Il programma comunista quale folgorò a mezzo l'Ottocento, traverso un secolo di rifiuto dell'infetta cultura borghese, illumina ombre del passato. Gruppo di rapporti alla riunione interfederale di Genova 3-4 novembre 1963 - Segue: 2° seduta
Questioni di economia marxista VI
Lo sciupìo in Marx
Una serie di contrattempi del tutto indipendenti dalla nostra volontà ci ha impedito di pubblicare nel numero precedente il testo integrale del paragrafo sullo sciupio in Marx, basato sul famoso cap. XV del primo tomo del Capitale di Marx, in cui sono studiate le "variazioni di grandezza del prezzo della forza-lavoro e del plusvalore" in quattro casi tipici. Perchè la comprensione di questo punto importantissimo sia facilitata, ripetiamo qui la parte dell'ultimo paragrafetto del rapporto pubblicato nel n. 8 del "Programma", indi proseguiamo. Nella nostra trattazione, i primi tre esempi dati da Marx sono presentati in ordine inverso: quindi il terzo, il secondo e il primo ; e ne spieghiamo la ragione.
Marx esamina la variazione di tre grandezze: la durata (in ore) della giornata di lavoro, quella della intensità del lavoro, e quella della produttività del lavoro. Ora nell'ordine da noi adottato il primo e il secondo caso (ore di lavoro e intensità del lavoro) si possono studiare quantitativamente, come abbiamo fatto nell'Abaco dell'Economia Marxista, anche per una azienda, un'impresa isolata, se pure, con misure generalizzate, divengono, o sono diventati storicamente, o possano diventare nell'avvenire un problema sociale per "tutte le aziende private", passando da quello che abbiamo detto momento marxista al secondo momento. Quando invece varia la produttività generale del lavoro (per cause tecnologiche, scientifiche e così via) siamo in pieno secondo momento, e il prezioso testo cui ricorriamo ci apre con slanci luminosi la strada al terzo momento, ossia alla teoria della economia comunista, alla soluzione storica della turpe "equazione dello sciupìo" - che è la Rivoluzione.
I tre casi di Marx, Capitolo XV del classico Primo Tomo, uscito nella classicità della stesura dalle sue mani in una forma insuperabile, badano a farci impostare, scrivere, mettere giù la equazione dello sciupìo, che sta in tutte lettere nelle pagine di lui che sono la piattaforma originale ed invariante della dottrina di classe del proletariato moderno.
Primo caso (terzo in Marx)
Se variano nel loro numero le ore di lavoro a pari produttività ed intensità, il caso più semplice è che il salario non cambi. Tutta questa trattazione come premette l'impeccabile autore è stabilita nella ipotesi che i prezzi siano coincidenti con i valori. Questo vuol dire che il salario non varia sia se considerato nominale (in moneta) sia come salario reale. Il nostro facile calcoletto dell'Abaco mostra che allora, al variare della giornata di lavoro, varierà una sola cosa: (il prodotto totale ed) il plusvalore. Se si lavora tutti più tempo si produrrà una massa maggiore di merci, e se sono fermi prezzi e salari quello che crescerà a dismisura sarà il plusvalore, che nelle mani dei capitalisti darà luogo a riproduzione allargata, a nuovi investimenti. Non solo cresce il plusvalore e profitto di imprese, ma ne cresce anche il saggio, come già storicamente è successo (Inghilterra del primo Ottocento). La ipotesi che si vada da 8 a 12 ore porta il plusvalore da un terzo adotto quindicesimi del prodotto netto (il salario resti dei due terzi), ma il suo saggio da un terzo a ben otto decimi.
Da questo primo caso (che è il terzo di Marx) segue una banale conclusione di primo momento, ovvero alla scala aziendale: se il datore di lavoro riesce ad ottenere dai suoi operai una maggiore quantità di ore di lavoro, e resta lo stesso il salario, lo sfruttamento sarà intensificato, una grande massa di profitto sarà a disposizione del capitalista, e se anche questo non aumenterà il suo consumo (l' astinenza degli economisti classici), vi sarà una grande accumulazione di ulteriore capitale investibile, per quanto per ora riguarda l'unica azienda considerata.
Se avvenisse l'opposto, ossia se la giornata di lavoro in quella azienda fosse ridotta senza abbassare i salari, i lavoratori avranno un vantaggio e il datore di lavoro o dovrà diminuire il suo consumo personale o rinunziare ad ogni possibilità di ingrandire la fabbrica.
Ma attraverso la comparsa della resistenza operaia e del movimento socialista ben presto la questione diviene di secondo momento, ossia la rivendicazione che abbrevia la giornata di lavoro diviene una conquista sociale ed una norma di legge.
In tempi precedenti si era verificato il contrario, ossia l'aumento delle ore di lavoro. Ciò è avvenuto all'inizio del tempo capitalista. Il nostro testo lo ricorda, come abbiamo accennato, per il periodo inglese dal 1799 al 1815. Si ebbe la grandiosa accumulazione del giovane capitalismo inglese, vincitore di Napoleone. Nota 15 (nell'ed. Kautsky; nell'ediz. Dietz è nota 16), dai celebri Essays anonimi: "Una tra le principali cause dell'accrescimento del capitale durante la guerra proveniva dagli sforzi più intensi e fors'anche dalle maggiori privazioni della classe lavoratrice... Un maggior numero di donne e di ragazzi erano costretti dalla necessità a darsi a lavori penosi, e per la stessa ragione gli operai maschi erano obbligati a consacrare maggior parte del loro tempo all'aumento della produzione". La seguente nota 14 è tratta da Malthus, il quale rileva un ancora maggiore "merito patriottico" del proletariato inglese quando cita il ribasso del salario reale che fu dovuto al grave rincaro del grano. Malthus tuttavia da buon feudalista non è tanto negriero quanto il borghese Ricardo, e nota che è contro la sopravvivenza dell'umanità crescere le ore di lavoro e diminuire il pane sia pure "promuovendo l'incremento del capitale". Ricardo e i suoi, nota Marx, sorvolano rispetto alla grande impresa di aver prolungata nel tempo di distress nazionale la giornata di lavoro, e la trattano in dottrina come una costante "naturale".
Vogliamo noi indicare un periodo storico di giovane capitalismo che può essere paragonato al primo Ottocento inglese: ed è quello dei primi piani quinquennali russi (merito non contestato al grande Stalin!). L'alto sforzo di lavoro e il basso compenso degli operai permisero gli altissimi livelli del saggio dell'accumulazione, e condussero ad una ricompensa in forma di riconoscimento di meriti patriottici!
Il numero di ore di lavoro, come salì dal tempo feudale a quello delle prime manifatture e industrie meccaniche, salì certo tra lo Zar e Baffone. Ma soprattutto salì la intensità del lavoro (ombra di Stachanov!) che ci dà agio di passare al secondo caso.
Secondo caso di Marx (e nostro)
Malthus aveva capito che aumentare illimitatamente le ore di lavoro, specie a parità di salario e di alimenti, ha un limite: non solo quello delle 24 ore, ma almeno quello del sonno-riposo. Se un lavoratore dorme solo sei ore e lavora le altre diciotto, il suo prodotto di un'ora scenderà di molto rispetto al caso in cui lavora solo otto ore e rispetta la formula, un poco quacquera: otto di lavoro, otto di sonno, otto di svago (!?). Allora se la si tira troppo, il prodotto ed il plusvalore non saliranno in proporzione delle ore, come supposto nelle formulette, ma alquanto di meno.
Per tale motivo già gli inglesi, davanti alla diminuzione generale delle ore di lavoro, avevano notato che vi sarebbero stati dei fattori di compensazione (nota 13 nel testo). Se il lavoratore potrà respirare due ore di più, ognuna delle sue otto ore renderà molto di più che ognuna delle pesanti dieci (o peggio) di prima.
Quindi per lavoro più breve si ha lavoro più intenso. La società, la nazione, e per noi la borghesia, fanno un buon affare.
Comunque il caso della intensità variabile studiamolo, come nell'Abaco, in condizioni di primo momento, e cioè per una sola azienda. La giornata non varia, i prezzi generali non variano e nemmeno il salario. Ma si ottiene (poniamo a frustate, o con i non meno ignobili "premi agli esempi di rendimento"), che gli operai lavorino più fitto.
Se in ogni ora si ottiene il 20 per cento in più, a parità di ore il prodotto aumenterà del 20 per cento. Nell'Abaco sono le formule che mostrano come sale il plusvalore e anche il suo saggio. Qui ci limitiamo a dare il risultato della loro applicazione al normale esempio numerico. Due terzi del prodotto erano capitale variabile, un terzo plusvalore. Senza mutare il tempo di lavoro, si ottenga la intensità cresciuta del 20 per cento.
Il plusvalore che era un terzo è diventato 8/15, ossia 8/18 del prodotto. Il salario, restato fermo, è però ora in rapporto al prodotto netto diurno 10/18; ossia ben meno dei 2/3. Il saggio di plusvalore che era 1/2 sale a 8/10.
Se ora vogliamo passare dal primo al secondo momento dovremmo supporre che l'aumento della intensità del lavoro non avvenga in quella sola azienda, ma in tutto il campo sociale. Ma non lo facciamo perché si passa semplicemente dal terzo al primo caso che Marx tratta nel famoso XV Capitolo del Primo Tomo.
Infatti tale ipotesi è appunto che tutto il lavoro umano sociale, nella media, divenga più intenso, più produttivo. In questo testo di Marx o almeno in questo metodo di calcolo quantitativo, che noi al solito abbiamo preso immutato, la circostanza considerata è appunto che lo scatto di rendimento sia avvenuto in tutto il campo della società, anziché in una singola impresa. In Marx stesso giocano due concetti, ossia la potenza del lavoro può aumentare come intensità, quando il lavoratore fa di più nella stessa ora per maggiore impegno (al che il vero incentivo sarebbe un drastico abbreviamento delle ore di sforzo), o come produttività, quando un nuovo utensile o macchinario permette con meno operai e in meno tempo lavorativo di avere lo stesso prodotto. Che i due concetti distinti siano ben presenti a Marx si può leggere nel testo, al principio del paragrafo sul suo primo caso. Esempio: "se una ora di lavoro di intensità normale produce un valore di mezzo scellino, una giornata produrrà... a valore della moneta invariabile, sempre sei scellini per 12 ore. Quando la produttività del lavoro aumenti o diminuisca (sempre ad intensità normale) la stessa giornata darà una quantità più o meno grande di prodotti (leggi quantità fisica) e lo stesso valore di 6 scellini si distribuirà su un numero (o quantità) più o meno grande di merci".
È dunque ben chiaro. Nel primo e secondo caso trattati, che sono il terzo e il secondo in Marx, non si considerano ancora variazioni universali nel campo sociale, o almeno non è di rigore farlo nel calcolo (poi vi è il IV paragrafo, che tratta, e vedremo come, le variazioni di tutte le grandezze). Nel primo caso di Marx, che noi trattiamo come terzo, varia la misura sociale del valore, ossia quello che si produce in una giornata di medio lavoro umano. Non dimentichiamo che noi misuriamo il valore dal tempo di lavoro medio, e questo ci va bene per le considerazioni di primo e secondo momento, ossia al fine di trovare la misura dello sciupìo di valore, e quindi anche di lavoro, dovuta al sistema capitalista, indicandola in termini di valore capitalista; quando con Marx saliamo al terzo momento, ossia alla economia socialista, del valore non ce ne frega più nulla, e così del plusvalore e del capitale, e abbiamo a che fare solo con grandezze naturali fisiche: numero di ore di uomini e di unità di prodotti (dal metro al chilowattora).
Terzo caso (primo in Marx)
La giornata di lavoro ora non muta, ma il prodotto di un'ora e quindi di una giornata aumenta in tutto il campo sociale della produzione. Ciò ha per effetto che tutti i valori delle merci scendono nello stesso rapporto. Tra essi anche quello della merce lavoro, e quindi il salario. Gli operai avranno quindi lo stesso salario reale, con un diminuito salario nominale. I prodotti saranno come quantità fisica saliti nello stesso rapporto della potenza del lavoro, ma il loro valore in economia di mercato sarà rimasto lo stesso per la uguale ed inversa riduzione dei prezzi. Le formuline stanno nell'Abaco, e qui come fa il nostro Maestro diamo delle cifre; la verifica può essere per il lettore un "esercizio" divertente. Salga la produttività generale del 20 per cento. Il valore aggiunto nella produzione sarà sempre lo stesso, e in cifra sia 1 (uno).
L'ipotesi è che il capitale variabile era 2/3 e il plusvalore 1/3. Il primo ossia il salario è diminuito, abbiamo detto, ai 5/9. Il plusvalore sale ai 4/9. Il saggio del plusvalore, che era solo 1/2, sale audacemente ai 4/5.
Possiamo dare lo specchietto dei benefizi "patriottici" che attendono i lavoratori quando la gloriosa produttività del lavoro nazionale aumenta.
Quando si stava peggio:
L = 1 v = 2/3 p = 1/3 s = 1/2
Ora che si sta meglio:
L = 1 v = 5/9 p = 4/9 s = 4/5
Marx prende tre leggi che sono date per il primo da Ricardo. Vale la pena di dare la eloquente seconda che esprime il nostro specchietto, usando la parola salario al posto della espressione valore della forza di lavoro, che si vede usata nelle edizioni correnti e che era meglio fosse prezzo della forza di lavoro, come nel titolo già riportato del capitolo. Ciò conferma che seguiamo colle nostre formulette strettamente il testo.
2. Il salario e il plusvalore variano in senso inverso. Il plusvalore varia con la produttività del lavoro, ma il salario varia in senso opposto".
Salariati! Ci avete studiato cent'anni; e ora, voce: Viva l'Italia! Viva la Russia!
Pagina di fiamma
Dai tempi di Marx ad oggi è mutata la durata del lavoro (in meglio), è mutata la produttività del lavoro (in meglio) ed è mutata la remunerazione del lavoro (in meglio). Ma quello che noi vogliamo dimostrare, sui grugni egualmente odiosi degli apologisti del capitale e di quelli della sua riforma, è che la dilapidazione della potenza produttiva umana, l'alienazione della umanità dell'uomo, sono mutate di gran lunga in peggio. E questo è scritto in Marx; è vero con le letterine algebriche ed è vero coi numeretti.
Parli ora il testo, nel paragrafo IV del Capitolo esposto.
Il testo dice dapprima che parrebbe che la giornata di lavoro possa ridursi al tempo di lavoro necessario. Fin qui esso copriva due terzi della giornata, ma già Marx prima di morire lo calcolava una metà (classiche cifre di 400 di costante, 100 di variabile e 100 di plusvalore). Con tali cifre la composizione organica del capitale era di 4 ad 1, ma in un secolo la produttività del lavoro è cresciuta enormemente - ma inutilmente dato che siamo in regime mercantile. Ecco il nostro punto di arrivo. Tuttavia Marx qui avverte lo stesso che dice nella Critica al programma di Gotha tanti anni dopo; è vero che con la eliminazione dello sciupìo di primo momento possiamo scendere al lavoro necessario, ossia da otto a quattro ore, ma "non bisogna dimenticare che una parte dell'attuale sopralavoro, quella che è destinata a costituire un fondo di riserva e di accumulazione (cioè una provvista di mezzi di produzione di esistenza che permetta di allargare la produzione e di far fronte agli eventuali sinistri e perdite) verrebbe allora contata come lavoro necessario, e che l'attuale grandezza del lavoro necessario è solamente limitata alle spese di mantenimento di una classe di schiavi salariati, destinata a produrre la ricchezza dei loro padroni". Ciò vuol dire che il consumo proletario deve salire e di molto, ma vi sono ben altri margini nelle successive formule dello sciupìo per indurre a ben drastiche riduzioni delle quattro ore. Già nel 1910 la scuola marxista austriaca ne calcolava due e meno al giorno.
Ma lasciamo le vicende della fradicia economia borghese e saliamo a mirare l'apice del nostro terzo momento. È Marx che lo fa, come sempre senza preavviso, talché l'incauto immediatista e concretista passa ad occhi chiusi (qui seguiamo il più fedele testo Dietz):
"Quanto più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, e quanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, tanto più potrà crescere l'intensità del lavoro. [Verità cristallina in una società che non sia snaturata e disumanata]. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia. Quest'ultima comprende non soltanto il risparmio dei mezzi di produzione, ma l'esclusione di ogni lavoro senza utilità . Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, [volgarissimo primo momento !] il suo anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-lavoro sociali, oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente indispensabili, ma in sé e per sé superflue".
La fine di questo meraviglioso capitolo rivoluzionario vuole fare una misurata concessione ad un puro argomento di giustizia livellatrice. Ma nello stesso tempo lo sguardo è sulle funzioni più alte e nobili della umana specie.
"Date l'intensità e la forza produttiva del lavoro [questo vuol dire subito, 1860 e 1960 che sia, senza aspettare altri miracoli della degenerante scienza tecnologica, o altri suoi delitti] la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve e la parte di tempo conquistata per la LIBERA ATTIVITÀ MENTALE E SOCIALE DEGLI INDIVIDUI SARÀ QUINDI TANTO MAGGIORE, quanto più il lavoro sarà distribuito uniformemente su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sé la necessità naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite assoluto dell'abbreviamento della giornata lavorativa è sotto questo aspetto la universalizzazione del lavoro".
"Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse".
Da "Il programma comunista" n.9, 30 apr. - 13 magg. 1963.
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.