Bordiga ai compagni emigranti (27 luglio 1926)

Napoli 27 luglio 1926

Carissimi, scusatemi se, malgrado le premure di Ippolito, ho tardato a scrivere. Anzitutto vi voglio avvertire di una cosa che volevo dire tante altre volte, e che mi sono sempre scordata, cioè che le mie lettere hanno carattere di destinazione collettiva: rispondo volta per volta a quello di voi che mi scrive e a questo o quell'indirizzo, ma intendo rivolgermi a tutti, o per meglio dire ai tre o quattro che hanno avuto occasione di scrivermi. D'altro canto le mie lettere devono avere per tutte le eventualità carattere privato e di corrispondenza personale tra compagni: e non è soprattutto il caso di leggerle a riunioni o considerarle comunque testi ufficiali ....

Tenete anche conto che voi scrivete al mio indirizzo di casa, e che le lettere possono venire aperte: non era il caso di parlare in queste di una mia andata alla Mecca, che ora è sfumata: temo anzi che un certo allarme della polizia che mi sorveglia più intensamente in questi giorni, possa aver avuto questa origine. D'altra parte tenete conto che Ippolito sta per lasciare Napoli. Cercherò di darvi altro indirizzo. Del resto potreste scrivere al vecchio di Ippolito, neppure però segretissimo, dove la posta sarà ritirata in sua assenza da comuni amici. Ciò nel caso che mi parliate di cose più delicate del solito.

Nel merito del mio viaggio, se lo avessi fatto, avrebbe avuto la portata di un mio soggiorno colà quale membro del C.E., e null'altro: avrei cioè mantenuta, non occorre neppur dirlo, la mia posizione di ... opposizione, in un organismo che per essere così ampio può considerarsi non uno stretto organo esecutivo cui non accetterei di partecipare, ma un organo di consultazione di dibattito interno emanato dai congressi. Si sarebbe, tra gli altri vantaggi, sfatata la leggenda che la mia intransigenza è in rapporto al non aver mai soggiornato fuor dai viaggi brevi pei congressi, tra le cupole dorate ....

Veniamo ora ai problemi che vi preoccupano. Problemi analoghi sono sollevati anche da nostri amici in Italia, spinti da due fatti: la degenerazione sempre più marcata del metodo ufficiale, le cui manifestazioni divengono sempre più urtanti, e dall'altro lato il miglioramento in senso rivoluzionario della situazione generale internazionale.

Dico subito che a mio avviso questi due processi non sono maturi tanto da farci risolvere in senso negativo il problema del destino della I.C. e della sua eventuale sostituzione da un nuovo organismo alla vigilia di nuove lotte. Non solo non siamo ancora a questo momento, ma non siamo nemmeno al punto da poter ritenere certo che la decomposizione dell'I.C. e il sorgere di nuovi organi si verificheranno. E' ancora possibile rettificare la linea della Internazionale attuale, o almeno questo appare difficile sì, ma non impossibile. Sebbene noi aneliamo ad un partito mondiale la cui sicurezza contro le deviazioni non oscilli col mutare delle situazioni, dobbiamo pur attendere per vedere come reagirà sul Comintern così come è oggi, il radicalizzarsi, come essi direbbero, della congiuntura. Dovremo sì diffidare degli uomini che saranno resi sinistri dal sinistreggiare della situazione, ma non possiamo non "far credito" in questo senso ai nostri partiti.

Data questa mia opinione, io credo che si debbano ad ogni costo evitare atti che si prestano a rotture disciplinari, a scandali, etc. Soprattutto abbiamo il dovere di non cadere in tali estremi, quando non si tratta di fare una seria, vasta, profonda e feconda azione, ma più che altro di dare nomi e forme esteriori ad organismi prematuri ed insufficienti, come può avvenire se non si agisce da parte nostra con estrema calma e serietà. Il "gergo" della organizzazione -comitati, gruppi, segretari, fiduciari, etc., etc.- deve soprattutto essere evitato. Il pochissimo che possiamo oggi fare utilmente lo possiamo fare sotto i nomi delle nostre persone cui nessuno può contendere di scriversi, di vedersi, di comunicarsi idee. Non voglio dire che ogni intimazione dei bolscevizzati debba essere senz'altro subita: ma solo che dobbiamo avere tale prudenza da non cadere nella loro provocazione intenzionale. In certi casi converrà forse sfidarli, ma col corrispettivo di un utile sicuro, sul terreno della comunicazione con larghi strati di compagni e lavoratori cui essi imbottiscono il cranio col loro pesante apparato monopolizzatore di ogni attività e collegamento. Per evitare di essere poco chiaro, preciso per ora qual limite ci conviene toccare: io credo dobbiamo attenerci alla attività di dare diffusione ai testi nostri che siano diventati testi ufficiali di partito in quanto li abbiamo legalmente presentati e depositati: e quindi discorsi, tesi, etc. presentati a congressi, articoli e rettifiche anche eventualmente cestinati, e così via: tutta roba però in una forma ufficiale comunicata agli organi di partito.

Vi è la quistione di quelli che malgrado la nostra parola di essere prudenti saranno espulsi: non credo si debba parlare di una loro organizzazione: si deve solo tenere con essi il contatto personale, per evitare che l'isolamento ne faccia degli strafottenti e dei raffreddati, dando così ragione, tra l'altro, ai loro giudici e condannatori. Io credo che il problema di un affitamento tra i nostri nel partito e fuori non si ponga affatto colla solennità di un problema di organizzazione di frazioni e gruppi: basta un poco più di ordine nelle comunicazioni personali tra noi.

Il comunicare colla massa è problema che dobbiamo ancora, malgrado tutto, risolvere nell'ambito del partito e colle forme che il partito ammette, per tisiche, scarse, capziose, viziose che siano. A parte ogni altra cosa, rendendoci o ponendoci in condizione di essere resi autonomi, non faremmo molto di più.

Per esempio possiamo chiedere ed ottenere che si parli nelle riunioni e sulla nostra stampa delle "quistioni russe", avendo in questo senso ... promesso l'Allargato. Io tenterò di rompere questo ghiaccio ... E' vero che mi tengono ancora in sospeso alcune rettifiche, di cui procurerò mandarvi copia ...

Mi pare si potrebbe fare una certa diffusione delle tesi italiane e francesi e dei discorsi miei all'Allargato, nonché dei discorsi sinistri al congresso italiano. Tra me e quelli di Milano cercheremo di completarvi questa letteratura.

Quanto ai tedeschi, sono più liberi di noi essendo stati espulsi, ma di ciò io non mi rallegro. Forse era meglio evitassero di rompere su un terreno non interno di partito, come il parlamento. Cercherò di mandarvi in altro scritto il mio parere sulle loro piattaforme, che certo si avvicinano molto a noi.

Per ora abbiatevi tutti cari saluti

(Lettera di Amadeo, con firma autografa, a compagni dell'emigrazione francese. La lettera continua con il seguente post-scriptum:)

Quanto ad Esposito nulla mi ha fatto sapere: doveva passare da Milano per portarvi comunicazioni, ma era soprattutto per suo desiderio che lo indirizzai a voi. Colla venuta di Ippolito e l'ulteriore corrispondenza diretta, ogni suo incarico può ritenersi superato, e credo che personalmente non abbisogni di vostro aiuto.

(Segue un "Saluti Ippolito" autografo ed un altro post-scriptum:)

Vi accludiamo copia di una lettera di Amadeo non pubblicata dall' "Unità"

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