Ardua sistemazione del programma comunista rivoluzionario tra i miasmi della putrefazione borghese e la pestilenza opportunisti. Rapporti coordinati alla riunione di Casale del 9-10 luglio 1960 - 2a seduta
La scienza economica marxista è programma rivoluzionario I
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L'attento studio che il nostro movimento ha dedicato all'opera fondamentale teorica del marxismo, Il Capitale, è risultato particolarmente laborioso per quanto riguarda il secondo volume dell'opera, e le ragioni ne sono state esposte alla riunione di Casale in modo più profondo di quanto fu detto nelle riunioni precedenti.
Anche il nostro lavoro sull'abaco, o anche formulario economico di Marx, è stato più spedito e completo circa il primo volume e deve ancora essere assolto per il secondo. Di questo, come è noto ai compagni, è pronta solo la parte che riguarda la prima sezione, ossia le metamorfosi che il capitale presenta nella sua circolazione.
Il motivo principale che riguarda le sezioni successive alla prima del secondo volume è che la materia non ha potuto essere ordinata dallo stesso Marx ma dovette esserlo, dopo la morte di lui, da Engels, che vietò a se stesso di fare dal principio alla fine una nuova redazione, ma volle assolutamente servirsi dei ricchi manoscritti lasciati da Marx dopo decenni intieri di lavoro, tra i quali non era certo facile nemmeno ad un Engels distinguere tra le prime redazioni poi abbandonate e rifuse insieme, ed i pochi "quaderni" che avessero raggiunta la forma adatta alla pubblicazione definitiva.
Engels come citammo e come esporremo ha perfino alcune volte ritenuto che certe laboriose ricerche e calcolazioni da Marx avviate e per cento ragioni e difficoltà lasciate a mezzo non fossero del tutto giustificabili nella loro utilità per la composizione dell'insieme. Oggi ancora neppure i compiuti comunisti si sono liberati dalla religione della proprietà intellettuale, ed è bene comprensibile la esitazione di Engels, la cui modestia era misurata dal suo valore e dal suo sapere, come avviene nei rari uomini non travolti nel ciarlatanismo culturale caratteristico del tempo borghese, inanzi al problema se di certi arruffati scatafacci Marx, vivo ed avendo tempo disponibile (vita e salute), avrebbe fatto un chiaro sviluppato capitolo o una palla di carta per il cestino, passando ad affrontare il problema per altra via e con presentazione del tutto mutata. E ciò malgrado la grande dimestichezza di lavoro e la intensa corrispondenza sempre corse tra i due incomparabili amici, tuttavia assorbita da compiti più complessi ed estesi che la sola redazione del Capitale.
Forse il nostro studio attuale che è guidato dalla nessuna reverenza per i contributi di "sapienti" che stiano fuori delle file di nostra parte; e dalla assoluta convinzione che le varie parti dell'opera di Marx (per motivi storici e non di valore personale o talento eccezionale, che vi erano ma erano secondarii) sussiste una concordanza ed una armonizzazione unitaria e totale, e che si vale dei rarissimi apporti in materia di scrittori posteriori della vera scuola marxista, del calibro poniamo di un Lenin, varrà a mettere in evidenza il senso che abbiamo detto, e non certo a correggere le scelte di Engels che solo ebbe tutto l'immenso materiale a propria disposizione.
Il nostro tentativo potrà essere da altri sviluppato. Ci limitiamo qui ad esortare compagni e lettori, e soprattutto quelli che volessero porgerci aiuto nella ricerca e nella esposizione, a tenere presente l'originale, col solito avvertimento di dubitare delle traduzioni esistenti in italiano, e a riguardare il nostro modesto e non certo perfetto resoconto della riunione di Firenze, nei n. 12 e 13 del 1960 di questo periodico.
Una "chiave" per decifrare?
Quale sia questa nostra chiave, se così la vogliamo indicare in termine che allontani la pesantezza presuntuosa, risulta dal resoconto di Firenze e fu ricordato a Casale.
Come è tesi della sinistra marxista da mezzo secolo e più, intento dell'opera di Marx non è la pura "descrizione" dei fenomeni che la economia capitalista presenta sotto i nostri occhi. Questa è la accezione dei revisionisti, dei riformisti che comparvero a cavallo dei due secoli, ossia degli opportunisti che in questo sciagurato che trapassa hanno dilagato come nebbia accecante ed asfissiante. Chi accetta questa insidiosa formola non può non dire: con tre quarti di secolo di "aggiornamenti" sul capitalismo, che a Marx mancarono, possiamo disinteressarci della esatta versione del suo opinare, e trarre dai fatti teorie più fondate e più fresche. Viviamo l'epoca in cui si va a caccia del "fresco" e non ci si accorge di freschezze che puzzano di rancido in modo nauseante.
Carlo Marx non scriveva per le biblioteche degli economisti ma per gli arsenali di agitazione del suo partito rivoluzionario.
Non volendo e non dovendo copiare gli avvocati e i "saggisti" del mondo e della cultura privatistica, di questi tempi scesa alla degenerazione che la sua teoria sola previde, egli non anticipò le sue conclusioni per darne poi una lunga ed elaborata dimostrazione, ma partì dalla esposizione dei fatti per arrivare ai punti finali che gli erano fin dal primo momento chiarissimi, anche quando, per così dire, aveva davanti bianca la prima pagina del manoscritto. Altro, come egli stesso dice nella prefazione al primo volume, è il metodo della indagine, altro quello della presentazione, e lo abbiamo troppe volte citato.
In un certo senso, il problema si presenta anche per il primo Libro, ma qui la partizione è di mano dello stesso estensore, ed è meno scabroso procedere traverso la enorme massa di fatti, di date e di interpretazioni allora originali ed oggi ancora insuperate.
Per il più difficile secondo Libro la nostra chiave è che magari in ogni pagina si incontrano e si incrociano tre diversi "momenti".
Avendone già data ampia ragione qui ci basta richiamarli.
Primo momento: descrizione della dinamica economica della singola azienda capitalistica (vi si riferisce tutto quanto riguarda il capitalista singolo o persona, in quanto si applica anche alle aziende a titolare collettivo, società semplici o anonime ecc.; cooperative ed aziende statizzate).
Secondo momento: dinamica economica di una società capitalistica come complesso di aziende isolate, ossia movimento del capitale totale sociale in una società capitalista, aziendale e mercantile.
Terzo momento: dinamica della economia comunista, di una società che non abbia più mercato, aziende distinte, e capitale.
Non sarebbe nemmeno giusto dire che i primi due momenti sono descrittivi, e solo il terzo momento è programmatico e rivoluzionario. Tutto il lavoro è rivoluzionario, e la origine e vibrante analisi dell'azienda borghese e della società borghese non hanno altro scopo che di diffondere il programma della sua distruzione e della società comunista. In altri termini tutti i teoremi stabiliti circa le leggi della società borghese e riferiti al primo ed al secondo momento sono stabiliti al solo fine del confronto col terzo momento.
Se la "scienza" storica avesse condotto Marx a concludere per una sola eventualità che la economia possa essere in eterno capitalista mercantile ed aziendale, egli si sarebbe disinteressato dello sforzo della sua descrizione e profonda analisi. Come abbiamo già detto il suo tema non è come il capitalismo vive, ma come il capitalismo muore. Abbiamo mostrato come lo scrittore, supremo maestro di dialettica, audacemente assume la proposizione: il capitalismo è già morto.
Rivoluzionario nel nostro senso è colui, per cui la rivoluzione è tanto certa, quanto un fatto storico già accaduto.
Ciò non significa che la nostra volontà o la nostra convinzione siano cause generatrici della rivoluzione, ma che la storia passata contiene le cause della futura rivoluzione, e della nostra certezza di partito. Ciò dal momento, non fortuito ma fissato nel corso storico, che le strappammo il suo segreto.
Ritorno al Primo Libro
Grave errore sarebbe ritenere che il Primo Libro del Capitale sia dedicato al ristretto studio dell'azienda capitalista, ossia tutto chiuso nel primo momento, e non esteso agli altri due. Lo è indubbiamente non solo nelle classiche parti storiche, ma pagina per pagina, perfino nota per nota (Marx si autocita di continuo per le stesse note, che potrebbero apparire al frettoloso incidentali o bibliografiche).
Ci consentiamo di fare un passo indietro, sebbene ci basterebbe rinviare il lettore agli "Elementi di Economia marxista" redatti nel 1926-28 e pubblicati in Prometeo e in Programme Communiste.
Scegliamo il secondo paragrafo del XXII capitolo. Titolo del capitolo: Trasformazione del plusvalore in capitale. Titolo del paragrafo: Interpretazione errata della riproduzione in proporzione progressiva.
Siamo all'inizio della Sezione Settima: Il processo di accumulazione del capitale. Vogliamo invitare il lettore a rileggere la "Introduzione" a questa parte. Essa contiene né più né meno che un sommario di quelli che saranno il secondo e il terzo libro dell'opera, al fine di dimostrare che tutto quanto si dice nell'ambito dell'azienda capitalista immaginata a fine di esposizione autonoma ed isolata, è perfettamente valido anche se non si considera ancora la circolazione dei capitali nella società (secondo libro) e la partizione del plusvalore tra vasti strati della società borghese in profitti rendita ed interesse (terzo libro).
Marx con ciò stabilisce che nulla toglie alle conclusioni apertamente già rivoluzionarie del primo Libro (espropriazione degli espropriatori e richiamo formale del politico Manifesto 1847) il fatto di supporre, in quanto si descrive il meccanismo della produzione capitalistica (è qui come ovunque ribadito che non la si studia quale produzione di merci, ma quale produzione di plusvalore, ossia di capitale), come se ci fosse un capitalista solo (azienda) e come se tutto il plusvalore prodotto fosse controllato da lui solo.
La distinzione base tra riproduzione semplice e riproduzione progressiva o accumulazione, se prende il suo pieno gioco solo nel campo sociale e storico, si introduce pienamente anche per il capitalista unico padrone. Nella riproduzione semplice questi volge a consumo personale tutto il plusvalore e riparte in ogni ciclo collo stesso capitale la prima volta anticipato, e quindi non dilata la misura della sua produzione di azienda. Nella riproduzione allargata egli non dedica tutto il plusvalore a consumo, ma ne consuma di meno e col resto forma nuovo capitale, allargando l'azienda e crescendone il prodotto.
Ma già qui si stabilisce un contrasto fondamentale tra l'analisi degli economisti apologeti del sistema borghese, e la nostra analisi.
Ai primi Marx dà ragione in quanto esaltano il capitalista astinente contro quello gaudente. In questo anche essi, freschi rivoluzionarii un secolo fa, fanno non della fredda descrizione ma della agitazione sociale, e contrappongono il nuovo dominatore, il borghese, al signore dell'antico regime, semplice sbafatore del ricavo dello sfruttamento.
Ma Smith, Ricardo e gli altri cadono in un gravissimo errore quando cercano di stabilire la distinzione fra i due tipi di riproduzione del capitale. Al fine di sottolineare i benefizi della famosa "astinenza" del capitalista e della destinazione dei profitti a nuove imprese o a potenziamento della vecchia impresa, essi dicono che nel caso della riproduzione semplice il plusvalore è consumato da lavoratori improduttivi, mentre la parte che si destina a nuovo capitale è consumata da lavoratori produttivi. Marx critica questo concetto, anche se riconosce che Ricardo ha ragione quando dice che non basta non consumare il profitto, che accumulato sotto forma di danaro o di merce non è utile a nessuno, ma che esso deve essere consumato, bensì da lavoratori produttivi
L'errore consiste, Marx chiarisce, nel pensare che il profitto destinato a capitale possa andare tutto a salarii, ossia a capitale variabile. Per allargare il giro della produzione e quindi aumentare il capitale occorre che la maggiore cifra disponibile di plusvalore non consumato vada in parte a salarii, ma in parte anche a maggior capitale costante.
A differenza dei fisiocratici, che con Quesnay lo avevano genialmente tentato (e Marx annunzia che nel secondo Libro lo farà per la società capitalistica) gli economisti borghesi classici si sono dimostrati impotenti a dare un quadro del movimento generale della economia sociale. Smith infatti riteneva che nel cerchio dell'azienda si potesse chiaramente distinguere tra capitale costante e capitale variabile, ma che nel complesso generale della società tutto il capitale si presentasse come capitale variabile. Il valore del capitale sociale varrebbe la somma di tutti i salarii pagati, e con questa finzione si fa apparire tutto il capitale come lavoro "attuale" e si copre e nasconde la iniquità della società borghese.
La tesi opposta sarebbe che tutto il capitale è capitale costante, ossia ricchezza patrimoniale, come quella del rentier che palesemente vive del lavoro altrui.
Marx nel suo "secondo momento" — che qui dunque già appare, come appare chiaramente il terzo — presenterà invece il ciclo del capitale costante e di quello variabile nella riproduzione allargata, mostrando come ed in che misura entrambi si incrementino, in modo che la società abbia in aumento la massa di lavoro annuo e quella di capitale costante.
E' lo stesso concetto di lavoro vivo e lavoro oggettivato che trovasi nella più giovanile stesura dei Grundrisse o fondamenti del comunismo.
Ebbene è questa proprio una considerazione di terzo momento. Fino a che il sistema della circolazione è mercantile e monetario sarà inevitabile che il lavoro vivo degli uomini trascini con sé nella circolazione una parte sempre maggiore (grazie all'aumento appunto della produttività del lavoro) del capitale costante in cui è cristallizzato il lavoro morto delle annate precedenti e delle generazioni passate.
La critica che qui Marx fa a Smith è la critica rivoluzionaria del comunista al difensore del capitalismo. Smith sembra dire che quando tutti i capitalisti saranno astinenti il sistema borghese sarà quella razionale ed ideale di convivenza in una società di lavoratori.
La posizione di Smith si combatte come quella, tanto posteriore a Marx, degli stalinisti russi. Supporre tutti i padroni di azienda astinenti o supporli tutti allontanati o trucidati, vale lo stesso. Ma fino a che il circolo della produzione di plusvalore si realizza col giro monetario, e la attrezzatura della società si potenzia col lavoro salariato, resta in piedi questo mostro del lavoro oggettivato, del lavoro morto. Che dietro di esso vi sia una classe di borghesi minoritaria e gaudente; o un giro di anonime e di cartelli, o uno stato che accetta il capitalismo mondiale e vi convive, respirando la sua stessa atmosfera, è lo stesso sul terreno del terzo momento, e la rivoluzione che libererà l'uomo dalla schiavitù al sinistro mostro del Capitale, è ancora da fare. ,
(continua)
Da "Il Programma comunista" n. 19, 11 ott. 1960.
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.