Lettera di una "vecchia compagna" al CE del Partito

Lettera aperta ai compagni dell'Esecutivo della sezione italiana del Partito Comunista

Luglio 1925

Cara Unità,

permettimi rivolgere dalle tue colonne una franca parola ai compagni dell'Esecutivo.

Addolorata dalla prigionia del mio compagno, che dura da sei mesi, sofferente, assorbita da altri lavori, mi ero imposta il massimo riserbo nei riguardi della polemica dell'Esecutivo contro i compagni della sinistra.

Il partito ha potuto avere troppo poca conoscenza del dibattito, e pur esso presentato con sì poca serenità ed imparzialità, che io stessa non potrei dare un giudizio esatto sull'atteggiamento dei compagni della sinistra e dirigenti del vecchio Esecutivo, ma parecchie constatazioni di fatto risaltano chiare agli occhi di tutti i compagni non abituati a prendere l'imbeccata prima di formarsi un'opinione.

Il vecchio Esecutivo ha avuto il grande merito di fondare e cementare il partito comunista; esso era diretto da un compagno dal polso fermo, di un'attività fenomenale, di una fede assoluta, priva di pericolose impazienze, nel trionfo dell'idea; d'un intuito eccezionale nel prevedere le condizioni dei tempi e le mosse degli avversari; d'una capacità mentale, d'una cultura marxista, d'un interesse più unico che raro; e di un fascino suggestivo sulla massa del partito (che sarebbe stata pronta a tutto nell'assoluta fiducia di essere ben diretta - e anche di questo bisogna tener conto) veramente degni di un "capo".

Gli si rimproverano, però, due qualità negative: la caparbietà e una strana debolezza di fronte agli affetti familiari. Qualità, che in altri possono essere anche un pregio, ma in un "capo" rappresenterebbero un forte passivo.

Egli fu sempre degnamente coadiuvato da compagni davvero superiori nella loro modestia e nella loro instancabile e febbrile attività, come il Fortichiari e il Repossi.

Il partito allora era uno, inscindibile, compatto, audace, eroico; non aveva pesi morti nelle sue fila: l'entusiasmo animava tutti, moltiplicava le energie, colmava i vuoti, faceva stringere i denti e procedere sempre innanzi, nonostante tutto.

E il partito allora era poverissimo e non poteva fare opera di soccorso ai caduti.

Ebbene, compagni dell'Esecutivo: oggi, per forza di cose e di tempi e anche indiscutibilmente per vostro merito il partito conta un numero molto maggiore di aderenti; ma non forse, proporzionalmente, di militanti attivi, ardenti, e soprattutto capaci di lavorare con alto senso di responsabilità.

C'è molta sfiducia nelle fila e sono molte le critiche che si fanno, sia fra i gregari, che fra gli esponenti più rappresentativi, alla Centrale del partito, la cui opera è sembrata troppo slegata, contraddittoria, incerta, il che non avveniva prima, quando si sentiva di essere diretti con maggiore vigoría di fronte agli avversari, e meno settarismo di frazione nelle riunioni provinciali e nel giornale del partito da parte dell'Esecutivo.

Con ciò, noi non vogliamo certo diminuire le terribili difficoltà di lavoro del momento attuale e la forza di resistenza dei nostri valorosi compagni centristi, la cui opera, specie nei riguardi del soccorso rosso, è stata veramente encomiabile.

Ma ci addolora vivamente l'ostruzionismo fatto contro i compagni fedeli alle direttive del vecchio Esecutivo, benché la grande maggioranza del partito fosse con loro, come lo aveva provato il convegno nazionale a Milano.

Non ci parve allora dignitoso il contegno dei centristi, che rimasero all'Esecutivo, pure sapendosi minoranza, e tanto meno il loro lavorìo partigiano nelle riunioni federali, nei resoconti al giornale, nei commenti soprattutto e nei cappelli, usati tutte le volte che si trattava mettere in cattiva e falsa luce quei compagni che non si lasciavano influenzare da quest'opera settaria e ingiusta verso i nostri migliori, né da qualsiasi interesse personale; e specialmente il Bordiga, che rinunciò sempre a qualsiasi vantaggio morale e materiale, e rifiutò anche la vice-presidenza dell'Internazionale, di fronte all'imperativo della propria coscienza e della propria convinzione.

Di tali compagni non ce ne sono mai troppi, anche nelle nostre fila, specialmente ora, e non si dovrebbe cercare di esasperarli e spingerli alla ribellione e all'indisciplina.

Perciò, lasciando impregiudicata la questione di merito, io vorrei pregare i compagni dell'Esecutivo di non presentare come "degenerazioni politiche", "miserie morali", "documenti indegni", ecc. ecc., le dichiarazioni dei compagni della sinistra, che meritano il rispetto di tutto il partito se chiedono soltanto (loro che erano i naturali dirigenti della maggioranza del partito) di discutere ad armi pari, di fronte ai centristi, le loro tesi sulla tattica più efficace, sia della sezione italiana oggi, sia dell'Internazionale domani, al VI Congresso.

Noi sappiamo che mai il Bordiga si prestò ad un'opera secessionista, mai intese di formare frazioni, ma solo di affiatarsi a scopo congressuale, assicurarsi libertà di discussione e di critica; cosa che, se avesse accettato la transazione di far parte della Centrale, fingendo di rinnegare sé stesso, avrebbe potuto facilmente conquistarsi.

Dato che a Bordiga si sono sempre prestate concezioni che non sono assolutamente le sue (quelle di Terracini al III Congresso, quelle di Mangano al IV o ad altro convegno internazionale, ed altre ancora, poiché, per un eccesso di generosità, egli accetta anche la paternità degli altrui errori, deviazioni e accentuazioni delle sue tesi) nella Centrale egli avrebbe potuto fors'anche trascinare gli altri con la forza delle sue argomentazioni e con la sua ben nota bontà che rifugge da ogni piccineria.

E questo, nonostante le condizioni di inferiorità in cui sarebbe stato messo di fronte ai terzini e loro patroni, dopo l'acerba lotta della vigilia (proprio per difendere il punto di vista di Zinoviev contro Serrati e compagni); assurde condizioni di inferiorità e di sproporzionata minoranza nella Centrale, che si dovevano pur tenere in considerazione da tutto il partito, nel giudicare il suo atteggiamento di ripulsa.

Discutere dunque ad armi pari, compagni dell'Esecutivo, senza i vostri cappelli e i vostri commenti. I commenti, lasciateli alla massa dei compagni, che è stata abbastanza provata per saper giudicare, se il dibattito fosse stato (come doveva essere) aperto e sereno, il che non è avvenuto, proprio per colpa vostra, e di chi vi aveva assegnato sì ingrato compito.

Non è il caso di contare sul consenso di... alcuni dirigenti, molto avariati, di certe federazioni, bollati un tempo dal vecchio Esecutivo, e che oggi, senza neppur conoscere la materia del dibattito, sentenziano per prendersi una grossolana rivincita: o [tristi] unanimità assai improbabili, ottenute con [insensate promesse] e forti pressioni morali.

La lettera serena del compagno Droz ha dato al partito "la garanzia di una completa libertà di discussione e, ai compagni del Comitato d'Intesa e ai loro amici, completa libertà di espressione negli organi del partito e nelle assemblee", ma questa garanzia è già compromessa dal modo stesso col quale voi presentate, nello stesso numero del giornale, la risposta della sinistra.

Ricordate di essere anche voi dei gregari, e che anzi a voi, come dirigenti, incombe un maggior senso di rispetto e di riserbo nei riguardi delle varie tesi in discussione, fra compagni dello stesso partito.

Questa serenità, questo senso di superiorità morale non è mai mancato al vecchio Esecutivo, e perciò sentivamo che il partito comunista non seguiva i metodi ostruzionistici dell'ultimo periodo "vella-serratiano" del vecchio glorioso partito.

Non bisogna volere avere ragione per forza, tanto meno se si ha ragione: tutte le tesi devono avere dal giornale del partito, che è di tutti, lo stesso trattamento.

Nella discussione ognuno è membro del partito, senza privilegi di dirigenza, e imposizione alla massa di un dato punto di vista, condito da aspri commenti verso chi dissente.

Si capisce che l'ingiustizia provoca l'indisciplina.

Con ciò, cari compagni, sono io la prima a dirvi che trovo discutibilissime certe tesi dei sinistri; che ritengo giustissima l'organizzazione delle cellule d'officina, unitamente a quelle di rione e di strada (ma a dir la verità, sembra che funzionino davvero solo in pochissimi grandi centri), che deploro quanto voi che "ragioni di famiglia" possano impedire ad un compagno della mentalità e della forza di Bordiga, di assumere il suo posto di combattimento, quando superiori ragioni di partito lo impongano.

E ora vogliate perdonare ad una vecchia compagna la sua franchezza.

Rita Majerotti

Da APC, 306/40-42

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