Gramsci a Togliatti
U. 9. Vienna, 27 gennaio 1924
N. P. 84
Caro Palmi,
dopo la lettera che mi hai inviato appena rimesso in libertà non ho più ricevuto niente da parte tua. Credo che ti siano sta-te comunicate due mie lettere, una a Negri e l'altra a Urbani, nelle quali più diffusamente esprimevo i miei punti di vista sull'attuale situazione del partito e sulle soluzioni che io ritengo opportune per risolverne i problemi. Aspetto ancora una tua che mi confuti o mi dia ragione: voglio oggi parlarti di un problema specifico che io ritengo fondamentale nella situazione presente e che mi serve di pietra di paragone per giudicare tutta l'attività del partito e i metodi che sono stati propri dei compagni che fin'ora l'hanno indirizzata: l'attività che per intenderci chiamerò propria del compagno Tito.
Due episodi fondamentali mi danno ragione di affermare che in questo campo è esistita ed esiste tutt'ora una grande confusione e una grande disorganizzazione. Ora, se teoricamente è esatto accusare la minoranza di essere, almeno parzialmente, liquidatrice, perché misconosce e abbassa enormemente l'importanza di questo lavoro nella situazione presente, occorre però dire, per la verità, e perché solo conoscendo esattamente la verità si può rimediare agli errori e alle manchevolezze e risanare l'organizzazione, che anche la maggioranza nei suoi elementi responsabili non ha saputo fare quanto era necessario e di fatto se non in teoria è stata liquidatrice.
Per quel che riguarda il primo episodio credo che tu conosca quanto di increscioso sia successo a Mosca nel mese di marzo, che ha avuto per me personalmente delle conseguenze poco brillanti. Essendo stato arrestato l'Esecutivo nelle persone di Amadeo e di Ruggero, si attese invano per circa un mese e mezzo di avere delle informazioni che stabilissero con esattezza come i fatti si erano svolti, quali limiti avesse avuto l'azione della polizia nel distruggere l'organizzazione, quale serie di provvedimenti avesse preso l'Esecutivo rimasto in libertà per riprendere il legame organizzativo e ricostituire l'apparecchio del partito. Invece dopo una prima lettera scritta immediatamente dopo gli arresti e nella quale si diceva che tutto era stato distrutto e che la centrale del partito doveva essere ricostituita "ab imis", non si ricevette più nessuna informazione concreta, ma solo delle lettere polemiche sulla questione della fusione, scritte in uno stile che pareva tanto più arrogante e irresponsabile quanto più l'autore di esso aveva con la sua prima lettera creata la impressione che il partito esistesse ormai più solo nella sua persona. Ci fu una seduta burrascosa nella commissione per il lavoro tecnico, alla quale partecipò un membro del Comitato centrale russo che era stato in Italia da un mese prima dell'avvento dei fascisti al potere ad una quindicina di giorni dopo. La questione fu posta brutalmente di ciò che valesse il centro del partito italiano e delle misure da prendere data la sua assenza e le mancate sue disposizioni per la riorganizzazione. Le lettere ricevute furono criticate aspramente e si domandò a me che cosa intendessi suggerire. Non ti nascondo che anch'io ero rimasto sotto l'impressione disastrosa delle lettere e non avendo a mia disposizione altro materiale non potevo non riconoscere che le critiche fossero fondate e più che fondate. E perciò arrivai fino a dire che se si riteneva che veramente la situazione fosse tale come obiettivamente appariva dal materiale a disposizione, sarebbe stato meglio farla finita una buona volta e riorganizzare il partito dall'estero con elementi nuovi scelti d'autorità dall'Internazionale. Ti dico che in un'altra situazione simile io farei nuovamente la stessa proposta e non avrei nessuna paura di scatenare tutti i fulmini dell'universo.
In verità i compagni russi sono meno accentratori di quanto non sembri; forse anche essi avevano, per altra via, maggiori informazioni di me e manovravano solo per produrre una determinata situazione. La conclusione fu perciò che si decise solo di inviare una lettera al partito in cui, prendendo come base la corrispondenza dall'Italia si indicavano i provvedimenti da prendere e le vie da seguire. A questa lettera fu risposto da Tito con una lunga esposizione dalla quale risultava: che l'apparecchio interno di partito era rimasto completamente intatto, che il centro rappresentato da Tito non aveva, neppure per un istante, cessato dal funzionare e che attraverso i suoi collegamenti tutta l'organizzazione era rimasta vitale ed energica. Lo scandalo divenne anche maggiore. A chi credere? A Tito che rappresentava una attività subordinata e solo parzialmente controllata e che quindi, non conosciuto personalmente, poteva essere confuso con un qualsiasi venditore di fumo, oppure ai responsabili politici del partito che si supponeva non potessero ignorare la situazione e quindi erano più creduti quando dicevano che tutto era distrutto? Bisogna anche riflettere al fatto che nella storia dei partiti rivoluzionari il lato rappresentato dall'attività di Tito è quello che rimane sempre più oscuro e che più si presta ai ricatti, agli sperperi, alle vendite di fumo. Quando Tito venne a Mosca, egli si dimostrò furioso per la lettera ricevuta, ma la sua furia cadde quando gli fu fatta leggere la corrispondenza del partito e, lapis alla mano, gli fu mostrato che le frasi da lui ritenute offensive per la loro leggerezza erano state prese di peso dalla corrispondenza. Apparve allora chiaramente e Tito confessò che i due centri operavano indipendentemente l'uno dall'altro, senza collegamenti, senza che l'uno conoscesse almeno le linee generali dell'attività dell'altro e quindi uno diffamando e screditando l'altro. Poiché a verbale erano state poste le mie dichiarazioni, che avevano mortificato Tito che le credeva rivolte personalmente contro di lui, non mi fu difficile dimostrare che io, quantunque dovessi volta per volta partecipare alle commissioni in cui la sua attività era discussa, non avessi mai avuto nessuna informazione su di essa, non avessi a mia disposizione nessun elemento concreto per criticare le informazioni del centro politico e quindi non avessi potuto prendere un diverso atteggiamento dal punto di vista 'del più stretto interesse del movimento italiano.
Purtroppo questa situazione non è mutata da allora. Recentemente, rispondendo ad un rimprovero della commissione del budget perché il partito non aveva assegnato all'UI tutta la somma che per esso era stata stanziata, l'Esecutivo rispondeva che esso stesso accudiva a una gran parte della attività propria di questo ufficio e quindi ne spendeva i fondi. Tutto ciò è assurdo e va contro le norme più elementari di una buona organizzazione. Io mi sono convinto anche a mie spese che il tanto lodato ed esaltato centralismo del partito italiano nella realtà si risolveva in una molto banale assenza di divisione del lavoro e assegnazione precisa delle responsabilità e delle competenze. Nelle conversazioni che ho avuto con Tito ho avuto la netta impressione che anch'egli condivideva in gran parte questo apprezzamento ed è non poco demoralizzato per il poco riguardo con cui la sua attività viene trattata e bistrattata. Ognuno prende delle iniziative senza avvertire il centro responsabile, che spesso ha già iniziato in quello stesso senso un lavoro e deve interromperlo; la continuità delle iniziative finisce col mancare; un numero troppo grande di elementi finisce col conoscere le cose più riservate, ogni possibilità di controllo e di verifica viene a mancare; si introducono nel movimento elementi della cui serietà e responsabilità non è stato fatto preventivamente nessun accertamento. Io ho avuto l'impressione che Tito fosse enormemente stanco e sfiduciato per questo cumulo di cose e che perciò così tenacemente abbia cercato di farsi mettere a riposo. La questione è molto grave e se essa non viene risolta con criteri di buona organizzazione la situazione può diventare catastrofica.
Io sono persuaso che la situazione del nostro partito dal punto di vista della legalità andrà sempre aggravandosi. La vita dei nostri dirigenti e la sicurezza dell'organizzazione saranno tanto più in pericolo quanto più l'opposizione costituzionale al fascismo, imperniandosi intorno al partito riformista, mette in pericolo la base stessa del governo di Mussolini. I fascisti cercheranno di risolvere tutte le situazioni con la caccia ai comunisti e con l'agitare lo spauracchio della sommossa rivoluzionaria. Costruire un buon apparecchio tecnico, mettere nei suoi ingranaggi elementi selezionati, di grande esperienza, disciplinati, a tutta prova, dal sanguefreddo necessario per non perdere la testa in nessun frangente, diventa per noi ragione di vita o di morte. Per ottenere ciò bisogna veramente liquidare molto della situazione passata del partito, con le sue abitudini di menefreghismo, di non fissazione precisa e netta delle responsabilità, di non verifica e immediata sanzione degli atti di debolezza e di leggerezza. Il partito deve essere centralizzato, ma centralizzazione significa prima di tutto organizzazione e criterio dei limiti. Significa che quando una decisione è stata presa essa non può esser modificata da nessuno, sia pure uno degli addetti al centralismo e che nessuno può creare dei fatti compiuti.
Non ti nascondo che io, in questi due anni che sono rimasto fuori dall'Italia, sono diventato molto pessimista e molto guardingo. Io stesso sono stato spesse volte in bruttissime condizioni per la situazione generale del partito e non per ciò che riguarda la mia situazione personale di cui mi infischio discretamente e che d'altronde non credo neppure abbia molto sofferto (mi sono tutt'al più involontariamente guadagnato la fama di una volpe dall'astuzia infernale), ma nella mia posizione di rappresentante del partito, chiamato spesso a risolvere questioni che avrebbero avuto un effetto immediato sul movimento italiano.
Andato a Mosca senza essere informato neppure di un decimo delle questioni in corso, ho dovuto fingere di sapere e fare delle acrobazie inaudite per non far rilevare con quanta leggerezza venissero nominati i rappresentanti, senz'altro viatico che quello del dottor Grillo: "Che Dio te la mandi buona".
Ho sopportato molte cose perché la situazione del partito e del movimento era tale che ogni anche apparenza di scissione nelle file della maggioranza sarebbe stata disastrosa e avrebbe dato ossigeno alla minoranza scriteriata e senza direttive. Anche le mie condizioni di salute, che non mi permettevano un lavoro intenso e intensamente continuativo, mi hanno distolto dall'assumere una posizione che avrebbe domandato, oltre che il carico di una responsabilità generale politica, anche la necessità di un intenso lavoro. La situazione è oggi di molto cambiata. Le questioni sono sul tappeto non certo per colpa mia, ma in parte perché non si è voluto a tempo seguire qualche mio suggerimento e risolverlo automaticamente. Cosi ho creduto necessario di prendere l'atteggiamento che ho preso e che manterrò fino in fondo. Non so cosa tu faccia in questo momento. Una volta mi avevi scritto che appena io fossi venuto qui tu avresti cercato di fare una scappata per uno scambio di idee. Se, come penso, tu ora sostituisci provvisoriamente Tito, sarebbe bene che trovassi il tempo di venire. Di tante cose si potrebbe parlare e forse non sarebbe inutile.
Non ho ancora ricevuto nessuna indicazione precisa per la pubblicazione dell'ON e quantunque abbia scritto a molti compagni, non ho ancora avuto nessun articolo di collaborazione. Tuttavia incomincio da questa settimana a inviare il materiale. Se sarà necessario compilerò io intieramente i primi numeri, in attesa che i collaboratori si muovano. Il primo numero sarà in buona parte dedicato al compagno Lenin. Io scriverò l'articolo di fondo cercando di dare le caratteristiche principali della sua personalità di capo rivoluzionario. Tradurrò una biografia e farò un piccolo spicilegio delle sue principali opinioni sulla situazione italiana nel 1920. Nella lettera ultima mandata a Negri scrivevo che contavo oltre che sulla tua collaborazione generale, anche sulla tua speciale collaborazione per alimentare in ogni numero la rubrica Battaglia delle idee e indicavo nella rivista di Gobetti e nel movimento dell'Italia libera i due primi argomenti da trattare. Penso ora che il primo numero sarebbe più opportuno che tu facessi per la rubrica una rassegna dei libri e degli opuscoli di Lenin stampati in italiano, inquadrandola in un apprezzamento della funzione che l'opera e il prestigio di Lenin hanno avuto in Italia in tutti questi anni. In ogni caso informerò Ruggero che tu sei incaricato di compilare questa rubrica permanentemente e che il tuomateriale può essere dato alle stampe senza bisogno di fare il viaggio dì andata e ritorno da qui in Italia. Se avrò del materiale per la rubrica lo manderò a te perché lo veda e possa regolarti nel tuo lavoro. Attendo una tua lettera che mi dica le opinioni tue sui vari argomenti che ho trattato in questa e nelle altre che ti sono state comunicate.
Saluti fraterni
Gramsci
Naturalmente io non credo che, in tutto ciò che ti ho esposto, si tratti solo di problemi di organizzazione. La situazione del P., che si riflette nell'organizzazione, è la conseguenza di una concezione politica generale. Il problema è quindi politico e investe non solo l'attività attuale, ma quella futura; oggi è problema di rapporti tra i dirigenti del partito e la massa degli iscritti da una parte, tra il partito e il proletariato dall'altra; domani sarà un problema più vasto e influenzerà l'organizzazione e la solidità dello Stato operaio. Non porre oggi la questione in tutta la sua ampiezza, significherebbe ritornare alla tradizione socialista, attendere a differenziarsi quando la rivoluzione è alle porte o addirittura quando già si sviluppa. Abbiamo commesso un grave errore nel 1919 e 1920 a non attaccare più recisamente la direzione socialista e anche a correre l'alea di una espulsione, costituendo una frazione che uscisse fuori da Torino e fosse qualcosa di più della propaganda che poteva fare l'Ordine Nuovo. Oggi non si tratta di andare a questi estremi, ma mutato il rapporto, la situazione è quasi identica e deve essere affrontata con risolutezza e ardimento.
Arch. Felt. e arch. part.
Note
[1] Bruno Fortichiari.