Bordiga a una compagna
Napoli 28 marzo 1952
Cara compagna,
alla tua del 16 gennaio volevo rispondere perché un passo, tra tante cose senza costrutto che come narri ti hanno fatto credere, mi era parso interessante, e si presta a chiarire la questione degli uomini. Sono sopravvenute tante cose e non lo ho più fatto: ora poi purtroppo non posso più parlarti di speranze di risolvere la nota crisi, in quanto crisi di uomini: i fatti poi troveranno altre vie.
Tu scrivi: dici bene che un marxista deve guardare i principii e non gli uomini...noi diciamo gli uomini non contano e lasciamoli fuori, ma sino a che punto si può far ciò? Se sono gli uomini che determinano in parte i fatti? Se gli uomini sono in parte la causa che determinò lo scompiglio, noi non possiamo dimenticarli del tutto... Non si tratta per nulla di modo traballante di arrivare alla questione; anzi offri una via molto utile per farlo.
I fatti e gli atti sociali di cui ci occupiamo come marxisti sono operati da uomini, hanno come attori gli uomini. Verità indiscussa, e senza l'elemento umano la nostra costruzione non regge. Ma questo elemento era tradizionalmente considerato in modo diversissimo da quello che il marxismo ha introdotto.
La tua semplice espressione si può enunciare in tre modi, ed allora si vede il problema nella sua profondità, a cui hai il merito di esserti avvicinata. I fatti sono operati da uomini. I fatti sono operati dagli uomini. I fatti sono operati dall'uomo Tizio, dall'uomo Sempronio, dall'uomo Caio.
Non ci distingue solo dagli "altri" la nozione che, essendo l'uomo da un lato un animale, dall'altro un essere pensante, essi dicono che l'uomo pensa prima e poi dagli effetti di questo pensiero si risolvono i suoi rapporti di vita materiale, e anche animale - noi diciamo che a base di tutto stanno i rapporti fisici, animali, nutrimento, etc.
La questione appunto non si pone uomo per uomo, ma nella realtà dei complessi sociali e dei loro fenomeni che si concatenano.
Ora quelle tre formulazioni del modo come gli uomini intervengono, scusa i paroloni, nella storia, sono queste.
I tradizionali sistemi religiosi o autoritari dicono: un grande Uomo o un Illuminato dalla divinità pensa e parla: gli altri imparano e agiscono.
Gli idealisti borghesi più recenti dicono: la parte ideale sia pure comune a tutti gli uomini civilizzati determina certe direttive, in base alle quali gli uomini sono condotti ad agire. Anche qui campeggiano ancora taluni determinati uomini, pensatori, agitatori, capitani di popolo, che avrebbero dato la spinta a tutto.
I marxisti poi dicono: l'azione comune degli uomini, o se vogliamo quanto di comune e non di accidentale e particolare è nell'azione degli uomini, nasce da spinte materiali. La coscienza e il pensiero vengono dopo e determinano le ideologie di ciascun tempo.
E allora? Per noi come per tutti sono gli atti umani che divengono fattori storici e sociali: chi fa una rivoluzione? Degli uomini, è chiaro.
Ma per i primi era fondamentale l'Uomo illuminato, sacerdote o re.
Per i secondi la coscienza e l'Ideale che conquistò le menti.
Per noi l'insieme dei dati economici e la comunità di interessi.
Anche per noi gli uomini non si riducono, da protagonisti che creano o recitano, a marionette i cui fili sono tirati... dall'appetito. Sulla base della comunanza di classe si hanno gradi e strati diversi e complessi di disposizioni ad agire e tanto più di capacità di sentire ed esporre la comune teoria.
Ma il fatto nuovo è che a noi non sono indispensabili come alle precedenti rivoluzioni, neppure col compito di simboli, uomini determinati con una determinata individualità e nome.
Il fatto è che appunto in quanto le tradizioni sono le ultime a sparire, molto spesso gli uomini si muovono per la sollecitazione suggestiva della passione per il Capo. Allora perché non "utilizzare" questo elemento, che si capisce non muta il corso della lotta di classe, ma può favorire lo schieramento, il precipitare dell'urto?
Ora a me pare che il succo delle dure lezioni di tanti decenni sia questo: rinunziare a smuovere gli uomini e a vincere attraverso gli uomini non è possibile, e proprio noi sinistri abbiamo sostenuto che la collettività di uomini che lotta non può essere tutta la massa o la maggioranza di essa, deve essere il partito non troppo grande e i cerchi di avanguardia nella sua organizzazione. Ma i nomi trascinatori hanno trascinato in avanti per dieci, e poi rovinato per mille. Freniamo quindi questa tendenza e in quanto praticamente possibile sopprimiamo, non certo gli uomini, ma l'Uomo con quel dato Nome e con quel dato Curriculum vitae.
Praticamente ho cominciato col porre fuori dai piedi il soggetto Bordiga. A molti sembra una stranezza: il bilancio di questa esperienza lo farete poi. Volentieri porrei fuori causa tutti gli altri.
So la risposta che facilmente suggestiona gli ingenui compagni. LENIN. Bene, è certo che dopo il 1917 guadagnammo molti militanti alla lotta rivoluzionaria perché si convinsero che Lenin aveva saputa fare e fatta la rivoluzione: vennero lottarono e poi approfondirono meglio il nostro programma. Con questo espediente si sono mossi proletari e masse intere che forse avrebbero dormito. Ammetto. Ma poi? Collo stesso nome si fa facendo leva per la totale corruzione opportunista dei proletari e siamo ridotti che la avanguardia della classe è molto più indietro che prima del 1917, quando pochi sapevano quel nome. Allora io dico che nelle tesi e nelle direttive stabilite da Lenin si riassume il meglio della collettiva dottrina proletaria, della reale politica di classe, ma che il nome come nome ha un bilancio passivo. Evidentemente si è esagerato. Lenin stesso di gonfiature personali aveva le scatole pienissime. Sono solo gli ometti da nulla a credersi indispensabili alla storia. Egli rideva come un bambino a sentire tali cose. Era seguito, adorato e non capito.
Sono riuscito a darti in queste poche parole l'idea della questione? Dovrà venire un tempo in cui un forte movimento di classe abbia teoria ed azione corretta senza sfruttare simpatie per nomi. Credo che verrà. Chi non ci crede non può essere che uno sfiduciato della nuova visione marxista della storia, o peggio un capo degli oppressi affittato dal nemico.
Come vedi l'effetto storico dell'entusiasmo per Lenin non lo ho messo in bilancio coll'effetto nefasto dei mille capi rinnegati, ma con gli stessi effetti negativi del nome stesso. Né sono sceso sul terreno insidioso del se Lenin non fosse morto. Stalin era anche lui un marxista con le carte in regola e un uomo di azione di primo ordine. L'errore dei Trotzkisti è cercare la chiave di questo grandioso rivolgimento della forza rivoluzionaria nella sapienza o nel temperamento di uomini.
Non mi fermo sul resto della tua che mostra quanto si sia pettegolato. Che vi importa se io sia sulla porta o meno o mezzo dentro e mezzo fuori? Chi mi sottoporrà ad un esame per assodare se sono stato sempre tutto fuori dalle attrazioni della classe nemica, che piano piano se li sono pappati tutti? L'esaminatore non c'è, e un esame generale sarebbe troppo mortificante. Non vi perdete in buaggini. Ai compagni di Roma che esigevano che assumessi le mie responsabilità ebbi a scrivere che la responsabilità è la traduzione in linguaggio ideologico del dare e avere della economia privata, in partita doppia. Non ho da rispondere a nessuno. Occupatevi della giustezza o meno delle direttive di classe. Comunque per mostrare la tranquillità di chi mai ha impiantato coi lavoratori una partita doppia scrissi loro: se vi diverte prendete atto della dichiarazione che non assumerò le mie responsabilità.
Se perderò ammiratori non avrò fatto che lavorare su quel tema che mi sono proposto. Tanto se qualcuno fa qualcosa solo perché ammira me e ha bisogno di questo sciocco trampolino, è più utile dal punto di vista rivoluzionario che se ne stia senza far nulla.
Abbiti tanti saluti,
Note:
1) Questa lettera viene citata in "Il battilocchio nella storia", Il programma comunista, 3-17 aprile 1953.