Una lettera del compagno Bordiga
Napoli, 10 ottobre 1924
Cari compagni di Stato Operaio,
nei resoconti degli ultimi congresso federali si parla sovente di me a proposito dell'invito rivolto ai compagni dell'ala sinistra a collaborare agli organismi centrali del partito. Nel mio intervento al congresso di Napoli ebbi occasione di chiarire il mio pensiero in proposito, ma il resoconto di quanto ho detto è stato seguito da una postilla che credo mi dia il dovere di replicare.
Si tratta di porre la stessa domanda che posi al Congresso al compagno Gramsci: è aperta una discussione nel seno del partito, e sono i congressi chiamati ad un voto in base a questa discussione? Egli, conformemente ad un comunicato della Centrale, rispose di no, e nessun voto si ebbe al congresso napoletano. E io dimostrai che se tale discussione la Centrale non crede aprire - e noi non opponiamo alcuna resistenza - è necessario rinunciare sia a certi spunti polemici, sia a far votare degli ordini del giorno i quali, dopo una preparazione inadeguata e unilaterale, chiamano a votare i compagni solo su un aspetto esteriore o quasi sentimentale della questione.
Se la Centrale crede di aprire la discussione, io credo che non vi si opporranno i deliberati internazionali: su tale dibattito parlano il programma votato a Mosca per il Partito italiano fissandone le modalità, e altri documenti.
In attesa della discussione, se vi sarà, e lasciandone giudicare l'opportunità alla centrale, mi sono consentito poche parole sui rilievi polemici della postilla su accennata. Su tre punti sarebbe il caso di fermarsi, come io li indicavo al congresso. Il primo è la questione della tattica internazionale, e a me pare che le decisioni prese a Mosca non escludono un suo esame da parte dei compagni italiani: in ogni modo questo esame, con l'autorizzazione a noi di dire il nostro parere, è l'unico mezzo per stabilire se il partito conserva o abbandona nella sua maggioranza le posizioni dette della "sinistra" e delle tesi di Roma.
Il secondo punto è quello della politica del nostro partito, sia negli ultimi tempi che per l'avvenire. La postilla mi accusa di poca precisione: io invece dissi al convegno che non intendevo pormi dal punto di vista della critica alla Centrale attuale, attitudine troppo comoda per molte ragioni, e preferivo svolgere il nostro punto di vista su quello che il Partito dovrebbe fare, già esposto chiaramente nel programma da noi presentato al V Congresso e non approvato. In quanto dissi vi (è) abbastanza per scartare le critiche superficiali che ci attribuiscono la risposta della insurrezione immediata, oppure la voluta passività dissimulata da frasi radicali. Noi siamo per la lotta parallela contro il fascismo e la opposizione liberale democratica e socialdemocratica, per la denuncia della politica degli antifascismi borghesi, quale manovra di conservazione del regime capitalistico, per la contrapposizione alla parola imbelle ed imbecille della legalità, normalità e pacifismo di classe, della parola della lotta aperta contro la violenza e la legalità borghese insieme. Escludiamo ogni proposta alle opposizioni e ai partiti Unitario e Massimalista, localmente e nazionalmente, oltre che ad ogni blocco con tali gruppi politici. Crediamo che anche prima del momento futuro in cui si potrà dare la parola dell'azione per il potere sia possibile una politica attiva e autonoma del partito tendente alla concentrazione progressiva delle masse proletarie o anche semiproletarie sotto la direzione del Partito Comunista, e non di una coalizione. Consideriamo come ultrapassivistico il vedere la situazione come "democratica" mentre larghissime possibilità di lotta si offrono al partito, nel senso di rendersi il "terzo" elemento della ................ concentrando intorno a sé l'atteggiamento di quella parte delle masse che capisce come sia assurdo il trapasso fascismo - normalizzazione, ma sia inevitabile quello dalla dittatura fascista al capovolgimento dei suoi metodi sul groppone della attuale classe dominante borghese, fascista e non fascista. Queste idee non abbiamo potuto esporle dopo il fatto Matteotti: se si vuole criticarle come imprecise ed erronee, ci si dica prima di formularle. In caso opposto taceremo, ma allora preghiamo di non strappare ai compagni deliberazioni che non riescono utili in nessun senso.
Abbiamo infine il terzo punto il più delicato: quello della non partecipazione dei compagni della Sinistra alla Centrale del Partito. Non lo riduco, come mi si rimprovera, alla quistione formale. Ma anche su questo punto mi sembra non vadano trascurati i dati di fatto. E oltre a quello che la nostra esclusione dalla Centrale, da noi chiesta, fu accettata e votata dalla Commissione e dal Congresso, è il caso di ricordare che non certo di passività abbiamo dato prova fino al giorno in cui fummo deposti dalle cariche di membri del CE per motivi - giusti - che oggi sussistono. Una revisione di questa decisione se non è uscita dal V Congresso, e se non richiede un altro dibattito internazionale per lo meno è per ogni compagno sensato inconcepibile senza una esauriente discussione e spiegazione reciproca nel senso del Partito. perché porre il carro davanti ai buoi? perché scartare la discussione con noi e magari la nostra trionfale confutazione di questa decisione se non è uscita agio di dimostrare inconsistenti le molte versioni che circolano sulle opinioni nostre e pretendere che senza di ciò ci si veda, su decisione non si sa di chi, a incorporare nella Centrale? E se la minima nostra manifestazione fatta col discorso di Napoli solleva tante critiche ed esige tante riprensioni, che cosa significa chiederci una partecipazione al lavoro di partito? Dobbiamo apportare la direttiva politica in cui crediamo, o solo delle firme da porre a deliberazioni maggioritarie dopo inutili contese interne, tanto più dannose in quanto meno conosciute dai compagni e dalle masse? Chi vede la quistione in modo banale formalistico è proprio chi dice: in nessun partito comunista nessun compagno può rifiutarsi al lavoro che gli affida il Partito: dunque la Sinistra deve stare nel CC. Cosa giustissima in questi termini astratti, ma che tuttavia non si reralizza nel partito come più in generale nell'Internazionale. Ma che concludere da questo? Se si potesse risolvere tutto con un giudizio sull'attitudine personale di qualche compagno la cosa sarebbe molto meno grave e presto finirebbe. Ma la crisi è più sostanziale, non deriva da un nostro capriccio, ma da difetti nell'indirizzo generale del partito e dell'Internazionale, di cui non è il caso di ripetere qui la diagnosi, che i fatti non ci convincono ancora essere erronea.
In conclusione io ben comprendo che una soluzione della crisi del partito, e non voglio giudicare se la migliore, consista o nel farci desistere dalle nostre critiche e dalla nostra attitudine, e nel far pronunciare contro di esse la maggioranza del partito: ma sia l'una cosa che l'altra non sono raggiungibili senza una discussione preparata regolarmente, o una consultazione del partito di cui gli stessi criteri rendano il voto delle varie organizzazioni locali . Pur volendo fare questo noi non abbiamo proteste da sollevare o reclami da avanzare, ma non si esce dallo "status quo" circa il nostro atteggiamento. Il tentare di arrivarci con scappatoie, non solo non risolve nulla, ma alimenta quello spirito frazionista a cui noi ci sforziamo, come nostro dovere, di opporci.
Spero di avere chiarito questo punto: di tutto il resto si potrà discutere quando la centrale credesse di stabilirlo.
Con saluti comunisti
"Lo Stato Operaio" n.34 del 16 ottobre 1924.
Note
[1] Da qui in poi il testo è pressoché illeggibile; abbiamo cercato di ricostruirlo ma non possiamo giurare sulla sua assoluta fedeltà.