Della pace
Le invocazioni alla "pace giusta" e parallelamente gli isterici gridi di sdegno per l'"ingiustizia" del trattamento riservato all'Italia dalle decisioni dei quattro ministri degli esteri, che naturalmente verranno ratificate dalla attuale Conferenza di Parigi, raggiungono in questi giorni i toni più intensi.
Tutti gli affasciati in un sacro fuoco di ardore patrio i nostri partiti, borghesi e "proletari", minacciano la severità del giudizio della Storia o di Dio a chi non terrà conto dei sacrifici compiuti dall'Italia nella guerra a fianco degli Alleati e dei meriti antifascisti della classe politica che ora dirige il nostro paese.
Noi non vogliamo qui dimostrare che le condizioni di pace sono esclusivamente espressione di determinati rapporti di forza nel giuoco delle rivalità tra le varie potenze: questo è ormai chiaro a tutti, anche se a tutti non è affatto chiaro che a questi rapporti la necessarietà storica non consente di sfuggire e che il comportamento dei dirigenti politici delle nazioni vincitrici è imposto nella forma in cu si rivela dal fatto stesso che essi sono i "dirigenti" e che in tanto si può dirigere una nazione in quanto se ne sappiano e possano rappresentare gli interessi predominanti.
Pensare che essi potrebbero comportare diversamente è un'astrazione, a meno di non pensare che, se le condizioni di cui essi sono l'espressione fossero diverse, anch'essi agirebbero diversamente: il che evidentemente è piuttosto ozioso…
Ciò che a noi preme di mettere in evidenza è che il gran clamore che la nostra classe politica dirigente, in coro con tutta la borghesia italiana, solleva oggi contro l'"ingiustizia" dei vincitori, fa parte del sistema di cui essa costantemente ha fatto uso nella sua necessità di predominare sulla classe avversa avvalendosi del suo stesso appoggio.
Per mantenere questo predominio essa si orienta su due direttrici: quella di fare l'impossibile per ottenere dai vincitori qualche piccola briciola che le permetta di vivere ancora sullo sfruttamento del proletariato e non divenire essa stessa proletariato sfruttato da una borghesia vincitrice, e quella di porre davanti ai proletari italiani la conquista di queste briciole come una meta comune di fronte alla quale il dovere della unione sacra più che mai si impone. Attraverso questa seconda azione, che è l'unica importante – la prima avendo effetti solo nei confronti della seconda, dal momento che i vincitori non si "persuaderanno" mai a concedere più di quanto sia stabilito nei loro piani, i quali d'altronde già prevedono la concessione delle briciole proprio perché si ritiene indispensabile di avere ovunque una borghesia avida e aguzzina, - la classe borghese dirigente riesce a deviare il proletariato dalle sue mete e ad aggiogarlo al suo carro propinandogli tutto l'armamentario di "patria", "giustizia", "democrazia", "pace", "lavoro per tutti", "solidarietà nazionale" ecc. ecc., che già servì a farlo combattere in guerra e ora deve servire per fargli sopportare lo sfruttamento di questa spodestata e inviperita borghesia nostrana.
I partiti "proletari" di oggi, fetido prodotto della penetrazione opportunistica borghese nelle file del proletariato sono lo strumento più efficace e più ripugnante di questa azione.
Ogni tappa della riaffermazione borghese è da loro stessi presentata al proletariato come una luminosa meta da raggiungere nella via del socialismo: e le "tappe" devono susseguirsi continuamente se si vuole che la delusione che consegue al raggiungimento di ognuna di esse non abbia a "degenerare" pericolosamente. Dopo la lotta antifascista, dopo quella per la democrazia, per la costituente, per la repubblica oggi abbiamo quella per la pace.
E il proletariato, che ha pagato finora col suo sangue e con la sua miseria sempre crescente, pagherà anche questa volta; pagherà in qualunque caso: pagherà le riparazioni ai vincitori, farà fruttare le briciole concesse da questi ai suoi sfruttatori. Noi diciamo ai proletari: siate contro la conferenza della pace, siate contro coloro che gridano perché essa è """ingiusta".
L'ingiustizia è in tutto il sistema, è identica nello sfruttamento delle borghesie sconfitte come in quello delle vincitrici: la differenza è solo nella misura delle loro ricchezze che comunque derivano dal lavoro e dalla fame dei proletari: soltanto questo per noi ha un significato; soltanto per il rovesciamento di questo sistema noi dobbiamo lottare.
Da "Prometeo" n. 1 dell'agosto 1946