L'applicazione della tattica dell'Internazionale ha permesso al nostro partito di porre le basi per la conquista della maggioranza del proleteriato

Mosca, settembre 1925

Cari compagni,

Da più di tre anni il vostro Partito non ha potuto riunirsi in Congresso per discutere le questioni della sua vita interna e della sua azione politica tra le masse. Nel corso di questi anni si sono svolti in Italia degli avvenimenti politici di estrema importanza, i quali hanno costretto il vostro partito a svolgere una vasta azione tra il proletariato e la classe dei contadini. Questa azione, rivolta contro il fascismo e per la conquista delle masse operaie ha posto al Partito importanti problemi di tattica. Dopo il Congresso di Roma, il Partito non ha soltanto dovuto condurre un'aspra e dura lotta esterna contro la violenza antiproletaria del fascismo e fare ripetuti sforzi per sottrarre la classe operaia italiana all'influenza del riformismo, esso ha anche dovuto superare una grave crisi interna per mettere la sua tattica in accordo con la tattica dell'Internazionale Comunista ed acquistare, attraverso un'esperienza sua, una capacità politica che gli permetta di estendere e rafforzare la sua influenza sulle masse operaie.

I prossimo Congresso del Partito avrà dunque una grandissima importanza politica. Bisogna che il Partito discuta la sua esperienza e quella dell'Internazionale Comunista, che faccia il bilancio del passato, l'analisi dei suoi rovesci e dei suoi successi per dedurne la linea politica che dovrà nell'avvenire guidare la sua azione. Le discussioni politiche su questi argomenti, le quali per più di tre anni furono limitate ai funzionari e ai militanti più attivi del Partito, devono oggi arrivare fino alle cellule di base, e alla massa operaia che segue il Partito, e ciò allo scopo che da questo Congresso il Partito esca ideologicamente più forte e più unito per le lotte di domani.

La vita e l'esperienza del partito

Nella vita interna del Partito questo periodo si divide in due fasi separate dal delitto Matteotti e dal V Congresso dell'Internazionale comunista. Nella prima fase la vita del Partito fu soprattutto determinata dalla violenza con la quale esso e la classe lavoratrice furono battuti dalla reazione fascista. Il Partito fu ridotto a una attività quasi completamente illegale e dovette costruirsi un nuovo apparato organizzativo. Esso subì però in questa stessa fase, le conseguenze della crisi nei rapporti con l'Internazionale provocata dalla politica di Bordiga. Da una parte ne fu diminuito il suo prestigio tra le masse, mentre occorse un lungo periodo di assestamento prima che si ricostituisse al Centro un gruppo capace di dargli una sicura guida politica.

Il Partito si ridusse a una vita negativa, completamente ripiegato su sé stesso, assorto in discussioni interne riservate ai militanti, dotato di un'azione esteriore sindacale e politica estremamente ridotta. La maggioranza dei soci del Partito non era nemmeno più organizzata nei sindacati: il Partito era in regresso in conseguenza dei colpi infertigli dalla reazione fascista, dello stato di torpore in cui era caduto il movimento operaio e dell'assenza di una tattica che malgrado la reazione lo mantenesse in contatto con le masse.

Il delitto Matteotti fu un avvenimento della vita politica italiana che accelerò fortemente il risveglio delle masse operaie di cui le elezioni dell'aprile 1924 erano state il segno precursore. Il Partito comunista trasse largamente profitto da questo risveglio, ma non avrebbe potuto farlo in così grande misura se non avesse in pari tempo risolutamente modificato la sua politica e accettato, al V Congresso, di applicare in Italia la tattica dell'Internazionale comunista. Questo mutamento della tattica generale del Partito, l'abbandono dello sterile settarismo della vecchia direzione, e l'applicazione della tattica dell'Internazionale comunista, concretata al V Congresso in un programma d'azione per il Partito italiano, permisero di sfruttare con successo la situazione politica più favorevole e di strappare strati importanti delle masse operaie all'influenza dei riformisti e dell'opposizione borghese. Dopo aver accettato di applicare con lealtà la tattica dell'Internazionale e dopo aver ammesso una corrispondente modificazione della sua politica, il Partito svolse una grande attività. Esso cessò di dedicarsi completamente alle discussioni interne e si rivolse alle masse degli operai e dei contadini con la ferma intenzione di conquistarle col suo lavoro e con la sua lotta quotidiana. Durante questo secondo periodo, grazie alla sua politica giusta, il Partito ha ottenuto importanti successi che l'Internazionale vuole mettere bene in luce perché sono la prova che essa aveva ragione nell'opporsi alla politica settaria e sterile di Bordiga.

Il Partito ha imparato a compiere delle manovre − senza perdere la sua netta impronta comunista e rivoluzionaria − allo scopo di conservare sempre il contatto con le masse. Esso ha applicato verso il blocco riformista borghese dell'Aventino una tattica che gli ha permesso di smascherare i capi riformisti e di distruggere la loro influenza sopra strati sempre più vasti di operai e contadini. La partecipazione al boicottaggio del Parlamento e alla riunione delle Opposizioni immediatamente dopo l'assassinio di Matteotti, le proposte che furono fatte dal nostro Partito di mobilitare le masse, l'uscita dal blocco dopo i suoi primi tradimenti, l'aver preso fin dal primo momento e mantenuto anche durante questa manovra la posizione di centro di collegamento delle forze rivoluzionarie antifasciste, e poi le lettere aperte all'Aventino con la proposta di Anti-Parlamento e di blocco antimonarchico, tutto ciò, accompagnato dall'azione energica svolta dal Partito nel Parlamento e nel paese contro il fascismo, ha contribuito ad accrescere l'influenza del Partito stesso sul proletariato e a farlo diventare un fattore sempre più importante della politica italiana. Quanto più diminuisce l'influenza dell'Aventino, tanto più aumenta quella del Partito nostro, perché la sua tattica ha contribuito a illuminare le masse, a far loro perdere le loro illusioni e a conquistare la loro fiducia. Il Partito ha svolto in pari tempo un'azione sistematica in seno ai Sindacati, ha saputo mantenere l'unità sindacale resistendo alle molteplici provocazioni dei riformisti che vorrebbero spingerlo alla scissione, ed ogni elezione, ogni congresso sindacale segna un progresso delle sue forze. Le nomine delle Commissioni Interne provano che anche le masse disorganizzate hanno fiducia in noi.

La creazione di una Sezione agraria, il lavoro sistematico che essa ha svolto e l'applicazione anche in questo campo della tattica del fronte unico hanno già dato una forte base al nostro Partito nelle campagne. Tutti i soci del Partito constatano nell'officina che il Partito Comunista conquista rapidamente la fiducia degli operai. Questa conquista delle masse e delle loro organizzazioni, questa forza di attrazione di cui oggi il nostro Partito è il centro, non sono soltanto dovute alle condizioni politiche più favorevoli, ma anche e soprattutto alla giusta politica che l'attuale direzione ha condotto, in accordo con l'Internazionale Comunista.

La funzione del Psi

La tattica dell'Internazionale si è rivelata giusta anche nella questione del Partito Socialista Italiano. La fusione con la frazione terzinternazionalista non ha soltanto contribuito a spostare in favore del Partito Comunista una parte importante della massa operaia che dopo Livorno era rimasta col vecchio Partito Socialista Italiano, essa ha anche contribuito, tagliando l'ala sinistra del PSI, a smascherare questo Partito come nettamente riformista. L'equilibrismo che gli permetteva di alimentare un ingannevole equivoco tra le masse operaie è stato rotto. Dopo la scissione della frazione terzinternazionalista e la sua fusione col Partito Comunista il vero carattere del massimalismo è nettamente apparso. Rapidamente il Partito è precipitato a destra verso il riformismo e la controrivoluzione. Esso si è strettamente legato alla borghesia clericale e monarchica dell'Aventino per recarle l'appoggio di una parte della classe operaia nel tradimento che essa compie della lotta antifascista. Nel movimento sindacale esso costituisce un blocco con i capi riformisti i quali continuamente provocano alla scissione sindacale, civettano con Mussolini e col fascismo e non sono capaci di lottare con energia se non contro gli operai rivoluzionari e contro il Partito comunista. Il PSI non ha più nessuna indipendenza politica, esso fa la stessa politica di Turati e D'Aragona e tutti gli operai comprendono oggi che le sue frasi demagogiche non servono ad altro che a mascherare un'azione puramente riformista e controrivoluzionaria. L'equivoco del centrismo politico è finito. La classe operaia non ha più la scelta fra tre politiche corrispondenti ai tre partiti che si contendono la sua fiducia, essa non ha davanti a sé che due politiche, quella del blocco massimalista-riformista e quella del Partito comunista. Ciò appare chiaramente tanto nella vita internazionale quanto nella politica italiana. Di fronte al problema dell'unità sindacale ed alla formazione di una sinistra nell'Internazionale di Amsterdam il Partito massimalista non ha cercato di abbandonare la politica scissionista e anti-unitaria di D'Aragona per appoggiare di fatto il movimento unitario di Amsterdam, realizzando su questo terreno il fronte unico con gli operai comunisti. Davanti alla minaccia di nuove guerre e di accerchiamento dell'Unione Sovietica l'Avanti! ha preso lo stesso atteggiamento dei capi socialdemocratici i quali sono servi della borghesia dei loro paesi. Per l'unità sindacale internazionale e contro le manovre scissionistiche di D'Aragona nella CGL italiana il Partito comunista continua ad essere la sola forza attiva, così come esso è la sola forza che conduce la lotta contro i pericoli di guerra e la politica di aggressione all'Unione Sovietica.

Gli operai socialisti in sempre maggior numero constatano questi fatti e capiscono che il solo Partito della classe operaia è il Partito Comunista. Delle Sezioni massimaliste si sciolgono e i loro componenti si rivolgono al nostro Partito come all'unica forza rivoluzionaria. Questa diserzione dei migliori elementi proletari dal Partito Socialista Italiano è ancora oggi conseguenza della politica dell'Internazionale nei confronti del PSI e della giusta applicazione della tattica del fronte unico fatta dal Partito Comunista.

Le responsabilità del partito

Questa crescente influenza del nostro Partito sulle masse operaie e contadine in una situazione politica ed economica instabile come quella che il fascismo ha creato in Italia pone il Partito stesso davanti a gravi responsabilità. Il nostro Partito diventa un partito di massa e se continua ad applicare con successo la tattica dell'Internazionale che gli ha fruttato gli importanti successi dell'anno passato, esso avrà conquistato nel prossimo avvenire la maggioranza della classe operaia ed avrà legato ad essa per la lotta degli strati importanti di contadini. Il Partito comunista deve organizzare le masse e trascinarle nella lotta rivoluzionaria. Sempre più nettamente appare il fallimento delle Opposizioni costituzionali le quali non trovano da opporre al fascismo altro che la diserzione da ogni lotta o il compromesso vile. Le Opposizioni si mostrano assolutamente incapaci di abbattere il fascismo e di prendere il suo posto. Questo fallimento vergognoso della democrazia piccolo-borghese; i suoi tentativi miserabili di compromesso col fascismo che appaiono nelle interviste di D'Aragona e di Baldesi fanno del nostro Partito la sola forza antifascista reale. Il Congresso del Partito deve esaminare con serenità i gravi compiti che la sua missione storica gli impone. Perciò il Congresso ha una così grande importanza. Per adempiere al suo compito il Partito deve confermare e sviluppare la linea politica giusta che ha seguito dal V Congresso in poi, rafforzare la sua unità e la disciplina interna, stringere legami ancor più stretti con l'Internazionale Comunista e fare del leninismo la propria indistruttibile base ideologica.

L'Internazionale segue attentamente la preparazione del vostro Congresso. Essa si è iniziata con alcuni incidenti che resero necessario l'intervento dell'Esecutivo e sui quali noi ritorneremo brevemente se non altro perché essi sono caratteristici di una tendenza politica che l'Internazionale Comunista non ha cessato di combattere in seno al Partito Comunista Italiano come contraria al marxismo e al leninismo.

La bolscevizzazione del partito

La risoluzione relativa al vostro Partito che è stata votata nell'ultima sessione dell'Esecutivo Allargato ha espresso la necessità di bolscevizzare il Partito, di creargli una ideologia leninista e di combattere quindi l'ideologia di estrema sinistra di Bordiga in tutto ciò che essa ha di contrario al leninismo.

Questo sarà il compito essenziale del vostro prossimo Congresso, questo deve pur essere lo scopo della preparazione ideologica di esso. Il Partito attraverso la discussione preparatoria deve acquistare una chiara coscienza dei principio tattici che hanno guidato la sua azione nel corso di questo ultimo anno. Soltanto a questa condizione la linea tattica fissata dall'Internazionale d'accordo con la maggioranza della Delegazione italiana al V Congresso ed applicata con lealtà e con successo dal Partito italiano, potrà essere mantenuta e sviluppata, potrà acquistare maggiore fermezza, potrà guidare il Partito a nuovi importanti successi nella conquista delle masse operaie e contadine, condizione necessaria alla vittoria sul fascismo e sulla borghesia.

La formazione della tendenza di estrema sinistra

Il compagno Bordiga non fu mai leninista. Anche prima che il II Congresso dell'Internazionale comunista votasse le fondamentali tesi tattiche, il programma della frazione astensionista del PSI dimostrava chiaramente che non soltanto sulla questione del parlamentarismo ma per tutta la concezione tattica generale del movimento rivoluzionario, Bordiga non era d'accordo coi bolscevichi russi. Al II Congresso dell'Internazionale comunista la sua opposizione si manifestò più particolarmente nella questione del parlamentarismo; ma il suo astensionismo parlamentare non era l'unico problema per il quale egli si opponeva a Lenin. Bordiga stesso dichiarò nella discussione che il suo disaccordo riguardava le questioni "che riflettono il problema generale della tattica marxista", ma egli evitò allora di affrontarle. Egli faceva delle riserve sul metodo tattico di Lenin "agile e ben corrispondente all'attentissima analisi delle situazioni del mondo borghese", ma nemmeno queste riserve egli non le discusse. Già prima che venisse fondato il Partito Comunista in Italia Bordiga aveva dunque una concezione generale della tattica rivoluzionaria molto differente e in alcuni punti opposta a quella dell'Internazionale Comunista.

Quando fu costituito a Livorno il Partito Comunista esso non prese come propria base ideologica il programma della Frazione astensionista di Bordiga, ma si costituì sulla base leninista del II Congresso dell'Internazionale Comunista. Ma Bordiga il quale fu uno dei membri più influenti della Direzione del Partito non aveva abbandonato le sue concezioni personali ed esse impressero un segno sempre più netto nell'attività generale del Partito Comunista; poiché Bordiga ed i suoi amici si sforzarono di far attuare dal Partito e di fargli accettare le loro concezioni tattiche personali.

Ma quanto più la base ideologica del Partito si allontanava dal leninismo tanto più grave diventava il conflitto tra l'Internazionale Comunista e la Direzione del Partito italiano. Al III Congresso mondiale già il Partito italiano si opponeva alle tesi tattiche di Lenin il quale insisteva sulla necessità della conquista della maggioranza della classe operaia. li Partito italiano si oppose in seguito alla tattica del fronte unico e l'Internazionale dovette intervenire al suo II Congresso, a Roma, per impedire che si votassero in modo definitivo delle tesi tattiche che per la loro concezione generale troppo rigida e per un certo numero di punti particolari erano in opposizione alla tattica dell'Internazionale e ricadevano nelle false concezioni difese da Bordiga prima di Livorno. Nell'intervallo fra il Congresso di Livorno e il Congresso di Roma, Bordiga era dunque riuscito a far deviare la linea politica del Partito e a sostituire al leninismo le sue concezioni tattiche personali.

Nel corso dei Congressi internazionali e delle riunioni plenarie dell'Esecutivo, questa opposizione si manifestò a diverse riprese. Ma come già aveva fatto al II Congresso mondiale, Bordiga cercò di tacere una gran parte delle sue divergenze tattiche. È interessante osservare che al V Congresso, Bordiga diede ancora il proprio voto alla risoluzione contro Trotzky, alla risoluzione tattica che comportava l'ammissione della tattica del fronte unico e della parola d'ordine del governo operaio e contadino, nonché ai nuovi Statuti dell'Internazionale i quali implicavano l'organizzazione del Partito sulla base delle cellule. Dopo aver affermato la sua opposizione in seno alla Commissione egli non la manteneva sino al voto finale del Congresso lasciando quindi l'impressione che la sua opposizione non era irriducibile. Invece nell'attività del Partito Comunista d'Italia l'opposizione di Bordiga prendeva sempre più il carattere di un vero sabotaggio della tattica generale dell'Internazionale e ciò lo obbligava ad allontanarsi dalla Direzione del Partito. Al V Congresso un ultimo tentativo venne fatto per cercare di ottenere da lui e dai suoi amici una leale collaborazione col Comitato Centrale del Partito comunista italiano e con l'Esecutivo dell'Internazionale. L'Internazionale era convinta che la stretta collaborazione di Bordiga e dei suoi amici all'applicazione della tattica leninista avrebbe finito per convincerli del loro errore. Bordiga rifiutò categoricamente, rifugiandosi in un astensionismo il quale allontanandolo dalle responsabilità del lavoro pratico e dall'esperienza quotidiana del movimento operaio ottenne soltanto l'effetto di alimentare il suo dottrinarismo astratto e di accrescere la sua opposizione al leninismo. Dopo essere rimasto alcuni mesi sul suo Aventino, Bordiga manifestò la sua opposizione con un articolo in favore della politica di Trotzky, riprendendo e estendendo le critiche di quest'ultimo contro la direzione leninista del PCI. L'Internazionale desiderando offrirgli ancora una volta l'occasione di spiegarsi largamente, lo invitò in modo urgente a recarsi all'ultima sessione dell'Esecutivo Allargato. Bordiga invece di cogliere questa occasione per discutere ed eventualmente per combattere preferì invocare dei motivi di famiglia sottraendosi così a un suo dovere. Ma mentre era riunito l'Esecutivo al quale era suo dovere di rivoluzionario partecipare, egli organizzava in Italia una frazione per lottare contro l'Internazionale e disgregare il Partito.

Nel momento in cui l'imperialismo tenta di superare le sue contraddizioni interne col Patto di garanzia allo scopo di poter tentare una nuova offensiva contro l'Unione Sovietica, in cui la tattica di unità sindacale iniziata dal V Congresso e i successi dei lavoratori russi per risollevare la loro economia creano nelle masse operaie riformiste di tutti i paesi una nuova corrente di simpatia per la Rivoluzione russa e per il Comunismo, nel momento in cui il grande movimento di liberazione del popolo cinese e la sollevazione del Marocco e della Siria hanno confermato l'eccellenza della nostra tattica nazionale e coloniale, in cui il nostro Partito italiano acquista una crescente influenza sulle masse operaie e contadine, registra importanti successi nei Sindacati e nelle elezioni di Commissioni Interne e diventa, in conseguenza del fallimento clamoroso e vergognoso delle Opposizioni, il solo punto di concentramento delle forze rivoluzionarie italiane nella lotta contro il fascismo, Bordiga giudica sia giunto il tempo storico non di offrire al Partito e all'Internazionale la sua collaborazione leale, ma di costituire in seno al Partito italiano una frazione che ne indebolisce l'azione e ne minaccia l'organizzazione; Bordiga giudica giunto il momento di scatenare contro l'Internazionale Comunista un'offensiva parallela a quella degli imperialisti e dei loro servi, i capi socialdemocratici.

Il CC del Partito, appoggiato dall'Esecutivo dell'Internazionale, ha vigorosamente reagito contro quest'opera di disgregazione del Partito stesso, ma con maggior vigore ha reagito il Partito alla base, condannando il tentativo del Comitato d'Intesa. Molti compagni hanno compreso in questa occasione il pericolo e l'errore profondo di una politica che in un momento storico come l'attuale minacciava l'unità e l'organizzazione del Partito e cercava di staccarlo dall'IC.

I documenti pubblicati dal Comitato d'Intesa, i Punti della sinistra e la risposta alla domanda di scioglimento della frazione, hanno resa ancor più debole la posizione di Bordiga e dei suoi amici dimostrando chiaramente che il tentativo di disgregare il Partito è la conseguenza di una opposizione sempre più assoluta a tutta la tattica leninista e alla IC stessa. Il tono ingiurioso della risposta del Comitato d'Intesa non è già più quello che adoperano tra di loro dei compagni, è il tono dei nemici dell'Internazionale e il CC ha avuto ragione dichiarandolo indegno di comunisti. I lavoratori italiani vi avranno ritrovato le stesse ingiurie che si leggono nelle colonne dell'Avanti!

Questi incidenti provano che le divergenze che Bordiga aveva voluto tacere o attenuare da principio si sono aggravate. Mentre il Partito durante quest'ultimo anno ritornava con la sua attività alla base leninista dei suoi inizi e si convinceva al contatto con l'esperienza sua e con i suoi successi della necessità di rimanere fedele ad essa, Bordiga e i suoi amici ritornavano alle loro vecchie concezioni politiche. Gli ultimi avvenimenti ci danno la certezza che il Partito nella sua schiacciante maggioranza condannerà severamente non solo il frazionismo e gli attacchi ingiuriosi e indegni che sono stati fatti dal Comitato d'Intesa, ma condannerà tutta la politica del Comitato, di cui il frazionismo non è che una conseguenza e la rottura con l'Internazionale sarebbe l'eventuale coronamento. Per acquistare però la capacità di resistere in avvenire a tutte le deviazioni antileniniste di destra e di estrema sinistra, il Partito non deve accontentarsi di condannare in blocco le concezioni politiche di Bordiga. Esso deve discutere e fare luce completa su tutte le questioni che noi rapidamente indicheremo e in merito alle quali, nel corso degli ultimi anni, l'estremo-sinistrismo italiano si trovò in opposizione all'Internazionale comunista.

1. L'astensionismo e il fatalismo nella politica di Bordiga. Bordiga è stato uno dei più ardenti difensori dell'antiparlamentarismo, e aveva chiamata la sua frazione astensionista mettendo così in rilievo il suo carattere essenziale. Il suo ragionamento consisteva nell'affermare che il Partito comunista non può incontrarsi con altri partiti politici e collaborare con essi nel campo parlamentare. L'Internazionale non ha cessato di ricordare l'utilità di sfruttare la tribuna parlamentare per l'agitazione rivoluzionaria e mai ha fatto questione di collaborazione parlamentare. Ma per Bordiga il solo fatto di essere nel parlamento davanti ai rappresentanti di altri partiti era un pericolo e una manifestazione di opportunismo. Il carattere stesso del suo ragionamento faceva prevedere che l'astensionismo non era per lui un principio applicabile solamente al terreno parlamentare, ma che esso sarebbe stato il carattere costante di tutta la sua politica. Lo stesso modo di ragionare influì difatti in numerose occasioni sull'attività del Partito. Bordiga si oppose alla tattica del fronte unico e della lettera aperta per evitare al Partito Comunista ogni contatto diretto con altre organizzazioni politiche, non ammettendo egli se non il contatto che si stabilisce nelle organizzazioni economiche, nei sindacati, nelle Commissioni Interne, ecc. In questo modo egli rese più difficile al Partito l'intervento attivo nelle lotte politiche quotidiane. Partendo dallo stesso principio egli isolò il Partito, nella sua lotta contro il fascismo prima della marcia su Roma. Mentre le masse erano in movimento e resistevano spontaneamente al fascismo, Bordiga invece di lanciare il Partito in una lotta che veniva sfruttata e sostenuta da uomini politici borghesi, cercando di accordare l'azione del Partito con quella delle masse e strapparle nel corso stesso della lotta all'influenza di quei politicanti che di esse volevano servirsi, preferì organizzare l'azione e la resistenza autonoma del Partito comunista isolandolo nella lotta antifascista dalle masse in movimento, e non riuscì a fare di esso il lievito di un vasto movimento popolare antifascista di cui avrebbe potuto diventare, durante la lotta la guida e il capo.

Lo stesso astensionismo fu adottato da Bordiga di fronte al lavoro di disgregazione degli altri partiti politici forniti di una base tra le masse operaie e contadine. Bordiga si rifiutò categoricamente di costituire dei nuclei nel seno di altre organizzazioni politiche, in particolare del partito massimalista, allo scopo di strappare delle masse operaie traviate all'influenza controrivoluzionaria dei loro capi. Nel corso dell'ultimo anno, fedele al suo astensionismo Bordiga condannò ogni intervento diretto del Partito nelle lotte politiche: condannò la proposta di Anti-Parlamento la quale permise al Partito di smascherare le Opposizioni e che segnò l'inizio del loro vergognoso fallimento, condannò la proposta di blocco repubblicano che divise le Opposizioni e obbligò i Partiti che si appoggiano a masse proletarie a discussioni interne che possono servire a strappare alle masse che li seguono le illusioni e la fiducia che esse continuano a nutrire, e così via.

Questo costante astensionismo, che riserva al Partito un compito di astratta propaganda, senza contatto con le masse, e senza comprensione della necessità di conquistare gli operai socialisti, che gli riserva un compito di agitazione dei principii generali del comunismo e lo tiene lontano dalle lotte politiche quotidiane, ha come conseguenza una passività che isola il Partito dalle masse operaie e contadine le quali dal Partito attendono di giorno in giorno le direttive per la lotta. Esso è anche una prova di sfiducia nel Partito stesso e nel proletariato che ne forma l'elemento costitutivo. Bordiga teme che i compagni i quali si incontrano con avversari di altri partiti politici si corrompano e facciano cadere il Partito nell'opportunismo, egli non ha fiducia nella vigilanza degli operai e nel loro istinto di classe per preservare il Partito dalle deviazioni. Egli non ha fiducia nella coscienza proletaria perché, come vedremo in seguito, la sua concezione del Partito non è quella dell'IC. Se il Partito, come afferma Bordiga nei Punti della sinistra ha la funzione di sintetizzare delle spinte individuali e se la sua composizione sociale fa un posto ai disertori della borghesia, senza dubbio i più gravi pericoli lo minacciano. Ma il Partito non è la caricatura piccolo-borghese che ne fa l'estrema sinistra italiana, e Bordiga conduce all'astensionismo appunto perché egli ha una nozione completamente falsa della funzione del Partito.

Nonostante la sua passività politica e il suo isolamento dalle masse il Partito, come lo concepisce l'estrema sinistra, deve però storicamente conquistare il potere. Bordiga sviluppa perciò una specie di fatalismo. Quando la situazione sarà rivoluzionaria, il Partito uscirà dal suo astensionismo per prendere la direzione delle masse e guidarle alla conquista del potere. Come accadrà ciò? Bordiga pensa che ciò sarà il risultato della situazione rivoluzionaria e di un atto di volontà e di decisione del Partito, atto che farà seguito alla sua campagna di agitazione e di propaganda per lo scopo finale del comunismo. Ma è chiaro per chiunque non ragioni nell'astratto e conosca l'esperienza rivoluzionaria del proletariato che il Partito comunista potrà trascinare le masse alla conquista del potere, anche nella più favorevole delle situazioni rivoluzionarie, non se ne ha soltanto la volontà, ma solo se ha creato tra sé e le masse legami solidi e molteplici, se le ha trascinate dietro a sé nelle lotte parziali nelle quali esse hanno imparato a riconoscerlo come guida sicura, se le ha strappate all'influenza degli altri partiti politici smascherando il loro vero carattere antiproletario. Senza questo lavoro politico preparatorio incessante, senza un intervento costante nelle lotte di tutti i giorni, mai il Partito potrà trascinare le masse all'azione rivoluzionaria. L'astensionismo farà di lui una setta fatalista, una società di propaganda e di agitazione per le idee generali del comunismo, mai un partito leninista capace di cogliere tutte le possibilità di azione per conquistare la fiducia delle masse e mobilitarle per la Rivoluzione.

2. Una falsa analisi del fascismo. Lo schematismo astratto che caratterizza tutto il modo di pensare di Bordiga lo condusse in una situazione storica particolarmente seria a commettere un grave errore di analisi della situazione, errore che rese falsa tutta la tattica del Partito. L'analisi fatta da Bordiga del fascismo in formazione non corrispondeva alla realtà, ma soltanto alla costruzione teorica che egli se ne era fatta. Per Bordiga, il fascismo era sinonimo di borghesia presa in blocco. Invece di fare un'analisi dei diversi strati sociali che formavano la base del fascismo, dei loro interessi e dei loro contrasti, Bordiga considerò il fascismo come un blocco omogeneo, come lo strumento della lotta armata illegale della borghesia. La piccola borghesia, i cui interessi sono sovente opposti a quelli della grande borghesia, la classe dei contadini, la socialdemocrazia stessa erano da lui semplicemente assimilate al fascismo.

Nella prospettiva generale dello sviluppo storico, ad esempio, i socialisti sono legati al fascismo. Essi hanno dato la prova di ciò in tutto il loro atteggiamento in Italia nei confronti del fascismo a cominciare dalla tregua firmata tra il Partito socialista e il Partito fascista, tregua che permise a quest'ultimo di concentrare i suoi colpi contro il Partito comunista e contro gli operai rivoluzionari, fino alle recenti dichiarazioni fatte da D'Aragona e Baldesi a un giornalista fascista, le quali provano che un anno dopo l'assassinio di Matteotti i capi socialriformisti − che i massimalisti hanno sempre appoggiato e difeso − cercano un terreno di collaborazione e di intesa con il fascismo, e deplorano l'ostilità che la classe operaia nutre contro di esso. Formando l'ala sinistra della borghesia, i socialisti e i massimalisti sono legati al fascismo per la difesa dell'ordine e degli interessi capitalistici contro la rivoluzione proletaria. Considerati in una prospettiva storica generale essi formano dunque anche l'ala sinistra del fascismo, ma la tattica del nostro Partito, pur non perdendo di vista questa prospettiva generale, non può nella sua azione quotidiana trascurare le differenze esistenti tra le diverse correnti della borghesia per cercare di opporle le une alle altre e strappare alla loro influenza le masse operaie momentaneamente disorganizzate.

Bordiga non vide che la prospettiva generale, egli non comprese che la tattica del Partito doveva utilizzare le opposizioni esistenti nel campo stesso della borghesia e del fascismo, non seppe mobilitare contro il fascismo, a fianco del Partito comunista, gli operai socialisti e i piccoli contadini, in una parola, non comprese la tattica di fronte unico che in quel momento doveva far uscire il Partito dal suo isolamento e procurargli degli alleati. L'analisi sommaria e falsa da lui compiuta doveva portare a una tattica falsa poiché Bordiga non poteva venire che a una conclusione: la lotta armata del Partito comunista isolato contro il fascismo. Il settarismo di Bordiga giunse così lontano nell'isolare il Partito, che un comunicato della Centrale pubblicato nella stampa proibiva alle organizzazioni di combattimento del Partito di arruolare operai che non fossero comunisti provati ed escludeva persino gli operai della frazione terzinternazionalista. Il Partito in quel periodo comprese il suo dovere come un dovere essenzialmente militare. Esso venne completamente meno ai suoi compiti politici. La lotta contro il fascismo doveva certamente avere un lato militare, ma in quel periodo di formazione, il compito del Partito doveva essere anzitutto un compito politico, allo scopo di contendere al fascismo la conquista delle masse. L'astensionismo da una parte, una falsa analisi del fascismo dall'altra, furono la causa di questa assenza di azione politica da parte del Partito comunista contro il fascismo. Per non aver visto le opposizioni di interessi esistenti in seno alla borghesia, Bordiga, al momento della marcia su Roma, si accontentò di dire "è una farsa, è una commedia".

Oggi, meglio che allora, il Partito può giudicare quanto era sbagliata questa analisi sommaria del fascismo. Le contraddizioni interne e le lotte di interessi appaiono oggi più nette e il Partito comprende che deve trascinare nella lotta antifascista degli elementi indecisi e malcontenti della piccola borghesia e dei contadini. Ma queste opposizioni di interessi il Partito avrebbe dovuto risvegliarle, metterle a nudo, avviarle con la sua politica nel periodo di formazione del fascismo; per impedirgli di riuscire. Trattando il fascismo come un blocco omogeneo contro il quale il Partito doveva lottare da solo e militarmente, Bordiga contribuì a consolidare il fascismo nascente. Fu questo uno dei suoi errori fondamentali, e il Partito deve scorgerlo chiaramente perché la sua azione antifascista di oggi e di domani dipende da una giusta analisi del fascismo e degli interessi economici dei diversi strati sociali che lo seguono e lo subiscono.

3. La concezione della tattica. Come abbiamo già detto, Bordiga fece delle riserve al II Congresso dell'Internazionale sulla concezione tattica generale del comunismo. È su questo punto che la sua opposizione al leninismo è più profonda e più assoluta; essa è inoltre estremamente importante perché riguarda tutta l'attività del Partito e dell'Internazionale.

Caratteristica dell'opera di Lenin e della politica del Partito bolscevico è la facoltà di adattarsi a tutte le circostanze storiche per trarne il massimo di influenza sulle masse operaie e le più grandi possibilità di sviluppo rivoluzionario. Ciò suppone una tattica estremamente agile, capace di adattarsi rapidamente alle condizioni mutevoli della vita politica ed economica, sempre preoccupata di mantenere il contatto tra il Partito e le masse operaie. La tattica leninista è dunque per eccellenza una tattica mobile. Bordiga è sempre stato contrario a una tattica simile. Per lui, la mobilità della tattica è una prova di opportunismo. Egli vuol preservare il Partito dalle deviazioni codificando la tattica, racchiudendola nella camicia di forza di tesi che le fissino dei limiti severi, diminuendo la sua facoltà di adattamento. Poco gli importa che una tattica troppo rigida del Partito gli impedisca di restare in contatto con le masse e lo isoli momentaneamente poiché storicamente, nell'avvenire, il Partito avrà ragione. Il fatalismo che già abbiamo notato sopprime la necessità di essere senza posa in contatto con le masse. L'essenziale è di conservare puro un sistema di tattica, affinché il Partito possa un giorno affermare che aveva ragione anche quando restava isolato dalle masse proletarie.

Questa opposizione generale di Bordiga alla tattica leninista si è manifestata concretamente in tutta una serie di questioni particolari.

a) Necessità della conquista delle masse. Al III Congresso internazionale il PCI si opponeva alle tesi tattiche che affermavano la necessità di conquista della maggioranza del proletariato e conclamavano la tattica dell'offensiva, secondo la quale il Partito comunista avrebbe il dovere di impegnare un'azione rivoluzionaria, come minoranza attiva, anche in un momento di depressione, per scuotere il torpore delle masse e cercare di conquistarle nel corso dell'azione rivoluzionaria. Questa tattica, applicata in Germania nell'azione di marzo, invece di mettere in movimento le masse, le aveva allontanate dal Partito. Opponendosi alla rigorosa condanna fattane da Lenin nelle tesi tattiche del III Congresso il PCI non intendeva però difendere il putchismo. L'estremo sinistrismo di Bordiga è in effetti ben differente da quello che animava nel 1921 un buon numero di operai rivoluzionari impazienti di agire. Nel momento in cui la depressione cominciava a manifestarsi nelle masse, una minoranza proletaria rimasta fermamente rivoluzionaria, voleva, con l'azione eroica di un'avanguardia, scuotere il torpore delle masse stesse. Questa impazienza di agire, malgrado le circostanze oggettive sfavorevoli, provocò il putchismo e l'estremo sinistrismo del 1921. Il sinistrismo di Bordiga non si manifesta invece come una impazienza di agire, ma come un dottrinarismo intellettuale che ha come conseguenza la passività del Partito: il suo dottrinarismo intransigente e passivo non ha cura però nemmeno di conquistare le masse con lo sforzo e con il lavoro quotidiano del Partito; perciò il PCI si opponeva al III Congresso alla tattica della conquista delle masse e a tutte le conseguenze derivanti da questa parola d'ordine. L'estremo sinistrismo di Bordiga è della stessa natura di quello che si manifesta in certe Sezioni dell'Internazionale Comunista, in Germania, in Polonia, e che recluta i suoi aderenti essenzialmente tra intellettuali che hanno perduto la fede rivoluzionaria e nelle file del Partito Comunista fanno eco alla campagna antimoscovita della borghesia e della socialdemocrazia. Nel momento in cui la borghesia e i capi socialdemocratici scatenano un'offensiva generale contro Mosca, è naturale che questa campagna trovi anche nei nostri Partiti un'eco, tra gli elementi sfiduciati e logori. In Italia come in Germania l'estremo sinistrismo è nettamente antimoscovita; la risposta del Comitato d'Intesa è un documento di velenosa insinuazione contro l'Internazionale e contro la sua direzione. Questo sinistrismo non ha niente di rivoluzionario.

b) Tattica della lettera aperta. La lettera aperta rivolta ad altre organizzazioni politiche era già considerata nelle tesi tattiche del III Congresso mondiale. Lo scopo di essa è di mettere con le spalle al muro i Partiti politici che ingannano le masse operaie e contadine proponendo loro pubblicamente un'azione per la realizzazione di una parte del loro programma che tocchi più particolarmente gli interessi operai e contadini in un momento determinato. Il Partito Comunista d'Italia si è servito di questa tattica nei riguardi dei partiti dell'Aventino e in base alla sua esperienza può giudicare i risultati di essa. Ha essa contribuito a smascherare l'Aventino agli occhi delle masse operaie e a distruggere delle illusioni sulla sua capacità d'azione? Senza dubbio! Ha essa fatto deviare il Partito comunista verso l'opportunismo? Affatto; essa ha invece accresciuto la sua influenza e fatto comprendere a migliaia di lavoratori che soltanto l'azione rivoluzionaria porrà fine al fascismo.

I Punti della sinistra confermano l'opposizione che Bordiga non ha cessato di manifestare a questa tattica.

c) Il fronte unico. La tattica del fronte unico è l'applicazione logica e necessaria delle tesi del III Congresso nonché lo sviluppo della tattica della lettera aperta. Essa è da parte nostra un'azione politica che ha il duplice scopo di mobilitare le masse per la lotta di classe quotidiana e di smascherare ai loro occhi i capi riformisti. Bordiga fu avversario di essa perché è avversario di ogni tattica leninista. La tattica del fronte unico offre senza dubbio dei pericoli se si riduce a uno scambio di corrispondenza con le direzioni degli altri partiti senza interessare, senza mettere in movimento la massa operaia. Il V Congresso internazionale ha segnalato e combattuto queste deviazioni volendo ottenere che questa tattica rimanga un mezzo di conquistare una crescente influenza sugli operai socialdemocratici. Le tesi di Roma invece la respingevano cercando di fare una distinzione sottile e falsa tra fronte unico sindacale e politico, una distinzione tra politica ed economia che nulla ha di marxista. Il Partito allora non aveva ancora discusso questo argomento ed ignorava anche i principali documenti dell'Internazionale in proposito. È necessario invece che questo punto sia largamente discusso in vista del prossimo Congresso e definitivamente posto in luce perché il Partito possa sviluppare tutta la sua azione.

d) Il Governo operaio e contadino. Nell'agitazione politica quotidiana la parola d'ordine del Governo operaio e contadino, sinonimo come contenuto dell'espressione dittatura del proletariato, è più atta a porre alle masse il problema del potere e la necessità dell'alleanza coi contadini per conquistarlo.

Bordiga si è opposto a questa parola d'ordine non solo per le deviazioni opportuniste che essa può provocare e che l'Internazionale è stata la prima a combattere, ma in conseguenza della sua concezione rigida della tattica. Per lui non è utile che il Partito cerchi incessantemente di esprimere la sua volontà rivoluzionaria con parole d'ordine che gli permettano di sviluppare un massimo di attività fra le masse. La parola d'ordine del Governo operaio e contadino è respinta da Bordiga anche perché esprime la nostra tattica verso i contadini, tattica con la quale Bordiga non è d'accordo.

e) Questioni nazionali e questione dei contadini. Nei Punti della sinistra Bordiga afferma di essere d'accordo con le tesi del II Congresso sulle questioni agraria e nazionale ma dice di fare delle riserve sulla loro applicazione in molti casi. È questa una affermazione generale alla quale non fa seguito alcun esempio particolare sul quale si possa discutere e che permetta di rendersi un conto più esatto della natura e dell'importanza delle riserve di Bordiga. La discussione preliminare del Congresso deve obbligare Bordiga a far luce completa su queste due questioni estremamente importanti per la nostra attività.

L'ultima sessione dell'Esecutivo Allargato ha insistito con forza sulla necessità del lavoro fra i contadini. Il grande movimento della Cina per l'indipendenza, la lotta dei Riffani, le sollevazioni della Siria e il fermento rivoluzionario di tutte le colonie contro l'imperialismo hanno in pari tempo messo in luce l'importanza e la portata della nostra tattica nazionale. Bordiga non può in un momento simile accontentarsi di fare delle riserve generiche e noi lo invitiamo ad essere preciso perché la nostra tattica agraria e nazionale è una applicazione delle tesi del II Congresso e della costante attività di Lenin. Le riserve formulate da Bordiga non possono riguardare che i principii stessi della tattica agraria e nazionale.

f) L'unità sindacale. Uno dei più grandi successi riportati dall'Internazionale comunista nel corso dell'ultimo anno è certamente stato quello ottenuto mediante la sua tattica di unità sindacale. Questa è stata la chiave che ci ha permesso di penetrare profondamente nella classe operaia inglese. Il comitato anglo-russo non è solo un colpo terribile portato ai capi riformisti di Amsterdam e un avvenimento di prima importanza nel movimento operaio mondiale; esso costituisce pure un fattore importante della politica internazionale, un serio impedimento all'imperialismo inglese nella realizzazione dei suoi piani controrivoluzionari contro la Russia dei Soviet. La tattica di unità sindacale crea la possibilità di raggiungere nuovi strati del proletariato ancora ieri sottoposti all'influenza riformista, di realizzare una vasta campagna di fronte unico internazionale e di far comprendere agli operai che i socialdemocratici sono responsabili della scissione delle forze operaie. I capi riformisti temono l'unità perché sanno quale enorme immediata influenza rivoluzionaria avrebbero i rivoluzionari in una Internazionale unica. Ed è proprio nel momento in cui essi si smascherano come sabotatori dell'unità, che Bordiga leva la voce per affermare che egli è d'accordo con essi contro l'unità organica del movimento sindacale!

Tutta la tattica dei capi di Amsterdam in questi ultimi anni è consistita nel liberare le loro organizzazioni dagli elementi comunisti. Non vi è paese in cui essi non abbiano proceduto alla sistematica espulsione dei militanti rivoluzionari i quali smascheravano davanti alle masse i loro tradimenti e la loro collusione con la classe capitalista. Là dove le espulsioni individuali non bastavano a preservarli essi hanno proceduto a espulsioni collettive, allo scioglimento di Sindacati, e in Francia e Cecoslovacchia non hanno esitato dinanzi alla scissione moltiplicando anzi dappertutto i loro sforzi, i loro intrighi e le loro provocazioni perché la scissione si estenda a tutti i paesi. Pur applicando questa tattica essi si sono sforzati di gettare la responsabilità delle scissioni sui comunisti e per un certo tempo sono riusciti a far credere alla massa operaia riformista che i comunisti erano gli organizzatori della divisione della classe lavoratrice.

La tattica dell'Internazionale comunista fu costante. Essa si sforzò di salvare l'unità del movimento sindacale; malgrado le provocazioni molteplici dei capi riformisti e lo stato d'animo che queste provocazioni creavano tra gli operai rivoluzionari essa lottò contro ogni scissione e contro l'abbandono dei Sindacati da parte degli operai comunisti. In Germania in particolare essa obbligò il Partito a condurre una lotta energica contro la corrente favorevole all'uscita dai Sindacati. In Italia il nostro Partito nel corso dell'ultimo anno non solo ha dovuto vincere una certa resistenza degli operai rivoluzionari a rientrare nei Sindacati diretti dai riformisti, ma ha pure dovuto evitare con cura di lasciarsi provocare alla scissione sindacale dalle mene scissioniste di riformisti e massimalisti.

Al V Congresso l'Internazionale lanciò la parola d'ordine della ricostituzione dell'unità sindacale internazionale. Questa parola d'ordine permise ai Sindacati russi di svolgere un'azione di fronte unico con le Trade-Unions inglesi e di far sorgere una sinistra unitaria nell'Internazionale di Amsterdam. Senza dubbio, né le Trade-Unions né la sinistra unitaria di Amsterdam sono comuniste, ma, grazie alla sua tattica, l'IC ha paralizzato la volontà scissionista della destra di Amsterdam che appare oggi a tutta la classe operaia come responsabile della divisione delle forze sindacali. Tra la sinistra di Amsterdam e i comunisti si è costituito un vasto fronte unico contro i capi scissionisti e questo fronte unico attira le simpatie delle grandi masse operaie socialdemocratiche. Compito dei nostri Partiti è di collegarsi a queste masse, di educarle e di conquistare la loro fiducia.

Questa tattica ha abbattuto il muro che i riformisti avevano elevato tra gli operai socialdemocratici e i comunisti. Il contatto è stabilito con nuovi strati proletari. Ma questa tattica non mira soltanto a costituire il fronte unico e a prendere il contatto suindicato, essa teme realmente alla costituzione dell'unità sindacale internazionale. Il giorno in cui i rivoluzionari potranno, nella stessa organizzazione in cui sono i riformisti, difendere le loro proposte davanti alle masse operaie socialdemocratiche, il regno dei capi riformisti sarà seriamente minacciato.

I capi riformisti non si fanno a questo proposito nessuna illusione e per questo non hanno cessato di cacciare i nostri compagni e si sforzano di resistere alla corrente di unità sindacale internazionale.

Il Partito comunista, che lotta in Italia con tenacia in favore dell'unità della CGL contro le mene scissioniste riformiste e massimaliste, ha già compreso il valore dell'unità sindacale internazionale e sarà certamente stupito di trovare Bordiga d'accordo coi capi riformisti contro l'unità organica del movimento sindacale internazionale.

g) Nuova tattica elettorale. Bordiga, analizzando il fascismo nel modo che abbiamo detto, ha dimostrato che il suo dottrinarismo gli impedisce di distinguere i diversi strati sociali della borghesia e i loro interessi economici e politici spesso divergenti. Per lui la borghesia forma un blocco omogeneo che va dai fascisti ai socialdemocratici di sinistra, da Mussolini a Lazzari. Tutti sono egualmente nostri avversari di classe e gli è indifferente che Mussolini o Turati siano al potere, che vi sia un Governo repubblicano di sinistra o un Governo fascista o zarista. Per un leninista la questione è diversa. Lenin fece distinzione tra Kornilov e Kerenski. Un Governo fascista o reazionario al potere è fatalmente un ritorno delle masse alle illusioni democratiche e liberali. L'esperienza dell'Aventino in Italia ne è la prova. Inoltre esso crea a noi una più grande difficoltà di azione in conseguenza delle persecuzioni. Un Governo socialdemocratico o borghese di sinistra ci offre al contrario la possibilità di dimostrare alle masse l'errore delle loro illusioni, la fedele servitù del Governo di sinistra al capitalismo e all'imperialismo più rapace. Il Governo di Mac Donald col suo scacco è stato certamente uno dei fattori che hanno spinto a sinistra il movimento operaio inglese. Il Partito comunista non può dunque disinteressarsi della forma del Governo borghese sotto il quale esso deve svolgere la sua azione. D'altra parte le masse che noi dobbiamo convincere e conquistare non ci comprenderanno mai se con la nostra tattica elettorale noi favoriamo il trionfo della peggiore reazione. L'elezione di Hindenburg in Germania, per confessione dei capi stessi del Partito tedesco, ha fatto sorgere un muro tra la classe operaia socialdemocratica e il Partito comunista e tutti i Partiti dell'Internazionale ne hanno sentito il contraccolpo.

Il Partito comunista italiano assumerebbe davanti al proletariato la responsabilità di mantenere il fascismo al potere se avesse la possibilità di provocare la sostituzione di esso con l'Aventino? Bordiga opponendosi a questa tattica dimostra di non aver compreso la necessità di conquistare le masse né quella di smascherare i Partiti di sinistra spingendoli al potere. Quando poi afferma che si fanno con questi Partiti dei compromessi elettorali egli deforma la tattica dell'Internazionale per poterla meglio combattere. Il Partito comunista intervenendo con le sue forze elettorali in favore dell'uno o dell'altro degli avversari borghesi, non conclude nessun compromesso e non fa nessun mercato elettorale. Esso resta padrone assoluto della sua azione e, senza nulla attendere in cambio se non la disillusione delle masse che verranno sotto la sua influenza, liberamente dispone della sua forza elettorale per battere la reazione, oggi, e creare le condizioni favorevoli alla propria vittoria di domani sopra il liberalismo e la socialdemocrazia.

Da "L'Unità" del 7 ottobre 1925, firmato "Il Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista"

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