VI Esecutivo Allargato. Seduta del 22 febbraio 1926. La delegazione italiana e Stalin
Nel verbale sono segnate tra parentesi quadra alcune parole che, nel testo originale rovinato dal tempo e dall'umidità non erano chiaramente leggibili.
Presenti: Stalin, Bordiga, Emilia (Ligabue, Bice), Berti, Viola (Flecchia), Perotti, Bracco (Grieco), Cecco, Gennari, Anselmi (Azzario), Primo, Molino, Ambrogi, Kobilanskij, Ercoli (Togliatti). Presiede Ercoli, segretario Anselmi.
ERCOLI: La delegazione desidererebbe che il compagno Stalin esponesse quali sono stati i punti di divergenza al recente Congresso del P.C.R. in relazione ai problemi economici.
STALIN: È meglio che mi siano fatte domande sopra le questioni particolari.
ERCOLI: Il compagno Bordiga chiede che il compagno Stalin spieghi qual è il valore delle concessioni che sono state fatte ai contadini medi.
STALIN: Vi sono in Russia due classi, il proletariato e i contadini. La borghesia esiste ancora, ma è debole. Nondimeno si deve tener conto di essa. In nessun paese la classe dominante può tenere la direzione della cosa pubblica da sola. La classe finora piú ricca è stata la borghesia, ma essa ha sempre governato con l'aiuto, anche se passivo, di altre classi. Oggi abbiamo la classe proletaria al potere, ma essa si mantiene al potere soprattutto a spese dei contadini. Il proletariato è in minoranza e non è abbastanza ricco per tenere e gestire da solo lo Stato. Lo Stato quindi è costretto a vivere per la maggior parte a spese della campagna, dei contadini. Vi è una nuova borghesia anche, ma essa è molto debole, anche finanziariamente e le imposte che la colpiscono non bastano da sole ai bisogni dello Stato. In tali condizioni come si può parlare di concessioni ai contadini? La situazione è tale che si deve invece dire che è a spese dei contadini che lo Stato vive. Esso prende ad essi - che sono la maggioranza - tutto quanto è possibile, e ciò per mantenere lo Stato e per creare una riserva all'industria. Capitali non ne abbiamo, prestiti neppure, e si comincia appena oggi a parlare di crediti all'industria. Che altri mezzi possiamo avere noi per alimentare l'industria se non le tasse che i contadini pagano allo Stato?
Fu necessario permettere all'interno la libertà di commercio. Si è in questo modo dato una certa libertà per il capitale privato, che in tal modo può svilupparsi e rafforzarsi. Siamo in tali condizioni che dobbiamo favorire ad ogni costo lo sviluppo della nostra industria, anche a costo di un certo sviluppo del capitale privato. Ciò che oggi possiamo fabbricare non basta neanche a soddisfare metà dei bisogni dei contadini. La sproporzione nel nostro bilancio fra la parte che riguarda l'industria e quella che riguarda l'agricoltura è molto grave. Di fronte a 11 miliardi di rubli dell'agricoltura abbiamo solo 5 miliardi dell'industria. Bisogna inoltre tener conto che la nostra agricoltura ha grandi possibilità di sviluppo, e ciò senza bisogno di contributi e di aiuti stranieri. Sarebbe sufficiente elevare la coltura agraria dei contadini - ad esempio per la pulitura e selezione dei semi - per realizzare l'aumento di 300 milioni nella produzione agricola. Queste sono le potenzialità della campagna di cui dobbiamo tener conto. Nell'industria, invece, noi non abbiamo consimili possibilità. Occorre quindi dare all'industria nuovi mezzi tecnici, nuovi capitali, per nuovi impianti. Da ciò deriva la necessità assoluta di migliorare ed assicurare lo sviluppo dell'industria sia quella socialista, sia quella privata, per provvedere in misura maggiore almeno del 50% ai bisogni sempre crescenti dei contadini.
Bisogna dunque aumentare l'importazione delle macchine, perché quelle ereditate dal vecchio regime non sono sufficienti, ma per importare bisogna avere della buona valuta, e per averne bisogna esportare. Esportare molto di piú di quanto già esportiamo, non è possibile: è aumentato il consumo interno, per gli aumentati bisogni degli operai e dei contadini. Tutto ciò ci induce ad avere una bilancia commerciale non sempre attiva, e determina il pericolo di svalutazione della valuta.
Questi gravi problemi di bilancio si complicano con altri problemi interni. Nei villaggi ci sono troppi contadini disoccupati. È una specie di disoccupazione che non esiste altrove. E l'industria non è ancora in grado di assorbire questa mano d'opera eccedente. Fra i contadini disoccupati si costituiscono gruppi di lavoro collettivo ai quali si forniscono trattrici e mezzi di lavoro, mentre fra i contadini che non sono disoccupati si fanno economie per aiutare i disoccupati. Nonostante ciò siamo costretti a permettere, anche nelle campagne, il lavoro salariato, come si è già fatto da parecchio tempo in città. In tal modo una parte dei disoccupati può trovare lavoro.
Se si tiene conto di tutto ciò si vede come la nostra industria e il nostro Stato vivono a spese dei contadini, e cosí sarà ancora per molto tempo. Non so quindi come si potrà parlare di concessioni ai contadini in simili circostanze.
L'anno scorso si ebbero dai contadini 250 milioni di imposte dirette, quest'anno 300. Se non si vuole distruggere la fonte della ricchezza dello Stato, si devono fare ai contadini delle concessioni di natura economica, ma si tratta di concessioni che non escono dalla linea della Nep.
Per la lotta contro il capitale privato abbiamo molti mezzi, il credito nazionalizzato, i trasporti nazionalizzati, la terra nazionalizzata. Come Stato siamo il piú grande commerciante di grano. L'80-85% degli acquisti viene fatto attraverso gli organi statali. Come Stato siamo altresí fornitori ai contadini di macchine, tessuti, etc. La parte che spetta al capitale privato in questa attività è piccola e sebbene aumenti in cifre assolute, in cifre relative va diminuendo sempre piú. La concorrenza fra l'industria statale e quella privata concorre a migliorare la situazione della nostra industria. La pratica ha oramai dimostrato che è difficile aiutare l'industria all'infuori di questa concorrenza. La lotta è molto aspra. Si tratta di vita o di morte. Noi abbiamo però molte buone ragioni per credere che saremo vittoriosi in questa lotta, e che i contadini ci seguiranno.
I contadini si dividono in tre gruppi.
1) Contadini poveri: operai agricoli, piccoli proprietari che fanno anche del lavoro salariato, piccoli proprietari che non fanno lavoro salariato;
2) Contadini medi: stanno economicamente fra i poveri ed i kulak e in parte impiegano lavoro salariato;
3) Contadini ricchi (kulak) che vivono del lavoro salariato altrui.
La proporzione fra queste categorie era prima stabilita in base alla quantità di terra messa a coltura. Il contadino con non piú di 2 dessiatine di terra era compreso nel primo gruppo; quello con dessiatine da 2 a 6 era compreso nel secondo gruppo; quello con piú di 6 dessiatine era del terzo gruppo. Ma questo metodo era sbagliato. Nel Caucaso, per esempio, vi erano contadini ricchi di 10.000 capi di bestiame e solo una dessiatina di terra i quali venivano assegnati al gruppo dei poveri, e contadini con 10 dessiatine di terra da coltivare ma con raccolti poveri, molte volte non superiori ai 200 rubli all'anno, considerati nella categoria dei ricchi. I contadini con 3 dessiatine coltivate a lino e cotone appartenevano ai medi sebbene avessero entrate molto grandi. La ricchezza delle diverse categorie era calcolata in un modo veramente sbagliato.
È perciò stato deciso che per stabilire il gruppo a cui assegnare il contadino occorreva tener conto non solo della terra coltivata, ma anche del tipo di coltura, del bestiame, etc. insomma di tutte le sue entrate.
Adoperando il primitivo metodo di calcolo si giungeva al risultato che i contadini ricchi erano il 14%. Col nuovo metodo i contadini ricchi si sono ridotti al 4%. Risulta oggi che nelle campagne la maggioranza dei contadini appartiene alla categoria dei contadini medi, i quali sono il 55-60%, il resto è di contadini poveri. Prima della rivoluzione i contadini medi non potevano costituire la maggioranza non essendo possibile lo sviluppo dell'agricoltura. Esisteva quindi una piú profonda differenziazione nella popolazione delle campagne. Lo sviluppo agricolo era tale da provocare un aumento nel numero dei poveri da un lato, e dall'altro un progressivo arricchimento e aumento dei ricchi. I contadini medi scomparivano. Questo genere di sviluppo era facilitato dallo Stato col suo regime fiscale e dal fatto che la terra era proprietà privata. Adesso le cose sono cambiate. Nelle campagne al posto degli elementi capitalistici sono in azione elementi socialistici, ad esempio le cooperative legate allo Stato e all'industria statale. Le cooperative hanno 13 milioni di soci e la terra non è piú proprietà privata. La politica delle imposte e quella commerciale è diretta a limitare e controllare l'attività dei contadini ricchi.
Abbiamo avuto nel 1919-20 il periodo della dekulakizzazione. La terra presa ai ricchi venne [data] ai contadini poveri ma una parte di questi venne in tal modo a rafforzare il gruppo dei contadini medi, determinando nelle campagne un processo di livellamento che sostituí il precedente processo di differenziazione. Oggi si verifica un nuovo processo di differenziazione, ma esso non può essere cosí profondo come nel regime capitalistico, poiché i contadini ricchi sono solo il 4% ed i medi sono la maggioranza. Cosí si spiega la parola d'ordine di Lenin, che dopo aver neutralizzato i contadini medi bisogna passare all'alleanza con essi.
Il socialismo è l'unione dei lavoratori della città e della campagna sulla base della socializzazione dei mezzi di produzione. Questo vuol dire che bisogna attirare anche i contadini nel lavoro di realizzazione del socialismo. La maggioranza dei contadini non è socialista, non vuole il socialismo e ciò per condizioni storiche piú che per sua volontà. Nel 1917 però i contadini sostenevano gli operai nella lotta per il potere perché volevano cacciare lo zar ed i padroni e per realizzare queste loro aspirazioni non avevano altra via che appoggiarsi al proletariato della città. I contadini infatti non possono costituire una forza indipendente. Essi rappresentano una riserva come la piccola borghesia o per gli operai o per i capitalisti. In Russia essi costituiscono oggi una riserva per il proletariato. Era loro interesse che fosse cacciato lo zar ed i proprietari. Questo interesse ha coinciso con l'interesse del proletariato. In modo analogo oggi i contadini non vogliono il socialismo ma vogliono fare dei buoni affari, comprare merci a buon mercato e vendere il grano col maggiore utile possibile. Queste possibilità le trovano nelle cooperative, le cui finanze sono le finanze dello Stato. Infatti il credito alle cooperative viene concesso dallo Stato, e alla dirigenza di esse vi sono i comunisti. Per mezzo delle cooperative noi possiamo dare ai contadini i vantaggi di cui hanno bisogno, legando in tal modo gli interessi dei contadini a quelli degli operai e dello Stato. Cosí come nell'Ottobre si è legato all'operaio il contadino colla pace, oggi questo collegamento si realizza attraverso i vantaggi economici. Chi ha il potere può spingere l'economia a svilupparsi sulla via del socialismo o del capitalismo. Il potere si esercita nelle città, e la campagna non può fare a meno di seguire la città, sia per ragioni di coltura che di economia. L'economia socialista è destinata alla fine ad avere la sua sicura vittoria. I contadini rappresentano cosí una riserva della rivoluzione.
L'alleanza fra operai e contadini non esclude la lotta: e questa lotta si attua oggi come lotta di prezzi. I contadini vogliono comprare a buon prezzo e non vorrebbero il monopolio dello Stato sul commercio estero, mentre vogliono vendere a prezzi alti e convenienti i loro prodotti agricoli. Se la nostra industria soffre i contadini non piangono, essi vorrebbero semplicemente importare di piú. Cosí nell'Unione [Sovietica] c'è una lotta. Ma gli interessi essenziali coincidono: lo sviluppo dell'economia si verifica ed i contadini lo vedono e vedono anche che le cooperative aiutano questo sviluppo. L'unione fra operai e contadini resta quindi una forza reale. L'unione però non è fra uguali. Il nostro Partito è il Partito del proletariato: nell'unione una parte dirige: ed è la parte operaia; l'altra è diretta ed è la parte contadina.
Le cose che ho detto faranno comprendere ai compagni quanto sono complessi i problemi che si presentano al proletariato quando esso è al potere. Essere all'opposizione è una cosa molto comoda. Ma bisogna lottare contro le difficoltà e vincere.
GENNARI: Chiede la misura della ricchezza in base alla quale [viene fatta] l'assegnazione dei contadini ai tre gruppi citati dal compagno Stalin.
STALIN: È un po' difficile rispondere perché tale misura cambia secondo le regioni. Non vi sono cifre assolute e generali. Noi abbiamo un solo criterio marxista che è generale: il ricco vive sul lavoro dei contadini poveri e questi lavorano per il ricco. Il contadino medio non fa generalmente del lavoro salariato, ma qualche volta è costretto ad esso. Al riguardo le nostre statistiche non sono per niente perfette.
BORDIGA: Stalin ha esposto la questione dei rapporti con i contadini dal punto di vista generale. Al recente Congresso del P.C.R. si è parlato però di alcune modificazioni di questi rapporti le quali potrebbero equivalere a delle concessioni.
STALIN: Queste concessioni vennero decise nella conferenza dell'aprile del 1925. In conseguenza di esse si realizzò un miglioramento [della] nostra situazione nelle campagne, si ebbe quindi la conferma che [si era] agito bene. La stessa opposizione non ha avuto il coraggio infatti di chiedere apertamente che fossero cambiate le decisioni prese nella conferenza di aprile. Una parte di essa voleva soltanto impedire l'applicazione della politica decisa in aprile, ma la maggioranza si [oppose] e le decisioni vennero rispettate.
Cosa sono queste modificazioni? La Nep della città deve essere [portata] nelle campagne. Oltre ai metodi amministrativi di lotta contro il capitalismo si sono applicati anche dei metodi economici (imposte, [parola illeggibile], politica dei prezzi, cooperative, etc.) e si è introdotto il lavoro salariato e l'affitto. Il metodo seguito in città si è cosí esteso alla campagna, ciò che ha favorito lo sviluppo ed ha attivato la vita dei Soviet nelle campagne. Fino a poco tempo fa i comunisti nei villaggi impedivano ai contadini di criticare la loro attività. Molti comunisti rubavano nelle cooperative, e quando qualche contadino li denunziava li facevano arrestare. Le elezioni per i Soviet nella campagna non si facevano sul serio. Si è tentato di porre rimedio a tutto ciò. Le riunioni delle cellule devono essere fatte all'aperto, pubblicamente, perché il nostro Partito è legale. E ciò è bene perché le masse senza Partito possono partecipare alla nostra attività e controllarla. Molte cellule non vollero adattarsi a questo metodo. Perché? Non pochi comunisti avevano paura della luce e temevano sia il controllo dall'alto - quello del C.C. del Partito - quanto quello dal basso, il controllo delle masse.
Per cambiare tutto ciò che era veramente dannoso si è data la parola d'ordine di intensificare la vita dei Soviet; con piú elastici metodi di vigilanza, ascoltando e tenendo conto della critica dei contadini e dei senza Partito, etc. Si sono inviate nelle campagne numerose commissioni in tutte le regioni, e venne constatato che a capo dei Soviet vi erano perfino dei criminali. Piú di 200 comunisti vennero arrestati. Sono inconvenienti che capitano ai Partiti che sono al potere.
Questo cambiamento venne definito come introduzione di una democrazia sovietista, ma in realtà non si è modificata la costituzione, si sono soltanto introdotte norme di eleggibilità nei Soviet e nelle cooperative le quali sono conformi alla Costituzione. Oggi non c'è piú la guerra civile. I metodi di allora, dell'epoca della guerra civile, non servono per i periodi di sviluppo dell'attività economica. In questi periodi i metodi di dirigenza devono essere piú elastici, se non si vuole distruggere l'unione fra operai e contadini ed annullare i frutti della ricostruzione. In questo ristabilimento di buoni rapporti fra la città e la campagna consistono tutte le concessioni.
La critica della opposizione non è stata in materia molto chiara. Essa tentava di screditare questa politica che da un pezzo si sarebbe dovuta applicare. I metodi della violenza sono oggi dannosi.
BORDIGA: Chiede se la applicazione di queste misure abbia determinato un certo allarme nella classe operaia e se in questo allarme vi è un fattore utile o un fattore dannoso o negativo.
STALIN: Questa politica è stata fatta sotto la spinta del proletariato industriale il quale conosce i contadini meglio del C.C. del Partito. L'industria si sviluppa e sempre nuovi contadini vengono dalla campagna in città a fare gli operai. Il mese di riposo che spetta agli operai viene da questi passato nelle campagne. Vi è quindi [un legame] costante fra città e campagna. Anche la Nep è stata applicata sotto la spinta degli operai verso la fine del 1920. In una conferenza di metallurgici senza Partito, un operaio, Cernov, criticò Lenin, affermando che la politica che si seguiva allora non era ormai piú la buona, che era ora di finirla coi metodi del comunismo di guerra, etc. Era la prima volta che Lenin trovava una resistenza nella classe operaia e ciò fu uno degli elementi che lo indussero a pensare alla Nep. Non vi è quindi oggi alcun allarme fra gli operai.
BORDIGA: Che valore ha, allora, l'opposizione operaia di Leningrado?
STALIN: Non si tratta di operai ma di un piccolo gruppo di dirigenti che rassomiglia al gruppo che alla vigilia dell'ottobre 1917, prima dell'insurrezione, non credeva alla riuscita dell'insurrezione e si pose contro le decisioni del C.C. scrivendo apertamente che la insurrezione che il C.C. aveva deciso non era possibile.
BORDIGA: Nel 1917 il compagno Stalin non era anche lui contro Lenin? Anche sulla questione della pace nel 1919 non è stato egli in disaccordo con Lenin?
STALIN: No, io non fui in disaccordo con Lenin. Tutti eravamo contro la continuazione della guerra. Nessun comunista avrebbe allora potuto sostenere una tesi diversa.
BORDIGA: Dal momento che ora il compagno Stalin si serve come argomento politico dell'errore compiuto nel 1917 da un gruppo di compagni, perché quando il compagno Trotskij ricordò anche lui questi fatti si organizzò contro di lui una campagna?
STALIN: Trotskij non fu combattuto per questo, ma perché riteneva e sosteneva la sua vecchia convinzione circa i rapporti tra il proletariato e i contadini, secondo la quale se non vi sarà la rivoluzione in altri paesi di Europa, non si può sviluppare la rivoluzione in Russia. Questa è una concezione socialdemocratica e per essa Trotskij venne combattutto.
BORDIGA: Sta però di fatto che Trotskij fece un confronto tra l'Ottobre russo e l'Ottobre tedesco e criticò le debolezze di quei compagni che oggi sono nella nuova opposizione. Allora si disse che Trotskij prendeva posizione contro la vecchia guardia. Oggi invece le stesse accuse vengono portate dal C.C. contro l'opposizione.
STALIN: La differenza sta in ciò: il compagno Trotskij incominciava con un paragone e su di esso costruiva tutta la sua critica. Quale era il suo scopo? Egli voleva cambiare i cavalli durante la corsa senza tener conto dell'essenziale. Ma non si può costruire su di un paragone. Se si comincia con un paragone si deve anche finire con un paragone. E questo vuol dire fare della letteratura, ma non del lavoro politico.
BORDIGA: Trotskij si serviva del paragone per indagare le cause della sconfitta toccataci in Germania nel 1923. Non era privo di importanza storica lo stabilire che gli stessi uomini i quali avevano sbagliato nel 1917 in Russia erano a capo della Internazionale quando fallì la rivoluzione tedesca nel 1923.
STALIN: Ma per quanto riguarda il 1923 Trotskij non aveva ragione. La posizione piú estrema in quella occasione fu assunta proprio da Zinov'ev: e Trotskij appoggiò il gruppo Brandler, il quale aveva un contegno incerto e mutevole. Malgrado ciò Trotskij e Radek li appoggiarono.
BORDIGA: Non crede che la fiducia posta da Trotskij su Brandler sarebbe stata miglior cosa porla sulla Fischer.
STALIN: Brandler merita certo piú fiducia della Fischer. Succede però spesso che un uomo degno prenda una posizione sbagliata e che viceversa un uomo non degno si trovi nella posizione giusta. In politica si deve seguire la linea delle posizioni non quella delle persone.
ERCOLI: Crede che ci [si] sia allontanati con questo dibattito su un punto della questione Trotskij, dal tema di cui la delegazione desiderava essere informata. Chiede che il compagno Stalin spieghi quale è il valore degli elementi socialisti esistenti nell'industria russa.
STALIN: Il Partito è dell'opinione che la nostra industria - in quanto al tipo della sua organizzazione sociale - stia piú in alto della stessa organizzazione capitalistica. Essa è di tipo capitalistico dal punto di vista amministrativo, ma è di tipo socialista come organizzazione. In regime capitalistico due classi intervengono nel processo della produzione e lo scopo di esse è il profitto. Nella nostra industria è rappresentata una sola classe - il proletariato - ed essa non è organizzata allo scopo di sfruttare gli operai a vantaggio della borghesia, ma bensí di rafforzare economicamente la classe lavoratrice. Da ciò la sua caratteristica socialista. I dirigenti della nostra industria sono in maggioranza operai, e non possono restare neppure un'ora nella fabbrica se gli operai non li vogliono. Vi sono stati anche degli scioperi a questo riguardo, mentre sono rimasti al loro posto vecchi tecnici ereditati dal passato regime. Per riformare gli uomini ci vuole del tempo, e non è possibile aver subito un esercito di tecnici nuovi. L'organizzazione della nostra industria - nella quale vi è una classe sola - in cui il direttore lavora per volontà della classe operaia, non è ancora il socialismo; sono rimasti ancora in essa gli elementi capitalistici. Il socialismo bisogna però introdurlo in tutto il paese e non solo nelle fabbriche. Non l'industria è socializzata ma il suo tipo. Lenin disse che il tipo della nostra industria è socialista conseguente. Quando l'industria è arretrata anche la vita interna delle fabbriche è arretrata, e cosí pure l'ordine interno e la contabilità. La cultura degli operai è debole. Da noi si ruba ancora molto mentre nella organizzazione capitalista ciò è piú difficile. Tutto ciò lo comprendiamo molto bene. Ma da noi gli operai sono piú legati alla fabbrica, perché sanno che l'industria è cosa loro. In questo caso si può parlare di aumentare la produzione certi di essere compresi dagli operai. Non vi sono mai state tante invenzioni da parte degli operai quante ve ne sono adesso fra di noi. Se la nostra industria si basasse su di una maggiore cultura degli operai e su di una tecnica piú perfetta, nelle nostre officine si lavorerebbe molto di piú che in regime capitalistico e si farebbero dei miracoli.
Per quanto riguarda le concessioni - della durata massima di 40 anni - lo Stato, cioè la classe operaia, mette delle condizioni per esse, e l'industriale privato non è il padrone. Dopo un certo periodo di tempo esso viene cacciato via. In queste intraprese vi sono però ancora due classi: l'imprenditore e l'operaio. Questo è un tipo di organizzazione capitalistico. La differenza è data dal fatto che l'imprenditore ha un programma di produzione, deve pagare un fitto, realizza un profitto. Qui il capitalismo c'è ma è controllato e limitato.
ERCOLI: Chiede se le questioni che sono state discusse al Congresso del P.C.R. coinvolgono prospettive riguardanti gli sviluppi della situazione mondiale.
STALIN: Le nostre prospettive sono quelle in generale dell'Internazionale comunista.
BORDIGA: Allo scopo di precisare la questione delle prospettive chiede se il compagno Stalin pensa che lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del Partito russo è legato allo sviluppo del movimento proletario internazionale.
STALIN: Questa domanda non mi è mai stata rivolta. Non avrei mai creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di averlo fatto.
BORDIGA: Chiede allora che il compagno Stalin dica che cosa accadrà in Russia se non si verifica entro un certo periodo di tempo la rivoluzione proletaria in Europa.
STALIN: Se sapremo bene organizzare l'economia russa, essa è destinata a svilupparsi, e con essa è la rivoluzione che si sviluppa. Il programma del nostro Partito dice - d'altra parte - che noi abbiamo il dovere di diffondere la rivoluzione nel mondo con ogni mezzo e noi lo faremo. Non è affatto escluso che se la borghesia non ci attacca prima saremo noi costretti ad attaccarla. Certo la borghesia ha lasciato passare, per attaccarci, il momento buono, quando noi eravamo deboli. Oggi siamo piú forti. Abbiamo, nella grande industria, due milioni di operai e sette milioni nella industria media e la loro capacità produttiva e la loro cultura vanno sempre piú aumentando. La marcia su Varsavia fu un errore di tattica ma non un errore di principio.
BORDIGA: Ritiene il compagno Stalin che nel determinare la politica del Partito russo sia necessaria la collaborazione degli altri Partiti comunisti i quali rappresentano l'avanguardia del proletariato rivoluzionario?
STALIN: Senza dubbio è necessaria e noi la desideriamo. A questo scopo il nostro Congresso ha approvata la risoluzione secondo la quale i grandi Partiti della I.C. devono collaborare in modo effettivo alla dirigenza dell'Internazionale.
BORDIGA: Questa collaborazione dovrebbe già avere luogo per la recente discussione. Le questioni trattate dal Congresso russo dovrebbero quindi essere trattate all'attuale Esecutivo dell'I.C.
STALIN: Occorre osservare che queste questioni sono essenzialmente russe. Inoltre i Partiti occidentali non sono ancora preparati a discutere di esse. Per questo la Centrale del P.C.R. ha inviato ai Partiti dell'I.C. una lettera in cui si chiede che non venga trasportata la discussione recente russa negli altri Partiti. Questa risoluzione è stata approvata anche dalla opposizione ed è stata fatta sua dal Presidium dell'I.C. Noi abbiamo fatto ciò anche per evitare che si ripetesse ciò che è avvenuto per le precedenti discussioni con Trotskij, le quali vennero trasportate in alcuni Partiti in modo artificiale e meccanico.
BORDIGA: Non credo che questi argomenti abbiano un valore decisivo. Anzitutto, se si voleva non discutere delle questioni russe a questo Allargato, doveva essere l'Allargato stesso a decidere in questo senso. In secondo luogo i problemi che sono stati toccati nella discussione russa non possono essere considerati come solamente russi. Essi interessano i proletariato di tutti i paesi. Infine il fatto che la opposizione abbia acconsentito non ha nessun valore.
STALIN: Da un punto di vista formale e di procedura certamente è vero che non è del tutto regolare che l'Allargato non decida esso stesso di non affrontare la questione russa. Ma bisogna badare alla sostanza delle cose. La posizione che ha il Partito Comunista Russo nell'Internazionale è tale che non si può pensare sia possibile risolvere con la procedura i problemi che toccano i rapporti fra il Partito russo stesso e la Internazionale e gli altri Partiti. Certamente la posizione del Partito russo nell'Intemazionale è una posizione privilegiata. Noi ci accorgiamo dell'esistenza di questo privilegio e sentiamo anche la responsabilità che deriva da esso. Sappiamo che quando i compagni russi parlano nel Presidium è difficile che i compagni degli altri Partiti li contraddicano e questo anzi non ci fa piacere. Noi abbiamo anche altri privilegi, quello ad esempio che l'Internazionale risiede a Mosca, quello di avere vinto la rivoluzione. Noi siamo però pronti a trasportare la sede dell'Internazionale in un altro paese non appena la rivoluzione sarà stata altrove vittoriosa. Come si vede non si tratta di una questione di procedura. Inoltre la difficoltà di procedura è una cosa assai piccola in confronto delle difficoltà di fronte alle quali ci troveremmo se riaprissimo la discussione russa al Plenum dell'Allargato. Questo vorrebbe dire infatti riaprirla nel Partito russo. Non solo, ma vorrebbe dire mettere in minoranza l'opposizione nell'Internazionale, cioè togliere dalla direzione dell'Internazionale il compagno Zinov'ev. Ora questa cosa non vi è nessuno che la desidera. E i Partiti dell'I.C. non crediamo abbiano essi interesse a riaprire il contrasto nel Partito russo.
La seduta viene tolta dopo che il compagno Stalin ha chiesto al compagno Ercoli alcune spiegazioni circa la tattica del Partito italiano nei sindacati e nei comitati di agitazione.
Dall'Archivio Tasca, pubblicato da "Annali Feltrinelli 1966".