Sulla via del "partito compatto e potente" di domani - IV
(Seguito ai nr. 18. 19, 20)
Il succo di quanto abbiamo esposto nei tre articoli precedenti non è solo che il partito di classe, il partito rivoluzionario marxista, non è il prodotto del movimento visto nella sua immediatezza (anzi, in quelle due manifestazioni tipiche della sua immediatezza che sono le fasi di avanzata e di riflusso). Sul piano teorico, la questione è definitivamente risolta, in base ai postulati del marxismo, almeno dai tempi del Che fare? di Lenin, e la codificazione della sua risoluzione è nelle tesi 1920 dell'Internazionale sul ruolo del Partito comunista nella rivoluzione proletaria e nei testi paralleli della nostra corrente su Partito e Classe; sul piano delle conferme pratiche, basterebbe ricordare che su scala mondiale il movimento operaio ha toccato vertici grandiosi in tutti i paesi e in una lunga successione di periodi storici, e tuttavia i partiti comunisti non indegni di questo nome restano l'eccezione assoluta, non la regola nemmeno relativa, ed esistono intere aree - peraltro epicentri di lotte sociali di straordinario vigore - che non hanno conosciuto non diciamo l'incontro fra classe e partito, ma neppure l'esistenza del partito, che anzi l'hanno tenacemente respinto e lo respingono come "prevaricazione" della spontaneità proletaria.
Due curve diverse anche se destinate ad incontrarsi
Il succo di quanto abbiamo esposto va oltre (ma, sia chiaro, non scopre, rispetto ai testi citati, nessun continente nuovo), perché implica che la curva del movimento della classe e la curva del partito di classe hanno una loro propria e distinta dinamica, in forza della quale si avvicinano in rare occasioni storiche, si incontrano in occasioni ancora più rare, e divergono in lunghi intervalli nel corso dei quali il riflusso del movimento reale, imprigionato nella sua espressione immediata, cioè tradunionistica (Lenin parla di Nur-Gewerkschaftlerei, pura azione minimalista sindacale), non solo non concede "spazio" al partito rivoluzionario, ma lo offre soltanto alle organizzazioni ed ai raggruppamenti che riflettono appunto l'immediatezza della sua situazione, la sua spontaneità, sia essa quella delle organizzazioni e dei partiti dichiaratamente riformisti, sia quella dei gruppi e correnti ribellistici, volontaristici e in senso lato anarchici, gli uni e gli altri legati alle reazioni immediate della contingenza e incapaci di superarle per gettare un ponte fra gli alti e i bassi della marea.
Ma ciò significa che, se la curva-partito può essere spezzata dal riflusso (sempre drammatico, dopo l'impeto burrascoso delle grandi avanzate) del movimento, non è sull'onda di quest'ultimo che la si può ricomporre, bensì unicamente sul filo del proprio passato, contro il presente della realtà oggettiva ed in preparazione di un futuro scientificamente previsto come certo e ineluttabile - certo e ineluttabile (questo è il secondo termine della coppia dialettica, senza il quale non saremmo materialisti) non nella misura in cui maturerà nella classe la coscienza della sua missione storica, ma nella misura in cui essa sarà spinta da determinazioni oggettive, prima di saperlo e senza saperlo, a lottare per il comunismo lottando contro le basi del modo di produzione da cui è oppressa e sfruttata. Se quindi nel primo caso l'errore è di far discendere meccanicamente dal movimento, come frutto spontaneo, il partito, il secondo è di far discendere idealisticamente dalla "coscienza del socialismo" la rivoluzione proletaria: il risultato è di negare alla classe l'organo della sua azione rivoluzionaria nell'atto stesso in cui i fatti materiali esigono il suo intervento, sia perché sarà troppo tardi perché il partito assolva la sua funzione organica, sia perché gli si preclude appunto questa funzione, abbassandola al livello (ma già, per gli idealisti tipo "Révolution internationale", questo abbassarsi è, in realtà, un elevarsi!) dell'"illuminazione degli spiriti", e forse neppure a tanto, visto che, "né oggi né domani, l'organizzazione dei rivoluzionari ha il compito di organizzare, di demistificare o di dirigere la classe" , dovendo la classe auto-organizzarsi e auto-demistificarsi, altrimenti addio rivoluzione e addio socialismo, e dovendo "l'organizzazione dei rivoluzionari" mostrare d'essere un "fattore attivo" in questo processo appunto... non agendo, non organizzando, non demistificando e soprattutto non dirigendo un bel nulla, come è nella tradizione sacerdotale dell'intelligentsia!
La vera antitesi non è fra i negatori (che saremmo noi) della spontaneità e i suoi assertori; ma fra coloro i quali vedono soltanto la spontaneità, per giunta riconoscendola prevalentemente nei suoi riflessi ideologici, e coloro i quali (noi) salutano la forza immensa della spontaneità nelle sue basi materiali (di cui i riflessi ideologici contingenti sono l'immagine capovolta), ma la considerano risolutiva agli effetti rivoluzionari alla sola condizione che, in un punto ben preciso della storia, essa si incontri e si saldi con un "fattore di coscienza e volontà" - il partito - che è così poco spontaneo e immediato da distinguersi dal "movimento reale" proprio perché "fa valere nelle varie lotte nazionali dei proletari quegli interessi comuni dell'intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità" e "rappresenta [il termine tedesco significa inscindibilmente rappresentare e propugnare] sempre, nei vari stati di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia attraversa, l'interesse del movimento complessivo", ovvero, "nel presente del movimento il suo futuro"; e di poterlo fare solo in quanto "possiede sulla restante massa del proletariato il vantaggio di conoscere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario" (dal Manifesto del Partito Comunista, 1848, cap. II: Proletari e comunisti).
"Le rivoluzioni non si creano; si dirigono", dice uno dei nostri testi di Partito : non si fanno perché sono le determinazioni materiali della storia a mettere in vorticoso movimento le classi, non la volontà o la coscienza del Partito, meno che mai la volontà e la coscienza dei proletari, non diciamo come singoli ma neppure come avanguardie (ciò vale anche per il partito, che - l'abbiamo già spiegato - non nasce né rinasce quando che sia; nasce o rinasce in ben precisi momenti della storia); si dirigono perché appunto la loro linea di sviluppo - che fa tutt'uno con la linea di sviluppo del movimento - non è il prodotto della contingenza storica, ma è contenuta in quella scienza "delle condizioni, dell'andamento e dei risultati generali del movimento proletario" che solo possiede il Partito nato d'un solo blocco nel 1848, o rinato tutt'intero su quel blocco immutabile un secolo e più dopo; e tale possesso a nulla servirebbe se rimanesse "patrimonio di idee" senza divenire guida pratica, direzione organizzata, organo e strumento della classe.
E il problema è, posti così i termini reali della questione rivoluzionaria, come, in base a quali presupposti, in forza di quali condizioni oggettive e soggettive, è possibile che le due curve, in un dato punto della traiettoria, si incontrino, e la rivoluzione che si sta facendo sia diretta?
Come e quando "l'incontro" ?
Le curve classe e partito si avvicinano, abbiamo detto, in rare occasioni storiche e, in occasioni ancora più rare, si incontrano. Ma queste occasioni non cadono dal cielo: da un lato maturano nelle loro condizioni oggettive nel sottosuolo della società, dall'altro si preparano nelle loro condizioni soggettive in seno all'organo-guida della classe.
Come non c'è per il partito né una fase di esclusiva ricostruzione teorica, né una fase inversa di esclusiva azione pratica, così non c'è per il proletariato una fase di controrivoluzione totale e una fase di rivoluzione assoluta. Il partito nasce (o rinasce) quando è in grado di costruire (o ricostruire) l'edificio completo e settariamente monolitico della propria teoria nell'atto stesso in cui si sforza di inserire il cuneo della propria azione negli spiragli grandi o piccoli e persino infinitesimi, che sempre e necessariamente si aprono in una società divisa in classi. È in questa sua proiezione nella realtà materiale che il partito, fin dalla sua nascita, lavora ad avvicinare le due curve, per lontane che siano nell'immediato; è nella stessa misura che si rafforza, conquista entro la classe un'influenza non misurabile col metro né di mesi né di anni e si abilita a dirigere la classe anche quando essa gli volge le terga (non ci stancheremo di ripetere che "dirigere" è un fatto fisico, non "ideale"!).
Come "lavora" a questo fine? Da un lato, diffondendo il suo programma, nella coscienza che intorno ad esso, nei periodi di più grave riflusso, si cristallizzerà solo un'infima minoranza di militanti comunisti; partecipando dall'altro attivamente ad ogni possibile lotta proletaria, anche fragile, anche male impostata, nella consapevolezza che l'influenza futura del partito sull'insieme della classe non nasce sul terreno delle opinioni, delle convinzioni, delle "idee", ma su quello dello scontro con il capitale e i suoi valletti, e della organizzazione di questo scontro fatale e decisivo.
La curva ascendente del movimento operaio non è segnata - come crede, nelle sue radici idealistiche, lo spontaneismo - dal succedersi - lungo una serie di gradini - di gruppi, correnti, partiti in cui vagamente ma progressivamente "la classe" si "approssima" alla "coscienza del socialismo". Questi "gradini" riflettono senza dubbio la crisi progressiva dell'opportunismo e quindi il risveglio della lotta di classe, ma non incarnano né quella crisi, né questo risveglio: sono piuttosto il precipitato ultimo delle fasi di riflusso delle lotte sociali, ed esprimono non la capacità del proletariato di scrollarsele di dosso, ma la sua incapacità di riuscirvi ancora; riempiono, almeno in parte, il vuoto lasciato dall'opportunismo classico proprio perché gli sono ancora legati. Non solo, ma è illusorio pensare che (come del resto l'opportunismo classico, benché con altre potenzialità immediate) la curva in ascesa del movimento li estinguerà per il solo fatto di averli superati. Il menscevismo - se mai dovessimo adottare una concezione simile - era senza dubbio un gradino più in su del populismo o dell'economismo; ma sulla strada di Ottobre non fu un anello di congiunzione al bolscevismo, fu un ostacolo sulla strada sua e della classe; vinto, non solo non morì, ma trasse nuovo vigore dalla congiuntura storica dell'isolamento mondiale della dittatura rossa. Il centrismo europeo, o la sua variante massimalista in Italia, non si dispose lungo ma attraverso il cammino della rivoluzione; spazzato via, rinacque dominatore in seguito al trionfo controrivoluzionario staliniano. Analogamente le false sinistre europee del '20 ce le ritroviamo e ce le troveremo sempre più fra i piedi in un'invarianza di programmi e di atteggiamenti pratici davvero ... invidiabile.
Se la classe operaia, in fasi di ascesa materialmente determinate, tende per "approssimazioni" successive alla soluzione rivoluzionaria, questa tendenza irresistibile passa non attraverso l'assimilazione graduale, ma attraverso l'esclusione successiva delle forze politiche che la crisi congiunta della società borghese e dell'opportunismo lascia via via dietro di sé come barriere da superare, non come punti di appoggio su cui procedere oltre, né come materiali con cui costruire il partito-guida di domani. Dalle loro file possono e devono, certo, essere strappate delle energie proletarie sane ancora imprigionate nella loro rete; ma sarebbe la più rovinosa delle illusioni quella di averli con sé in quanto gruppi o partiti, o anche solo di allargare la propria consistenza numerica e la propria influenza politica lavorando a trasformarli.
La curva ascendente del proletariato si riconosce nel suo sforzo "spontaneo" di liberarsi dal cerchio infernale della collaborazione di classe, di riprendere la via della lotta di classe aperta e dichiarata, di organizzarsi anche nel modo più embrionale fuori della presa diretta dell'opportunismo, per quanto lento, difficile e seminato di sconfitte e delusioni sia questo cammino. La curva ascendente del partito, a sua volta, si apre una strada misurandosi - cioè scontrandosi - con le altre forze politiche su questo precipuo terreno (oltre che su quello, necessario ma di raggio più circoscritto, della critica teorica e della polemica politica), nel duro lavoro di conquista di posizioni indipendenti di classe, e in tale misura favorendo se non l'eliminazione di quelle forze dall'arena dei conflitti sociali (cosa che avverrà, se e quando avverrà, solo dopo la presa del potere), certo la loro esclusione da un 'influenza di qualche rilievo sul proletariato. E per questo che l'attività "sindacale" in senso lato è parte così integrante e decisiva dello sviluppo del partito in fasi di lenta preparazione dello svolto rivoluzionario; ed è importante non per quello che essa è, un'azione forzatamente di "resistenza" come quella che la classe conduce contro gli effetti del modo di produzione capitalistico, ma per quello che dà sul piano politico generale, ben al di là della presa immediata che essa può avere su una fascia consistente di proletari. Le indicazioni che oggi diamo, e il cui valore non sta nei loro contenuti in quanto tali, ma nell'essere rivolte a tutta la classe come elemento di unificazione e di superamento delle barriere di fabbrica, di categoria, di località, non hanno prospettive di successo a breve termine se non in casi episodici; ma segnano un solco che è quello stesso che i proletari necessariamente imboccheranno via via che la crisi della società capitalistica li spingerà a battersi in quanto classe. I sindacati sono quello che sono; ma è vitale per la ripresa del movimento operaio propagandare la necessità che il sindacato indipendente di classe e tutta la rete degli organismi intermedi risorgano - ed operare nel senso della loro ricostituzione fin da oggi - ; perché sarà la stessa lotta ad imporre la rinascita. È al banco di prova della coerenza nell'essersi battuto per le esigenze primordiali della guerra di classe anche quando esse non erano se non vagamente sentite, o non sentite affatto, che l'esercito degli sfruttati, almeno nei suoi reparti di avanguardia, riconosce il suo organo-guida, e lo riconoscerà soprattutto in un periodo, come quello rivoluzionario, in cui i fronti di guerra si creano e si consolidano non in forza di idee ed opinioni, ma di fatti, cioè di atti e metodi di lotta.
Non a caso, del resto, l'immediatismo corre alla ricerca di organi già politici o almeno politicizzabili; nella migliore delle ipotesi, di organi "anfibi". Essi sono l'arena del "confronto delle idee" e il veicolo di "matrimoni di gruppo" nella confusione generale: è lì che si tratta per loro di "crescere" aggregando forze e programmi eterogenei e così illudendosi di costruire il partito sulla base di partenza di ciò che "unisce i divisi", e nella visione distorta di un processo rivoluzionario che avrà come tema centrale la ... rivoluzione delle coscienze. Ed è per le ragioni opposte di cui sopra che, in fasi come quelle intercorse tra il febbraio e l'ottobre 1917, le sorti della rivoluzione si giocarono sul terreno della capacità o meno dei bolscevichi - entro organismi purtuttavia già politicizzati come i Soviet, e fuori da essi - di collegare le finalità programmatiche e i principi del Partito alle esigenze vissute e sentite delle masse proletarie - le famose "scintille" non di coscienza socialista, ma di bisogno istintivo della distruzione del capitalismo, senza le quali la teoria marxista non troverebbe mai la via della propria "importazione nella classe".
Quello che "dobbiamo sognare"
Ma è per la stessa ragione che l'ago magnetico della nostra bussola non punta verso il "crogiuolo delle forze rivoluzionarie", verso l'incontro con i sottoprodotti ideologici e partitici del risveglio di classe proletario. Esso punta verso la classe nel suo moto di liberazione dalle influenze insieme materiali ed intellettuali che pesano tenacemente sulle sue spalle, verso la conquista dei suoi migliori militanti al Partito, delle sue avanguardie più combattive all'influenza - sperimentata nel vivo della lotta, non nel confronto delle idee - delle sue indicazioni di lotta e di organizzazione della lotta, verso la cristallizzazione del movimento reale intorno alla sua guida, forgiatasi sulla base del suo nucleo di origine, del suo programma, della sua tattica, della sua rete organizzativa internazionale.
È così che vinse l'Ottobre rosso. È così che lavorò la nostra corrente nel 1921-1922 perché l'incendio di allora si estendesse all'Occidente marcio di democrazia. È così che rinascerà il movimento proletario e comunista in tutto il mondo. È questo, ancora una volta - nelle parole di Lenin - che "dobbiamo sognare", cioè anticipare e preparare.
(4 -fine)
Note
[1] "Révolution internationale", n. 10, giugno-agosto 1977
[2] Partito e azione di classe, 1921, ora in Partito e classe, ediz. Il programma comunista, 1972, p. 46.
Da "il programma comunista" n. 22, 26 novembre 1977
La Sinistra Comunista e il Comitato d'Intesa
Quaderni di n+1.
Un volume utile per meditare sui ricorrenti collassi politici di fronte alle situazioni sfavorevoli nella storia.