Nicola Bombacci

Gli anni socialisti

Nicola Bombacci nacque a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, il 24 ottobre 1879.[4] Dopo una breve esperienza in seminario, divenne insegnante elementare. Fin da inizio secolo fu attivo nel mondo sindacale operando tra Crema, Piacenza e Cesena e venendo eletto nel 1911 membro del Consiglio Nazionale della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL).

A Modena, durante la prima guerra mondiale, ebbe il suo trampolino di lancio divenendo il leader indiscusso del socialismo locale, tanto che lo stesso Mussolini (che lo conosceva fin dal 1906, quando entrambi erano maestri di scuola) lo definì "il Kaiser di Modena". Tra le guerre balcaniche e la rivoluzione russa fu contemporaneamente segretario della Camera del Lavoro, segretario della Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico socialista Il Domani.

Nel luglio 1917 Bombacci venne nominato membro della Direzione e vicesegretario del Partito Socialista Italiano (PSI), affiancando il segretario Costantino Lazzari nella redazione della famose circolari dirette alle sezioni del partito ed il direttore del periodico socialista Giacinto Menotti Serrati nell'opera di conquista del movimento operaio da parte della corrente socialista massimalista.

Nel 1918, con gli arresti di Lazzari nel gennaio e di Serrati nel maggio, rimase praticamente solo alla guida del partito.[5] Egli stesso fu arrestato per "disfattismo" a gennaio e processato a piede libero, fino al successivo arresto del 31 ottobre 1918 e rilasciato il 20 novembre.[6] Fautore di una politica fortemente antiriformista, centralizzò e verticalizzò tutto il socialismo italiano: le federazioni provinciali del partito e il Gruppo Parlamentare Socialista (GPS) diventarono dipendenti direttamente dalla Direzione del PSI, alla quale si collegavano anche le organizzazioni sindacali e cooperativistiche rosse.[7]

Nell'ottobre 1919 redasse con Serrati, Gennari e Salvadori il programma della frazione massimalista, vincente al XVI Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Bologna, 5-8 ottobre 1919):[8] eletto segretario del Partito (11 ottobre 1919) e, il mese seguente, nelle prime elezioni politiche generali del dopoguerra (16 novembre 1919) deputato alla Camera nella circoscrizione di Bologna con oltre centomila voti fu una delle figure più potenti e visibili del socialismo massimalista nel biennio rosso.[9]

Nel gennaio 1920 presentò un progetto di costituzione dei Soviet in Italia,[10] che ottenne pochi consensi e molte critiche, contribuendo però ad aprire un acceso dibattito teorico sulla stampa di partito. La non accettazione della proposta di costituzione dei Soviet portò, il 25 febbraio 1920, Bombacci a cedere la carica di segretario del Psi a Egidio Gennari. In aprile, fu il primo socialista italiano ad incontrare dei rappresentanti bolscevichi a Copenaghen,[11] mentre in estate fu uno dei membri della delegazione italiana che andò nella Russia sovietica, partecipando anche al II Congresso dell'Internazionale Comunista.

Fondatore nell'autunno della Frazione comunista insieme ad Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Egidio Gennari e Antonio Graziadei, oltre che direttore del periodico "Il Comunista", al XVII Congresso Nazionale del PSI (Livorno, 15-21 gennaio 1921) optò decisamente per la scissione, e fu uno dei fondatori del Partito Comunista d'Italia, Sezione Italiana della III Internazionale (PCd'I), nel quale divenne membro del Comitato Centrale.

Gli anni comunisti (1921-1927)

Rieletto deputato nelle elezioni politiche generali della primavera del 1921 nella circoscrizione di Trieste, Bombacci, non avendo una sua corrente nel nuovo partito, si trovò piuttosto isolato rispetto al gruppo ordinovista di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca e agli astensionisti di Bordiga. Si situò nell'ala destra del PCd'I con Francesco Misiano, propenso ad un riavvicinamento coi massimalisti e contrario al partito settario e ideologizzato voluto dal Bordiga.[12]

Fu presto estromesso dai centri direttivi comunisti, cominciando dal Comitato Centrale del Partito. La polemica arrivò fino alle alte sfere sovietiche nel novembre 1923, quando il Comitato Esecutivo del PCd'I ne decise unilateralmente l'espulsione senza consultare l'Internazionale Comunista. Si accusava Bombacci, allora segretario del Gruppo Parlamentare Comunista, di aver fatto riferimento ad una possibile unione delle due rivoluzioni - quella bolscevica e quella fascista - in un intervento alla Camera dei deputati il 30 novembre 1923. Semplicemente, su indicazione dell'ambasciatore russo in Italia, Jordanskij, aveva prospettato un trattato economico italo-russo, fortemente voluto dal Cremlino. Nel gennaio del 1924, Bombacci fu dunque richiamato a Mosca, dove rappresentò la delegazione italiana ai funerali di Lenin: Grigorij Zinov'ev ne decise il reintegro nel PCd'I, in quei mesi decimato dalla campagna di arresti decretata dal governo fascista di Mussolini.

Al suo ritorno in Italia, però, Bombacci iniziò a lavorare all'Ambasciata russa a Roma, al servizio del commercio e della diplomazia sovietica. Nel 1925 fondò la rivista "L'Italo-Russa", poi una omonima società di import-export, che ebbero entrambe vita breve. Il suo distacco dal Partito era ormai palese: nel 1927 i dirigenti comunisti in esilio ne decretarono l'espulsione definitiva. La sua espulsione fu sancita con uno scarno comunicato su un numero dell'Unità: "Nicola Bombacci è espulso dal partito comunista d'Italia per indegnità politica".

L'inattività politica e l'avvicinamento al fascismo

Negli "anni del silenzio",[13] Bombacci continuò a vivere a Roma con la famiglia, mentre la collaborazione con l'Ambasciata sovietica sembra che non si prolungò più in là del 1930. Le necessità economiche e le gravi condizioni di salute del figlio Wladimiro, che abbisognava di costose cure, lo indussero a chiedere aiuto a gerarchi del regime che conosceva da tempo: Leandro Arpinati, Dino Grandi, Edmondo Rossoni, e poi allo stesso Benito Mussolini, con il quale aveva avuto rapporti politici nel periodo giolittiano. Il Duce gli concesse alcune sovvenzioni in denaro per le cure del figlio e gli trovò un impiego all'Istituto di Cinematografia Educativa della Società delle Nazioni a Roma.[14]

Dal 1933 Bombacci si avvicinò poco a poco sempre più chiaramente al fascismo, tanto che con il 1935 si può parlare di una vera e propria adesione. Mussolini, all'inizio del 1936, gli concesse di fondare La Verità, una rivista politica allineata sulle posizioni del regime, che, a parte alcune interruzioni dovute all'opposizione del fascismo intransigente dei Farinacci e degli Starace, durò fino al luglio del 1943. Al progetto collaborarono svariati altri ex-socialisti come Alberto e Mario Malatesta, Ezio Riboldi, Arturo Labriola, Walter Mocchi, Giovanni e Renato Bitelli ed Angelo Scucchia.[15]

L'adesione alla RSI

«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno. »

(15 marzo 1945 a Genova, discorso rivolto alle camicie nere[16])

Bombacci non ebbe mai la tessera del Partito Nazionale Fascista (PNF). Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 e, in settembre, la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), Bombacci decise volontariamente di recarsi a Salò, dove divenne una sorta di consigliere di Mussolini.

Negli ultimi mesi di guerra (settembre 1944 - marzo 1945) non smise di sostenere la causa del fascismo come unica vera rivoluzione e realizzazione del trionfo del lavoro, dando conferenze e facendo comizi tra gli operai nelle piazze del Nord della penisola.

Da allora l'ex-fondatore del Partito Comunista d'Italia ebbe più spazio e visibilità e decise di dedicarsi anima e corpo al fascismo con la sua innata capacità oratoria e la sua vicinanza alle classi lavoratrici: pubblicò alcuni opuscoli sui pericoli del bolscevismo e la degenerazione staliniana dei principi comunisti,[17] e partecipò al Congresso di Verona. Proprio a Bombacci si attribuisce il progetto di socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione, notevolmente propagandato dal fascismo repubblicano ed approvato dal consiglio dei ministri della RSI nel febbraio del 1944.[18]

Bombacci rimase al fianco di Mussolini fino all'ultimo momento: i partigiani lo catturarono sul lago di Como, nella stessa vettura del duce, e lo fucilarono come lui sulle rive del lago il 28 aprile del 1945. Mussolini morì a Giulino di Mezzegra, mentre Pavolini e Bombacci a Dongo, vicino al luogo della cattura. Le sue ultime parole furono, appena prima di essere fucilato: "Viva l'Italia! Viva il Socialismo!" o forse "Viva Mussolini! Viva il Socialismo!", gridate al plotone d'esecuzione; di certo, nelle due versioni, vi è il fatto che la sua ultima frase inneggiò al socialismo.[19][20] La mattina del 29 aprile lo appesero per i piedi al distributore di benzina di Piazzale Loreto, a Milano, insieme a Benito Mussolini, Claretta Petacci ed alcuni gerarchi fascisti; nel documento attestante la fucilazione sotto il suo nome vi era la scritta "Supertraditore".[19]

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