Bordiga a Maffi, Ceglia e Neri
Napoli, 18 novembre 1964
Con questa lettera scritta di mercoledì a Bruno e ai due Romei (Ceglia e Neri) spezzo la serie delle lettere dettate nelle riunioni collettive di giovedì e domenica (che non sono di un comitato ma di tutti i compagni di Napoli o non di Napoli che vengono a darmi una mano e che devono sapere che mi trovano, mentre io non so quali e quanti sono, esempio di proliferazione organica delle forme) per contentare Bruno e non perché occorra "tenergli su il morale" dopo l'immane vaccata.
La lettera sarà copiata domani nella ordinaria che va a poche destinazioni, nei limiti della... carta carbone.
A Bruno mando pignolescamente riletto da me il mio testo dattilografato degli appunti per le tesi perché lo tenga presente nella correzione delle bozze, specie per le virgolette e altre minuzie. Resto senza: erano quattro: Calogero, Bruno, Giuliano e questo. Mi resta solo il manoscritto di pugno Gianni Francesco Cesare. Passerebbe tempo imprevedibile per farlo battere da Livio e poi leggerlo e spedirlo.
Benissimo il gioranle che arriva stamane.
Romeo da Forlì. Sento da Bruno che a Forlì non hanno capito tutto. Espongo quindi alcuni particolari utili.
Romeo da Torino. Ebbi il tuo telegramma con Ernesto e la lettere di Marx sulle "straccionerie". Poi ho saputo che sei corso a Milano per evitare cose peggiori.
Vi faccio presente questo. La iniziativa delle tesi, scritte per ora con titolo di appunti per farle più complete e perentorie, è stata solo mia e io solo vi ho lavorato, dettandole a Napoli a Gianni e a Firenze a Francesco e Cesare. Esse dicono quanto esposi a Marsiglia la mattina del lunedì solo in francese e quanto a Milano e a Barra: il partito funziona su una linea Napoli-Milano o Amadeo-Bruno. Mai altri comitati. Idea che, se fosse una fesseria, sarebbe colpa solo mia.
A Firenze Calogero si comportò in modo che la mattina di Lunedì senza aver preavvisato nessuno, né Bruno né Giuliano né Natino, gli dissi che tra lui e me non vi sarebbe stata mai ulteriore comunicazione. Se non fosse avvenuto il fatto spontaneo che, dopo la sua risposta (giusta) che ogni reazione andava diretta contro di me, i compagni lo asportarono, mi sarei io allontanato dalla riunione. Uscito lui feci del tutto con pena e passione per far capire ai milanesi che non era da compagni chiedere che gli appunti letti alla riunione di domenica non fossero pubblicati, sotto la minaccia di spaccare il partito. Convinsi uno solo: Libero, con un certo aiuto di Elio, che aveva la sera prima fatto loro poco lodevolmente eco. Poi Elio e Libero hanno capito. Gli altri acciecati.
Il partito è intatto, ma se lo avessero spaccato, in un pezzo sarebbero stati loro, nell'altro io (come avevo detto nelle 15 parole a Calogero).
Credo di ver fatto tutto quello che era possibile fare senza divenire un buffone o un vile per impedire che quei compagni commettessero il suicidio che Calogero, con maggiore coraggio di quando ha scritto le "controtesi", disse che avevo io commesso.
Questa lettera è per vecchi compagni, alle riunioni non deve essere letta né il fatto deve essere altrimenti trattato. Non si è preso alcun provvedimento disciplinare (arnese democratico) da riferire. La sezione o gruppo di Milano esiste sempre, solo taluni hanno voluto uscirne.
Il partito è sempre quello e lavora come sempre ha fatto.
Cercare colpe di quanto è avvenuto è cosa fessa.
Casomai vi è un colpevole, sono io.
Caramente.
Amadeo
A Ceglia mando a Valfenera d'Asti
A Neri Matteucci 32 Forlì