Soluzioni classiche della dottrina storica marxista per le vicende della miserabile attualità borghese
Rapporti alla Riunione di Milano del 17-18 ottobre 1959 - 2a seduta
Questioni fondamentali della economia marxista IV
La storica discussione sull'accumulazione
In quanto precede è stato dato uno sviluppo molto ampio alla presentazione fatta a Milano del'"Abaco economico di Carlo Marx" per l'inizio del secondo tomo del Capitale, in distribuzione come formolario tra i gruppi della organizzazione (l'Abaco, o formolario, del I Torno sarà dai lettori trovato nel testè uscito N. 10 di Programme Communiste di Gennaio-Marzo 1960, richiedibile alla nostra redazione o a P. C. Boîte Postale 375, Marseille-Colbert).
Scopo di questo ampio sviluppo è stato anche il presentare le relazioni sulla classica polemica marxista che erano state affidate per l'opera della Rasa Luxembourg ad una compagna francese, e per quella di N. Bucharin ad un compagno del centro di Milano, e a cui facciamo posto.
Per la intelligenza della discussione tra marxisti è bene ricordare (dato che si decise di rinviare le formule quantitative alla prossima riunione e relativi resoconti) che tutto il dibattito porta sulla "realizzazione" del plusvalore, ossia di tutto il prodotto, e al quesito se essa era possibile nell'ipotesi che tutti fossero nella società o capitalisti industriali o proletari salariati. Basta ricordare che Marx divise tutta la produzione di una società in due sezioni: la prima che produce strumenti di produzione e la seconda che produce oggetti di consumo. Per ciascuna si sa che il prodotto finale portato al mercato si compone del rispettivo capitale costante, capitale variabile e plusvalore. I portatori di denaro per realizzare queste merci sono i proletari per il capitale variabile delle due sezioni, e i capitalisti per tutto il resto. Clienti della prima sezione non possono essere che i capitalisti che ne ricomprano (tra essi) tutto il prodotto - clienti della seconda per i beni di consumo sono i proletari per il capitale variabile delle due sezioni, e i capitalisti per il plusvalore delle due sezioni. Indicando le due sezioni con numeri romani a piede delle note lettere c, v, e p, diremo che tutto il denaro da spendere in consumi è vI + vII + pI + pII. Ma è chiaro che tutte le merci consumabili sono il prodotto della II sezione ossia cII + vII + pII. Bucharin e Luxemburg sono d'accordo che tutto cammina nella riproduzione semplice, e che la condizione evidente che nasce dal confronto delle due somme è che cII è pari a vI + pI. Quindi se tutto si realizza (monetariamente e mercantilmente) la legge della semplice riproduzione è che il capitale costante della seconda sezione deve equivalere al capitale variabile della prima, più il plusvalore della prima. Colla riproduzione allargata comincia la complicazione, e per ora non daremo né gli schemi di Marx e Luxemburg in cifre, né le formule di Bucharin.
In apparenza, per la prima nella riproduzione allargata non si può realizzare tutto il plusvalore, mentre per il secondo lo si può. Noi abbiamo mostrato come né Marx né alcun marxista vuole dimostrare che la economia capitalista può funzionare allo stato di regime, nemmeno nella riproduzione semplice. Ma il capitalismo potrà realizzare tutto quanto produce o sovraproduce. La sua condanna è la serie delle crisi che dimostrano che il sistema non sa né puòconsumare tutto quanto produce né produrre quello che la società ha bisogno di consumare. Per principio il capitalismo non realizza, il che determina la sovversione delle equivalenze merci-moneta, e lo sbocco è di regalare o distruggere, peggio che svendere, le sue merci, ossia dilapidare la umana forza lavoro, per la impossibilità di dare al lavoro una disciplina organizzata.
Relazione sulla Luxemburg
L'opera della compagna Rosa Luxemburg sulla Accumulazione del Capitale e i suoi scritti successivi in risposta alle critiche che le furono mosse si innestano in una discussione durata più di un secolo. Due erano i quesiti posti da tutti; il primo, perché la riproduzione allargata e a quale domanda essa risponda; il secondo, collegato al primo: chi realizza il plusvalore?
Anche Marx aveva posto questo problema tracciando uno schema della riproduzione allargata. La Luxemburg lo esamina osservando che il suo presupposto è lo stesso di quello della riproduzione semplice, cioè una società composta esclusivamente di capitalisti e proletari, uno schema in cui è la società capitalistica che realizza essa stessa il plusvalore. Ora la Luxemburg dice: questo presupposto corrispondeva perfettamente alla riproduzione semplice, poiché in questa si può ammettere il caso dello sviluppo della riproduzione del capitale individuale come elemento interno della società capitalistica, ma non si adatta più alla riproduzione del capitale sociale reale che storicamente si presenta in un ambiente nel quale esistono forme sociali non capitalistiche.
Dunque, secondo la Luxemburg, questo presupposto teorico impedisce di rispondere ai quesiti fondamentali della polemica storica: per chi avviene la riproduzione allargata? e chi realizza il plusvalore? Prendiamo ora lo schema stesso: naturalmente è escluso - e l'hanno escluso tutti - che il capitalista e il proletario possano, nella riproduzione allargata, realizzare il plusvalore, perché in questo caso torneremmo al caso della riproduzione semplice. Il proletario può scambiare contro denaro la merce che corrisponde al capitale variabile della sezione I e II; il capitalista può realizzare il plusvalore consumandolo. Ma la parte di plusvalore che si capitalizza, il capitalista non può realizzarla, a meno di ammettere che il capitalista realizzi il suo plusvalore accumulandolo, e accumuli soltanto per accumulare. Ciò porterebbe a descrivere la società capitalistica in questo modo: la produzione di carbone è aumentata perché la produzione di ferro possa aumentare, a sua volta la produzione di ferro aumenta perché la produzione meccanica aumenti, e così via all'infinito.
Ora questo, secondo la Luxemburg, si risolverebbe in una "giostra a vuoto", né tale può essere la deduzione da trarre dall'insieme della teoria marxista. Essa quindi vorrebbe (e occorre subito precisare che la Luxemburg non nega la necessità degli schemi in genere allo scopo di eliminare gli aspetti secondari della questione e porre il problema in tutta la sua purezza) riportare il problema dell'accumulazione nel suo quadro storico reale, perché, non facendolo, non si risponde ai due quesiti già detti: per chi la domanda allargata? e chi realizza il plusvalore?, né il quesito correlativo: come il plusvalore si capitalizza?
Il capitalismo - osserva la Luxemburg - nasce alla fine del Medioevo in un ambiente europeo intorno al quale continuano a sussistere paesi extracapitalistici. Inoltre, nello stesso seno della società capitalistica, permangono ambienti sociali che si possono considerare "esterni" nel senso che vivono in rapporti economici non ancora di carattere capitalistico: per esempio, la piccola azienda contadina. E si può anche dire che questi ambienti, sebbene si riducano sempre più, continuano a sussistere ancora oggi, poiché non in tutti i paesi la produzione contadina si svolge nel quadro di rapporti capitalistici. Nella discussione storica intorno al problema della accumulazione - nota ancora la Luxemburg - hanno giocato un ruolo enorme due risposte: il commercio internazionale e il commercio estero. Ma gli economisti non si sono accorti che fare intervenire questi fattori significa soltanto spostare il problema, giacché per noi, quando si parla di capitale sociale totale, si parla della società capitalistica in genere. Il problema del commercio internazionale dev'essere quindi inteso nel senso non della geografia politica delle diverse nazioni, ma in quello dell'economia sociale presa nel suo complesso, e, dato al termine "commercio internazionale" il contenuto che gli compete, si vede che la domanda la quale provoca l'allargamento della riproduzione totale è una domanda esterna alla società capitalistica, non proveniente né da proletari né da capitalisti: chi realizza il plusvalore è dunque questa domanda esterna, qualunque essa sia.
L'ambiente storico dell'accumulazione capitalistica
Naturalmente, il problema non si pone nella stessa forma in tutti gli stadi di sviluppo del capitalismo. Tre stadi possono considerarsi: 1) Intorno al capitalismo sussiste un'economia naturale che ignora del tutto la moneta; che da una parte produce per i bisogni e dall'altra non ha eccedenze non consumate: tutto ciò che è prodotto è consumato. 2) Dopo l'economia naturale, di cui, senza risalire al comunismo primitivo, abbiamo molti esempi storici, v'è l'altro modello dell'economia feudale medievale e, 3), dopo questa, l'economia mercantile semplice, la cui formula non è D - M - D, ma M - D - M. Questa forma, propria dell'artigianato del Medioevo, sopravvive fino ad oggi sebbene su scala ristretta.
Se l'accumulazione del capitale avviene mediante la lotta contro l'economia naturale, questa dev'essere sostituita con una economia mercantile per il capitalismo. Perché? Ebbene, perché l'economia naturale - come pure quella semi-naturale del Medioevo nelle campagne - non chiede al capitalismo nulla e non gli offre nulla: è rinchiusa completamente in sé stessa. Essa non può dargli né i mezzi di sussistenza che sarebbero necessari alla capitalizzazione del plusvalore realizzato, né la forza-lavoro, tenuta prigioniera come essa è da rapporti di produzione precapitalistici. Esempio la servitù della gleba durante il Medioevo, che stabilisce un rapporto di dominio personale tra il contadino-servo e il signore, e che impedisce ai contadini di recarsi in città a lavorare per il capitale in quanto li lega stabilmente alla gleba. Tale rapporto dev'essere spezzato, e ciò è avvenuto in tutta la storia del capitale durante il Medioevo e, a maggior ragione, in quella della lotta dell'imperialismo nelle Colonie, dove è necessario distruggere gli istituti sociali ancora riposanti su rapporti di produzione precapitalistici per poter utilizzare non solo le materie prime prodotte da quelle società, ma anche la forza di lavoro "di colore" senza la quale il capitalismo non potrebbe sfruttare le risorse di zone climatiche in cui i bianchi non possono lavorare. Ma, una volta distrutti i rapporti sociali basati sull'economia naturale, il capitale non ha ancora raggiunto il suo scopo - l'instaurazione di un rapporto in cui possa trarre dall'ambiente sociale ed economico storico ricchezze nuove per proseguire la sua accumulazione anche dal punto di vista fisico: nuove materie prime, nuove forze di lavoro. In altri termini, il capitalismo deve sostituire all'economia naturale una economia mercantile.
Come realizza questo obiettivo? Apparentemente (e, com'è ovvio, gli apologeti del capitalismo dicono che si tratta di un processo pacifico) sembra che la superiorità del modello capitalistico di tenore di vita e di tecnica produttiva imponga da sé questa trasformazione: in realtà, essa è possibile solo distruggendo e rovinando intere società secolari. La Luxemburg, che dà una vasta illustrazione di questi paesi nella fase precedente l'accumulazione capitalistica, ricorda la rovina del comunismo primitivo in India o presso le tribù berbere dell'Africa del Nord o, più semplicemente, quella del farmer americano che, fino alla prima metà del secolo, era nello stesso tempo agricoltore e produttore di tutto ciò (utensili, vestiario, ecc.) di cui aveva bisogno. La sostituzione di questa economia quasi-naturale è avvenuta mediante l'introduzione di manufatti inglesi (materiale ferroviario, attrezzature industriali); e, più tardi, mediante la formazione di un'industria manifatturiera nella stessa America del Nord. Tutto questo processo determina la separazione fra agricoltura e mestieri rurali; a poco a poco la classe contadina è costretta a limitarsi all'unica forma di attività che il capitalismo non le possa subito strappare, la coltivazione del suolo (specie tenuto conto dei rapporti di proprietà vigenti nel Nuovo Mondo), e a comprare le merci prodotte nella grande manifattura capitalistica - tutto ciò attraverso una violenza che può essere aperta o soltanto economica (aumento delle tasse, ecc.). Introdotta l'economia mercantile semplice, quando il contadino è obbligato a limitarsi all'attività agricola perché i mestieri rurali sono spariti, comincia una terza fase della lotta, quella concorrenziale, che ha per traguardo la rovina dell'economia semplice attraverso la concorrenza nei prezzi, giacché la merce prodotta dalla manifattura capitalistica costa meno e rimpiazza agevolmente quella di origine artigiana, non più comprata perché troppo cara. Anche qui l'esempio è dato dagli Stati Uniti, e la Luxemburg dimostra come, dopo la guerra di secessione, lo sviluppo speculativo delle costruzioni ferroviarie e l'emigrazione crescente abbiano portato alla costituzione di un'agricoltura sviluppantesi in forme prettamente capitalistiche: proprietà molto estese, metodi di gestione del tutto industriali, produzione enorme con cui la piccola farm del coltivatore diretto, del contadino individuale, non è più in grado di competere. Risultato: completa rovina del farmer.
Ma l'esempio potrebb'essere ripetuto per molti altri paesi e ceti sociali, perché oltre alla rovina del contadino v'è stata quella dell'artigiano: la generalizzazione dei rapporti di produzione capitalistici è seminata di macerie.
Concludendo, la Luxemburg mostra come, da un secolo, il problema dell'accumulazione abbia diviso gli economisti in due campi: da un lato, gli scettici che negavano la possibilità dell'accumulazione allargata (per es. Sismondi), forse perché sentivano a quali risultati rivoluzionari essa avrebbe condotto; dall'altro, i cosiddetti ottimisti grossolani per i quali il capitalismo era capace di autofecondarsi all'infinito e, quindi, era una forma sociale eterna.
Tali le concezioni che la Luxemburg, come marxista militante, intende combattere. È una stoltezza, dice, prendere alla lettera uno schema che è soltanto un metodo di esame di un problema e volerne concludere l'eternità della forma sociale che noi combattiamo. La soluzione marxista del problema dell'accumulazione si colloca tra i due estremi dello scetticismo e dell'ottimismo, e risiede - secondo lo spirito (se così si può dire) di tutta la dottrina marxista - in una contraddizione dialettica: da un lato, la accumulazione capitalistica ha bisogno, per potersi realizzare, di un ambiente sociale non-capitalistico; dall'altro non può andare innanzi senza scambi con questo ambiente (scambi, naturalmente, tutt'altro che pacifici) e senza la sua erosione e, in definitiva, la sua rovina.
Non solo tutto il plusvalore non è realizzabile nel seno della società capitalistica, ma la sua stessa capitalizzazione esige lo sfruttamento di tutte le risorse materiali ed umane del globo. Con l'estensione del capitalismo su scala mondiale, la capitalizzazione del plusvalore diventa sempre più difficile, perché non si trovano più nuove fonti di materie prime e di forza lavoro; d'altro lato, la parte del prodotto sociale che corrisponde a c e p cresce in rapporto a v per effetto dell'aumento della composizione organica del capitale. Di qui la contraddizione (secondo la Luxemburg, che scrive nel 1911-12), di qui l'universalizzazione del capitalismo e, insieme, la catastrofe verso cui esso procede. Di qui il fatto che i paesi capitalistici dipendono sempre più gli uni dagli altri per la capitalizzazione del plusvalore, perché se c aumenta in rapporto a v ciò avviene, naturalmente, sotto forma di materie prime che possono venire dal di fuori ma anche di un macchinario che può essere prodotto solo in rapporti di produzione altamente capitalistici, mentre invece per la realizzazione del plusvalore dipendono sempre da un ambiente extracapitalistico, e quindi entrano fra di loro in una concorrenza accresciuta per la sua divisione, per il dominio imperialistico del mondo. Le condizioni della realizzazione del plusvalore e le condizioni del rinnovamento del capitale cadono così in una crescente contraddizione reciproca che è solo il riflesso della legge tendenziale della caduta del tasso di profitto, essa stessa contraddittoria.
Tutta la critica della Luxemburg potrebbe riassumersi rilevando che essa prende le mosse dallo schema di Marx soltanto per poter lottare contro le teorie apologetiche del capitalismo, che di questa forma sociale prevedono l'eternità, e combattere i revisionisti del marxismo rivoluzionario. Il suo schema è, in breve: il capitalismo si nutre di un ambiente extracapitalistico; nutrendosene lo distrugge; quando lo avrà tutto distrutto, verrà la ora storica in cui esso dovrà, a sua volta, necessariamente soccombere (il che non vuol dire: aspettiamo che il capitalismo, estendendo i suoi rapporti di produzione a tutto il mondo, distrugga sé stesso: la Luxemburg individua una tendenza storica, tanto più forte quanto più prolungata nel tempo; la lotta rivoluzionaria del proletariato può abbreviarla e, se vittoriosa, troncarla di netto alla scala mondiale).
Relazione su Bucharin
Lo studio di Bucharin - L'imperialismo e l'accumulazione del capitale - al fine di confutare la deduzione della Luxemburg circa le contraddizioni a cui condurrebbero gli schemi dati da Marx nel II Tomo del Capitale non consiste nel dare nuovi specchietti numerici delle due sezioni relativi a cicli (anni) successivi della produzione capitalistica che risolvano i dubbi sollevati attraverso quadrature aritmetiche. Come in una conferenza che Bucharin tenne a Mosca al tempo del IV Congresso dell'Internazionale Comunista, egli svolge invece un gruppo di formule che per ora non riporteremo. Egli divide in due parti il plusvalore della sezione prima e della seconda di cui una sia quella consumata dai capitalisti e quindi realizzata acquistando sul mercato beni della sezione II (consumo), e l'altra sia invece aggiunta al capitale anticipato nel nuovo ciclo; ed evidentemente da realizzare sul mercato nell'acquisto di un maggior capitale costante e di una maggiore somma di forza lavoro. Bucharin mostra che, come nella riproduzione semplice, la continuità del ciclo non si verifica sempre, ma è legata alla condizione che noi abbiamo riportata, ossia che "il capitale costante della seconda sezione sia eguale alla somma del capitale variabile e del plusvalore della prima".
Nel caso della riproduzione allargata Bucharin sviluppa una analoga relazione che ci limitiamo a riportare senza dimostrazione algebrica, ed è questa: "Il capitale costante della seconda sezione, aumentato della parte di plusvalore di questa portata a capitale costante, deve essere uguale al capitale variabile della prima sezione, più il plusvalore consumato di questa, più ancora la parte del plusvalore di questa portata a capitale variabile"; difatti il plusvalore di ciascuna sezione si divide in due parti come detto, e poi quella riservata ad investimento si divide tra investimento in capitale costante ed investimento in salari.
Il senso della ricerca di Bucharin vuole essere questo; rispettate queste relazioni, si potranno sempre costruire delle serie di schemi in cui tutto il plusvalore, consumato e non, resta tutto "realizzato", ossia messo nel circolo mercantile, senza l'obbligo che introduce la Luxemburg di far venire sulla scena un terzo tipo di compratori, che non siano né i capitalisti né gli operai salariati da essi.
I "punti"di Bucharin
Questa ricerca algebrico-aritmetica potrà essere svolta, ma si limita al carattere formale della questione. A noi sembra importante il richiamo al fatto che anche la riproduzione semplice è assicurata solo se si verifica una certa condizione che nella generalità dei casi manca. Quindi anche nella riproduzione semplice non è sicuro che si "realizzi tutto il plusvalore" e può sorgere l'intoppo e la rottura del ciclo e la "crisi" come Marx previde, anzi come volle dimostrare inevitabile in tutte le ipotesi.
Per ora interessa annotare brevemente che cosa Bucharin, premesso quanto sopra, risponde a quelle che egli chiama, forse un poco troppo formalmente, le critiche della Luxemburg a Marx.
Primo punto. Per chi ha luogo la accumulazione allargata? Secondo Bucharin questa domanda finalistica introduce nella analisi obiettiva un elemento soggettivo e volontaristico che esula dalla dialettica marxista.
Secondo punto. Avendo la Luxemburg ammesso che cresce il consumo della società, tanto dei capitalisti che dei proletari (sebbene dei primi il numero diminuisca, dei secondi cresca), osserva Bucharin che così essa ha già risposto alla domanda: per chi si allarga la produzione. In ogni forma sociale lo stesso fatto del crescere della popolazione determina la possibilità di un maggiore consumo, senza che si possano imputare a Marx le degenerazioni di quelli (Tugan-Baranowski) che caddero nella economia volgare trattando separatamente produzione e consumo.
Terzo punto. Non è giusto dire che la accumulazione si spiega se i capitalisti consumano il plusvalore, ma non si spiega più se in parte lo investono "astenendosi" dal consumarlo. Bucharin accusa di contraddizione la critica e la riduce all'errore di dire: dato che i capitalisti sono la classe dominante, i fenomeni della economia capitalistica avvengono secondo le brame dei capitalisti. Ha ragione Bucharin, ma questo lo sapeva Luxemburg non meno di lui!
Quarto punto. Luxemburg dice che non può essere scopo dei capitalisti il mantenimento di una sempre maggiore armata di operai. Bucharin procura di dimostrare che questa è una necessità, e quindi uno scopo, nel senso che la classe capitalista perderebbe il suo dominio se il numero dei proletari non aumentasse di continuo. Forse non lo avrebbe neppure conquistato contro i vecchi poteri storici. La tesi di Bucharin non si traduce in una filantropia dei capitalisti verso la popolazione operaia, eppure, nel giovane capitalismo, essi lo credevano davvero.
Quinto punto. Luxemburg trova strano che i capitalisti siano fanatici dell'allargamento della produzione come fine a sé stessa e senza vantaggio né per i proletari né per gli stessi borghesi, e chiama questo ragionamento una "giostra a vuoto", che non può fornire una spiegazione scientifica. La risposta di Bucharin è data dalla citazione di un passo di Marx tratto dalle Teorie sul plusvalore, il quale corrisponde ai molti altri da noi dati nelle nostre ricerche.
"Il capitalista industriale... come capitale personificato, produce per amore della produzione, vuole arricchire per amore dell'arricchimento: nei limiti in cui egli è un semplice funzionario del capitale, un esponente della produzione capitalistica, quello che gli interessa è il valore di scambio e il suo aumento, non il valore d'uso e l'aumento della sua grandezza; è l'aumento della ricchezza astratta, l'appropriazione crescente di lavoro altrui. Egli è dominato dallo stesso stimolo assoluto dell'arricchimento che anima il tesaurizzatore, con la differenza che non lo soddisfa nella forma illusoria di tesori aurei ed argentei, ma in quella della formazione di capitale, ch'è vera e propria produzione... Ma il capitalista industriale diviene più o meno incapace di assolvere la sua funzione dal momento in cui vuole, invece della accumulazione di piaceri personali, il piacere della accumulazione. Anche egli è produttore di sovrapproduzione, produzione per altri".
Ciò vale, aggiunge Bucharin, soggettivamente, cioè dal punto di vista del "motivo animatore" dei capitalisti, anche se non si possono negare le conseguenze oggettive di queste tendenze soggettive, conseguenze che consistono nella soddisfazione dei bisogni crescenti della società nel suo insieme.
A questo punto si potrebbe chiedere a Bucharin se egli non vedesse un lato attivo della produzione sociale industriale solo fino ad un certo punto storico dopo il quale l'allargarsi della produzione divenga completamente antisociale in tutti i suoi effetti; e quindi imponga proprio la necessità di abbattere la forma capitalistica. Ma erano cose che Bucharin, sebbene talvolta accanito formalista nella polemica, conosceva a fondo.
Egli viene infine a confutare la tesi che i compratori che il capitalismo non trova nel suo interno debbano essere cercati nei paesi socialmente precapitalistici ed esamina punto per punto la tesi della Luxemburg. Egli non ne contesta di certo gli aspetti storici nel quadro mondiale contemporaneo, ma vuole solo negare che senza mercati non borghesi il capitalismo non possa esistere nei paesi dove ha fatto al sua prima apparizione, e soprattutto che non si sia già posta la esigenza del suo rovesciamento.
Lo studio ulteriore di questo dibattito non può che mostrare come i grandi rivoluzionari Luxemburg e Bucharin siano dalla stessa parte della barricata contro i nefasti dell'opportunismo revisionista, che in forma parallela entrambi li uccise.
Tuttavia è un dovere del movimento marxista che segue loro e noi di porre ordine in queste questioni portando nella giusta luce i passaggi vitali tra la trattazione economica e quella storica e politica, e, per dirla nel solito modo abbreviato, filosofica.
A questo lavoro furono dati nella riunione dai varii compagni che vi lavoravano i contributi che abbiamo riportati, e che sono di base allo sviluppo nei varii settori e campi.
Da "Il programma comunista" n. 2, 28 genn. - 11 febb. 1960.
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.