Benito Mussolini

La nascita e la famiglia

Figlio del fabbro Alessandro Mussolini (Montemaggiore di Predappio, 11 novembre 1854 - Forlì, 19 novembre 1910) e della maestra elementare Rosa Maltoni (San Martino in Strada, 22 aprile 1858- Predappio, 19 febbraio 1905), nacque il 29 luglio 1883 a Dovia, frazione del comune di Predappio, in una casa tuttora esistente nell'attuale via Varano Costa, ormai inglobata nel paese.

Il nome "Benito Amilcare Andrea" fu deciso dal padre,[7] socialista, desideroso di rendere omaggio alla memoria di Benito Juárez, leader rivoluzionario ed ex-presidente del Messico, di Amilcare Cipriani, patriota italiano e socialista, e di Andrea Costa, imolese, leader del socialismo italiano (nell'agosto 1881 aveva fondato a Rimini il «Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna»). Contrariamente al marito, la madre Rosa era credente e fece battezzare il figlio.[8]

L'istruzione e l'adolescenza

Mussolini frequentò le prime due classi elementari prima a Dovia e poi a Predappio (1889-1891); entrò quindi per volontà della madre nel collegio salesiano di Faenza (1892-ottobre 1894), ma viene trasferito in seguito a una punizione (comprensiva della retrocessione dalla classe quarta alla seconda) per una rissa nella quale ferisce un suo compagno più anziano con un coltello.[9] A Faenza, Benito passò un periodo infelice: oltre alle punizioni corporali subite dai salesiani per la sua scarsa osservanza delle regole del collegio, visse con rabbia e frustrazione la sua condizione sociale.[10] La famiglia era di modeste condizioni: il padre, pur avendo una propria attività, viveva ai margini della comunità locale a causa delle sue idee politiche; la madre, che insegnava ai bambini delle elementari presso Palazzo Varano, guadagnava uno stipendio insufficiente a compensare le mancate entrate del marito.[11]

Aiutato dalla madre, proseguì gli studi nella laica Regia Scuola Magistrale maschile Carducci di Forlimpopoli, diretta da Valfredo Carducci, fratello di Giosuè Carducci, dove conseguì nel settembre 1898 la licenza tecnica inferiore. A partire dall'ottobre di quell'anno, per via di uno scontro con un altro alunno, venne costretto a frequentare come esterno (solo nel 1901 fu riammesso come convittore).[12] A Forlimpopoli, anche per l'influsso paterno, Mussolini si avvicinò al socialismo militante, facendosi notare in comizi serali nei paesi limitrofi, e nel 1900 si iscrisse al Partito Socialista Italiano, dove fece amicizia con Olindo Vernocchi.[13] Dopo aver ottenuto sempre nello stesso istituto di Forlimpopoli il diploma di Maestro elementare l'8 luglio 1901, avanzò domanda d'insegnamento per concorso o per incarico in diversi comuni: Predappio, Legnano, Tolentino, Ancona, Castelnuovo Scrivia.

Non riuscendo ad ottenere la cattedra e non avendo nemmeno avuto il posto di "sostituto aiutante" del segretario comunale di Predappio (la sua domanda fu respinta dal gruppo clerico-moderato con 10 voti su 14),[14] dopo una supplenza di pochi mesi nella scuola elementare di Pieve Saliceto (frazione di Gualtieri), emigrò il 9 luglio 1902 in Svizzera per sfuggire al servizio militare obbligatorio,[15] stabilendosi a Losanna. Lì s'iscrisse al sindacato muratori e manovali, di cui poi divenne segretario, e il 2 agosto 1902 pubblicò il suo primo articolo su L'Avvenire del lavoratore, il giornale dei socialisti svizzeri;[16] l'attività giornalistica vera e propria cominciò nel 1904.

La Svizzera e la prima militanza

Fino a novembre visse in Svizzera, spostandosi di città in città e svolgendo lavori occasionali, tra cui il garzone di una bottega di vini a Losanna. Venne espulso due volte dal paese: il 18 giugno 1903 fu arrestato a Berna come agitatore socialista, trattenuto in carcere per 12 giorni, e poi espulso il 30 giugno dal Canton Berna, mentre il 9 aprile 1904 venne incarcerato per 7 giorni a Ginevra a causa del permesso di soggiorno falsificato, per poi essere espulso una settimana dopo dal Canton Ginevra.[17] Nel frattempo ricevette anche una condanna a un anno di carcere per renitenza alla leva militare. Venne protetto da alcuni socialisti e anarchici del Canton Ticino, tra cui Giacinto Menotti Serrati e Angelica Balabanoff, con la quale avviò una relazione sentimentale.[18] Nel periodo in cui Mussolini risiedette in Svizzera, abitò a Savosa, comune periferico a nord di Lugano, e partecipò al consolidamento dei muri sulla strada di Trevano, sulla Cassarate-Monte Brè e soprattutto alla costruzione della ferrovia Lugano-Tesserete.

In Svizzera Mussolini ebbe la possibilità di avvicinarsi a Vilfredo Pareto, frequentandone le lezioni all'Università di Losanna, dove l'economista italo-francese insegnò per alcuni anni. Pareto (che definirà Mussolini "un grande statista")[19] inciterà il suo allievo a prendere il potere e organizzare la Marcia su Roma (inviando un telegramma dalla Svizzera in cui si diceva «ora o mai più»).[20][21] Mussolini utilizzò le idee di Pareto per rivedere la sua adesione al socialismo.

Sempre in Svizzera Mussolini collaborò con periodici locali d'ispirazione socialista (tra cui il Proletario) e inviò corrispondenze al giornale milanese l'Avanguardia socialista. L'attività di giornalista rese evidente sin dai suoi primi scritti l'avversione ideologica al positivismo, allora predominante nel socialismo italiano; Mussolini prese subito posizione contro questo orientamento e si schierò con l'ala rivoluzionaria del partito socialista, capeggiata da Arturo Labriola. Con il passare degli anni Mussolini sviluppa una sempre più aspra avversione verso i riformisti, tentando di diffondere e di imporre all'intero movimento socialista la propria concezione rivoluzionaria.[22] È in questo periodo che mostrò le maggiori affinità ideologiche con il sindacalismo rivoluzionario. Dalle discussioni con il pastore evangelico Alfredo Taglialatela, Mussolini trasse una conclusione negativa sul problema dell'esistenza di Dio, sul quale tornò a riflettere molti anni dopo. Le sue opinioni saranno in seguito raccolte nell'opuscolo L'uomo e la divinità, una breve dissertazione sui motivi per i quali bisognerebbe negare l'esistenza di Dio.

Mussolini in questo periodo studiò assiduamente il francese e cercò di imparare il tedesco, avvalendosi in quest'ultimo caso dell'aiuto della Balabanoff.[23]

Mussolini giornalista e agitatore politico

Nel novembre 1904, caduta la condanna per renitenza alla leva in seguito all'amnistia concessa in occasione della nascita dell'erede al trono Umberto, Mussolini tornò in Italia. Dovette tuttavia presentarsi al Distretto militare di Forlì e adempì ai suoi doveri di leva venendo assegnato il 30 dicembre 1904 al 10º Reggimento bersaglieri di Verona. Poté tornare a casa con una licenza per assistere la madre morente (19 gennaio 1905). Poi riprese il servizio militare, ottenendo al termine una dichiarazione di buona condotta per il contegno disciplinato.[24]

Congedato, Mussolini rientrò a Dovia di Predappio il 4 settembre 1906. Poco dopo si recò a insegnare a Tolmezzo, dove ottenne un posto da supplente dal 15 novembre sino al termine dell'anno scolastico. Il periodo nel comune friulano fu difficile: con gli studenti si dimostrò incapace di mantenere l'ordine e l'anticlericalismo e il linguaggio sboccato gli attirarono le antipatie della popolazione locale, tanto che le ragazze del paese lo chiamavano "tiranno".[25][26]

Nel novembre del 1907 ottenne l'abilitazione all'insegnamento della lingua francese e nel marzo 1908 gli venne assegnato un incarico come professore di francese presso il Collegio Civico di Oneglia, dove insegnò anche Italiano, Storia e Geografia. A Oneglia ottenne la sua prima direzione di un giornale, il settimanale socialista La Lima. Nei suoi articoli il neo direttore attaccò le istituzioni sia politiche sia religiose, accusando il governo Giolitti e la Chiesa di difendere gli interessi del capitalismo ai danni del proletariato. Per evitare problemi si firma con lo pseudonimo di "Vero Eretico". Il giornale suscitò grande interesse e Mussolini comprese che il giornalismo d'eversione poteva essere uno strumento politico.[27]

Tornato a Predappio, si mise a capo dello sciopero dei braccianti agricoli. Il 18 luglio 1908 fu arrestato per minacce a un dirigente delle organizzazioni padronali. Processato per direttissima fu condannato a tre mesi di carcere, ma il 30 luglio venne rilasciato in libertà provvisoria su cauzione.[28] Nel settembre dello stesso anno fu di nuovo incarcerato per dieci giorni per aver tenuto a Meldola un comizio non autorizzato.

In novembre si trasferì a Forlì, dove visse in una stanza affittata, assieme al padre vedovo che nel frattempo aveva aperto la trattoria Il bersagliere con la compagna Anna Lombardi. In questo periodo, Mussolini pubblicò su Pagine libere (rivista del sindacalismo rivoluzionario edita a Lugano e diretta da Angelo Oliviero Olivetti) l'articolo La filosofia della forza, in cui faceva riferimento al pensiero di Nietzsche. Il 6 febbraio 1909 si trasferì a Trento, capitale dell'irredentismo italiano[29], dove venne eletto segretario della Camera del Lavoro e diresse il suo primo quotidiano, L'avvenire del lavoratore.

Il 7 marzo di quell'anno si rese protagonista di un breve scontro giornalistico con Alcide De Gasperi, direttore del periodico cattolico Il Trentino. Mussolini collaborò anche con il quotidiano Il Popolo, diretto da Cesare Battisti, sulle cui pagine scrisse della "santa di Susà", una contadina di nome Rosa Broll che era stata adescata da un sacerdote del luogo.[30] L'articolo ebbe un tale successo che la direzione del Partito Socialista trentino decise di farne una pubblicazione a sé stante, al prezzo di 6 centesimi.

Il 10 settembre dello stesso anno Mussolini venne incarcerato a Rovereto con l'accusa, da cui poi fu assolto, di diffusione di giornali già sequestrati e istigazione alla violenza verso l'Impero asburgico. Il giorno 26 fu comunque espulso dall'Austria e fece ritorno a Forlì.[31] Il caso del "professor Mussolini" divenne di interesse nazionale tanto che durante un'interrogazione parlamentare alla Camera (presentata dal deputato socialista Elia Musatti), fu interpellato il ministro degli Esteri Francesco Guicciardini il quale rispose che "per quanto possa essere dispiacevole che l'espulsione di cittadini italiani dall'Austria si rinnovi con una certa frequenza, pure io non credo in nessun modo di intervenire nella faccenda trattandosi di questione interna dell'Austria".[32] I fatti trentini comunque procurarono a Mussolini una notevole notorietà in Italia, lo spinsero ulteriormente verso l'azione politica e segnarono l'inizio del passaggio da una concezione socialista e internazionalista a posizioni marcatamente nazionaliste.[33]

Nel Partito Socialista

A partire dal gennaio 1910, divenne segretario della Federazione socialista forlivese e diresse il suo periodico ufficiale L'idea socialista, settimanale di quattro pagine (ribattezzato da Mussolini stesso Lotta di classe). Il 17 gennaio Mussolini iniziò a convivere con Rachele Guidi, sua futura moglie, in un appartamento ammobiliato di Via Merenda n° 1. Cominciò inoltre a collaborare con la rivista socialista Soffitta. In questi anni forlivesi, decise anche di prendere lezioni di violino dal Maestro Archimede Montanelli.[34] Fra le opere preferite di Mussolini si ricordano: La Follia di Corelli, le sonate di Beethoven, le composizioni di Veracini, Vivaldi, Bach, Granados, Fauré e Ranzato.[35]

Dal punto di vista giornalistico, continuò anche il rapporto con Il popolo di Trento. Cesare Battisti gli chiese di scrivere un romanzo a puntate. Il compenso era di 15 lire a puntata. Mussolini scelse uno dei suoi argomenti preferiti, la critica sociale anticlericale. Ispirandosi a una storia realmente avvenuta a Trento nel Seicento (lo scandaloso amore tra il vescovo-principe di Trento, Carlo Emanuele Madruzzo, e una cortigiana) scrisse L'amante del cardinale. Claudia Particella.[36] Il romanzo uscì a puntate, dal 20 gennaio all'11 maggio 1910.

Come rappresentante della federazione di Forlì, Mussolini partecipò al congresso socialista di Milano (1910). L'11 aprile 1911 la sezione socialista di Forlì guidata da Mussolini votò l'autonomia dal PSI. Nel maggio dello stesso anno la prestigiosa rivista letteraria La Voce, diretta da Giuseppe Prezzolini, pubblicò il suo saggio Il Trentino veduto da un socialista, costituito dagli appunti stesi da Mussolini durante il 1909.[40]

Il 25 settembre, assieme all'amico repubblicano Pietro Nenni, Mussolini partecipò a una manifestazione contro la guerra con l'impero ottomano per il possesso di Cirenaica e Tripolitania, che si concluse con scontri violenti con la polizia. Mussolini aveva definito l'impresa coloniale africana di Giovanni Giolitti un "atto di brigantaggio internazionale"; aveva inoltre definito il tricolore "uno straccio da piantare su un mucchio di letame"[41][42]. Arrestato il 14 ottobre, venne processato e condannato a un anno di reclusione (23 novembre). Il 19 febbraio 1912 la Corte d'Appello di Bologna ridusse la pena a cinque mesi e mezzo e il successivo 12 marzo Mussolini venne rilasciato.[43]

L'8 luglio 1912, al congresso del PSI di Reggio Emilia, avanzò una mozione di espulsione (definita da lui anche lista di proscrizione) nei confronti dei riformisti Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, Angiolo Cabrini e Guido Podrecca,[44] che venne accolta. L'accusa era di "gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista".[45] Quindi entrò nella direzione nazionale del partito. Collaborò poi con Folla, giornale di Paolo Valera, firmandosi con lo pseudonimo "L'homme qui cherche". Grazie agli eventi del 1912 e alle sue qualità di brillante oratore, nel novembre 1912 divenne esponente di spicco dell'ala massimalista del socialismo italiano e giunse alla direzione dell'Avanti!, organo ufficiale del partito, succedendo a Claudio Treves (Angelica Balabanoff venne scelta per il ruolo di viceredattore capo).[46] Nello stesso periodo (novembre 1913) fondò un proprio giornale, Utopia, che diresse fino allo scoppio della guerra e sul quale poté esprimere tutte le proprie opinioni, anche quelle in contrasto con la linea ufficiale del partito. Sempre nel 1913, Mussolini si presentò, nel collegio di Forlì, come candidato socialista alle elezioni per la Camera dei Deputati, ma venne sconfitto da Giuseppe Gaudenzi, repubblicano (tradizionalmente, i repubblicani erano molto forti nel forlivese).

Al congresso del Partito Socialista di Ancona del 1914, presentò con Giovanni Zibordi una mozione, che venne accolta, con la quale si riconobbe esser incompatibile l'appartenenza alla massoneria per un socialista.[47] Il 9 giugno venne eletto consigliere comunale a Milano e fu protagonista della Settimana Rossa.

Allo scoppio della prima guerra mondiale interpretò con fermezza la linea non interventista dell'Internazionale Socialista. Mussolini era del parere che il conflitto non poteva giovare agli interessi dei proletari italiani bensì solo a quelli dei capitalisti.[48] Nello stesso periodo, all'insaputa dell'opinione pubblica, il Ministero degli Esteri stava avviando un'operazione di persuasione negli ambienti socialisti e cattolici per ottenere un atteggiamento favorevole verso un possibile intervento dell'Italia in guerra.[49]

Riguardo agli ambienti socialisti, individuò nel quotidiano del partito uno strumento per portare i socialisti dalla propria parte. fu Filippo Naldi, "faccendiere" con numerosi agganci tra gli ambienti finanziari e il giornalismo (e direttore del bolognese Resto del Carlino), a prendere contatti con il direttore dell'Avanti.[50]

Il 26 luglio Mussolini pubblicò un editoriale intitolato Abbasso la guerra, a favore della scelta antibellicista; ma negli stessi giorni compaiono altri articoli, a firme di noti esponenti del partito, che pur mantenendo fermo l'atteggiamento di fondo contro la guerra cominciavano a discutere sull'alleato che avrebbe potuto giovare alla causa italiana. Già nei primi mesi del conflitto appariva quindi tutta l'incertezza del Partito Socialista, che non sapeva risolversi tra la sua inclinazione antimilitarista e la propensione verso la guerra come mezzo per rinnovare la lotta politica e smuovere gli equilibri consolidati nel Paese.[51]
Uno dei primi a porre dubbi sulla neutralità assoluta fu Bissolati, a cui seguirono Prezzolini, Salvemini, i repubblicani, i radicali, i massoni, i socialisti riformisti e i sindacalisti rivoluzionari.[52] I primi attacchi a Mussolini relativi ad un suo possibile cambio d'opinione si ebbero il 28 agosto 1914 in un articolo de "Il giornale d'Italia" e continuarono nei successivi settembre e ottobre in altri quotidiani. È in questo contesto che Naldi pubblicò un polemico articolo sul Resto del Carlino (7 ottobre 1914, scritto da Libero Tancredi, in cui accusava Mussolini di doppiogiochismo, ottenendo l'irata reazione del direttore dell'Avanti!. Cogliendo l'occasione per un chiarimento, Naldi si recò a Milano nella sede del quotidiano e conobbe personalmente Mussolini. Sfruttando forse la sua insofferenza per la posizione ambigua del partito, ottenne da Mussolini una prima "conversione", da posizioni antibelliciste a un neutralismo condizionato.

Mussolini socialista interventista

Il 18 ottobre, mutando esplicitamente la propria originaria posizione, Mussolini pubblicò sulla Terza pagina dell'Avanti! un lungo articolo intitolato «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante», in cui rivolse un appello ai socialisti sul pericolo che una neutralità avrebbe comportato per il partito, cioè la condanna all'isolamento politico. Secondo Mussolini, le organizzazioni socialiste avrebbero dovuto appoggiare la guerra fra le nazioni, con la conseguente distribuzione delle armi al popolo, per poi trasformarla in una rivoluzione armata contro il potere borghese.[53]

La sua nuova linea non venne accettata dal partito; nel giro di due giorni Mussolini rassegnò le dimissioni (20 ottobre). Nel periodo di direzione Mussolini, il giornale era salito da 30-45.000 copie nel 1913 a 60-75.000 copie nei primi mesi del 1914.[54] Grazie all'aiuto finanziario di alcuni gruppi industriali (ancora con la mediazione di Filippo Naldi),[55] Mussolini riesce rapidamente a fondare un suo giornale. Il nuovo quotidiano è Il Popolo d'Italia, il cui primo numero uscì il 15 novembre 1914.[56] Dalle colonne del suo giornale Mussolini attaccò senza remore i suoi vecchi compagni. Col partito era rottura: il 29 novembre Mussolini venne espulso dal PSI.

I tempi dell'operazione e la provenienza dei finanziamenti insospettirono gli ex compagni, che accusarono Mussolini di indegnità morale. Secondo il Partito Socialista egli avrebbe ricevuto fondi occulti da agenti francesi in Italia, che lo avrebbero corrotto per farlo aderire alla causa dell'interventismo pro-Intesa. La questione fini` davanti alla commissione d'inchiesta del collegio dei probiviri dell'Associazione Lombarda dei Giornalisti, che escludette ogni ipotesi di corruzione giungendo alla conclusione che la nascita del giornale era da collegarsi esclusivamente al rapporto di simpatia personale fra Mussolini e il direttore del Carlino Naldi.[57]

Solo negli ultimi anni stanno uscendo documenti che proverebbero invece il diretto intervento del governo francese nell'aiutare Mussolini, che comunque sappiamo aver incontrato in Svizzera rappresentanti dell'Intesa, i quali gli assicurano il loro appoggio.[58]

In particolare secondo una nota scritta nel novembre 1922 dai servizi segreti francesi a Roma, Mussolini - che venne dichiarato in un'altra nota degli stessi servizi «un agente del Ministero francese a Roma» - avrebbe incassato nel 1914 dal deputato francese Charles Dumas, capo di gabinetto del ministro francese Jules Guesde, socialista, dieci milioni di franchi "per caldeggiare sul suo Popolo d'Italia l'entrata in guerra dell'Italia al fianco delle potenze alleate".[59]

In dicembre prese parte a Milano alla fondazione dei "Fasci di azione rivoluzionaria" di Filippo Corridoni, partecipando poi al loro primo congresso il 24 e il 25 gennaio 1915. In seguito il suo interventismo si fece sempre più acceso, accompagnato dalla veemenza contro le istituzioni parlamentari, che nella sua idea di guerra come anticamera della rivoluzione avrebbero dovuto essere spazzate via dalla novità della guerra mondiale, grazie alla quale le masse rivoluzionarie si sarebbero affacciate armate alla storia:[60]

« Questi deputati che minacciano pronunciamenti alla maniera delle republichette sud-americane, questi deputati che diffondono – con le più inverosimili esagerazioni – il panico nella fedele mandria elettorale; questi deputati pusillanimi, ciarlatani… questi deputati andrebbero consegnati ai tribunali di guerra! La disciplina deve cominciare dall'alto se si vuole che sia rispettata in basso. Quanto a me, sono sempre più fermamente convinto che per la salute dell'Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati, e mandare all'ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia un bubbone pestifero. Occorre estirparlo. »

(discorso interventista del 15 maggio 1915.[61])

La partecipazione nella Grande Guerra

Alla dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria (23 maggio 1915), Mussolini fece domanda per arruolarsi volontario, e questa come nella maggioranza dei casi venne respinta dagli uffici di leva.[62] Venne chiamato come coscritto il 31 agosto 1915, e fu assegnato come soldato semplice al 12º Reggimento bersaglieri; il 13 settembre parti' per il fronte con l'11º Reggimento bersaglieri. Tenne un diario di guerra, pubblicato sul Popolo d'Italia (fine dicembre 1915 - 13 febbraio 1917), nel quale raccontò la vita in trincea e prefigurò se stesso come eroe carismatico di una comunità nazionale, socialmente gerarchica e obbediente.[63]

Il 1º marzo 1916 fu promosso caporale per meriti di guerra. Nel "Rapporto Gasti" si legge, tra l'altro, «Attività esemplare, qualità battagliere, serenità di mente, incuranza ai disagi, zelo, regolarità nell'adempimento dei suoi doveri, primo in ogni impresa di lavoro e ardimento». Il 31 agosto successivo venne nominato caporal maggiore.

Il 23 febbraio 1917 fu ferito gravemente dallo scoppio di un lanciabombe durante un'esercitazione sul Carso.[64] Fu operato nell' ospedaletto da campo di Ronchi di Soleschiano dal clinico chirurgo Giuseppe Tusini, fondatore e preside dell' Università Castrense di San Giorgio di Nogaro[65]. Durante la convalescenza venne visitato nel sanatorio da Vittorio Emanuele III.[66] In questo periodo fece circolare due leggende: che aveva rifiutato l'anestetico mentre gli estraevano le schegge dal corpo[67] e che gli austriaci, considerandolo il nemico più potente, bombardarono l'ospedale in cui si trovava allo scopo di ucciderlo.[68][69][70] Dopo la prima convalescenza in ospedale militare e le due successive licenze venne congedato illimitatamente nel 1919.[71]

Mussolini tornò alla direzione de Il Popolo d'Italia nel giugno 1917.[72] Il 1º agosto 1918 modificò il sottotitolo da "Quotidiano socialista" a "Quotidiano dei combattenti e dei produttori", indicando chiaramente la strada da intraprendere.[73] In dicembre pubblicò sul giornale l'articolo Trincerocrazia, in cui rivendicò per i reduci dalle trincee il diritto di governare l'Italia post-bellica e prefigurò i combattenti della Grande Guerra come l'aristocrazia di domani e il nucleo centrale di una nuova classe dirigente.[74]

Stando a documenti resi pubblici nel 2009, fu in questo periodo che l'allora tenente colonnello del servizio segreto militare britannico Samuel Hoare (futuro Segretario per gli Affari Esteri e successivamente Segretario degli Interni) prese accordi con Mussolini, fornendogli una retribuzione settimanale di 100 sterline in cambio dell'impegno a sostenere la linea bellica anche dopo la sconfitta di Caporetto.[75][76] Mussolini in questo periodo ricevette per il suo giornale anche, secondo una relazione della Polizia del 10 aprile 1917, finanziamenti da parte di ricchi industriali milanesi, da Banche per la pubblicità dei prestiti di guerra, da singoli sovvenzionatori come Cesare Goldmann e probabilmente Filippo Naldi, dalla Banca Italiana di Sconto e dalla massoneria.[77] Ci furono probabilmente anche legami con i gruppi industriali Ansaldo e Toeplitz (e legata a quest'ultimo la Banca Commerciale Italiana).[78]

Il Fascismo e la rivoluzione fascista

La fondazione dei Fasci italiani di combattimento avvenne a Milano il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro; stando allo stesso Mussolini non erano presenti che una cinquantina di aderenti,[79][80] ma negli anni successivi, quando la qualifica di sansepolcrista dava automaticamente diritto a vantaggi cospicui in termini economici e di prestigio sociale, furono centinaia coloro che riuscirono a far aggiungere alla lista il loro nome.[79]

Tra marzo e giugno i futuristi di Filippo Tommaso Marinetti divennero la componente principale del Fascio milanese e fecero sentire la loro influenza ideologica;[81] tuttavia Mussolini ebbe modo di affermare: "Noi siamo, soprattutto, dei libertari cioè della gente che ama la libertà per tutti, anche per avversari. (...) Faremo tutto il possibile per impedire la censura e preservare la libertà di pensiero di parola, la quale costituisce una delle più alte conquiste ed espressioni della civiltà umana".[82]

Dall'esperienza dei Freikorps tedeschi trasse la conclusione che squadre di uomini armati potevano essere utilissime per intimidire l'opposizione: il 15 aprile 1919, subito dopo un comizio della Camera del Lavoro all'Arena Civica, fascisti, arditi, nazionalisti e allievi ufficiali, guidati da Marinetti e Ferruccio Vecchi si lanciarono contro la sede dell'Avanti!, attaccandola e devastandola, dopo una serie di colluttazioni stradali con gruppi socialisti e dopo che dalla sede del giornale venne sparato un colpo di pistola che uccise un soldato, Martino Speroni.[83] Mussolini si tenne in disparte, credendo che i suoi uomini non fossero ancora pronti per combattere una "battaglia di strada", ma difese il fatto compiuto.[84] Procedette quindi a reclutare un esercito di arditi pronti a vari assalti frontali e trasportò nella sede del Popolo d'Italia una grande quantità di materiali bellici, per prevenire un possibile "contrattacco rosso".[85]

In giugno Mussolini si schierò contro il governo guidato da Francesco Saverio Nitti; per i fascisti il neopresidente del consiglio era il rappresentante di quella vecchia classe politica che essi intendevano soppiantare.[86] Dalla debolezza dell'esecutivo Mussolini voleva trarre la forza per attuare una rivoluzione,[87] e per tutta l'estate il suo nome fu associato a complotti volti a realizzare un colpo di Stato.[88]

Il 12 settembre, Mussolini promosse davanti alla sede de Il Popolo d'Italia una sottoscrizione a favore dell'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio, dopo aver incontrato quest'ultimo per la prima volta a Roma il 23 giugno.[89] Il 7 ottobre era a Fiume, dove ebbe colloqui con D'Annunzio. I rapporti con il Vate furono comunque estremamente fugaci, e condizionati da reciproca diffidenza e rivalità: Mussolini mal sopportava l'idea che D'Annunzio potesse relegarlo in secondo piano; D'Annunzio gli scrisse una lettera tacciandolo di codardia, ma quando la missiva venne pubblicata dal Popolo d'Italia questo passaggio fu censurato.[90]

Il 9 ottobre si tenne a Firenze il primo Congresso dei Fasci di Combattimento: venne deciso di presentarsi alle imminenti elezioni politiche senza aderire a nessuna alleanza. Alle elezioni politiche del 16 novembre 1919 i fascisti, nonostante le candidature "eccellenti" dello stesso Mussolini e di Marinetti a Milano, non ottennero neanche un seggio, e nella provincia di Milano presero soltanto 4675 voti.[91] Inoltre, il 18 novembre Mussolini fu arrestato per poche ore con l'accusa di detenzione di armi ed esplosivi, e venne rilasciato grazie anche all'intervento del senatore liberale Luigi Albertini.[92]

Dall'infelice esperienza Mussolini trasse la conclusione che il fascismo era guardato con diffidenza dall'elettorato conservatore ed era troppo simile ai socialisti per l'elettorato progressista; pertanto, avendo il fascismo fallito come movimento di sinistra, esso avrebbe potuto trovare un suo spazio come aggregazione di destra.[93] All'inizio del 1920 Mussolini s'impegnò per aumentare i propri consensi nel nord-est, e in particolare a Trieste, città di frontiera dove convivevano non senza attriti italiani e slavi.[94]

Il 24 e il 25 maggio 1920 Mussolini partecipò al secondo Congresso dei Fasci di combattimento, che si teneva al teatro lirico di Milano. I Fasci di combattimento, grazie alla progressiva svolta a destra, iniziarono ad avere finanziamenti da parte di industriali, i quali venivano in cambio protetti da squadre di arditi.[95] In giugno si schierò a favore di Giolitti, con il quale in ottobre s'incontrò per la risoluzione della questione di Fiume: pur biasimandolo per aver ritirato le truppe dall'Albania, gli fece capire che un accordo con i liberalconservatori era possibile. Il 12 novembre, con il fondo L'accordo di Rapallo, commentò abbastanza favorevolmente il trattato italo-jugoslavo firmato da Giolitti, con cui Fiume diveniva una città libera. Successivamente ad una discussione del Comitato Centrale dei Fasci del 15 novembre Mussolini modificò la propria opinione sulla bontà del trattato.[96]

Nel gennaio del 1921 la minoranza comunista usciva dal PSI per fondare il Partito Comunista d'Italia; ciò mise in allarme Mussolini perché i socialisti, ricollocatisi su posizioni più moderate, avrebbero potuto essere interpellati da Giolitti per una collaborazione governativa, escludendo in questo modo i fascisti dagli scenari politici principali. Il 2 aprile, dopo aver sfilato con gli squadristi in camicia nera in occasione dei solenni funerali delle vittime del terrorismo anarchico del teatro Diana, Mussolini accettò la richiesta di Giolitti di far parte dei Blocchi Nazionali,[97] contando di poter addomesticare i fascisti alle sue posizioni politiche e utilizzarli per indebolire le opposizioni.

Il futuro Duce si presentò quindi come alleato dello statista di Mondovì, dei nazionalisti e di una serie di altre associazioni e partiti,[98] alle elezioni del 15 maggio 1921, nelle liste dei "Blocchi Nazionali" antisocialisti: la lista ottenne 105 seggi, di cui 35 per i fascisti e anche Mussolini fu eletto deputato. Grazie all'immunità parlamentare poté quindi evitare il processo relativo ai fatti del 1919 (cospirazione e detenzione illegale di armi).[99] Le consultazioni si svolsero in un clima di violenza: i morti furono un centinaio[100] e in molte zone, approfittando del tacito favore della Polizia, i fascisti impedirono ai partiti di sinistra di tenere comizi.[101]

Verso il potere

A partire da questo momento le camicie nere moltiplicarono i numerosi episodi di violenza e aggressione fisica e verbale contro gli avversari politici del fascismo; bersagli preferiti erano soprattutto socialisti, comunisti e popolari: il fenomeno prese il nome di squadrismo. Il 2 luglio, con un articolo (In tema di pace) sul Popolo d'Italia, invitò i socialisti e i popolari ad aderire a un patto di pacificazione per la cessazione delle violenze squadriste. L'accordo venne siglato il 2 agosto e firmato il giorno successivo grazie alla mediazione del presidente della Camera Enrico De Nicola; tuttavia, le violenze non cessarono perché l'esecuzione dell'accordo venne contestata dai singoli ras e perché ne vennero esclusi i comunisti, che non aderirono per estraneità del patto ai loro principii politici[102]: fra costoro e gli squadristi le violenze continuarono rendendo vuoto di significato il patto; d'altro canto a Mussolini non conveniva recitare più di tanto la parte del pacificatore perché i ras minacciavano di scavalcarlo e destituirne l'autorità sui Fasci.

A proposito della notevole autonomia di cui godevano i singoli gruppi squadristi, Renzo De Felice riporta che il futuro duce entrò in contrasto con alcuni esponenti che mettevano in dubbio la sua posizione di guida del movimento (su tutti, Dino Grandi) e che non accettavano la volontà mussoliniana di presentare quest'ultimo come "normalizzatore" dell'ordine sociale. Emblematico da questo punto di vista, sempre secondo De Felice, quanto scrisse Mussolini: «Il fascismo può fare a meno di me? Certo, ma anch'io posso fare a meno del fascismo.»[103]

Tuttavia, le divergenze vennero superate, e il 7 novembre si tenne a Roma il terzo congresso dei Fasci di Combattimento, che vennero trasformati nel Partito Nazionale Fascista, con Michele Bianchi primo segretario. Il 1º gennaio 1922 Mussolini fondò il mensile Gerarchia, con cui collaborò l'intellettuale (e amante di Mussolini) Margherita Sarfatti, ma già nell'agosto precedente si era affrettato a creare una scuola di cultura fascista che aveva il compito di esporre la dottrina.[104]

Nel febbraio del 1922 divenne primo ministro Luigi Facta, l'ultimo liberale prima di Mussolini, personaggio di modesto spessore. La sua nomina fece il gioco dei fascisti poiché dava l'ennesima dimostrazione dell'incapacità del sistema parlamentare democratico di produrre un governo stabile e di mantenere l'ordine. Sotto il suo governo le incursioni delle squadre fasciste si moltiplicarono, soprattutto nelle province di Ferrara e Ravenna (si distinse in questi attacchi Italo Balbo).

Il 2 agosto le sinistre indissero uno sciopero, definito da Turati "legalitario" ed organizzato fin dal 28 luglio,[105] contro le violenze delle camicie nere, che intervennero determinandone il fallimento[106]: a Milano, per esempio, gli squadristi dispersero i picchetti degli scioperanti e conquistarono i depositi dei tram, facendo circolare regolarmente i mezzi pubblici con la scritta "gratis - offerto dal Fascio".[107] Nel frattempo, tra il 31 agosto e il 5 settembre, le squadre fasciste occuparono i municipi di Ancona, Milano, Genova, Livorno, Parma, Bolzano e Trento, acquisendone il controllo, dopo violenti scontri armati.

Si trattava del crescendo della "rivoluzione fascista", con cui Mussolini tentò un ambizioso colpo di mano per impadronirsi del potere, sfruttando il consenso acquisito presso gli ambienti sociali più influenti del regno. Il 24 ottobre egli passò in rassegna a Napoli le 40.000 camicie nere lì radunate, affermando il diritto del Fascismo a governare l'Italia.

La marcia su Roma

In molti si convinsero che ormai dialogare con Mussolini fosse diventato inevitabile: Giovanni Amendola e Vittorio Emanuele Orlando teorizzarono una coalizione di governo che includesse anche i fascisti[109] e Nitti, che sperava nella presidenza del Consiglio, riteneva ora un'alleanza con Mussolini il mezzo migliore per scalzare il suo avversario Giolitti.[110]

Proprio Giolitti, secondo lo stesso Mussolini, era l'unico uomo che poteva evitare il successo del fascismo: Facta lo sollecitò più volte a intervenire ma il grande vecchio della politica italiana comunicò che non si sarebbe scomodato se non per prendere direttamente in mano le redini del governo (fu questo un errore di cui si sarebbe pentito).[111] I fascisti lo blandirono promettendogli la presidenza del Consiglio ed egli li accreditò presso il mondo industriale milanese.[112]

Tra il 27 e il 31 ottobre 1922, la "rivoluzione fascista" ebbe il suo culmine con la "marcia su Roma", opera di gruppi di camicie nere provenienti da diverse zone d'Italia e guidate dai "quadrumviri" (Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi). Il loro numero non è mai stato stabilito con certezza; tuttavia, a seconda della fonte di riferimento, la cifra considerata oscilla tra le 30.000 e le 300.000 persone.[113]

Mussolini non prese parte direttamente alla marcia, temendo un intervento repressivo dell'esercito che ne avrebbe determinato l'insuccesso.[114] Rimase a Milano (dove una telefonata del prefetto lo avrebbe informato dell'esito positivo) in attesa di sviluppi e si recò a Roma solo in seguito, quando venne a sapere del buon esito dell'azione. A Milano, la sera del 26 ottobre, Mussolini ostentò tranquillità nei confronti dell'opinione pubblica assistendo al Cigno di Molnár al Teatro Manzoni.[115] In quei giorni, stava in realtà trattando direttamente col governo di Roma sulle concessioni che questo era disposto a fare al Fascismo, e il futuro Duce nutriva incertezza sul risultato che la manovra avrebbe avuto.

Il Re, per l'opposizione di Mussolini a qualsiasi compromesso (il 28 ottobre rifiutò il Ministero degli Esteri) e per il sostegno di cui il fascismo godeva presso gli alti ufficiali e gli industriali, che vedevano in Mussolini l'uomo forte che poteva riportare ordine nel paese "normalizzando" la situazione sociale italiana, non proclamò lo Stato d'assedio proposto dal presidente del Consiglio Facta e dal generale Pietro Badoglio, e diede invece l'incarico a Mussolini di formare un nuovo governo di coalizione (29 ottobre). Se il re avesse accettato il consiglio dei due uomini, non ci sarebbero state speranze per le camicie nere: lo stesso Cesare Maria De Vecchi e la destra fascista di ispirazione monarchica[116] avrebbero optato per la fedeltà al Re.[117]

Mussolini presidente del consiglio

Il 16 novembre Mussolini si presentò alla Camera e tenne il suo primo discorso come presidente del consiglio (il "discorso del bivacco"), nel quale dichiarò:

«Signori! Quello che io compio oggi, in quest'aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza. Da molti anni, anzi, da troppi anni, le crisi di governo erano poste e risolte dalla camera attraverso più o meno tortuose manovre ed agguati, tanto che una crisi veniva regolarmente qualificata un assalto ed il ministero rappresentato da una traballante diligenza postale. Ora è accaduto per la seconda volta nel breve volgere di un decennio che il popolo italiano - nella sua parte migliore- ha scavalcato un ministero e si è dato un governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del parlamento. Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l'ottobre del 1922. Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò. Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle "camicie nere", inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della nazione. Mi sono rifiutato di stravincere e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ti abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. »

Nella Camera dei deputati Mussolini ottenne la fiducia con 306 voti a favore, 116 contrari (socialisti, comunisti e qualche isolato) e 7 astenuti (rappresentanti delle minoranze nazionali), nel Senato con 19 voti contrari.[118] Tra i favorevoli risultarono Giovanni Giolitti, Vittorio Emanuele Orlando, Luigi Facta e Antonio Salandra mentre Francesco Saverio Nitti abbandonò l'aula per protesta.[119] Il 25 novembre ottenne dalla Camera i pieni poteri in ambito tributario ed amministrativo[120] sino al 31 dicembre 1923, al fine di "ristabilire l'ordine". Il 15 dicembre 1922 si istituì il Gran Consiglio del Fascismo. Il 14 gennaio 1923 le camicie nere vennero istituzionalizzate attraverso la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Il 9 giugno, dopo esser riuscito, con minacce, a far dimettere il principale antagonista parlamentare, Don Sturzo, ed a far frazionare il gruppo dei popolari con il suo pacato discorso del 15 luglio,[121] presentò alla Camera la nuova legge Acerbo in materia elettorale, approvata dalla stessa il 21 luglio ed il 13 novembre dal Senato,[122] divenendo poi la legge 18 novembre 1923, n. 2444.[123] Mussolini ebbe un successivo voto di fiducia il 15 luglio con 303 voti a favore, 140 contro e 7 astensioni.[124] Sempre in luglio, grazie all'appoggio britannico, nella conferenza di Losanna fu riconosciuto il dominio italiano sul Dodecaneso, occupato dal 1912.

Il 27 agosto si verificò l'eccidio di Giannina: la spedizione militare Tellini, col compito di definire la linea di confine tra Grecia e Albania venne massacrata. Mussolini inviò un ultimatum alla Grecia per chiedere riparazioni, scuse ed onori ai morti e, in seguito al parziale rifiuto del governo greco, ordinò alla marina italiana di occupare Corfù.[125] Con questa azione, il nuovo presidente del consiglio voleva dimostrare di voler perseguire una politica estera forte e ottenne, grazie alla Società delle Nazioni, le riparazioni richieste (dietro l'abbandono dell'isola occupata).

Il 19 dicembre presiedette alla firma dell'accordo tra Confindustria e la Confederazione delle Corporazioni fasciste (il cosiddetto "patto di Palazzo Chigi").[126] Il regio decreto 30 dicembre 1923 n. 2841 stabilì la creazione degli Enti Comunali di Assistenza (ECA) con compito di «coordinamento di tutte le attività, pubbliche o private, volte al soccorso degli indigenti, provvedendo, se necessario, alle loro cure, o promuovendo ove possibile l'educazione, l'istruzione e l'avviamento alle professioni, arti e mestieri». Essi furono unificati in due enti territoriali deputati all'assistenza sanitaria e materiale dei poveri e dell'infanzia abbandonata col regio decreto del 3 marzo 1933 n. 383.[Il R.D. non parla di ECA, che sono nati nel '37.]

Il 27 gennaio 1924 venne firmato il trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia, col quale quest'ultima riconobbe all'Italia Fiume,[127] annessa il 22 febbraio.[128] In seguito a questo, il 26 marzo il re conferì a Mussolini l'onorificenza dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata. A partire dalla marcia su Roma il governo italiano stabilì rapporti diplomatici con l'Unione Sovietica, che vennero migliorati nel corso del febbraio 1923, giungendo al riconoscimento dell'URSS ed alla stipulazione di un trattato di commercio e navigazione il 7 febbraio 1924.[129] Un accordo con il Regno Unito permise all'Italia di acquisire l'Oltregiuba, regione keniota che venne annessa alla Somalia italiana. Il 24 marzo si ebbe il primo tentativo di radiotrasmissione di un discorso politico.

Alle elezioni del 6 aprile 1924, la "Lista Nazionale" (nota con il nome di "Listone") ottenne il 60,1% dei voti e 356 deputati (poi ridotti a 355 per la morte di Giuseppe De Nava, non sostituito); ad essi si aggiunsero il 4,8% di voti e i 19 seggi conseguiti dalla "lista bis". Nel complesso le due liste governative raccolsero il 64,9% dei voti validi, eleggendo 375 parlamentari, di cui 275 iscritti al Partito Nazionale Fascista. Oltre al PNF erano entrati nel "Listone" la maggioranza degli esponenti liberali e democratici (tra cui Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra, ed Enrico De Nicola, che però ritirò la sua candidatura prima delle elezioni), ex popolari espulsi dal partito, demosociali e sardisti filofascisti, e numerose personalità della destra italiana.

Le consultazioni si svolsero in un clima generale di violenza e intimidazioni,[130][131] nonostante Mussolini avesse inviato reiterati appelli all'ordine ai fascisti e telegrammi ai prefetti affinché impedissero a chiunque intimidazioni, provocazioni e aggressioni,[132] che avrebbero potuto portare le forze di minoranza a chiedere l'annullamento delle elezioni (che vedevano comunque favorito il "Listone").[133] Allo stesso tempo, Mussolini aveva impegnato telegraficamente i prefetti[134] affinché ogni sforzo fosse effettuato per assicurare la vittoria alla Lista Nazionale, attraverso l'opera di convincimento degli incerti e la lotta all'astensionismo, l'opera di propaganda sulla corretta compilazione della scheda elettorale,[135] e soprattutto attraverso manifestazioni e celebrazioni pubbliche patriottiche e religiose, nelle quali i Fasci locali avrebbero potuto presentarsi come gli unici detentori della legittimità a rappresentare la nazione.

Le elezioni si conclusero con una schiacciante vittoria della Lista Nazionale, tale da superare le aspettative dello stesso Mussolini, che sulla base delle informative ricevute dai prefetti si aspettava una percentuale di consensi di poco superiore al 50%.[136] Il "Listone" ottenne invece il 64,9% su base nazionale, tale da raggiungere da solo il premio di maggioranza del 65% previsto dalla Legge Acerbo per il partito di maggioranza relativa. La sconfitta delle opposizioni portò la stampa antifascista e anche quella afascista ad un serrato attacco contro le violenze e le illegalità commesse dai fascisti e dagli organi dello Stato allineati al fascismo.[137] Solo pochi giornali riconobbero la vittoria elettorale del blocco nazionale. Gli abusi, i brogli e le violenze perpetrate dai fascisti vennero infine denunciate il 30 maggio dal deputato socialista unitario Giacomo Matteotti con un duro ma circostanziato discorso alla Camera col quale chiese di annullare il risultato delle elezioni. L'intervento provocò una seduta concitata, in cui Matteotti venne interrotto a più riprese, in particolare da Farinacci, il quale a sua volta rinfacciò all'opposizione le illegalità commesse dai movimenti antifascisti, mentre maggioranza e opposizione si scambiavano accuse reciproche. Alcuni esponenti della Lista Nazionale abbandonarono l'Aula per protesta contro le accuse lanciate da Matteotti.[138]

Il 10 giugno 1924 Matteotti venne sequestrato per mano di squadristi fascisti e di lui, per settimane, non ci fu più traccia. L'evento provocò grande turbamento in tutta la nazione e numerosi furono gli iscritti del partito nazionale fascista che stracciarono la tessera; la reazione più clamorosa fu tuttavia quella passata alla storia come «secessione dell'Aventino»,[139] ovvero l'abbandono del parlamento da parte dei deputati d'opposizione per protesta nei confronti del rapimento. Indicato dalla stampa e dall'opposizione ma anche da alcuni suoi alleati come mandante,[140] Mussolini non venne però imputato nel processo, che portò alla condanna a sei anni per omicidio preterintenzionale[141] di tre militanti fascisti (Amerigo Dumini, Albino Volpi e Amleto Poveromo) che secondo la sentenza avrebbero agito di propria iniziativa nell'assassinare Matteotti (il quale risulterà essere stato accoltellato a morte pochi istanti dopo essere stato rapito).

Nonostante la responsabilità politica, se non fattiva, fosse con tutta evidenza di Mussolini e del PNF[142], anche il processo all'Alta Corte Senato del Regno contro Emilio De Bono non coinvolse Mussolini. La responsabilità di Mussolini come mandante dell'omicidio Matteotti è stata contestata da Renzo De Felice, che ha opinato come egli in quel periodo fosse il più danneggiato nella sua politica e nella sua persona da quel delitto.[143] Lo stress dovuto ai fatti produsse in Mussolini i primi sintomi di un'ulcera duodenale che lo accompagnò per tutto il resto della sua vita.[144]

L'autunno 1924 fu denso di tensioni per Mussolini: alcuni fascisti presero le distanze da lui, e molti chiesero le sue dimissioni, affinché il "fascismo" potesse "ritemprarsi libero dalle responsabilità dei supremi poteri" (così il ministro delle Finanze De Stefani, presentò il 5 gennaio 1925 le proprie dimissioni - respinte - a Mussolini).[145] La pubblicazione del "memoriale Rossi"[146] (forse voluta dallo stesso Mussolini)[147] portò altre accuse, ma per le sue incoerenze interne Mussolini riuscì con un'abile campagna di stampa a ritorcerle a suo vantaggio. Mussolini si limitò a cedere l'interim degli Interni a Federzoni, il quale venne incaricato di reprimere innanzitutto ogni moto spontaneo sia delle opposizioni che degli squadristi[148] (i quali, soprattutto dopo l'assassinio come vendetta per Matteotti dell'onorevole Armando Casalini che tornava a casa con la figlia, il 12 settembre 1924 ricostituirono alcune "squadracce" e ripresero le violenze arbitrarie, anche verbali nei confronti di Federzoni stesso).[149]

Mentre la situazione si faceva sempre più tesa si agitarono anche voci che sostennero che Mussolini pensasse ad un colpo di Stato per risolvere la questione: una tesi che De Felice ha smentito:[150] proprio l'iniziale volontà di Mussolini di risolvere politicamente e nei limiti della legalità costituzionale la crisi[151] spinse invece i ras a metterlo spalle al muro. Dopo una durissima campagna di stampa portata avanti dalle testate dell'estremismo fascista, la sera del 31 dicembre un gruppo di consoli della Milizia capitanato da Aldo Tarabella ed Enzo Galbiati si recò a Palazzo Chigi.[152] Lo scontro verbale fu violentissimo: gli squadristi accusarono Mussolini di volersi disfare della Milizia e del partito e lo minacciarono di un "pronunciamiento". A Firenze, nel frattempo, si erano radunati oltre diecimila squadristi, pronti all'azione violenta: fu incendiata la sede del Giornale nuovo e altre sedi antifasciste, e dato l'assalto alle carceri delle Murate, dalle quali furono tratti i fascisti ivi detenuti.[153] In tutta questa situazione, il re taceva e l'Esercito non si muoveva. Mussolini, a questo punto "decise di giocare grosso: approfittare dell'atteggiamento del re per mettere fuori giuoco le opposizioni, rassodando così il proprio traballante potere e dando soddisfazione agli intransigenti, ma al tempo stesso tirare anche a questi un colpo mortale".[154]

Forte dell'indecisione delle opposizioni e premuto dai suoi compagni più radicali (Balbo, Farinacci e Bianchi soprattutto), il 3 gennaio 1925 Mussolini tenne alla Camera dei deputati un discorso sul delitto Matteotti[155] col quale sfidò chiunque a trascinarlo davanti ad una corte speciale per giudicarlo,[156] se davvero lo si fosse ritenuto correo al crimine commesso contro Matteotti. Inoltre, dopo aver respinto ogni addebito e ogni accusa in merito all'omicidio di Matteotti, espose le vicende della rivoluzione fascista, delle lotte interne e dell'ascesa al potere del fascismo, arrivando a sfidare l'aula sostenendo che se il fascismo non fosse stato altro che "un'associazione a delinquere", si procedesse immediatamente a preparare "il palo e la corda" per impiccarlo seduta stante e quindi concludendo, per riaffermare il proprio potere anche sul fascismo, Mussolini proclamò di volersi assumere "la responsabilità politica, morale, storica" del clima nel quale l'assassinio si era verificato, e dunque anche il comando delle frange più estreme del movimento e del partito che proprio in quei giorni l'avevano brutalmente spinto verso la svolta dittatoriale.[157]

Il giorno dopo Mussolini fece diramare a Federzoni una serie di telegrammi ai prefetti coi quali chiedeva la repressione più stringente di ogni sommossa o tumulto di ogni fazione in particolare però sui "comunisti e sovversivi", il controllo della stampa (quella dell'opposizione tramite la censura, quella fascista tramite un richiamo all'ordine perentorio) e poi - direttamente ai dirigenti delle federazioni fasciste un richiamo all'ordine con minaccia diretta nei confronti dei dirigenti che avessero permesso disordini da parte dei propri gregari.[158]

Nel gennaio iniziarono le azioni poliziesche di sequestro di giornali (il primo dei quali fu La conquista dello stato, della sinistra fascista) di chiusura di sedi e circoli dell'opposizione (95 sedi e 150 esercizi pubblici di ritrovo, in particolare contro i comunisti e i circoli di "Italia libera") e di arresto di elementi "sospetti" (111 "pericolosi sovversivi" erano stati arrestati).[159]

Alle dimissioni di alcuni elementi liberal moderati dal governo Mussolini, questi rispose con un rapido "giro di poltrone", portando all'interno dei ministeri personalità fondamentali per il fascismo come il giurista Rocco e Giovanni Giuriati. Questi uomini - diretti da Mussolini - avrebbero nel giro di un anno costruito l'intelaiatura giuridica e funzionale dello Stato dittatoriale fascista.[160]

Tratto da Wikipedia, leggi l'articolo completo.

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