Il partito di fronte alla "questione sindacale"
Le note che seguono rappresentano la conclusione della lunga serie intitolata "Basi storico-programmatiche del comunismo rivoluzionario circa il rapporto tra partito, classe, azione di classe e associazioni economiche operaie", e apparsa nei cinque numeri precedenti, cui sono organicamente collegate.
I - Punti di principio
1) "La giusta prassi marxista insegna che la coscienza del singolo o anche della massa segue l'azione e che l'azione segue la spinta dell'interesse economico. Solo nel partito la coscienza e, in date fasi, la decisione di azione precede lo scontro di classe. Ma tale possibilità è inseparabile organicamente dal gioco molecolare delle spinte iniziali fisiche ed economiche" (in Il rovesciamento della prassi).
Capovolgendo lo schema idealistico di interpretazione degli eventi umani, il marxismo vede nella storia l'arena di lotte fra classi determinate ad agire su schieramenti antagonistici da bisogni e interessi materiali e, solo dopo, spinte dal corso di tali lotte, a prendere coscienza della direzione nella quale si muovono. L'intera scala ascendente delineata dal Manifesto, dalle prime e istintive reazioni allo sfruttamento capitalistico fino alla costituzione del proletariato in classe, quindi in partito, e all'organizzazione della classe in classe dominante attraverso la presa del potere e l'esercizio della dittatura, non solo ha le sue necessarie radici in determinazioni economiche elementari, a loro volta riflesso del premere delle forze produttive contro l'involucro dei rapporti di produzione, ma trae continuo alimento da esse. Come è vero che le rivoluzioni non si fanno ma si dirigono, così è vero che si dirigono solo in quanto le grandi masse proletarie, non per coscienza né per volontà esplicita, e neppure in quanto tale coscienza e tale volontà siano state trasmesse loro in tutta la loro estensione dal partito, sono deterministicamente costrette a farle.
2) "Dal modo dialettico di considerare la formazione della coscienza di classe, della organizzazione unitaria del partito di classe", risulta che questo, come "trasporta un'avanguardia del proletariato dal terreno dei moti spontanei parziali suscitati dagli interessi di gruppi sul terreno dell'azione proletaria generale", così "non vi giunge con la negazione dei moti elementari, bensì consegue la loro integrazione e il loro superamento attraverso la viva esperienza, con l'incitarne l'effettuazione, col prendervi parte attiva, col seguirli attentamente in tutto il loro sviluppo" (in Tesi di Roma, III, II).
Ne segue: 1) che l'opera di propaganda e di proselitismo, da un lato, e la consistenza numerica e il grado di influenza reale su strati più o meno estesi del proletariato, dall'altro, sono inseparabili per il partito "dalla realtà dell'azione e del movimento proletario in tutte le sue esplicazioni", e 2) che è "un banale errore il considerare contraddittoria la partecipazione a lotte per risultati contingenti e limitati con la preparazione della finale e generale lotta rivoluzionaria".
È tesi irrinunciabile del marxismo, e quindi nostra, che tale collegamento, ora largo e profondo ora ristretto ed episodico a seconda delle condizioni oggettive, mai conseguibile a mezzo di espedienti tattici slegati dai principii, rappresenta in tutte le circostanze uno dei compiti fondamentali del partito, e che d'altra parte solo in virtù di esso la lotta economica proletaria può trasferirsi dal livello tradeunionistico - dal punto più alto al quale può giungere da sé (Lenin) - al livello di lotta di tutta la classe sfruttata contro tutta la classe sfruttatrice, e, quando vi concorrano le necessarie premesse oggettive, di lotta rivoluzionaria per l'abbattimento del potere statale concentrato e dittatoriale del capitalismo e l'instaurazione di un potere statale concentrato e dittatoriale proletario.
3) Parte integrante di questo compito, per le stesse ragioni di principio, è la partecipazione del partito, attraverso i suoi gruppi, alla vita organizzativa di tutte le forme di associazione economica del proletariato aperte a lavoratori - e soltanto lavoratori - di ogni fede politica, che di tutte quelle lotte elementari sono - giusta il Manifesto e tutti i testi del marxismo - il necessario prodotto.
Posizioni fondamentali del partito sono: 1) l'affermazione che il sindacato operaio, come ogni altra forma di organizzazione immediata anche non esclusivamente economica, non è mai di per sé rivoluzionario, ché anzi tende per la sua stessa immediatezza e per la presenza di interessi contingenti discordanti fra gruppi di operai a rinchiudersi nell'orizzonte gretto e corporativo di un'azione minimalista e riformista, può tuttavia divenire un vitale strumento della rivoluzione e, prima ancora, della preparazione del proletariato ad essa, nella misura in cui il partito conquisti nel suo seno, cioè fra le masse organizzate, un'influenza rilevante e che: 2) per l'utile svolgimento di tale compito, e ai fini stessi dell'azione rivoluzionaria finale, uno dei cui presupposti è la centralizzazione delle forze operaie, è auspicabile che esso sia unitario, cioè comprenda tutti i lavoratori posti in una specifica situazione economica. Corollario di questa tesi è che alle tendenze degenerative, o alla degenerazione in atto, degli organismi economici, non si ovvia con la creazione di organismi immediati di diversa forma, meno che mai con organismi a carattere locale o aziendale la cui apparizione è bensì un dato necessario dello svolgersi dei conflitti sociali e, a volte, un sintomo positivo dell'insofferenza delle masse operaie per la prassi opportunistica o addirittura controrivoluzionaria delle centrali sindacali; organismi sui quali il partito può in date circostanze far leva, centralizzandoli, ma che, presi a sé, ripetono sul piano organizzativo le deficienze, le angustie, le debolezze delle lotte economiche parziali.
4) Conformemente alla tradizione marxista, la Sinistra ha quindi sempre considerato e il Partito considera condizioni della sua stessa esistenza come fattore operante della preparazione del proletariato all'assalto rivoluzionario e della sua vittoria:
a) l'erompere su vasta scala e in forma non episodica di lotte economiche - e l'intensa partecipazione del Partito ad esse per gli scopi indicati;
b) la presenza di una rete non labile e non episodica di organismi intermedi fra sé e la classe, e il suo intervento in essi al fine di conquistarvi non già necessariamente la maggioranza e con ciò la direzione, ma un'influenza tale da poterli utilizzare come cinghia di trasmissione del suo programma fra le masse operaie organizzate e da imbeverne almeno gli strati operai più combattivi.
Non rientra nella classica impostazione marxista, ed è anzi di chiara provenienza idealistica, né il presupporre come condizione dell'appartenenza ai sindacati e del lavoro politico rivoluzionario del partito comunista in essi una loro pretesa "purezza" da influenze controrivoluzionarie - che mai organismi immediati possono attingere e dalle quali neppure il partito è per essenza indenne -, né il contrapporre ad associazioni sindacali dirette da altri partiti sedicenti operai associazioni di soli comunisti. "Nel sindacato operaio - scrive la Piattaforma politica del Partito - entrano lavoratori appartenenti singolarmente ai diversi partiti o a nessun partito; i comunisti non propongono né provocano la scissione dei sindacati per il fatto che i loro organismi direttivi siano conquistati e tenuti da altri partiti, ma proclamano nel modo più aperto che la funzione sindacale si completa e si integra solo quando alla dirigenza degli organismi economici sta il partito di classe del proletariato" - e ciò non soltanto ai fini della lotta rivoluzionaria finale, in cui i sindacati o altri organismi intermedi, se diretti o anche solo influenzati in modo determinante dal partito, giocano un ruolo positivo, benché non sufficiente (neanche il partito lo può), né risolutivo (e il partito, quando ne esistano le condizioni, lo può certamente), mentre in caso contrario rischiano di giocare un ruolo controrivoluzionario; ma anche ai fini della lotta per il conseguimento di vantaggi economici immediati.
Come tuttavia il partito considera (e insegna agli operai a considerare) le rivendicazioni e le lotte economiche non come fini in sé, ma come mezzi necessari alla preparazione, all'addestramento e all'organizzazione del proletariato in vista dei suoi obiettivi ultimi (giacché, se divenissero fini, ribadirebbero il rapporto salariale invece di tendere a distruggerlo), così vede e dichiara apertamente di vedere nelle forme immediate di associazione degli operai non iltraguardo della lotta di emancipazione dal capitale, ma uno strumento che il partito deve e può utilizzare per il raggiungimento delle massime finalità del comunismo, non elevandolo perciò - come non eleva nessuna forma di organizzazione - a sacro e intangibile feticcio.
II - Evoluzione storica e prospettive degli organismi intermedi della classe operaia
1) Le considerazioni di cui sopra, che fissano i punti di principio senza i quali ogni precisazione di direttive di azione e di orientamento pratico riuscirebbe vana, sarebbero tuttavia incomplete se non fossero integrate dall'analisi del percorso storico che l'associazionismo operaio ha attraversato dal trionfo del modo di produzione capitalistico fino alla sua fase senescente imperialistica, sulla scorta di quanto, nel secondo dopoguerra, il Partito ha precisato nei suoi testi base.
Ad una fase iniziale, in cui la borghesia vittoriosa proibì e disperse con la forza le prime associazioni di resistenza operaie spingendole di rimbalzo sul terreno della lotta politica aperta e violenta - cosicché la I Internazionale poté nascere in parte come affasciamento di associazioni economiche inquadrate dal Consiglio Generale in un corpo programmatico di tesi rivolte alla preparazione dell'attacco rivoluzionario al potere politico delle classi dominanti, presidio del loro potere economico -, seguì una fase in cui la borghesia credette più opportuno, anzi necessario ai fini della stabilità del suo dominio, tollerare e infine permettere le coalizioni tra salariati e, nello stesso tempo, adoperarsi per attrarle nell'orbita della sua politica sfruttando i rapporti e compromessi via via conclusi coi dirigenti sindacali riformisti e facendo leva su un'aristocrazia operaia interessata al mantenimento dell'ordine politico e sociale cui erano legati i suoi - più o meno fittizi, comunque rovinosi agli effetti della coscienza e combattività di classe - privilegi.
L'esperimento, al quale reagirono nell'ambito stesso dei sindacati le battaglie correnti di sinistra del socialismo, e che alimentò di riflesso - soprattutto in Italia, Francia, e America - l'illusione anarcosindacalista di garantirsi contro l'opportunismo minimalista creando organizzazioni economiche alternative e per virtù intrinseca rivoluzionarie, sfociò nella maggioranza dei paesi nell'aperta collaborazione di guerra, parallela all'Union sacrée dei partiti politici operai (e va detto che dalla dégringolade ben pochi anche degli organizzatori sindacali anarcosindacalisti si salvarono) e in una minoranza esigua di paesi in un pavido e tutt'altro che convinto neutralismo.
2) Il primo dopoguerra vide le grandi centrali sindacali schierate sul fronte della socialdemocrazia, di cui d'altronde, coi gruppi parlamentari, formavano i pilastri; quindi sul fronte della conservazione dello status quo, dall'estremo tedesco della collaborazione coi governi socialdemocratici nella repressione dei moti proletari o da quello americano del sabotaggio degli scioperi e della salvaguardia dell'ordine costituito in funzione degli interessi della manodopera qualificata, all'altro estremo (per esempio italiano) di un imbelle minimalismo e di un più o meno larvato accostamento agli istituti della democrazia parlamentare borghese.
La straordinaria vitalità della classe, la persistenza di una tradizione di lotta sindacale, l'afflusso nelle organizzazioni tradizionali di masse imponenti spinte ad agire dalla pressione inesorabile della crisi post-bellica e composte in prevalenza di operai non qualificati, ebbero tuttavia per effetto che l'opportunismo, il quale, attraverso i vertici sindacali, giocava il ruolo di cinghia di trasmissione delle ideologie e quindi delle pratiche borghesi nelle organizzazioni operaie non potesse impedire che i sindacati vivessero dell'intensa vita sindacale e anche politica di una "base" che in diversi paesi era in impetuoso fermento, accesa dalla fiamma dell'Ottobre rosso e perciò accessibile alla propaganda rivoluzionaria comunista. Così, pur riflettendo le tendenze oggettive della fase imperialistica, l'opportunismo non fu in grado di fungere allora, nella stessa misura di oggi, da agente diretto dell'infeudamento delle organizzazioni sindacali allo Stato.
L'Internazionale ricostruita sulla base della restaurazione integrale della dottrina marxista poté quindi non solo propugnare la necessità per i comunisti di svolgere un lavoro rivoluzionario, senza esclusione di mezzi legali ed illegali, nei "sindacati anche i più reazionari", ma non escludere - salvo casi, come quello dell'AFL., di chiusura dichiarata non pure alla propaganda rivoluzionaria ma alla grande massa dei salariati - la loro conquista, comunque nei casi specifici questa dovesse o potesse effettuarsi (e in ogni caso si sarebbe effettuata attraverso violente battaglie contro l'opportunismo annidato al vertice e in larghi strati della "base" delle organizzazioni esistenti), dando nello stesso tempo la direttiva di appoggiare le organizzazioni sorte in antitesi alle centrali ufficiali sotto la pressione del disgusto di proletari combattivi per la prassi dei "bonzi" e della loro volontà di battersi sul terreno della lotta di classe aperta e diretta, aiutandoli così a liberarsi dei loro pregiudizi anarcosindacalisti e non esitando, ove ciò si imponesse per ragioni obiettive, a favorire su scala generale la scissione dei vecchi e imputriditi organismi economici (Tesi del II Congresso 1920).
3) Una situazione particolarmente limpida, sotto questo profilo, esisteva in Italia, e ne parliamo perché - meglio di ogni altra in Occidente - essa aiuta a capire il nocciolo delle metamorfosi avvenute più tardi sotto la duplice influenza della vittoria del fascismo e della feroce ondata controrivoluzionaria staliniana.
Le tre organizzazioni che a buon diritto si chiamavano rosse - CGL, USI, e SF - si contrapponevano qui alle associazioni di chiara origine padronale che passavano sotto il nome di gialle e bianche: erano nate per iniziative di partiti o correnti dichiaratamente classisti, propugnavano e, nella misura compatibile con le propensioni opportunistiche delle loro direzioni, applicavano i metodi della lotta di classe e dell'azione diretta contro il padronato, mantenevano e non avrebbero mai potuto accettare di sacrificare la propria tendenziale autonomia da poteri o uffici di stato; avevano dunque alle spalle una tradizione che non era una formula astratta o un articolo di statuto, ma si incarnava da un lato in masse organizzate combattive e dall'altro in una struttura articolata in una fitta rete di leghe e Camere del Lavoro, in cui queste trovavano il naturale punto di incontro fra tutte le categorie, spesso il circolo operaio, non di rado la sede di partito, e infine una roccaforte da escludere al prete non meno che al funzionario di stato, o, che è lo stesso, al poliziotto, e da difendere con le armi in pugno dagli attacchi congiunti delle forze dell'ordine democratico e delle squadre fasciste, una tradizione reale e materiale che tracciava limiti precisi agli stessi opportunisti - dall'esterno e, in un grado oggi impensabile, perfino dall'interno. Aperte a tutti i salariati di qualunque fede politica o religiosa, quindi anche all'influenza del partito rivoluzionario marxista, esse erano - e restavano malgrado la loro direzione opportunista - sindacati di classe. La controprova di questa loro natura organicamente rossa è data dal fatto che, da una parte, la classe borghese disperatamente tesa a stringere le sue membra disjecta in un tipo di organizzazione centralizzato e centralizzatore, quindi a sopprimere in primo luogo l'autonomia del movimento operaio, dovette prendere direttamente d'assalto le sedi sindacali, leghe e Camere del Lavoro, e, conquistandole, distruggere la rete organizzativa tradizionale per costruirsene una nuova a proprio uso e consumo; e, dall'altra, nella fase terminale dello scontro coi fascisti, la Sinistra poté agitare la parola della difesa dei sindacati rossi tradizionali e della necessità del risorgere di essi, quando fossero stati distrutti, nell'aperto sabotaggio dei sindacati corporativi e statali (Tesi di Lione, III, II).
Non si tratta di concedere patenti di classismo agli organizzatori riformisti dell'epoca, ma di "allineare contributi di fatti utili per la comprensione dell'evolversi del regime capitalistico e delle reazioni ad esso del movimento operaio, il quale nelle sue forme organizzative e nelle sue tendenze non può non risentirne le ripercussioni" (Cfr. Le scissioni sindacali in Italia, 1949 ), e per capire come nel 1921-23, per il Partito diretto dalla Sinistra, il problema non solo di lavorare in quei sindacati per istituire un legame con le masse organizzate e influenzarle, ma di scardinarne i vertici opportunisti, fra l'altro promuovendo a questo scopo il confluire nella Confederazione Generale del Lavoro delle altre due centrali autonome, si risolvesse da sé in un incontro ovvio e naturale fra posizioni di principio e realtà dei rapporti e conflitti sociali, nonché delle forme ad essi corrispondenti.
4) Ferme restando le questioni di principio, ribadite anzi con ancor più tagliente fermezza in rapporto allo sfacelo del movimento non solo comunista ma in genere operaio in tutto il mondo, il Partito ha costantemente negato nel secondo dopoguerra che la fase aperta dalla cessazione del conflitto potesse configurarsi ed essere interpretata come una riproduzione meccanica del quadro sociale offerto dal primo.
In realtà, nel ventennio circa che va dal 1926 al 1945, i rapporti di forza fra le classi erano stati capovolti per l'azione congiunta della devastazione stalinista e dell'ordinarsi del mondo capitalistico, anche là dove sussiste (noi dicemmo, anzi, soprattutto là dove sussiste) l'ipocrisia delle consultazioni democratiche e delle libertà civili, in senso totalitario, centralizzatore, e, per dir tutto in uno, fascista. Malgrado la cesura del 1914 e dell'Union sacrée la I Guerra Mondiale e lo schieramento dell'opportunismo, nella maggioranza dei paesi, sul suo fronte, non avevano avuto il potere di spezzare quella continuità programmatica e tattica, incarnata dovunque da gruppi seppur esili di opposizione, nella quale il marxismo ha sempre riconosciuto il presupposto e, se si vuole, la garanzia della ripresa di classe dopo la sconfitta anche più bruciante. Lo stalinismo, attraverso la distruzione anche fisica dell'Internazionale comunista, come attraverso i fronti popolari e l'ingresso dell'URSS nella Società delle Nazioni, ha invece posto la enorme suggestione di una "Russia socialista" al servizio della sottomissione integrale del movimento operaio organizzato, politico e sindacale, ai dettami della classe dominante imperialistica, per consegnare infine il proletariato, vittima inerme su un fronte e, peggio ancora, carne da cannone volontaria sull'altro, alla "ruota di Jaggernaut" del massacro imperialistico.
È al coperto di questa immane devastazione, incomparabilmente più grave per tenacia di riflessi rovinosi di qualunque sconfitta in campo aperto, che l'evoluzione del capitalismo in senso accentratore e disciplinatore ha compiuto passi da gigante, di cui si può misurare tutta la portata solo se non si concentra lo sguardo sulla manifestazione più appariscente del fenomeno, fascismo o nazismo che si chiami, per seguirne invece le tappe progressive negli Stati Uniti di Roosevelt, nella Francia del fronte popolare, nella classica democrazia svizzera come nella democrazia "socialisteggiante" dei paesi scandinavi e più tardi nell'Inghilterra del welfare, dove la pratica generale, di stampo squisitamente totalitario, divenne quella di "attrarre il sindacato operaio fra gli organi statali, sotto le varie forme del suo disciplinamento con impalcature giuridiche" (si pensi alla "pace del lavoro" elvetica, alla disciplina dello sciopero in Scandinavia, America e più di recente Inghilterra) e nello svuotarlo di una parte cospicua delle sue funzioni assistenziali, protettive e contrattuali, a favore di appositi enti di stato, magari sotto l'egida di una democrazia "progressista" (la Francia di Blum!) restituita alla sua "verginità", auspice il Cremlino, in nome dell'antifascismo.
In tutti i paesi sopra ricordati, una lunga tradizione riformista, sulla quale veniva ora ad innestarsi, coonestandola, lo stalinismo, permise il passaggio indolore e quasi inavvertito alle ultimissime forme di amministrazione centralizzata (e perfino di gestione economica diretta) del dominio capitalistico: non a caso invece, nei due paesi in cui la minaccia della rivoluzione proletaria era stata, nel primo dopoguerra, più imminente - Italia e Germania -, il compito venne affidato al fascismo, nel quale la Sinistra additò fin dall'inizio non solo lo sbocco necessario, ma la piena realizzazione storica del "riformismo sociale". Il risultato fu nei due casi identico: distruzione dell'autonomia - di qualunque margine di autonomia - del movimento operaio anche là dove questo non era stato fisicamente e sanguinosamente prostrato, e possibilità per la classe dominante di "maneggiare e dirigere coi più vari mezzi non solo gli organismi costituzionali democratici interclassisti, ma anche quelli che per la base associativa raccolgono solo proletari", grazie al loro "stretto controllo e assorbimento, per cui tutte le loro tradizionali funzioni tecniche, associative, economiche e politiche sono ogni giorno più esercitate da organi e uffici dell'inquadramento statale ufficiale" ( Analisi dei fattori oggettivi che pesano sulla ripresa del movimento proletario, 1950).
È sotto il segno della dominazione totalitaria dei mostri statali vittoriosi nella "crociata antifascista" della II Guerra Mondiale - vinti da parte loro sul terreno politico e sociale, perché allineatisi in perfetta continuità sullo schieramento fascista -, che "rinacque" in Italia la Confederazione Generale del Lavoro e si ricostruirono nella Francia già occupata dal nazismo le tre centrali "storiche" (la terza, anzi, nata allora). Nacque, la prima - su un terreno reso sgombro da tradizioni associative classiste grazie allo stalinismo, e largamente invaso da organizzazioni assistenziali e previdenziali di stato trasmesse dal fascismo - attraverso "un compromesso non fra tre partiti proletari di massa, che non esistono, ma fra tre gruppi di gerarchie di cricche extraproletarie pretendenti alla successione del regime fascista", con una soluzione che il Partito dichiarò fin dal 1944-45 doversi combattere "incitando i lavoratori a rovesciare tale opportunistica impalcatura di controrivoluzionari di professione"; dunque, come proiezione in campo sindacale del CLN, della nuova alleanza controrivoluzionaria di segno democratico, e come strumento (dimostratosi poi efficacissimo) di ricostruzione dell'economia col sudore e se occorre col sangue dei proletari. Nacquero, le seconde, divise ma tenute sotto controllo dalle stesse forze associate al governo, e con lo stesso obiettivo. Non esisteva più, neppure sotto direzione riformista, una confederazione rossa; esisteva una confederazione tricolore, né - secondo il Partito - questa realtà poteva essere modificata dalla scissione del 1949 in Italia, intervenuta per motivi totalmente estranei a qualunque differenziazione di classe, nel quadro dei dislocamenti verificatisi nelle alleanze di guerra imperialistiche.
All'assenza delle condizioni minime di un'autonomia di classe delle organizzazioni economiche esistenti si aggiungevano i due fattori: 1) di una sudditanza pressoché totalitaria del proletariato alle forze dell'opportunismo - sudditanza resa ancor più diretta dal peso materiale della Russia e relative agenzie politiche da un lato, delle forze di occupazione alleate dall'altro, e inevitabilmente tradottosi nell'assorbimento di ideologie piccolo borghesi o addirittura borghesi -, 2) di una "mutata relazione fra datore di lavoro e operaio salariato", per cui, a seguito delle diverse "misure riformiste di assistenza e provvidenza", questo ultimo gode di "una piccola garanzia patrimoniale... ha dunque qualcosa da rischiare, e ciò... lo rende esitante e anche opportunista al momento della lotta sindacale e, peggio, dello sciopero e della rivolta" (Cfr. Partito ed azione economica, 1951).
Da questo fatto noi non abbiamo mai concluso né mai saremo indotti a concludere il "definitivo imborghesimento" della classe operaia e quindi, alla Marcuse, la fine della sua missione storica obiettiva, ma è innegabile che esso ha costituito e costituisce una remora alla ripresa dell'azione perfino economica, non diciamo poi dell'azione rivoluzionaria, anche se, domani, si convertirà in un coefficiente di ulteriore squilibrio nelle condizioni di reale, non fittizia, insicurezza dei ridivenuti "senza riserva". È anche perciò che l'opportunismo appare oggi ed è mille volte più virulento che in qualunque epoca della storia dei conflitti sociali: esso penetra per mille vie non più solo nello strato relativamente labile e ristretto di un'aristocrazia operaia, ma nel corpo stesso di un proletariato già "infetto di democratismo piccolo-borghese fino alle midolla (Cfr. Considerazioni...,1965).
Il quadro mondiale postbellico dell'associazionismo operaio è dunque quello di sindacati o direttamente inseriti negli ingranaggi statali, come nel blocco capitalista dell'Est, o vitalmente legati ad essi per vie tanto più efficaci, quanto più ipocritamente sotterranee, come nel blocco capitalista dell'Ovest (ci riferiamo qui all'epicentro della scena mondiale dell'imperialismo, l'area euro-americana: meriterà uno studio a parte l'evoluzione degli organi sindacali nei settori "periferici" dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina) nulla togliendo a questa realtà costantemente denunciata nei testi fondamentali del Partito l'esistenza in alcuni paesi di centrali plurime, d'altronde avviate - come in Italia - non già ad un "ritorno alla situazione del CLN" (dalla quale di fatto non si sono mai allontanate) ma all'aperta dichiarazione di essere rimaste, dietro ogni apparenza ingannatrice, le stesse di allora: un unico blocco controrivoluzionario, cinghia di trasmissione di ideologie, programmi e parole d'ordine borghesi.
5) Il processo - dichiarammo nel 1949 e ripetiamo oggi - è irreversibile come lo è l'evoluzione in senso accentratore e totalitario, in economia e in politica, del capitalismo imperialista, e fornisce "la chiave dello svolgimento sindacale in tutti i grandi paesi capitalisti". È però nostra certezza scientifica la reversibilità del processo che da oltre trent'anni separa la classe dal suo partito e le fa sembrare inverosimile o addirittura impossibile il comunismo; è nostra certezza scientifica che se "il procedere sociale ininterrotto dell'asservimento del sindacato allo Stato borghese" è iscritto nella dinamica delle determinazioni oggettive della fase imperialistica del capitalismo, sono pure iscritti in essa l'erompere mondiale della crisi economica e l'esplodere della ripresa generalizzata della lotta di classe, per lontana che appaia oggi. La vera, duratura e fondamentale conquista di una simile ripresa sarà il ritorno sulla scena storica, come fattore agente, dell'organizzazione severamente selezionata e centralizzata del partito, ma ad essa si accompagnerà necessariamente anche la rinascita di organizzazioni di massa, intermedie fra la larga base della classe e il suo organo politico. Queste organizzazioni possono anche non essere i sindacati - e non lo saranno nella prospettiva di una brusca svolta nel senso dell'assalto rivoluzionario, come non furono essi ma i soviet, in una situazione di virtuale dualismo del potere, l'anello di congiunzione fra partito e classe nella Rivoluzione Russa. Nulla però esclude sul piano mondiale che, in paesi non immediatamente invasi dalla fiammata rivoluzionaria ma in fase di travagliata maturazione di essa, rinascano organismi in senso stretto economici, in cui non regnerebbe certo la quiete apparente del cosiddetto e per sempre defunto periodo "idilliaco" o "democratico" del capitalismo, ma ridivamperebbe, assai più che nel primo dopoguerra, l'alta tensione politica delle svolte storiche in cui l'acutizzarsi degli antagonismi economici e sociali si riflette nell'aprirsi di profonde lacerazioni in seno alla classe sfruttata e nell'esasperarsi del cozzo fra la sua avanguardia e le esitanti e renitenti retroguardie.
Il problema non verte comunque sulle forme che assumerà la ripresa della lotta di classe e sui modi nei quali essa tenderà ad organizzarsi, bensì sul processo che tali forme e tali modi genererà, e la cui dinamica sarà tanto più tumultuosa e densa di sviluppi, quanto più l'evolvere dell'estrema fase imperialistica avrà accumulato le contraddizioni e i parossismi propri del modo di produzione borghese. Al vertice di questo processo, se si concluderà per il proletariato con la presa del potere e con l'instaurazione della dittatura rivoluzionaria, non solo la forma-sindacato non scomparirà ed anzi (se fosse rimasta oscurata da altri organismi intermedi più consoni alle esigenze della lotta rivoluzionaria) dovrà risorgere, ma, per la prima volta nella storia del movimento operaio, vedrà realizzarsi nella sua trama uno dei vitali anelli di saldatura fra la classe centralmente e totalmente organizzata e il partito comunista, nella titanica lotta che in un percorso non facile né breve né, tanto meno, "tranquillo" porterà dal capitalismo - politicamente debellato, ma sopravvivente nell'inerzia di forme mercantili non sradicabili dalla sera alla mattina - al comunismo inferiore.
Per tutte queste ragioni di principio scolpite in ogni nostro testo fondamentale, e in forza di questa prospettiva anch'essa inseparabile dai cardini del marxismo, è tanto vero che delle forme di associazione economica oggi esistenti non abbiamo nulla da difendere, quanto è vero che abbiamo da proclamare in contrapposto ad esse ilprincipio permanente dell'associazionismo operaio e le condizioni del suo riaffermarsi nello svolgersi delle lotte di classe - di cui le associazioni intermedie sono certo un prodotto ma anche un fattore.
III - Orientamenti di azione pratica
1) Il paradosso del ciclo storico attuale - paradosso solo apparente, data la presenza dei fattori già descritti - è che, di fronte all'accumularsi delle contraddizioni e lacerazioni del modo di produzione mondiale capitalistico, la classe operaia è stata precipitata ad un livello ancora più basso di quello considerato nel Che fare? di Lenin. Là si trattava di importare nelle sue file la coscienza politica, il socialismo; qui si tratta del duro e difficile compito di saldare l'intervento politico del partito ad un'azione economica che, frustrata nella sua stessa spontaneità dal peso schiacciante dell'opportunismo, non riesce, se non in casi eccezionali, a spogliarsi, di un persistente carattere sporadico, corporativo, settoriale, e quasi si direbbe contestativo.
Il Partito non può certo suscitare la lotta di classe; è tuttavia suo compito richiamare costantemente, nel vivo di lotte economiche anche saltuarie e parziali, i presupposti elementari e indispensabili del suo potenziamento e della sua intensificazione ed estensione, agitando parole d'ordine e propugnando metodi di orientamento generale che puntino verso l'affasciamento dei proletari di ogni azienda, categoria, località (estensione degli scioperi; denunzia della loro articolazione; rivendicazione di aumenti salariali maggiori per le categorie peggio retribuite; riduzione massiccia del tempo di lavoro; abolizione dello straordinario, dei premi, degli incentivi, dei cottimi; salario pieno ai disoccupati) e denunziando l'opera sabotatrice e disgregatrice dei sindacati che non a caso tali rivendicazioni respingono, senza per questo rinunciare, da un lato all'intervento dei suoi gruppi sindacali e di fabbrica in lotte locali, aziendali e frammentarie con obiettivi angusti e rivendicazioni minori, e dal lato opposto alla proclamazione e propaganda degli obiettivi transitori e finali del movimento proletario e traendo anzi dai fatti rinnovata conferma dell'impossibilità per la classe operaia, quand'anche una lotta economica vigorosamente impostata le garantisse un temporaneo sollievo dalle più esose forme di strozzinaggio capitalistico, di emanciparsi dalla sua condizione di sfruttamento e sudditanza prima di averli raggiunti, e della necessità a questo fine del partito, come, per lo sviluppo coordinato delle lotte economiche, di una rete intermedia di organismi di classe da esso influenzati.
2) Il Partito deve aver chiara coscienza - e il coraggio di proclamarlo - che la via della ripresa proletaria classista, nel risalire dall'abisso della controrivoluzione, passerà necessariamente attraverso esperienze dolorose, bruschi contraccolpi, delusioni amare, come attraverso confusi tentativi di riscossa dal peso schiacciante di un cinquantennio di infame prassi opportunista. Esso non solo non può condannare gli episodi di scioperi selvaggi, di costituzioni di comitati di scioperi o "di base" ecc. - fenomeni del resto ricorrenti, a parte i nomi, nella storia del movimento operaio - né disinteressarsene perché non rientrano nello schema armonioso di una battaglia centralmente organizzata ed estesa su tutti i fronti, ma, riconoscendovi il sintomo di una istintiva reazione proletaria allo stato di impotenza al quale i sindacati riducono le sue lotte e rivendicazioni, deve trarne motivo per inculcare in uno strato sia pure esile di sfruttati la coscienza di come i loro sforzi, per quanto generosi, siano condannati a rimanere sterili se la classe non trova in sé la forza di provocare e compiere una inversione completa di rotta politica in direzione dell'attacco diretto e generale al potere capitalistico: non diverso fu nel 1920 l'atteggiamento della nostra Frazione Astensionista di fronte a episodi come l'occupazione delle fabbriche o la proclamazione di scioperi su vasta scala in aperto contrasto con la direzione confederale, episodi da noi giudicati sterili agli effetti degli obiettivi perseguiti, ma fertili di insegnamenti politici sotto la martellante azione del Partito.
Allo stesso modo (e con le riserve imposte dalla perdurante flaccidità della crisi capitalistica, che limita a casi episodici e di peso irrilevante le nostre reali possibilità di influenza), i militanti operai del Partito non si sottrarranno a corresponsabilità di direzione in tali comitati od organi temporanei, purché non strumentalizzati in partenza da forze politiche estranee alla tradizione classista, ed esprimenti una effettiva combattività operaia, non tralasciando però occasione per ribadire la necessità di superare il cerchio chiuso della località o dell'azienda, e di utilizzare l'energia di classe al rafforzamento del partito rivoluzionario e alla rinascita, possibile solo in concomitanza di una vigorosa ripresa proletaria, di organismi intermedi generali di classe, e non cadendo mai nell'errore di teorizzare o ammettere che si teorizzino questi o analoghi organi locali o temporanei come il modello della futura associazione economica e, in genere, intermedia.
3) A prescindere dai problemi contingenti di affiliazione dei nostri militanti a questo o quel sindacato in questo o quel paese, deve essere chiaro che in nessun caso tale affiliazione significa la concessione da parte del Partito di una patente di classismo all'organizzazione stessa, nessuna - alla scala mondiale - potendo oggi meritarla, si tratti del sindacato unico più o meno direttamente integrato nel meccanismo statale, come in Germania, USA, Inghilterra, ecc., o del sindacato formalmente plurimo ma a indirizzo unitario, come in Italia, Francia, Belgio, ecc.
In Italia e in Francia, dove sussistono sindacati plurimi, il posto dei nostri militanti e gruppi è nella CGIL e nella CGT, non perché il Partito le giudichi "di classe", ma perché non solo e non tanto raggruppano il numero maggiore di operai (anche le altre centrali ormai riuniscono forti percentuali di salariati puri), ma costituiscono il campo specifico di azione del peggiore e principale agente della borghesia nelle file del movimento operaio, quell'arciopportunismo stalinista che, condotta a termine la sua opera di sanguinosa devastazione del movimento operaio, si erige a pilastro della conservazione sociale adottando e praticando principii degni della mussoliniana "Carta del Lavoro" o della pontificale enciclica Rerum Novarum, un arciopportunismo ai cui programmi e metodi contrabbandati sotto una etichetta non ingloriosa noi soli siamo in grado di opporre polemicamente la tradizione classista delle antiche confederazioni sindacali unitarie, cioè un passato sia pure remoto che le altre centrali non vantano né possono vantare, essendo di confessata origine padronale. Esponenti non di una "frazione" - che implicherebbe il riconoscimento di un'almeno parziale natura classista all'organo cui si appartiene - ma di una forza e corrente politica oggettiva del movimento proletario, militanti e gruppi sfrutteranno ogni possibilità consentita o tollerata di agitare il programma del Partito e raccogliere intorno ad esso una cerchia per quanto ristretta di operai organizzati, e - nella misura in cui possano contare sull'appoggio di proletari decisi ad affiancarli e sostenerli - parteciperanno o prenderanno la parola ad assemblee e riunioni operaie anche quando (come è già avvenuto in Italia) ne sarebbero formalmente esclusi per non aver firmato la delega o per essere stati espulsi con altre motivazioni dal sindacato; graduando in ogni caso la loro azione di intervento diretto in base ad un esame spassionato dei rapporti di forza da parte della sezione, del gruppo e, se occorre, del centro.
La possibile riunificazione sindacale in Italia renderà senza dubbio più difficile il nostro lavoro - una delle sue premesse esplicite essendo la esclusione di correnti politiche dal seno del nuovo organismo; ma la critica ad essa va poggiata sulla dimostrazione che ogni pretesa di classismo da parte della CGIL era menzognera e non sulla tesi inversa che, fondendosi con le altre due organizzazioni, la sedicente organizzazione "rossa" possa far gettito dei suoi "principii" e cambiare "natura". La stessa unificazione, in quanto riprodurrebbe ad uno stadio più alto dello sviluppo capitalistico la situazione del CLN, può anzi avere un'influenza positiva - come noi l'attendevamo dal permanere dell'alleanza politica del '45 nel senso della liquidazione delle parvenze "proletarie" dello stalinismo e delle organizzazioni da esso dipendenti - e offrirci argomenti politici passibili di essere utilmente sfruttati.
La situazione oggettiva può sollevare in altri paesi problemi ed imporre soluzioni differenti, e spetterà al Partito, nella misura in cui vi mette radici, decidere la linea pratica da seguire fuori da ogni chiassoso volontarismo come da ogni cieco fatalismo.
4) Un utile banco di prova per la saldatura fra azione politica e azione sindacale in senso stretto può essere offerto, come è già avvenuto in Italia da funzioni alle quali i nostri militanti possono essere chiamati direttamente dagli operai, come quella di delegato di reparto o simili. Malgrado il pericolo - al quale del resto ogni attività sindacale è sempre esposta - di lasciarsi imprigionare in una prassi puramente minimalista e corporativa tali funzioni, quando siano assunte sulla base di rapporti di forza favorevoli possono costituire uno di quei casi previsti dalle Tesi caratteristiche in cui, non essendo "esclusa l'ultima possibilità virtuale e statutaria di attività autonoma classista", la nostra penetrazione in un organismo economico sia pure periferico è auspicabile nel quadro di un'impostazione programmaticamente e politicamente rigorosa che promuova frequenti assemblee operaie, iniziative di lotta estesa e ad oltranza, forme di proselitismo anche solo a livello individuale, prese di posizione aperte contro le pratiche di commissioni miste o di corsi di studio sui tempi di lavoro ed altre manovre padronali avallate dai sindacati tricolore, e che, quando l'apparato sindacale centrale riserbi ai delegati "ribelli" la ben prevedibile sorte di una defenestrazione ex officio, non accetti mai di subirla passivamente, ma si appelli contro di essa all'unica "autorità" di fronte alla quale i nostri militanti possono considerarsi responsabili: i proletari che li hanno designati e i cui interessi hanno difeso e sono in ogni circostanza decisi a difendere.
5) Condizione prima dello sviluppo ordinato, serio e penetrante di tutte queste forme di attività pratica, è che la nostra stampa - di cui va ribadita con il Che fare? la funzione di organizzatore collettivo per la classe come per i militanti del Partito, - sviluppi in modo regolare e sempre più tagliente i punti di principio elencati nella prima parte e che assai meglio si trovano riassunti in testi fondamentali come Partito e azione economica; denunci il carattere non soltanto irrisorio, anche ai soli fini economici, ma controrivoluzionario delle forme di lotta praticate e degli obiettivi perseguiti dalle centrali esistenti; mostri i limiti dell'azione rivendicativa e la necessità di superarla nella lotta generale politica; combatta le tendenze corporativistiche localistiche e aziendistiche sempre rinascenti nelle stesse file proletarie; stigmatizzi la prassi oscena, incoraggiata dall'opportunismo, di implorare il "paterno" intervento dello Stato o di un'opinione pubblica debitamente "sensibilizzata"; proclami l'impossibilità di un sindacalismo politicamente "neutro"; rivendichi associazioni di classe aperte all'influenza decisiva del partito rivoluzionario e suscettibile d'esserne conquistate; sottolinei con vigore l'importanza dell'unificazione internazionale delle lotte e delle organizzazioni economiche e, più in generale, in una fase ulteriore, delle organizzazioni intermedie; e infine, ricordando agli operai le grandi tappe del loro movimento di classe, le sue gloriose vittorie e le sue sconfitte gravide di insegnamenti, segua con la massima attenzione l'evolversi delle lotte di classe nel mondo, subordinando strettamente la sua battaglia e le sue direttive alle posizioni programmatiche e di principio del Partito.
Da "Il programma comunista" n. 3 del 1972.
Note
[1] Analogamente, nel 1944, la "Piattaforma politica del Partito comunista internazionalista" rivendicava la "ricostruzione" della Confederazione sindacale unitaria, autonoma dalla direzione di uffici di Stato, agente coi metodi della lotta di classe e dell'azione diretta contro il padronato, dalle singole rivendicazioni locali e di categoria a quelle generali di classe: ricostruzione che presupponeva una ripresa almeno parziale delle lotte di classe nel secondo dopoguerra di cui, quasi vent'anni dopo, è troppo facile constatare che non si è prodotta. D'altronde, già allora il Partito aveva espresso i dubbi più espliciti sulla possibilità a scadenza vicina di una tale ripresa, pur non potendosi arrogare il diritto di escluderla a priori.
[2] Non a caso un nostro testo fondamentale, ricordando come nella prospettiva rivoluzionaria sia "indispensabile organicamente avere tra le masse dei proletari e la minoranza inquadrata nel partito un altro strato di organizzazioni costituzionalmente accessibili a soli operai", scrive che le linee generali di tale prospettiva non escludono la possibilità delle "congiunture più svariate nel modificarsi, dissolversi, ricostruirsi, di associazioni a tipo sindacale per tutte quelle che oggi ci si presentano nei vari paesi" (Riunione di Roma, 1-2 aprile 1951).
Partito rivoluzionario e azione economica
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Le annose questioni che riguardano il rapporto fra il partito, le organizzazioni per la lotta immediata e le radici materiali della lotta di classe.