Grieco Ruggiero
Foggia, 19 agosto 1893 – Massa Lombarda, 23 luglio 1955.
Partecipa attivamente, come componente della frazione del PSI capeggiata da Amedeo Bordiga, alla scissione di Livorno. Nel 1921 è tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia e fa parte del primo Comitato Centrale.
Dopo qualche anno abbandona la Sinistra e si schiera con Gramsci contro Bordiga. Organizza la sezione agraria del partito e, insieme a Giuseppe Di Vittorio, fonda l'Associazione di difesa dei contadini poveri.
Durante il fascismo è condannato a 17 anni di carcere.
Rinnegando completaente il proprio passato, diventa uno dei più influenti dirigenti del partito e, dalla seconda metà del 1934 alla primavera del 1938 è nominato segretario generale. La sua segreteria è soprattutto incentrata sulla costituzione del fronte antifascista, che rompe con la precedente "teoria del socialfascismo" dovuta alla bolscevizzazione del partito.
In quegli anni è uno dei precursori dell'unità nazionale che avrà piena realizzazione nella Resistenza democratica. Sotto la sua direzione il Partito Comunista tenta anche di attirare la gioventù cresciuta negli anni del fascismo, tramite per esempio il noto e controverso manifesto Appello ai fratelli in camicia nera del 1936.
Per anni il suo nome è tenuto nell'ombra dai dirigenti del PCI, su precisa indicazione di Togliatti, sia per i trascorsi "bordighiani", sia per la grande popolarità acquisita con l'antifascismo resistenziale e frontista, in grado di gettare ombra su altri dirigenti del partito. Una delle accuse, di provenienza moscovita, è lo scarso fervore con cui avrebbe combattuto il "trotskismo" (vocabolo sotto il quale si raccoglieva senza troppi distinguo l'antistalinismo di sinistra) Eletto nell'Assemblea costituente nel 1946, nella Repubblica italiana è eletto senatore nel 1948, carica che mantiene fino alla morte. Dieci anni dopo il super-revisionista Giorgio Amendola dà inizio alla riabilitazione.