionarismo. Le gravi questioni di divergenze interne nel nostro partito mondiale non vanno ridotte a quistioni di posti; l'Internazionale non deve ridursi ad agire come uno Stato che trasloca i suoi prefetti.

Non vi è ragione di non lasciarmi al posto di semplice militante del partito, dove concorrono a mettermi sia le misure dell'IC che la mia scelta personale. Nell'ulteriore contributo che darò alle discussioni interne in sede legittima, ove il dissenso sia superato per il riconoscimento dei miei errori da parte mia o il mutamento delle direttive attuali dell'IC si troverà l'unica via ammissibile per l'eventuale mio ritorno a funzioni direttive. Il darmi una carica di partito qualsiasi, oggi, non potrebbe trovare le sue ragioni che in andazzo deplorevole, per il quale si pensa che colui che per una volta è stato chiamato dal partito ad un posto retribuito, debba vita natural durante pretendere ed ottenere di essere sempre un funzionario stipendiato del partito; andazzo che fa da "pendant" all'altro analogo e analogamente deplorevole, per cui tutti coloro che hanno avuto nome di capi politici, attraverso le crisi di partito pretendono ed ottengono di uscirne sempre con una situazione che ponga in evidenza la loro persona sulla scena politica.

Tutti i partigiani del comunismo che modestamente hanno lottato per esso, quando vi era, molti anni addietro, una situazione diversa dalla presente, sanno invece che l'attività "normale" che un compagno deve dare al partito non è quella retribuita economicamente. Questa è certo rispettabile, ma quando resta eccezionale, ispirata cioè esclusivamente dalle necessità del partito, che cerca gli uomini per date funzioni, e non crea la funzione o il posto per collocare, per aiutare, peggio poi per accontentare e rendersi fedele l'uomo. E questa attività eccezionale deve essere anche e sempre di carattere temporaneo, e non trasformare la milizia politica in una carriera. Ora è ben certo che il partito, non avendo bisogno di me come dirigente, non ne ha nemmeno come funzionario in posti più modesti, e ciò per l'abbondanza, che a me risulta, di compagni che hanno più diritto di me di essere aiutati e sono idonei alle più varie funzioni. Quindi non accettando un posto del genere, io rivendico questi concetti, che mi pare si corra pericolo di andare dimenticando.

Vi è infine l'invito a recarmi a Mosca per breve tempo allo scopo di conferire coi compagni del C.E. Se non ho aderito, è perché le interviste non servono a nulla, quando si tratta di divergenze che esigono profonda e vasta discussione e una tale discussione non mi permetterei di infliggere in questo momento ai compagni del C.E. che devono pensare a ben altri problemi. Non rappresentando io più il partito, né un gruppo politico che abbia da porre condizioni alla Internazionale e fare per questo trattive e compromessi con essa, né una pretesa personalità che si permetta analogo atteggiamento per ottenere soddisfazioni e concessioni, come purtroppo la Internazionale ha tollerato da parte di taluni (e mi si lasci rilevare come sia ridicolo il fatto, che in armonia coi criteri di banale diplomazia ed abilità invalsi nella pratica di qualche compagno, si sia potuto porre come un successo politico da realizzare la mia eliminazione dalla dirigenza del partito, scegliendo per questo il momento in cui ero in prigione e adottando altri espedienti, mentre non vi era da temere che io adoperassi contro la Internazionale una mia non so quale influenza sui compagni, che ho sempre cercato di diminuire dicendo brutalmente a ognuno il fatto suo e non usando mezzi atti a procacciarmi un seguito personale, e mentre bastava semplicemente questo: DIRMELO) non rappresentando, dicevo, nulla di simile io non avevo nulla da fare a Mosca.

Quanto alle discussioni sulle direttive della IC e sul valore della esperienza compiuta dal partito comunista in Italia, essa esige ben ampio sviluppo, e potrà trovare come ogni discussione interna la sua sede opportuna e naturale in preparazione del V Congresso mondiale.

Questa lettera è già troppo lunga per poter in essa riepilogare il contenuto delle mie divergenze politiche dall'indirizzo della Internazionale, in Italia e altrove. Dirò solo questo la, linea dell'IC in Italia dimostra che si considera il nostro partito al disotto del suo valore e quasi non come un organo capace di vita propria, ma come un riempitivo che serva ad assicurare alla IC la ulteriore formazione di un movimento "serio" in Italia, e va solo in questo senso utilizzato.

I fatti invece mostrano che il nostro partito ha una vitalità, un contenuto morale e politico, una resistenza organizzativa, che al di là di ogni ottimismo potrebbero assicurargli, malgrado la reazione, una posizione brillante e feconda di felice sviluppo.

Io sono convinto che si sarebbe arrivati ad una ottima efficienza e ad un grande prestigio, se soltanto "ci avessero lasciato fare". La Internazionale ha creduto di mutare gli obiettivi che noi ci proponevamo (ed era giusto che tutto il lavoro dovesse essere sottoposto al suo giudizio e alla sua direzione) ma io ho il diritto di opinare che questo, senza assicurare i successi illusori che si attendevano dalla politica imperniata sulla conquista del PSI, che per me prima che impossibile, è indesiderabile, HA DANNEGGIATO IL MOVIMENTO COMUNISTA IN ITALIA E IL SUO SVILUPPO.

Io penso che il partito oggi è in una situazione di grave malessere interno per la incertezza delle direttive tattiche e la ignoranza dei termini della vertenza sorta in proposito tra la cosiddetta "maggioranza" e la IC. e per un disordine di organizzazione e di competenza che le misure di cui ho parlato hanno generato, contro Ogni buona volontà dei compagni che ora dirigono il partito e che ammiro per la loro generosa illusione di poter lavorare senza una chiara e limpida prospettiva di obiettivi e una decisa distribuzione di responsabilità e di doveri. lo ritengo che una sola cosa è utile: lasciar dirigere il partito dai compagni della "minoranza", che la IC considera esponenti del suo vero indirizzo, e ciò quando anche la maggioranza del partito dovesse ancora pronunziarsi per le tesi e i metodi caldeggiati dal gruppo di compagni cui io appartengo.

Io credo che si debba tendere ad eliminare dal partito comunista internazionale le così dette tendenze ed il loro gioco. Ma per giungere a questo si deve seguire la via opposta a quella che mi pare siasi adottata, di eccessiva facilità nell'allargare la piattaforma della Internazionale al disopra di divergenze e disparità di tradizioni, di criteri di lavoro, di tattica, forse di principio, e nel lanciare indeterminati metodi di lotta e di lavoro pretendendo con ciò di meglio rispondere alle esigenze di mutevoli situazioni.

Mi pare di aver tutto chiarito, almeno di quanto concerne la personale mia posizione. Eseguirò i lavoro di cui ho parlato con alcuni di voi, e sarò sempre pronto, è perfino inutile dichiararlo, a dare al partito quel contributo di attività che ogni compagno ha il dovere di dare secondo le sue possibilità, le sue forze, le sue attitudini.

Credo che voi non avrete difficoltà a prendere atto di tutto, e vi mando i miei saluti comunisti.

Amadeo Bordiga

APC 207/28-31.

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