Lotta di classe e "offensive padronali" (XXVII)

Ieri

Gli errori nella pratica della lotta proletaria o le rovinose deviazioni di essa, che hanno caratterizzato storicamente il tempo della Prima Guerra Mondiale, e nella Seconda il tempo della guerra e del dopoguerra, sono strettamente collegati allo smarrimento dei cardini critici del metodo marxista.

Marx coordinò la previsione dell'insorgere rivoluzionario dei lavoratori con le leggi economiche dello svolgimento capitalistico.

I revisionisti del marxismo hanno voluto trovare il sistema in difetto, forti del ritardo di un secolo in cui si troverebbe la nostra rivoluzione mentre Marx per le mutate condizioni dei mezzi di collegamento e comunicazione mondiale ne previde una marcia più rapida di quella della rivoluzione borghese, e pretendono che quelle leggi fossero errate e che il divenire più moderno del regime borghese avesse smentito la tesi centrale: sempre più ricchezza ad un polo, sempre più miseria all'altro.

E da cinquant'anni si citano le statistiche dell'aumentato saggio del salario, dell'aumentato raggio e saggio dei consumi del lavoratore industriale, i risultati del vastissimo macchinario delle riforme sociali che tendono a sollevare dalla caduta nella fame assoluta i lavoratori buttati fuori dal ciclo dell'attività salariata per infortunio, malattia, vecchiaia, e disoccupazione. E d'altro canto si pretese che avessero valore di un surrogato delle esigenze socialiste la estensione delle funzioni della macchina centrale statale, il suo preteso controllo sulle alte rese e i vertici eccessivi della speculazione capitalistica, la sua distribuzione a tutti di benefici e servizi sociali e collettivi.

Tutto ciò nella visione revisionista tendeva a disegnare la possibilità ''progressiva'' di una sempre migliore distribuzione del ricavato della produzione tra coloro che vi avevano partecipato, calando sempre più la possente aspirazione socialista nelle molli bassure di una campagna di untuosi filantropi per la balorda parola della ''giustizia sociale", bagaglio teorico e letterario anteriore all'opera di Marx e da questa sterminato senza pietà.

Il capitalismo fu riportato dal poemetto arcadico agli orrori della tragedia dalla folle corsa monopolistica ed imperialistica che ebbe un primo sbocco nella guerra del 1914; e la evidenza che, quando esso persiste, vive e cresce, del pari crescono e dilagano miseria, sofferenza e strage, si riflette in un vigoroso ritorno dei partiti operai alle posizioni radicali e alla battaglia che ha per suo scopo la distruzione, non la emendazione del sistema sociale borghese.

Dopo la riprova teoricamente ancor più decisiva della Seconda Guerra, gli anni che trascorrono pongono il grave problema di una mancata reazione rivoluzionaria dei metodi di azione proletaria nel mondo.

La legge generale dell'accumulazione capitalistica è esposta da Marx nel Libro I del Capitale al cap. XXIII. Il primo paragrafo premette che il progresso dell'accumulazione tende a far salire il saggio dei salari. La diffusione della capitalistica produzione in grande, come nell'esempio inglese dall'inizio del XV secolo a metà del XVIII, e come del resto in tutto il mondo moderno nella seconda metà di questo ultimo, con la richiesta di un maggior numero di salariati fa sì che "subentri un aumento dei salari''. Vana fatica dunque voler smentire Marx col fatto che i salari dei servi del capitale non sono discesi. Perché subito dopo le parole riportate Marx scrisse le altre: "Le circostanze più o meno favorevoli in cui i salariati si mantengono e si moltiplicano non cambiano nulla al carattere fondamentale della produzione capitalistica''.

E questo carattere fondamentale, la legge generale di cui si tratta, non è fissato da Marx nel solo rapporto operaio-padrone, ma nel rapporto dell'insieme delle due classi. La composizione di esse varia continuamente. Nella classe borghese l'accumulata ricchezza si concentra dividendosi in un numero di mani sempre minore e soprattutto in un numero sempre minore di grandi aziende. Al traguardo di questa prospettiva sta espressamente il "limite che sarebbe raggiunto nel momento in cui l'intero capitale sociale fosse riunito nella mano di un singolo capitalista o di un'unica associazione di capitalisti". Engels commentò nel 1890 che tale previsione del 1864 era verificata dai "più moderni trusts americani e inglesi". L'allora marxista radicale Kautsky ribadì vent'anni dopo che il fenomeno era dilagato in tutto il mondo capitalista. Lenin ne svolse, nel 1915, la completa teoria dell'imperialismo.

La scuola marxista ha i materiali per completare il classico testo con le parole: "...o anche nello Stato capitalista nazionalizzatore, abbia esso a capo gli Hitler, gli Attlee o gli Stalin".

Dall'altro lato della trincea sociale, Marx segue in quella centrale analisi, come in tutta la sua opera, non l'oscillare della mercede ma la composizione della popolazione non possidente e le sua variabile ripartizione in armata industriale di riserva. E costruisce la sua legge generale nel senso che, con la diffusione e la accumulazione del capitalismo, checché accada del saggio di remunerazione dei salariati momentaneamente occupati nelle aziende, cresce il numero assoluto e relativo di tutti quelli che stanno in riserva non avendo nemmeno i proventi del lavoro delle proprie braccia. Al quarto paragrafo dello stesso capitolo egli perviene alla enunciazione della legge in parola, che va sotto il nome della legge della miseria crescente: "La grandezza relativa dell'esercito industriale di riserva cresce insieme con le potenze della ricchezza. Ma quanto più l'armata di riserva è grande in rapporto all'armata attiva del lavoro, tanto più massiccia è la sovrappopolazione stagnante, la cui miseria sta in rapporto inverso al suo tormento di lavoro. E infine, quanto più vasti sono gli strati di Lazzari della classe operaia e l'armata industriale di riserva, più grande è il pauperismo ufficiale".

Miseria e pauperismo per l'economista filisteo sono il non aver da mangiare. Secondo il monaco cattolico citato da Marx vi provvede la carità, secondo i conquistatori odierni d'America, l'UNRRA. Miseria per Marx è quella per cui il Lazzaro proletario, per la "espansione e contrazione" incessanti della intrapresa borghese, entra e risorge dalla tomba della quotidiana mancanza di mezzi, e questa miseria cresce perché a dismisura cresce il numero di quelli che si trovano chiusi nelle barriere di queste due alternative: sgobbare per il capitale o fare la fame.

Il chiodo dei revisionatori di Marx era che questi avesse incominciato in materia a revisionare il sé stesso del 1848, nello scrivere il Capitale. La prova che non avevano mai capito un Kolaroff sta nel fatto che Marx stesso tiene in questo passo a citare in nota il suo scritto anteriore allo stesso Manifesto: La Miseria della Filosofia scritta contro la Filosofia della Miseria di Proudhon nel 1847. Il rimando di nota è posto subito dopo le parole: "Questo carattere antagonistico della produzione capitalistica". Il passo autocitato in nota dice che i rapporti di produzione attuali "producono la ricchezza della classe borghese solo annientando continuamente la ricchezza di singoli membri di questa stessa classe, e creando un proletariato sempre più numeroso".

Punto, questo, centrale del marxismo, dunque, anzi caposaldo di esso, che è sempre più in piedi, nella corsa storica 1847-1874-1949.

Proletario è il misero, ossia il senza-proprietà, il senza-riserva, non il malpagato. La parola è trovata da Marx in un testo del 1774, secondo il quale più proletari un Paese ha, più esso è ricco. "È proletario, definisce Marx, il salariato che produce capitale e lo valorizza, ed è gettato sul lastrico non appena è divenuto superfluo per le esigenze di valorizzazione del 'Signor Capitale' ". Con infinito acume Marx deride l'altro autore che parla di "proletario della foresta vergine". L'abitante di questa ne è il proprietario, non è un proletario: "Perché egli fosse tale bisognerebbe che, invece di servirsi egli della foresta, fosse la foresta a servirsi di lui".

L'ambiente della peggiore barbarie è questa moderna foresta che si serve di noi, foresta di ciminiere e di baionette, di macchine e di armi, di strane bestie inanimate che si cibano di carne umana.

Oggi

La situazione di tutti i senza-riserva, ridotti a tale stato perché sono dialetticamente essi stessi una riserva, è stata dalla esperienza di guerra spaventosamente aggravata. La natura ereditaria dell'appartenenza alle classi economiche fa sì che essere senza riserva è cosa più grave che essere senza vita. Dopo il passaggio delle fiamme di guerra, dopo i bombardamenti a tappeto, i componenti della classe lavoratrice, non meno che dopo ogni altro disastro, non solo perdono con la massima probabilità la contingente occupazione, ma si vedono distrutta anche quella minima riserva di proprietà mobile che in ogni abitazione è data da suppellettili rudimentali. I titoli del possidente sopravvivono in parte a qualunque distruzione materiale, perché sono diritti sociali sanciti allo sfruttamento altrui. E per scrivere ancora a caratteri di fiamme la marxista Legge dell'antagonismo viene l'altra constatazione alla portata di tutti che le industrie della guerra e della distruzione sono quelle che conducono ai massimi profitti e ai massimi concentramenti di ricchezza in mani ristrette. Non restano indietro l'industria della Ricostruzione, e la foresta degli affari e dei piani Marshall ed ERP elegge il Gr. Uff. Sciacallo a suo degno Amministratore Delegato.

Le guerre hanno dunque rovesciato senza possibilità di equivoco altri milioni e milioni di uomini nei ranghi di quelli che nulla hanno più da perdere. Esse hanno dato sul viso del revisionismo il colpo del knock out. La parola del marxismo radicale doveva echeggiare tremenda: i proletari non hanno nella rivoluzione comunista nulla da perdere fuorché le loro catene.

La classe rivoluzionaria è quella che nulla ha da difendere e non può più credere nelle conquiste con cui la si ingannò nei tempi di interguerra.

Tutto fu compromesso dalla teoria infame della "Offensiva borghese".

La guerra doveva dar luogo all'iniziativa e all'offensiva di quelli che non hanno nulla contro la classe che ha e domina tutto, e fu invece gabellata come la pedana di lancio per azioni della classe dominante dirette a ritogliere al proletariato inesistenti benefici, vantaggi e conquiste di tempi passati.

La prassi del partito rivoluzionario fu barattata in una prassi di difesa di tutela e di richiesta di "garanzie" economiche e politiche che si pretese fossero acquisite alla classe proletaria, laddove erano proprio le garanzie e le conquiste borghesi.

Non solo nella frase finale il Manifesto aveva scolpito quel punto centrale, risultato di un'analisi di tutto il complesso sociale che anni di esperienza e di lotta avevano sviluppato, ma in un altro di quelli che Lenin definisce i passi dimenticati del marxismo: "I proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro stesso modo di appropriazione e, con esso, l'intero modo di appropriazione finora esistente. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; essi hanno soltanto da distruggere le sicurezze e le guarentigie private finora esistenti".

Fu la fine, nell'esempio italiano, per il movimento rivoluzionario quando, per ordine dell'ancora vivente Zinoviev, che a caro prezzo pagò queste sviste senza rimedio, si gettarono tutte le forze a difendere "garanzie" come la libertà parlamentare e l'osservanza costituzionale.

Il carattere dell'azione dei comunisti è l'iniziativa, non la replica alle cosiddette provocazioni. L'offensiva di classe, non la difensiva. La distruzione delle garanzie, non la loro preservazione. Nel grande senso storico è la classe rivoluzionaria che minaccia, è essa che provoca; ed a questo deve prepararla il partito comunista, non al tamponamento qua e là di pretese falle nella barcaccia dell'ordine borghese, che dobbiamo colare a picco.

Il problema del ritorno dei lavoratori in ogni paese sulla linea della lotta classista sta in questo ravvivato collegamento tra la critica del capitalismo e i metodi della battaglia rivoluzionaria.

Finché tutta l'esperienza dei passati disastrosi errori non sarà stata utilizzata, la classe lavoratrice non sfuggirà alla esosa protezione dei suoi vantati salvatori da offese minacce e provocazioni che potrebbero sorgere domani, e che gli si presentano intollerabili. è almeno da un secolo che il proletariato ha davanti e sopra ciò che non può tollerare, e che quanto più tempo passa, più intollerabile diverrà, secondo la legge di Marx.

da Battaglia Comunista n. 39 del 1949

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