Contro le deviazioni opportuniste per la riaffermazione integrale del programma comunista
A tutti coloro con cui in questi anni abbiamo lavorato e lottato
Il partito comunista rivoluzionario, per la sua particolare natura, non può divulgare totalmente le direttrici di lavoro su cui si muove né tantomeno può rendere pubblica la sua struttura organizzativa. Ma nello stesso tempo "i comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni". Il partito è chiuso per quanto riguarda l'organismo in cui si struttura, ma è aperto per quanto riguarda il suo programma e la sua tattica. Non potrebbe essere diversamente. I comunisti "dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente", sono i mortali nemici di questa società ed essa li considera tali; quindi essi difendono la propria organizzazione da quella della classe dominante. Ma il rovesciamento storicamente necessario di questa società pone i comunisti in un rapporto altrettanto storicamente necessario con le classi, e in primo luogo col proletariato.
Programma, fini e tattica devono essere conosciuti e propagandati. Divergenze importanti come quelle che provocano fratture non possono essere tenute nascoste ma devono essere conosciute non solo da tutta l'organizzazione, ma dai proletari stessi affinché non vi siano confusioni e incertezze. Vent'anni di storia del bolscevismo con Lenin e sessant'anni di storia della Sinistra ci confermano quest'esigenza.
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La Sinistra comunista che si è formata in Italia, per una serie di cause storiche rappresenta, unica sulla scena mondiale, la continuità del marxismo in questi ultimi sessant'anni.
Molti hanno sorriso con sufficienza di questa affermazione che viene in genere interpretata come presuntuosa e fondata su un errato senso delle proporzioni. Non è qui il caso di confutare i "professori" che analizzano la storia col metro del droghiere. Ci basta fare un'osservazione ed è questa: il marxismo non è il frutto del pensiero di un uomo ma il risultato di scontri tra forze materiali come le classi in un determinato modo di produzione; questi scontri e questo modo di produzione non sono cessati e quindi riproducono storicamente le stesse condizioni analizzate dal marxismo, anche se ovviamente cambiano le forme superficiali della struttura capitalistica. Bisogna chiedersi chi e quali forze oggi rappresentano una continuità con il programma marxista.
Caratteristica dell'ideologia borghese è il metodo d'indagine pragmatistico tendente ad elaborare una gran quantità di dati offerti dall'esperienza ma incapace di penetrare il significato degli stessi, di andare alla radice. Caratteristica dell'opportunismo di ogni tendenza è quella di adottare lo stesso metodo e quindi quella di adattarsi alle situazioni contingenti adattando anche programma e tattica.
La differenza è che, avendo la borghesia modellato la società a sua immagine e somiglianza, essa ha migliori strumenti a disposizione e costringe l'opportunismo ad un ruolo subordinato, sia che la serva direttamente, sia che contribuisca alla demolizione presso il proletariato del programma rivoluzionario. Entrambi sono impossibilitati a riconoscere che proprio l'attuale crisi del mondo capitalistico dimostra in tutti i suoi aspetti la validità e la cosiddetta attualità del metodo marxista: ogni manifestazione della crisi ha la sua lucida spiegazione nel marxismo, dalla trasformazione in rendita e interesse di una sempre più cospicua parte di plusvalore, alla crescita smisurata dell'esercito industriale di riserva.
Le battaglie che la Sinistra "italiana" dovette combattere prima contro il riformismo e poi contro le manifestazioni degenerative dell'Internazionale, la posero nella condizione storica di diventare l'erede anazionale del movimento comunista non degenerato.
Fu proprio la lotta contro i vecchi partiti riformisti d'occidente e l'analisi dei motivi di corruzione teorica e tattica dell'I.C. e del grande partito rivoluzionario bolscevico che fecero della Sinistra l'espressione unica e genuina della continuità rivoluzionaria non come tradizione fossilizzata, ma come risultato dinamico di forze gigantesche aventi il loro epicentro nell'Europa capitalisticamente avanzata. Per questo solo la Sinistra poté continuare nel dopoguerra l'analisi correttamente marxista estendendo il campo d'osservazione alla natura sociale della Russia, al grande movimento dei popoli e delle masse oppresse contro le metropoli colonialiste, ai fenomeni dello sviluppo e della espansione del capitalismo ultramaturo. Per questo solo la Sinistra poté definire meglio le questioni inerenti la struttura, il funzionamento interno e la natura stessa del Partito Rivoluzionario, abbandonando gli schemi del centralismo democratico, capovolgendo il vecchio schema piramidale dell'I.C., perfezionando la concezione unitaria del Partito come organismo veramente libero dalle pastoie nazionali.
Per questo solo la Sinistra poté dare una risposta precisa alle questioni inerenti al rapporto tra partito e classe operaia, tra partito e organismi economici, tra partito e altre organizzazioni politiche. Non difendiamo la Sinistra per amore di tradizione o per simpatia verso i grandi compagni che hanno svolto nell'anonimato e senza chiasso l'immenso lavoro: la difendiamo perché è l'unica corrente che rappresenta la continuità dal Manifesto, a Lenin, alla futura società comunista.
Rappresentare la continuità
In questo dopoguerra il partito ha dovuto lottare contro ogni genere di manifestazioni opportunistiche esterne ed interne alla organizzazione. Era inevitabile, data la situazione storicamente sfavorevole, che esso non possedesse barriere invalicabili contro le influenze dell'ideologia dominante. Ma il partito finora aveva isolato queste influenze e se ne era liberato"
Oggi la situazione è molto più grave? queste influenze hanno coinvolto gli organismi centrali e il risultato della battaglia contro di esse è stata la nostra espulsione.
Siccome noi non ci sciogliamo ma continuiamo il nostro lavoro sulla base delle posizioni della Sinistra, abbiamo il dovere di spiegare all'interno e all'esterno, a chi ha lavorato e lavora con noi, le cause politiche della crisi nel partito. Questo ci preme soprattutto perché siano chiare le basi su cui continuare quel lavoro.
La nostra espulsione pone noi contingentemente fuori dall'organizzazione, ma pone l'attuale centrale del partito definitivamente fuori della tradizione della Sinistra. Non tutto il partito ha accettato l'espulsione e vi sono compagni che mantengono con noi rapporti di militanza, rivendicandolo di fronte a tutto il partito.
Le condizioni oggettive del rilassamento teorico
La crisi capitalistica si è enormemente aggravata anche se non è ancora giunta al punto in cui scatta catastroficamente il meccanismo della distruzione di capitale costante e variabile, cioè la guerra. Di fronte a questa inevitabile prospettiva che tutti gli Stati stanno preparando, il partito rivoluzionario più che mai ha il compito di impedire che la classe operaia sia trascinata nella difesa della situazione presente per paura di piombare in una situazione peggiore o addirittura nella guerra. Problema non nuovo che le forze rivoluzionarie hanno già affrontato nella storia.
La crisi prepara migliori condizioni oggettive per la ripresa della lotta di classe, ma non in modo lineare ed automatico. Scioperare mentre si stanno perdendo centinaia di migliaia di posti di lavoro diventa più difficile, mentre è più facile per la borghesia far pesare ancora di più la sua normale tendenza a comprimere le condizioni di vita dei proletari, sfruttando il terreno preparato dalla "pubblica opinione" sui rimedi alla crisi.
La preparazione di enormi arsenali distruttivi muove la società interclassista alla "rivendicazione" della pace, e vi è un momento in cui il proletariato più difficilmente assimilerà la classica parola d'ordine: "trasformare la guerra imperialista in rivoluzione proletaria". Vi è quindi una fase in cui più che mai il partito rivoluzionario può essere costretto ad andare controcorrente ed è la fase in cui le condizioni reali più rafforzano la tentazione di afferrare le illusorie opportunità di allargare la propria influenza, di raggiungere un successo immediato, tramite l'adagiarsi su ciò che si "muove" nella società. Ma, come dice Lenin, questa è l'essenza dell'opportunismo, sacrificare il fine per il risultato contingente, effimero.
É di fronte a questi problemi che il partito rivoluzionario deve armarsi ancora di più contro le influenze esterne, moltiplicare i suoi sforzi per rinsaldare i suoi legami con la classe, estendere la propria influenza, temprare i propri militanti, irrobustire la propria struttura per resistere alla prevedibile repressione.
Ecco un primo dato dialettico che sta alla base delle divergenze sorte nel partito e sfociate nella nostra espulsione: gli stessi fatti materiali che pongono il problema dell'aumentato rigore teorico e pratico nelle file del partito, possono provocare l'opposto, cioè un allentamento di questo rigore, una adattabilità delle posizioni, che in ultima analisi non garantiscono neppure quei risultati "pratici" che si volevano ottenere.
Il persistere della passività operaia in Occidente, quando non addirittura il diminuire delle manifestazioni di lotta (proprio in questi giorni la borghesia ci fa sapere che il numero delle ore di sciopero è enormemente diminuito in un anno) non autorizza nessuno a teorizzare la passività operaia per rivalutare altri fenomeni pur esistenti (casa, pacifismo, repressione, giovani) a scapito di un lavoro serio verso l'unica classe oggettivamente rivoluzionaria.
Ai tempi della nostra critica, prima dell'espulsione, si giustificava un'interpretazione perlomeno elastica del Fronte Unico, e cioè: esistendo solo avanguardie politicizzate, che pur erano proletarie, era con queste che ci si doveva organizzare. Oggi si manifesta in tutta la sua chiarezza il significato delle prime avvisaglie di deviazione: si intende il Fronte Unico come possibilità di accordi di vertice tra organizzazioni politiche, quella stessa posizione che la Sinistra condannò nel metodo dell'Internazionale:
"La tattica del fronte unico non va intesa come una coalizione politica con altri partiti cosiddetti operai, ma come utilizzazione delle rivendicazioni immediate sollevate dalle situazioni allo scopo di estendere l'influenza del partito comunista sulle masse senza compromettere la sua autonomia di posizione. Vanno dunque scelti a base del fronte Unico quegli organismi proletari in cui i lavoratori entrano per la loro posizione sociale ed indipendentemente dalla loro fede politica e dal loro inquadramento al seguito di un partito organizzato. L'esperienza ha dimostrato molte volte come il solo modo di assicurare l'applicazione rivoluzionaria del fronte unico stia nel respingere il metodo delle coalizioni politiche permanenti o transitorie e dei comitati di direzione delle lotte che comprendono rappresentanti inviati dai vari partiti politici".
Questo passo delle Tesi di Lione non può essere frainteso. Quando si agisce diversamente bisogna avere il coraggio politico di dichiararlo errato o "superato".
Le radici delle deviazioni tattiche
Ma la questione del Fronte Unico è derivata: non esiste deviazione tattica che sia slegata da una deviazione teorica.
La tattica sbagliata che la centrale sta praticando è complementare all'errore teorico di metodo nel valutare la situazione storica che stiamo attraversando.
Si era cominciato col dire che il Partito rivoluzionario non può comprendere il "movimento" se non vi partecipa, tesi empiriocriticista da manuale, Lenin scrive un libro intero contro di essa. Nel Che fare?, altro libro contro simili tesi, Lenin afferma contro gli economicisti che compito del partito è quello di "importare la coscienza all'interno delle masse"; i nostri espulsori incominciano a sostenere che la coscienza del partito invece deriva dallo "stimolo di situazioni di lotta". Non dalla lotta di classe in generale, come fenomeno inscindibile dal modo di produzione capitalistico (il che sarebbe insufficiente ma corretto), ma dalle "situazioni di lotta", dalla lotta contingente, "immediata" come viene giustamente definita.
Ovviamente i comunisti partecipano alle lotte. Le nostre tesi parlano chiaro:
"La vita del partito si deve integrare ovunque, sempre e senza eccezioni in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse ed anche nelle sua manifestazioni influenzate dalle direttive contrastanti con le nostre".
Ma questo non significa affatto che i comunisti derivino dall'attività la loro tattica e neanche quindi la teoria di cui la tattica è una manifestazione concreta. C'è da chiedersi come avrà fatto Lenin a capire cosa succedeva in Russia mentre era in Svizzera, o come avrà fatto la Sinistra a definire la questione agraria in URSS senza lavorare nei colcos!
Certe concezioni si sono precisate in modo ancora più chiaro e rovinoso quando si è passati a spiegare che cosa si intendesse per partecipazione alle lotte.
Per il marxismo il Partito Comunista è l'espressione vivente delle lotte di classe; esso subisce gli effetti delle vittorie e delle sconfitte, delle avanzate e dei riflussi, esso è prodotto prima ancora che fattore di storia. Non è neanche una questione di "partecipazione", dato che lotta di classe e partito sono collegati da un nesso inscindibile: i comunisti sono parte integrante della lotta, se non realizzano questo o non sono comunisti o la situazione storica è così sfavorevole da relegarli ai margini del "movimento" che segue altre strade, come quella dei partitoni ufficiali o dei sindacati.
Per non rimanere ai margini, si è incominciato invece a teorizzare la partecipazione come allenamento preventivo per far riconoscere il partito quale elemento attivo e in grado di dirigere il movimento.
Di qui si è passati alla teoria del "punto di riferimento", cioè della necessità di "creare" degli organismi preventivi in modo che, quando la lotta fosse scoppiata, gli operai non si trovassero senza organizzazione. Siccome di "avanguardie operaie" per "creare" gli organismi non se ne trovavano al di fuori di ben conosciuti gruppi politici esistenti, ecco che fu necessario adattare opportunamente la politica del Fronte Unico per giustificare il lavoro comune con altre organizzazioni. Invece di un fronte di battaglia su problemi immediati costituito dal basso, abbiamo il ritorno alla concezione dell'Internazionale ormai decadente del fronte unico politico dall'alto.
Pratica volgarmente codista
C'è di più: siccome gli intergruppi non possono funzionare e alla lunga diventa difficile costituirli, si incomincia a parlare di "costituzione di organismi aperti prima di avere l'adesione di elementi fuori dalle nostre file". Come possono essere "aperti" degli organismi di partito "costruiti" senza la partecipazione di operai rimane un mistero. Se questi operai ci sono, si costituisce un organismo reale e veramente aperto; se non ci sono, non si capisce perché dovrebbero comparire dopo che si è "costruito" un finto comitato diramando l'ordine ai compagni. Inoltre, dietro quella che sembra solo una velleità senza senso, ecco che rispunta nei fatti l'organismo sindacale costituito da soli comunisti, altra posizione contro cui la Sinistra diede battaglia. Non serve accampare la scusa che oggi gli organismi si fanno con le sole forze che si trovano sulla piazza.
Localmente queste divergenze si sono manifestate durante la lotta FIAT e la maggior parte di coloro che ci conoscono hanno constatato dal vivo come si sono svolti i fatti. Basti ricordare che mentre la sezione lavorava concretamente con due gruppi operai tentando di costituire sulla base di questo lavoro non fittizio un collegamento al di sopra di reparti e fabbriche, si presentava da Trento e Milano una rappresentanza del CNCL (Comitato nazionale contro i licenziamenti) che voleva fondare un comitato per gli operai FIAT. Noi rifiutammo una impostazione di tal genere, sostenendo che non si creano volontaristicamente comitati chiamando gli operai ad entrarvi, ma si lavora con gli operai e, se possibile, su basi concrete, tangibili e non fantastiche, si costituiscono organismi per il collegamento, la direzione delle lotte ecc. Dopo di che alcuni esponenti centrali condussero un'azione separata dalla sezione locale, cercando accordi con altre forze politiche, distribuendo volantini comuni ecc. nel tentativo di mettere in piedi dall'esterno un comitato o una sezione del CNCL.
Noi scrivemmo in quella occasione:
"In un caso (sezione di Torino) abbiamo tentato di lavorare direttamente alla formazione dell'organizzazione agendo su materiale esistente, anticipando forze che si sarebbero mosse non perché rappresentate da gruppi politici che cercano il da farsi, ma perché rappresentate dal sordo potenziale crescente sotto il peso del taglio dei tempi, del peggioramento dell'ambiente, dell'arroganza dei capi, dei licenziamenti".
"Nell'altro caso si è corsi dietro agli avvenimenti mettendo davanti alle cose già successe dei simulacri di organizzazione sperando poco materialisticamente che gli operai andassero verso quei "punti di riferimento" come le allodole verso gli specchietti."
Riflessi sulla vita interna di partito
Nelle Tesi di Lione presentate dalla Sinistra del PCd'I, è affermato che non è tanto un buon partito che sviluppa una buona tattica, quanto una buona tattica che dà un buon partito. Le questioni di tattica sono "quelle che sorgono e si svolgono storicamente nei rapporti tra il proletariato e le altre classi, il partito proletario e le altre organizzazioni proletarie, e tra esso e gli altri partiti, borghesi e non proletari". La tattica del partito è determinata dalle situazioni storiche in cui esso opera e una tattica errata avrà inevitabilmente ripercussioni nei rapporti tra il partito e la classe e nei rapporti al suo stesso interno perché "la buona tattica non può essere che tra quelle capite e scelte da tutti nelle linee fondamentali"; dove "capite e scelte da tutti" non è da intendersi come una concessione al metodo democratico, ma come risposta unitaria del partito sulla base dell'omogenea comprensione sia del periodo storico attraversato, sia della obbligata tattica che bisogna adottare in esso.
Una tattica imposta contro la comprensione dell'intero corpo del partito dimostra che qualcosa non va nell'insieme, si produce una crisi nell'organizzazione. Ora, la Sinistra ha già tratto un bilancio dalla sua propria esperienza a proposito di divergenze e rotture. La Sinistra ha per esempio affermato che i problemi politici all'interno dell'organizzazione hanno sempre necessariamente un'origine materiale: non nascono nel cervello di individui né si risolvono andando alla ricerca di ricette o uomini migliori. Tantomeno si otterrà un risultato cercando di creare un cordone sanitario intorno al problema o espellendo i portatori del ''dissenso". Se il problema ha origini materiali - e le ha sempre - buttate fuori gli uomini, ma il problema resterà.
La strada quindi è un'altra ed è quella del lavoro collettivo attorno al problema, lo studio e il riferimento organico ai bilanci passati. L'aver intrapreso la strada delle espulsioni dimostra che anche su questo punto c'è stato un cedimento teorico, una nuova interpretazione della vita interna di partito.
Le frazioni sono una cosa seria
Noi siamo stati accusati di frazionismo perché rifiutavamo di concepire il partito come un agglomerato di compartimenti stagni che avesse un unico canale di collegamento, quello tra sezione e centro. Questa realtà che si stava delineando è contraria alla nostra concezione organica del partito: le nostre tesi parlano inconfondibilmente di "trasmissione tra le molecole che compongono l'organo partito" che "ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; e la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto". E aggiungono: "Abusare dei formalismi di organizzazione senza ima ragione vitale è stato e sarà sempre un difetto e un pericolo sospetto e stupido". Se poi consideriamo che si teorizza necessario introdurre formalismi organizzativi anche per stimolare la lotta di classe (anzi, addirittura la rivoluzione), abbiamo sotto gli occhi la dimensione del problema politico.
Neanche per quanto riguardasse eventuali esigenze di illegalità il partito si compartimenterebbe nel suo insieme. Non può farlo perché deve mantenere il legame con le masse che agiscono alla luce del sole. Quando questa esigenza si verificava, sia il bolscevismo che la Sinistra risolsero il problema con la realizzazione di determinati organi adatti allo scopo. Del resto su questo argomento sono chiarissime le tesi del III congresso dell'Internazionale. Ma quello che più conta sottolineare è che in nessun caso si compartimenta nei confronti dei problemi politici. Quando questo avviene vuol dire che essi sono reputati troppo gravi da chi vuole soffocarli perché ne ha timore. A maggior ragione quindi tutto il partito deve affrontarli.
Dato che rifiutiamo il concetto di centralismo democratico con ricorso a elezioni interne su tesi contrapposte e congressi, noi pensiamo che si possa lavorare frazionisticamente solo per preparare la rottura con un organismo che non si ritiene più corrispondente ai suoi compiti storici. Ma una frazione in queste condizioni non è altro che il nucleo di un altro partito temporaneamente convivente con posizioni diverse.
I partiti non nascono né per sport né per soddisfare le esigenze di qualche individuo, questo è chiaro non solo alla Sinistra ma anche a tutte le correnti che si sono mosse nella storia del movimento operaio, che è stata storia di frazioni e di scissioni.
I partiti nascono da spinte materiali che maturano in una determinata situazione. Anche una polemica interna tra gruppi consistenti ha una causa materiale e una scissione può essere il risultato finale di una battaglia che può definirsi conclusa solo quando apertamente, senza più incertezze, sulla base di programmi e tattiche diversi, si giunga alla constatazione dell'esistenza di fatto ormai di due partiti.
Non ogni crisi interna è dovuta al frazionismo o sfocia in una frazione
Noi reputiamo che questa situazione non esista. In tutto il dopoguerra la classe operaia non ha espresso una forza materiale d'avanguardia su cui il partito potesse consolidarsi con legami stabili e passibili di sviluppo. L'influenza avversa di una controrivoluzione estesa e profonda come l'attuale non è esorcizzabile né con provvedimenti volontaristici né con rotture altrettanto velleitarie.
In ogni crisi si sono riprodotti inesorabilmente dei problemi sia nel partito che nei gruppi che da esso sono usciti.
Fu una scissione quella con Battaglia? No, perché si trattò piuttosto dell'impossibilità di unione di forze sparse su basi troppo differenti. Non a caso si pone la data di nascita del partito al 1952.
Furono scissioni le altre rotture avvenute successivamente? No, almeno nel senso che Lenin e anche la Sinistra diedero al termine: più che separazione di forze reali vi fu separazione di gruppi senza seguito. L'unico criterio per stabilire da quale parte stesse la continuità col partito storico fu ed è la verifica in base alle posizioni mantenute nel tempo e l'azione che ne scaturiva.
Fu una scissione quella di Firenze? No, perché un atto amministrativo di espulsione non crea automaticamente una forza, dà solo luogo a un gruppo espulso.
Quale frazionismo o scissionismo avrebbe potuto rappresentare una sezione che si proponeva unicamente di rimanere sul filo della Sinistra appellandosi ai suoi testi e al suo metodo nell'azione interna ed esterna?
I casi sono due: o avremmo fatto del frazionismo a vuoto, magari andandocene a "creare" qualche gruppetto tra gli altri, o il nostro lavoro era un qualcosa di diverso dal frazionismo, precisamente il tentativo di evitare che il partito cominciasse a rispondere disordinatamente alla grave situazione interna, richiamandolo nel suo insieme alla necessità di affrontare nel suo insieme i problemi. Cosa che abbiadino rivendicato più di una volta. In ogni caso un provvedimento di espulsione è l'opposto della soluzione organica della crisi. La Sinistra insegna.
Una tagliente definizione di Lenin
Ma andiamo più indietro, ad un'esperienza precedente a quella della Sinistra. Lenin così definisce la frazione all'epoca della lotta definitiva per la costituzione del POSDR su basi compatte ed omogenee: "La frazione è un'organizzazione in seno al partito, unita non dal luogo di lavoro, non dalla lingua o da altre condizioni oggettive, ma da una speciale piattaforma di opinioni sulle questioni del partito". Lapidario.
Eravamo noi tutto ciò? Rispondiamo di no.
La frase citata era contro Trotzky che a quell'epoca non voleva rappresentare le frazioni e agiva per conciliarle. Trotzky non voleva rappresentare una frazione, ma Lenin gli dimostra che "il fatto dell'esistenza di una frazione non viene intaccato dallo scopo, qualunque esso sia, che essa si propone". Quindi noi avremmo potuto essere frazione anche senza volerlo? Rispondiamo ancora di no. Una vera frazione, dice Lenin, è quella espressa da una corrente, un movimento che si concretizza nella sua piattaforma. Ma "si può chiamare corrente solo una somma di idee politiche che si siano ben definite in tutte le questioni più importanti sia della rivoluzione sia della controrivoluzione, e che, oltre a ciò abbiano dimostrato il loro diritto all'esistenza, come corrente, per essersi diffuse tra larghi strati della classe operaia. Sia il menscevismo che il bolscevismo sono correnti socialdemocratiche: è stato dimostrato dall'esperienza della rivoluzione, dalla storia di otto anni del movimento operaio. Di gruppetti che non rappresentavano nessuna corrente ce n'è stata una caterva in questo periodo, come ce n'erano stati molti anche prima. Confondere una corrente con gruppetti significa condannarsi, nella politica del partito, al metodo degli intrighi".
Ovviamente da questa citazione di Lenin non è deducibile - meccanicamente - che il Partito non meriti a tutti gli effetti questa definizione perché staccato dalle masse. Il Partito nasce ed opera come tale in virtù della continuità fisica rappresentata dai militanti sopravvissuti a una tremenda controrivoluzione, e della continuità storica rappresentata dalle sue posizioni programmatiche riallacciantesi a fatti trascorsi che hanno sconvolto il mondo, come l'ottobre per quanto riguarda le vittorie e la lotta nell'Internazionale per quanto riguarda le sconfitte del proletariato. Continuità che si riassume in quelli che sono stati chiamati dalla Sinistra bilanci, al posto della parola "esperienze" evocante un certo pragmatismo. D'altra parte il semplice collegarsi alla Sinistra non dà diritto a nessuno di autoproclamarsi partito o corrente (frazione) che ne prepara le premesse. Non si può cancellare con un colpo di spugna il travagliato esistere di questa organizzazione lungo i decenni del secondo dopoguerra; non si può parlare di frazione se non c'è una battaglia che investa apertamente, senza mezzi termini, tutto il partito.
Vedere correnti e frazioni dove c'è solo un gruppo di compagni che pongono delle critiche è ridicolo.
Noi abbiamo ribaltato l'accusa: la centrale ha condotto un'azione frazionistica. La sua, azione non trova concordi tutti coloro che sono rimasti nel partito. Con il varo del nuovo corso e con la politica delle espulsioni (altre due sezioni sono state espulse dopo di noi) è il centro che vorrebbe ergersi a frazione e corrente particolare, ecco perché, consciamente o meno, annaspa nel tentativo di trovare la sua legittimazione con ogni mezzo, anche a costo di trovare il surrogato del legame con le masse in qualche ... comitato!
Fatto a pezzi a questo modo il programma, la centrale non rappresenta non solo la corrente storica, ma nemmeno una corrente contingente.
Essa non ha legami seri neanche all'interno dello stesso partito, è ben lungi dall'essere omogenea, è un ''gruppetto" che, come Lenin ricorda, è condannato al metodo degli intrighi, al cannibalismo al suo stesso interno.
Un esempio dl quanto fosse necessaria la battaglia che stiamo conducendo.
Non possiamo toccare qui con la nostra critica tutte le posizioni che via via ci hanno trovato in disaccordo con la centrale, né sarebbe indispensabile, dato che la loro matrice idealistica è stata delineata e si tratterebbe solo di fare delle derivazioni.
Riassumendo, le divergenze (e quindi la nostra battaglia; vertono su questioni essenziali, come la rivendicazione integrale del patrimonio della Sinistra contro le tendenze degenerative dell'Internazionale, contro il sinistrismo infantile e contro il trotzkismo (rivendicando di Trotzky però molto del suo lavoro migliore); come la questione del fronte unico che la Sinistra ha sempre inteso dal basso e con esclusione di accordi tra organizzazioni politiche; come la questione della partecipazione alle elezioni referendarie che noi neghiamo; come la questione della vita interna di un partito che, sviluppatosi sul tesoro di esperienze negative accumulate da due Internazionali degenerate, esclude categoricamente i metodi politicanteschi della consuetudine borghese e opportunista.
C'è ancora un problema però che va trattato per la sua importanza ed è quello della "pace".
In due articoli comparsi su "Programma comunista" anche in questo campo si affaccia la tendenza al codismo immediatista. Si dice in uno di essi: "La vera lotta antimilitarista, la lotta per la pace nell'unico senso in cui essa può essere posta dal movimento e dagli interessi proletari, è la lotta contro l'armamento della propria nazione".
Prima osservazione: i comunisti non lottano mai per la "pace". La pace in epoca capitalistica è un'illusione borghese, il modo di essere del capitalismo è la guerra, commerciale e guerreggiata nello stesso tempo. In epoca capitalistica il termine "pace" è un'astrazione. La borghesia parla di pace solo per disarmare i proletari, e poterli meglio armare quando le occorre in guerra.
Lenin: "La parola d'ordine della pace, secondo me, è sbagliata in questo momento. É una parola d'ordine da filistei, da preti. La parola d'ordine proletaria dev'essere: guerra civile".
Lenin precisa: "in questo momento". Vi è un momento quindi in cui i comunisti possono lanciare questa parola d'ordine? Certo, quando si tratti di cessare la guerra tra stati, quando gli operai hanno le armi in pugno, quando questa parola d'ordine non potrebbe avere altro significato che quello di lotta armata contro la borghesia.
Seconda osservazione: i comunisti non lottano mai per il "disarmo". La società borghese non può non essere militarista, non può fare a meno di militarizzare tutta sé stessa e fabbricare enormi quantità di armi. Ancora Lenin:
"La predicazione kautskiana del 'disarmo', indirizzata ai governi attuali delle grandi potenze imperialistiche, è la forma più abbietta di opportunismo, di pacifismo borghese, e serve di fatto ... a distogliere gli operai dalla lotta rivoluzionaria."
Secondo l'articolo in questione bisogna invece lottare contro l'armamento della propria nazione "ed è solo in questa luce che anche una rivendicazione ristretta, quale la protesta contro l'installazione di una base missilistica in questo o quel paese può trovare spazio".
Perché vengono costruite le reti mondiali di basi missilistiche?
Perché vi sono reti mondiali di interessi interimperialistici, così come vi sono intere aree in cui interessi opposti si scontrano. La predicazione sul disarmo è vanificata da questo dato di fatto. Il militarismo si distrugge con la rivoluzione e non con le marce pacifiste.
Lenin: "Per mezzo di questa predicazione si inculca negli operai l'idea che gli attuali governi borghesi delle potenze imperialistiche non siano legati per mille fili al capitale finanziario e vincolati per decine e centinaia di trattati segreti (briganteschi, predoneschi, che preparano la guerra imperialistica) conclusi tra loro". La borghesia nell'epoca dell'imperialismo militarizza tutto il tessuto sociale, uomini, donne, giovani e anche i bambini, che vengono abituati e aggiornati sulla guerra moderna. "Tanto meglio! - dobbiamo dire a questo proposito. Si affretti a farlo! Perché, quanto prima essa lo farà, tanto più sarà vicina l'insurrezione armata contro il capitalismo".
Come si vede, anche su uno dei temi fondamentali di lotta contro gli avversari, vi è stato un cedimento gravissimo nella ricerca a tutti i costi di un campo d'azione comune a possibili alleati.
Potrebbero forse "espellerci" dalla lotta di classe?
La rottura con la Sinistra da parte di chi sostiene queste posizioni è così profonda che non potrà non avere ripercussioni su tutta l'organizzazione. E infatti già rinascono le reazioni che si credeva di eliminare con la nostra espulsione.
Noi non abbiamo fretta e non affrontiamo volontaristicamente la situazione. Siamo espulsi, ma il nostro lavoro continua come prima. Siamo tagliati fuori dal punto di vista organizzativo formale, ma il partito dal punto di vista sostanziale mantiene rapporti con noi.
Siamo materialisti, quindi pensiamo che questa organizzazione dovrà fare i conti prima o poi con una situazione interna esplosiva la cui soluzione permetterà un bilancio di questi ultimi anni. Siamo comunisti, e come tali dobbiamo lavorare organizzati: o il partito rivoluzionario uscirà dallo scontro in corso temprato da un'ulteriore selezione con la sconfitta delle posizioni devianti oppure, dopo la disgregazione totale dovrà rinascere.
Nella situazione non facile in cui siamo, avremmo potuto cadere nell'errore di costituire un altro partito raccogliendo le forze espulse per dar loro un assetto formale. Questo sarebbe stato corretto se fossimo giunti alla conclusione della battaglia che stiamo conducendo, ma non è così: la battaglia è appena cominciata e l'espulsione nostra non ne è che uno degli episodi. L'espulsione stessa non ha diviso le forze in campo più di quanto non fossero già divise, ma le ha unite enormemente sul piano potenziale perché ha liberato energie che stavano semplicemente covando sotto la cenere, come noi del resto avevamo previsto.
Noi ci sentiamo legati a queste forze, così come esse stanno dimostrando di continuare ad essere legate a noi in un rapporto di militanza.
L'espulsione dal Partito della rivoluzione ha lo stesso senso di un'espulsione dalla lotta di classe, cioè nessuno.
Occorre affrontare seriamente le prospettive della presente crisi internazionale
La situazione internazionale è gravissima. L'economia di molti paesi è vicina al collasso. I paesi poveri, selvaggiamente sfruttati dal capitale post-coloniale, non sono più in grado di riprodurre cibo a sufficienza per le loro popolazioni. Gli "incidenti" a sfondo militare si moltiplicano, mentre vengono costituiti depositi di armi e forze d'intervento per le aree "calde" del pianeta.
La sovrastruttura politica traballa nei più importanti paesi i cui governi sono percorsi da lotte intestine e da crisi acute, non sorretti dai tempi dorati (per loro) in cui i mercati "tiravano" e i capitalisti con i loro governi potevano contare su validi piedistalli, formati da immense quantità di plusvalore direttamente tramutato in profitto.
Il proletariato come fonte di tutta la ricchezza sociale è il perno della crisi, e le ripercussioni di quest'ultima non possono che riportare in primo piano la lotta tra le due classi principali. Nella periferia del mondo capitalistico sviluppato già si profila un vasto movimento rivendicativo che assume, per la sua importanza, connotazioni politiche, vedi la Polonia.
Oggi la produttività aziendale è così aumentata che la quantità di plus valore estorta per "unità lavorativa" rende superflua una parte della "manodopera" finora impiegata. Naturalmente questo è un fatto solo relativo: dipende dalla capacità di assorbimento delle merci da parte del mercato. Ma oggi molti paesi invasi un tempo dall'esuberante capitale occidentale e giapponese, producono per sé ed esportano prodotti dell'industria leggera e pesante. I due fattori concomitanti producono proprio ciò che gli economisti borghesi credevano un enorme errore di Marx: l'aumento catastrofico dell'immiserimento relativo, cioè l'ingigantirsi della quota di valore ricavata dalla forza lavoro rispetto a quanto viene pagata essa stessa. Parallelamente, l'appropriarsi capitalistico del suolo in aree vastissime "libera" milioni di uomini un tempo legati alla terra, senza che vi possa essere un assorbimento in altri settori, come successe nel periodo dell'accumulazione primitiva in occidente provocando un'urbanizzazione folle ed esplosiva che in certe aree corrisponde senz'altro ad un immiserimento assoluto di intere masse. Aumentata produttività aziendale, diminuita produttività sociale (che non permette al plusvalore di tramutarsi in profitto ai livelli precedenti), immiserimento relativo ed assoluto di proletariato e masse oppresse; le prospettive di questa crisi pongono ai comunisti in modo acuto la responsabilità di non tralignare.
Teoria e prassi sono due termini che il marxismo considera per definizione inscindibili. La teoria non è tale se isolata dalla prassi e la seconda non raggiunge il suo scopo, ma anzi si capovolge nel suo opposto se staccata dalla prima e affidata, nel suo svolgersi, al gioco dei flussi e riflussi delle situazioni contingenti.
La differenza tra attività e attivismo sta proprio nell'affrontare questa situazione con serietà scientifica oppure agitarsi disordinatamente seguendo ciò che capita giorno per giorno.
La gravità della situazione non cambia nulla al presupposto fondamentale per il partito, che è poi quello stesso presupposto che ne favorisce lo sviluppo: esso si deve presentare per quale realmente è, lavorare in base ai suoi principi programmatici, mantenere il rigore in tutti i campi contro ogni tentazione di allargare i suoi effettivi o la sua influenza con trucchi od espedienti.
Noi continuiamo a lavorare sulla base di questi presupposti.
"Il marxismo non è la dottrina delle rivoluzioni, ma quella delle controrivoluzioni: tutti sanno dirigersi quando si afferma la vittoria, ma pochi sanno farlo quando giunge, si complica e persiste la disfatta". (Lezioni delle contro rivoluzioni)
Torino, novembre 1981
Sul filo rosso della continuità del movinento comunista
1848. Marx: Manifesto del Partito Comunista. La base di partenza.
1864. I Internazionale: dei lavoratori. Proletari unitevi!
1871. Comune di Parigi: l'"assalto al cielo" abbozza la I dittatura del proletariato.
1872. Scioglimento della I Internazionale: bilancio teorico. In Europa, d'ora in poi, l'unico passo avanti è: la rivoluzione proletaria pura.
1889. II Internazionale: unione dei partiti operai.
1914. Capitolazione della II Internazionale di fronte alla guerra: risultato della pratica quotidiana del compromesso.
1915/1916. Conferenze di Zimmerwald e Kienthal: contro la guerra, verso una nuova internazionale
1917. Rivoluzione d'Ottobre: coronamento della difesa dell'unità fra teoria e azione.
1919. III Internazionale: il Partito Comunista Mondiale.
Il movimento Comunista ha fin dalle sue origini un carattere internazionale. Esso nasce dalla lotta del proletariato contro la borghesia nel contesto del capitalismo maturo e viene a rappresentare una classe, la classe operaia, come antagonista del capitalismo al di sopra delle nazioni. Il movimento materiale che origina il comunismo ha le sue radici nelle rivoluzioni in Francia, nell'industria in Inghilterra, nella filosofia in Germania e rappresenta un tutto unitario di azione, condizioni storiche, teoria.
In Italia il primo gruppo che abbraccia il comunismo internazionale sorge intorno al giornale "La Plebe" del Bignami nel 1868.
Nel 1881 Andrea Costa organizza il I Congresso del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna che è la prima manifestazione sulla traccia storica della sinistra. Ma la sinistra marxista si delinea come corrente organizzata nell'opposizione ai riformisti entro il Partito Socialista Italiano al Congresso di Milano nel 1910.
Nel 1911 essa si rafforza nella lotta per l'opposizione alla guerra di Libia. Nel 1912 (Congresso di Reggio Emilia) si configura finalmente come Frazione intransigente rivoluzionaria nella lotta contro la destra del PSI gettando le basi per un'effettiva sinistra comunista. Scriveva Lenin sulla Pravda:
"Una scissione è cosa grave e dolorosa. Ma qualche volta è necessaria e, in questi casi, ogni debolezza, ogni sentimentalismo... è un delitto... Se per la difesa dell'errore si forma un gruppo che calpesta tutte le decisioni del partito, tutta la disciplina dell'esercito proletario, la scissione è indispensabile".
"Il Partito Socialista Italiano, allontanando da se sindacalisti e riformisti di destra, ha presa la strada giusta"
A Napoli la sezione del PSI in mano alla destra formò un blocco con partiti di ogni risma, dai massonici ai borghesi anticlericali. I socialisti rivoluzionari uscirono dalla sezione pur dichiarandosi parte del partito e fondarono il Circolo Socialista Rivoluzionario Carlo Marx. Al congresso di Ancona del PSI il gruppo si batté per la difesa del programma rivoluzionario. Ormai la Sinistra è delineata con precisione.
Nel 1915 è la guerra. Dal PSI uscirono gli interventisti. Il partito era diviso tra la sinistra rivoluzionaria che sosteneva il disfattismo (cioè sciopero generale all'ordine di mobilitazione) e i centristi che sostenevano l'ambigua formula: "né aderire né sabotare".
Una breve nota del "Socialista" di Napoli che fece il giro dei settimanali del partito, svolgeva la critica del termine neutralisti. Noi non eravamo né neutralisti né pacifisti, né credevano possibile come punto di arrivo programmatico la pace permanente fra gli Stati. Noi deploravamo il disarmo della lotta di classe, della guerra di classe, per far largo alla guerra nazionale. La nostra alternativa non era: non sospendere la lotta di classe legalitaria ma combattere nella direzione della guerra rivoluzionaria proletaria che sola avrebbe un giorno ucciso le radici delle guerre fra i popoli.
Noi eravamo i veri interventisti di classe, interventisti della Rivoluzione.
Nel 1915 5/8 settembre Conferenza di Zimmerwald.
Nel 1916 24/30 aprile Conferenza di Kienthal.
Sul problema della guerra si configura una sinistra internazionale che va da Lenin e Trotskji a Liebknecht e Luxemburg.
La sinistra italiana è sulle stesse posizioni. Essa conduce una battaglia per "la più feroce intransigenza" nella conservazione e nella difesa delle "frontiere ideologiche" del partito contro ogni posizione intermedia e fiancheggiatrice, la classica, insidiosa posizione degli "indipendenti" così aspramente fustigata da Lenin.
1917 quando in Russia esplode la rivoluzione di ottobre la sinistra italiana è l'unica corrente nel mondo che con il bolscevismo aderisce perfettamente alle tesi marxiste contro coloro che vedono nella rivoluzione russa un fatto nazionale. La Sinistra rivendica il bolscevismo come "pianta di ogni clima" in tutto il mondo. I filistei, i pretesi seppellitori del socialismo, i sapienti difensori d'ufficio dell'ordine costituito, sentono la terra tremare sotto i piedi, poiché dalla libera Russia le vittoriose avanguardie del proletariato proclamano: la Rivoluzione Sociale Internazionale è all'ordine del giorno della Storia.
1918 XV Congresso socialista. La sinistra appoggia Lenin e la dittatura proletaria. La destra fa un discorso sulla sacra indipendenza nazionale. L'unità del partito viene mantenuta dalla direzione tramite un compromesso: vengono eluse le questioni teoriche di fondo e viene votata una mozione sul funzionamento del partito. Alcuni mesi dopo il gruppo parlamentare torna a fare di testa propria. La sinistra dichiara sull'Avanti che la questione pratica non è risolvibile al di fuori della questione teorica. "Bisogna vedere" essa afferma "quale delle tendenze è sulla linea del programma del partito e corrisponde alle finalità che esso si propone".
1919 Anno di grandi scioperi in Italia contro il carovita. In Germania viene stroncata l'insurrezione Spartakista ed assassinati i suoi capi. In Ungheria viene proclamata la repubblica dei Soviet. La concezione bolscevica dei Soviet viene fatta propria dalla sinistra che così intitola un proprio giornale in Campania. Nasce la polemica con l'Ordine Muovo di Gramsci a proposito dei consigli di fabbrica e sulla concezione gradualistica della rivoluzione.
Gli organismi proletari di base in epoca rivoluzionari non possono rivendicare un graduale passaggio di potere ma devono rappresentare la forma organizzativa della inusurrezione armata diretta dal partito.
Posizione dell'Ordine Nuovo: Il consiglio di fabbrica nasce sul luogo di lavoro e abilita gli operai a cimentarsi con il ciclo produttivo dell'azienda. In fabbrica nasce gradualmente il potere proletario nell'appropriazione del ciclo produttivo. La rivoluzione è un fatto economico e poi politico con l'esautorazione dei capitalisti tramite la conquista dell'egemonia da parte del proletariato.
Posizione dei bolscevichi e della sinistra: Il Soviet è un organismo che può nascere solo in momenti di tensione rivoluzionaria quando sia messa in discussione la questione del potere. Esso è suscettibile di essere influenzato dal partito e proprio per questo può essere un organismo politico per la presa del potere. La rivoluzione è un fatto politico subitaneo e violento e solo in seguito avverrà la trasformazione economica tramite l'organizzazione soviettista dello Stato Proletario che si costituisce in Dittatura di Classe per l'estinzione delle classi e dello Stato.
Organizzazione economica e organizzazione politica
Si forma all'interno del PSI la frazione comunista astensionista.
Sindacato e partito sono due cose diverse. La Sinistra Comunista è favorevole all'affasciamento di tutto il proletariato in un organismo sindacale unitario ma nello stesso tempo fa notare che il sindacato non è il protagonista della lotta rivoluzionaria ed il gestore del nuovo regime sociale. La Sinistra è contraria al fronte unico rivoluzionario propagandato da "sindacalisti di sinistra" anarchici e socialdemocratici. La Sinistra Comunista è per un fronte di azione comune a tutti gli sfruttati, fronte che non può scaturire da una alleanza fittizia fra correnti diverse.
"Fronte unico rivoluzionario" è solo una parola. É per questo che noi vediamo la soluzione del problema di rendere massima l'efficienza rivoluzionaria del proletariato (cioè affrettare la caduta della borghesia, ma anche rendere impossibile il fallimento del nuovo regime) non nella creazione di un blocco di correnti che si dichiarino rivoluzionarie, ma nella formazione di un movimento omogeneo che enuclei un programma preciso, concreto ed attuabile in tutte le successive sue fasi, essendo disposti a considerare rivoluzionario solo un programma che risponda a tale requisito.
Marzo 1919 viene fondata la Terza Internazionale come base del Partito Comunista Mondiale.
Durante il 1919 gli scioperi continuano imponenti. Si accende la polemica sulle elezioni e sull'Avanti compare un dibattito: "Preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale?" La Sinistra sostiene che in questi anni e in questi paesi in cui il parlamentarismo ha raggiunto la putrefazione massima, i comunisti devono agire unicamente nel senso della preparazione rivoluzionaria della classe operaia e del suo partito. Nasce la frazione astensionista su questi capisaldi:
1) Affermazione delle basi teoriche: il marxismo
2) L'Internazionale non è risultato originale della rivoluzione russa ma si identifica nel processo mondiale in stretta aderenza con i principi marxisti che sono al di sopra di ogni confine.
3) Il movimento che nasce in seguito al tradimento socialdemocratico deve affermarsi attraverso una spietata selezione degli elementi opportunisti ecc.
4) Negazione della gradualità della rivoluzione e della costruzione della società nuova attraverso isole di potere e di nuova coscienza tipo i consigli di fabbrica torinesi dell'Ordine Nuovo (Gramsci).
5) Affermazione della necessità della conquista violenta del potere e del suo mantenimento attraverso la repressione violenta contro ogni tentativo di rimettere in piedi la vecchia società.
6) La rivoluzione comunista è possibile solo se l'avanguardia del proletariato si costituisce in partito e questi conquista l'influenza decisiva sulle masse in presenza di situazioni favorevoli.
1919 In ottobre si svolge il Congresso di Bologna. La rottura tra le correnti è ormai netta. La questione dell'astensionismo si rivela secondaria.
Punto centrale della spaccatura, è la concezione del partito, della rivoluzione, dell'Internazionale Comunista.
Dall'intervento di Bordiga al Congresso:
"Il nostro Partito ha dietro di se una storia di cui può essere orgoglioso: è una esperienza rivoluzionaria, anche se in essa non è stata scritta alcuna frase insurrezionale (perché noi non siamo feticisti della barricata, dell'insurrezione, che verrà a tempo opportuno, e non vediamo solo in ciò la rivoluzione; l'opera fin qui svolta dalla corrente di sinistra del nostro partito è opera rivoluzionaria anche se non abbiamo avuto la fortuna di giungere al momento della lotta armata). Abbiamo un'esperienza che vale qualche cosa, che può essere anche di peso sulle opinioni della Terza Internazionale. I bolscevichi russi parteciparono alla elezione della Duma? Essi vi parteciparono quando ancora nella Russia non si era determinata l'apertura di quel grande periodo rivoluzionario che ci prospetta come possibile la conquista del potere."
"Se voi aderite alla Terza Internazionale non potete dimenticare che uno degli articoli del programma di Mosca dice che, a differenza della Seconda Internazionale, che era un'accozzaglia informe di partiti nazionali, se non nazionalisti, nella Terza Internazionale vi è un partito unico, che non può concepire una rivoluzione nazionale ma lavora per la rivoluzione internazionale comunista. La rivoluzione russa non è stata che la prima battaglia data dal proletariato internazionale al mondo capitalistico. Ecco perché noi, seguaci della Terza Internazionale, crediamo che la tattica dell'astensione dall'azione parlamentare debba essere guita dai partiti che aderiscono a Mosca, per non ricadere ancora nella menzogna della Seconda Internazionale, nella quale si riunivano a congresso le più diverse tendenze e i più diversi metodi."
"Ecco perché quando parliamo di lotta rivoluzionaria, di periodo rivoluzionario intendiamo sempre riferirci alla situazione internazionale, e il periodo rivoluzionario di cui parliamo nel programma nostro lo intendiamo internazionalmente aperto appunto da quando al proletariato russo, al partito dei bolscevichi russi, si è prospettata la possibilità della presa del potere e ha saputo far trionfare la formula: 'tutto il potere ai soviet'."
"Ebbene i compagni bolscevichi hanno avuto poco da fare col metodo parlamentare e appena lo hanno guardato in faccia lo hanno spazzato con le baionette della guardia rossa."
1920 II Congresso dell'Internazionale il punto più alto raggiunto dalla rivoluzione comunista.
Il secondo congresso dell'Internazionale è il banco di prova per chi si definisce comunista, è il culmine dell'impostazione teorica marxista.
In questo congresso si manifesta pienamente la convergenza della Sinistra con l'Internazionale per quanto riguarda teoria, principi, fini, programma, tattica.
Nelle tesi sulle condizioni per l'ammissione all'IC. la Sinistra propone ed ottiene:
1) l'accentuazione della severità teorica nell'introduzione dei partiti;
2) il mantenimento del punto 20 sugge rito da Lenin e poi tolto, sulla formazione degli organi centrali dei partiti ammessi (i 2/3 dei componenti dovevano essere comunisti riconosciuti PRIMA dello svolgimento del congresso);
3) aggiunta di un 21° punto a proposito della espulsione di chi non accetta le tesi dell'IC.
Non era una questione semplicemente formale, L'Internazionale non poteva continuare ad essere una aggregazione di tendenze o gruppi comunisti. Doveva essere la realizzazione operante del partito comunista mondiale del proletariato.
Nel gennaio 1921 a Livorno avviene la scissione nel vecchio PSI e sulla base dei 21 punti di Mosca si costituisce il Partito Comunista d'Italia (come sezione italiana dell'Internazionale) che sarà diretto dalla Sinistra fino al 1923.
La sezione italiana dell'Internazionale approva e si basa su questo programma:
1) Nell'attuale regime sociale capitalista si sviluppa un sempre crescente contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione, dando origine all'antitesi di interessi e alla lotta di classe fra il proletariato e la borghesia dominante.
2) Gli attuali rapporti di produzione sono protetti e difesi dal potere dello Stato borghese che, fondato sul sistema rappresentativo democratico; costituisce l'organo della difesa degli interessi della classe borghese.
3) Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borghese.
4) L'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe. Il Partito Comunista riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per l'emancipazione rivoluzionaria del proletariato. Il Partito ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere, nello svolgimento della lotta, il proletariato.
5) La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili contraddizioni del sistema capitalistico che produssero l'imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione del capitalismo in cui la lotta di classe non può che risolversi in conflitto armato fra le masse lavoratrici e il potere degli stati borghesi.
6) Dopo l'abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell'apparato di stato borghese e con l'instaurazione della propria dittatura, ossia basando le rappresentanze dello Stato sulla base produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese.
7) La forma di rappresentanza politica nello Stato Proletario è il sistema dei Consigli dei lavoratori (operai e contadini) già in atto nella Rivoluzione Russa, inizio della Rivoluzione Proletaria Mondiale e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria.
8) La necessaria difesa dello Stato Proletario contro tutti i tentativi controrivoluzionari può essere assicurata solo col togliere alla borghesia e ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica e con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni.
9) Solo lo Stato Proletario potrà sistematicomente attuare tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti della economia sociale con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalista con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione.
10) Per effetto di questa trasformazione economica e delle conseguenti trasformazioni di tutta l'attività della vita sociale eliminata la divisione della società in classi, andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.
Iniziano le gigantesche battaglie su tutti i fronti
Il Partito appena formato si trovato a combattere su diversi fronti:
Sindacale: sostenendo la massima unità fra i proletari in un fronte di battaglia contrapposto al fronte della classe dominante secondo le indicazioni del III Congresso dell'Internazionale,
Politico: contro i riformisti che si contrappongono al fascismo sul piano legalitario. Nella sua azione quotidiana e negli interventi presso l'Internazionale, la Sinistra sostiene che il fascismo non è un fenomeno "arretrato" della dominazione capitalistica, ma un'esigenza razionalizzatrice della violenza di classe contro il proletariato rivoluzionario, ed è perciò un aspetto "moderno" del capitalismo che va combattuto con le sue stesse armi: la violenza di classe organizzata.
Militare: il Partito Comunista è l'unico a sostenere la necessità della preparazione militare del proletariato. Sarà l'unico partito a realizzare un tentativo di inquadramento militare per mettere in pratica l'opposizione armata al fascismo al suo sorgere.
Internazionale: il PCd'I lotta strenuamente nell'Internazionale contro le interpretazioni errate del Fronte Unico; il quale non deve essere inteso come "blocco" tra le formazioni politiche i partiti ecc. come alleanza tra diverse concezioni, ma solo come lotta fisica che tutti i proletari devono condurre insieme nella battaglia contro la borghesia.
Il grande significato storico del lavoro compiuto dalla Sinistra è consistito nel contributo al tentativo di formazione dell'Internazionale su basi unicamente comuniste, condizione indispensabile sia alla vittoria rivoluzionaria, sia alla capacità di non tradire in caso di sconfitta, unica garanzia per la ripresa rivoluzionaria in una fase successiva.
Il tradimento dei principi dell'Internazionale di Lenin è alla base della massima degenerazione attuale dei partiti cosiddetti comunisti
1921 - 1924 Periodo in cui vengono meno le possibilità di uno sbocco rivoluzionario in Occidente: la controrivoluzione avanza; alla morte di Lenin la questione russa prende il sopravvento. Al IV esecutivo allargato dell'Internazionale il rappresentante del PCd'I (Bordiga) rileva come le questioni del partito russo si sovrappongono alle questioni internazionali si profila all'orizzonte la teoria del "socialismo in un paese solo" del "partito guida" ecc. Inizia la battaglia della sinistra contro lo stalinismo.
1925 - 1926 La direzione formale del PCd'I in seguito all'abbandono della rigida selezione nelle iscrizioni e alle pesanti sollecitazioni anche materiali verso i funzionari (garanzia di un sostegno economico) del centro di Mosca, è ormai in mano ai centristi.
Dal 1924 è segretario Gramsci (non esisteva questa carica quando il Partito era in mano alla Sinistra).
La sinistra non considera perduta la battaglia per salvare l'Internazionale dallo stalinismo, si delinea un'opposizione nel Partito Russo e la sinistra l'appoggia. Trotskij è calunniato e isolato. Nel 1926 al Congresso clandestino di Lione (del PCd'I) affluiscono in maggioranza delegati centristi e votano le tesi del centro togliendo la direzione effettiva alla sinistra, nonostante che essa abbia ancora influenza sulla maggioranza del partito.
Stalinismo = Sconfitta della rivoluzione in occidente e sopravvento delle forze che stanno alla base dello sviluppo capitalistico in Russia forze non più controllabili dalla classe operaia tramite il suo partito ormai rinnegato.
A partire dal 1926 il contrasto si trasferì direttamente sul piano politico e terminò nella rottura fra l'Internazionale e la Sinistra. Le due questioni sul tappeto erano: "il socialismo in un solo paese" e a breve distanza l'"antifascismo".
Il "socialismo in un solo paese" è una doppia negazione del leninismo, perché contrabbanda come socialismo quello che Lenin chiamava: "sviluppo capitalistico all'europea nella Russia piccolo-borghese e semi-medioevale" e perché svincola i destini della rivoluzione russa da quelli della rivoluzione proletaria mondiale. É la dottrina della controrivoluzione: all'interno essa giustificò la repressione contro la vecchia guardia marxista e internazionalista a cominciare da Trotskij; fuori dai confini dell'Urss favorì lo schiacciamento delle correnti di sinistra da parte delle frazioni di centro, spesso dirette sopravvivenze socialdemocratiche capitolanti su tutta la linea di fronte alla borghesia.
La principale manifestazione di questo abbandono dei cardini programmatici della lotta comunista mondiale fu appunto la sostituzione della parola d' ordine della presa rivoluzionaria del potere con quella della difesa della democrazia contro il fascismo, quasi che i due regimi non rispondessero al comune obbiettivo della conservazione del regime capitalistico di fronte al pericolo di una nuova ondata rivoluzionaria del proletariato, alternandosi al timone dello Stato a seconda delle imperiose esigenze della dinamica della lotta fra classi.
1927 - 1930 L'ex direzione (tra cui la maggior parte dei membri della Sinistra) è quasi al completo confinata.
Trotskij viene espulso dal Partito Russo. L'Internazionale è ormai saldamente in mano allo stalinismo, viene messa in atto una intimidazione poliziesca continua che la sinistra 'italiana' già denunciava alle sue prime manifestazioni. Bordiga viene espulso dal PCd'I.
Ormai si conduce l'eliminazione fisica dei rivoluzionari comunisti e la falsificazione della storia.
Molti compagni emigrano in Francia e in Belgio e si raccoglieranno intorno alla rivista BILAN come "Frazione all'estero". Più di 200 che erano andati in Russia per sfuggire al fascismo spariranno negli anni seguenti. Lo stalinismo porta a termine nel 1937 con i famosi processi di Mosca l'eliminazione fisica della vecchia guardia rivoluzionaria, dei compagni di Lenin. Bukharin, Zinoviev, Kamenev, Piatakov, Radek, Tukhacevski e mille altri combattenti rivoluzionari furono fucilati in seguito ad accuse infamanti.
Ecco un esempio della letteratura stalinista al riguardo (dalla "Storia del Partito Comunista Russo" di Stalin e altri):
"Liquidazione dei rottami bukhariniani e trotskijsti, spie, sabotatori, traditori della patria. Preparazione delle elezioni al soviet supremo dell'URSS, il partito si orienta verso una larga democrazia interna, elezioni al soviet supremo dell'URSS."
"L'anno 1937 apportò nuove rivelazioni sui mostri della banda bukhariniana e trotskijsta. Il processo contro Piatakov, Radek e altri, il processo contro Tukhacevski, Iakir ed altri, e infine il processo contro Bukharin, Rykov, Krestinski, Rosengolz ed altri, tutti questi processi mostrarono che i bukhariniani e i trotskijsti formavano già da lungo tempo una sola banda di nemici del popolo, nella forma di un 'blocco dei destri e dei trotskijsti'... I processi stabilirono che questi rifiuti del genere umano, insieme coi nemici del popolo Trotskij, Zinoviev e Kamenev, avevano tramato un complotto contro Lenin, contro il Partito, contro lo Stato Sovietico fin dai primi giorni della Rivoluzione Socialista d'Ottobre... I processi rivelarono che i mostri trotskijsti e bukhariniani, per ordine dei loro padroni, i servizi di spionaggio borghesi, si erano proposti di distruggere il Partito e lo Stato Sovietico, di scalzare alle radici la difesa del paese, di facilitare l'intervento militare straniero, di preparare la disfatta dell'Esercito Rosso, di smembrare l'Urss, di consegnare ai giapponesi la regione del litorale dell'Estremo Oriente, di consegnare ai polacchi la Bielorussia sovietica, di consegnare ai tedeschi l'Ucraina sovietica, di annientare le conquiste degli operai e dei colcosiani, di restaurare la schiavitù capitalistica nell'Urss... Il tribunale sovietico condannò i mostri bukhariniani e trotskijsti alla fucilazione. Il Commissariato del popolo agli Affari interni eseguì il verdetto. Il popolo sovietico approvò l'annientamento della banda bukhariniana e trotskijsta e passò alle questioni del giorno."
I migliori capi di una generazione di rivoluzionari comunisti furono assassinati dal primo all'ultimo. Così fanno la storia i traditori che ancora osano definirsi "comunisti". I proletari traggano da queste esperienze una lezione per le loro lotte.
Mentre si prepara la guerra i proletari vengono chiamati a blocchi interclassisti nei fronti popolari e allo scoppio delle ostilità, alla partigianeria a favore della democrazia contro il fascismo, a favore degli imperialismi americano e russo contro quello italo-tedesco-giapponese.
1940 Trotskij è assassinato in Messico da un emissario di Stalin.
1943 Stalin scioglie l'Internazionale.
1945 I compagni della Sinistra si raccolgono intorno al giornale "Battaglia Comunista" e prendono il nome di Partito Comunista Internazionalista.
Lo scontro con i centristi è subito violento. I compagni Fausto Atti e Mario Acquaviva sono assassinati. I militanti del Partito Comunista Italiano (perfino il nome è cambiato con l'aggettivo nazionale) vengono aizzati contro i compagni della sinistra usando ogni mezzo, dalla calunnia alla provocazione. Il PCI e l'organizzazione sindacale subordinano le non ancora spente capacità di lotta dei proletari alla ricostruzione sotto il segno di una pacificazione nazionale.
Incomincia la dura e tenace opera per rifondare il partito rivoluzionario di classe.
Alla fine della guerra mentre i proletari vengono chiamati alla responsabilità verso governi di ricostruzione nazionale il partito tende a ricostituirsi su un programma rivoluzionario.
Dalle Tesi sulla natura, funzione e tattica del partito della classe operaia - 1945
L'eccessiva importanza data nei primi anni della III Internazionale alla applicazione delle posizioni tattiche russe ai paesi di stabile regime borghese, ed anche a quelli extra-europei e coloniali, fu la prima manifestazione del ricomparire del pericolo revisionistico. La caratteristica della II guerra imperialistica e delle sue conseguenze già evidenti è la sicura influenza in ogni angolo del mondo, anche quello più arretrato nei tipi di società indigena, non tanto delle prepotenti forme economiche capitalistiche quanto dell'inesorabile controllo politico e militare da parte delle grandi centrali imperiali del capitalismo; e per ora della loro gigantesca coalizione che include lo stato russo. Per conseguenza le tattiche locali non possono essere che aspetti della strategia generale rivoluzionaria il cui primo compito è la restaurazione della chiarezza programmatica del Partito Proletario Mondiale, seguito dal ritessersi della rete delle sue organizzazioni in ogni paese.
Dalle Tesi caratteristiche del partito - 1951
Il Partito esclude assolutamente che si possa stimolare il processo (di penetrazione delle grandi masse) con risorse, manovre, espedienti, che facciano leva in quei gruppi, quadri, gerarchi e che usurpano il nome di proletari, socialisti, comunisti. Questi mezzi che informarono la tattica della III Internazionale all'indomani della scomparsa di Lenin dalla vita politica non sortirono altro effetto che la disgregazione del Comintern come teoria organizzativa e forza operante del movimento, lasciando sempre qualche brandello di partito sulla strada dell'"espediente tattico". Questi metodi vengono rievocati e rivalorizzati dal movimento trotskijsta e dalla IV Internazionale, ritenendoli a torto metodi comunisti.
In difesa della continuità del programma comunista - 1952
Il nucleo del Partito è saldamente formato. La lunga opera di restaurazione della teoria rivoluzionaria del proletariato prende corpo in una serie di TESI. Inevitabile, come in tutta la storia del comunismo, è una dura selezione delle forze. L'organo di stampa centrale prende il nome di Programma Comunista per sottolineare l'importanza delle posizioni programmatiche. L'attività diventa internazionale con l'estensione della rete organizzativa in più paesi e il Partito assume il nome più conseguente di Partito Comunista Internazionale invece di "internazionalista".
Il filo rosso spezzato dallo stalinismo è riannodato.
Dalle Tesi sull'attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole - 1965
"É fondamentale tesi della Sinistra che il nostro Partito non deve per questo rinunziare a resistere, ma deve sopravvivere e trasmettere la fiamma lungo lo storico "filo del tempo". É chiaro che sarà un Partito piccolo, non per nostro desiderio od elezione, ma per ineluttabile necessità. Pensando alla struttura di questo Partito anche nelle epoche di decadenza della III Internazionale, ed in polemiche innumerevoli, abbiamo respinto, con argomenti che non occorre riprendere varie accuse."
"Non vogliamo un Partito di setta segreta o di elite, che rifiuti ogni contatto con l'esterno per mania di purezza. Non vogliamo ridurre il Partito ad una organizzazione di tipo culturale, intellettuale e scolastico, come da polemiche che risalgono da oltre mezzo secolo. Nemmeno crediamo, come certi anarchici o blanquisti che si possa pensare ad un partito di azione armata cospirativa e che tessa congiure."
"Dato che il carattere di degenerazione del complesso sociale si concentra nella falsificazione e nella distruzione della teoria e della sana dottrina, è chiaro che il piccolo Partito di oggi ha un carattere preminente di restaurazione dei principi di valore dottrinale, e purtroppo manca dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della prima guerra. Tuttavia non per questo possiamo calare una barriera fra teoria e azione pratica; poiché oltre un certo limite distruggeremo noi stessi e tutte le basi nostre di principio. Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in qui i rapporti reali di forze lo consentono."
L'affermazione e lo sviluppo del Partito sono inseparabili dall'intervento costante nelle lotte operaio e il Partito si adopera sempre per appoggiare o incitare l'esigenza di organizzazione immediata.
Dalle Tesi sul compito storico l'azione e la struttura del Partito comunista mondiale - 1965
Il lavoro svolto per ricostituire ovunque il Partito di classe dopo la fine della seconda guerra ha trovato una situazione estremamente sfavorevole. In questa situazione spietata di controcorrente, aggravata dal tuffarsi di larghe masse proletarie nella pratica pestifera dell'elezionismo, pratica apologizzata dai falsi rivoluzionari molto più spudoratamente di quanto non avessero fatto i revisionisti di oltre mezzo secolo prima.
La teoria e l'azione pratica sono campi dialetticamente inseparabili.
Il nostro movimento non poté rispondere che facendo leva su tutto il patrimonio che gli derivava dalla lunga e sfavorevole vicenda storica.
Non si trattava di ridursi ad una funzione di diffusione culturale o di propaganda di dottrinette, ma di dimostrare che teoria ed azione sono campi dialetticamente inseparabili e che gli insegnamenti non sono libreschi o professorali ma derivano da bilanci dinamici di scontri avvenuti fra forze reali di notevole grandezza ed estensione...
Sul piano interno la via da percorrere era solo quella che nel processo storico ci avesse sempre più liberato dal letale meccanismo democratico, non solo nella società e nei vari corpi che si organizzano in seno a questa, ma nel seno della stessa classe rivoluzionaria e soprattutto in quella del suo partito politico.
La struttura di lavoro del nostro movimento si basò in incontri frequenti di inviati di tutta la periferia organizzata, nei quali non si pianificavano dibattiti, o contraddittori fra tesi in contrasto, ma vi era soltanto la continuazione organica del grave lavoro di consegna storica delle lezioni feconde del passato alle generazioni presenti e future, alle nuove avanguardie che si andranno delineando nelle file delle masse proletarie.
Il Partito riconobbe ben presto che, anche in una situazione estremamente sfavorevole ed anche nei luoghi in cui la sterilità è massima, va scongiurato il pericolo di concepire il movimento come una mera attività di stampa propagandistica e di proselitismo politico. La vita del Partito si deve integrare ovunque e sempre e senza eccezioni in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse ed anche nelle sue manifestazioni influenzate dalle direttive contrastanti con le nostre.
Le strutture elettive gerarchiche gli statuti, le costituzioni, i meccanismi democratici, il burocratismo, sono propri dei partiti borghesi e sono rifiutati dal partito del proletariato.
L'organizzazione, come la disciplina, non è un punto di partenza ma un punto d'arrivo; non ha bisogno di codificazioni statutarie e di regolamenti disciplinari; non conosce antitesi tra "base" e "vertice"; esclude le rigide barriere di una divisione del lavoro ereditata dal regime capitalista non perché non abbia bisogno di "capi" ed anche di "esperti" in determinati settori, ma perché questi sono e devono essere, come e più del più "umile" dei militanti, vincolati da un programma, da una dottrina e da una chiara e univoca definizione delle norme tattiche comuni a tutto il Partito, note ad ognuno dei suoi membri, pubblicamente affermate, soprattutto tradotte in pratica di fronte alla classe nel suo insieme; e sono tanto necessari quanto dispensabili non appena cessino di rispondere alla funzione alla quale per selezione naturale, e non per fittizie conte delle teste, il Partito li ha delegati, o ancora peggio quando deviino dal cammino per tutti segnato .
Il partito scolpisce i lineamenti della sua dottrina della sua azione della sua tattica con una unicità di metodo al di sopra del tempo e dello spazio.
Un Partito di questo genere (come tende ad essere e si sforza di divenire il nostro, senza con ciò pretendere né ad una "purezza" né ad una "perfezione" antistoriche) non condiziona la sua vita interna, il suo sviluppo, la sua (diciamo pure) gerarchia di funzioni tecniche, al capriccio di decisioni contingenti e maggioritarie; cresce e si rafforza per la dinamica della lotta di classe in generale e del proprio intervento in essa in particolare; si crea senza prefigurarli, i suoi strumenti di battaglia, i suoi organi a tutti i livelli; non ha bisogno (se non in eccezionali casi patologici) di espellere dopo regolare "processo" chi non si sente più di seguire la comune e immutabile via, perché deve essere in grado di eliminarlo dal proprio seno come un organismo sano elimina spontaneamente i propri rifiuti.
"La rivoluzione non è una questione di forme di organizzazione" è l'organizzazione con tutte le sue forme che, viceversa, si costituisce in funzione delle esigenze della rivoluzione, prevista non solo nel suo sbocco, ma nel suo cammino. Consultazioni, costituzioni e statuti sono propri delle società divise in classi, e dei partiti che esprimono a loro volta non il percorso storico di una classe, ma l'incrociarsi di percorsi divergenti o non pienamente convergenti di più classi. Democrazia interna e "burocratismo", omaggio alla "libertà di espressione" individuale o di gruppo e "terrorismo ideologico", sono termini non già antitetici ma dialetticamente connessi: unità di dottrina e di azione tattica, e carattere organico del centralismo organizzativo, sono egualmente le facce di una stessa medaglia.
Oggi i vari partiti che si autodefiniscono comunisti hanno raggiunto ovunque il fondo della collaborazione di classe e del tradimento della loro origine.
Vari gruppi politici che si rifanno al marxismo non fanno che rispolverare tesi criticate a fondo una volta per tutte dal marxismo stesso e dimostrano la loro impotenza con un eclettismo che deriva dalla mancanza di ogni programma.
L'aderenza alle posizioni programmatiche del comunismo, invece pone il partito comunista mondiale, di cui rappresentiamo l'embrione, come unico organo in grado di presentare ai proletari la rivoluzione nei suoi aspetti ineluttabili, necessari e possibili.
Il comunismo non anticipa soltanto la società futura, ma anche il suo divenire attraverso lo svolgimento tattico determinato nella battaglia rivoluzionaria.
Dalle nostre tesi sindacali
Il Partito non può certo suscitare la lotta di classe: è tuttavia suo compito richiamare costantemente, nel vivo delle lotte economiche anche saltuarie e parziali, i presupposti elementari e indispensabili del suo potenziamento e della sua intensificazione ed estensione, agitando parole d'ordine e propugnando metodi di orientamento generale che puntino verso l'affasciamento dei proletari di ogni azienda, categoria, località (denunciando l'opera disgregatrice e sabotatrice dei sindacati) senza per questo rinunciare, da un lato all'intervento dei suoi gruppi sindacali e di fabbrica in lotte locali, aziendali e frammentarie con obbiettivi angusti e rivendicazioni minori, e dal lato opposto alla proclamazione e propaganda degli obbiettivi transitori e finali del movimento proletario e traendo anzi dai fatti rinnovata conferma dell'impossibilità per la classe operaia, quand'anche una lotta economica vigorosamente impostata le garantisse un temporaneo sollievo dalle più esose forme di strozzinaggio capitalistico, di emanciparsi dalla sua condizione di sfruttamento e sudditanza prima di averli raggiunti, e della necessità a questo fine del Partito, come, per lo sviluppo coordinato delle lotte economiche, di una rete intermedia di organismi di classe da esso influenzati.
Il Partito deve avere chiara coscienza (e il coraggio di proclamarlo) che la via della ripresa proletaria classista, nel risalire dall'abisso della controrivoluzione, passerà necessariamente attraverso esperienze dolorose, bruschi contraccolpi, delusioni amare, come attraverso confusi tentativi di riscossa dal peso schiacciante di un cinquantennio di infame prassi opportunistica.
Esso non solo può condannare gli episodi di scioperi selvaggi, di costituzioni di comitati di sciopero o di "base" ecc. (fenomeni del resto ricorrenti, a parte i nomi, nella storia del movimento operaio) né disinteressarsene perché non rientrano nello schema armonioso di una battaglia centralmente organizzata ed estesa su tutti i fronti, ma riconoscendovi il sintomo di una istintiva reazione proletaria allo stato di impotenza al quale i sindacati riducono le sue lotte e rivendicazioni, deve trarne motivo per inculcare in uno strato sia pure esile di sfruttati la coscienza di come i loro sforzi, per quanto generosi siano condannati a rimanere sterili se la classe non trova in sé la forza di provocare e compiere un'inversione completa di rotta politica in direzione dell'attacco diretto e generale al potere capitalistico: non diverso fu nel 1920 l'atteggiamento della nostra Frazione Astensionista di fronte ad episodi come l'occupazione delle fabbriche o la proclamazione di scioperi su vasta scala in aperto contrasto con la direzione confederale, episodi da noi giudicati sterili agli effetti degli obbiettivi perseguiti, ma fertili di insegnamenti politici sotto la martellante azione del Partito.
Allo stesso modo (e con le riserve imposte dalla perdurante flaccidità della crisi capitalistica, che limita a casi episodici e di peso irrilevante le nostre reali possibilità di influenza) i militanti operai del Partito non si sottrarranno a corresponsabilità di direzione in tali comitati od organi temporanei, purché non strumentalizzati in partenza da forze politiche estranee alla tradizione classista, ed esprimenti una effettiva combattività operaia, non tralasciando però occasione per ribadire la necessità di superare il cerchio chiuso della località o dell'azienda, e di utilizzare l'energia di classe al rafforzamento del Partito Rivoluzionario e alla rinascita, possibile solo in concomitanza di una vigorosa ripresa proletaria, di organismi intermedi generali di classe, e non cadendo mai nell'errore di teorizzare o ammettere che si teorizzino questi o analoghi organi locali o temporanei come il modello della futura associazione economica e in genere intermedia.
Rivendicazioni classiche alla base del lavoro di sempre dei comunisti nel campo delle rivendicazioni proletarie:
1) Difesa del salario reale. Aumenti salariali maggiori per gli operai peggio pagati. Rivendicazione del salario minimo per tutti.
2) Riduzione drastica della giornata lavorativa.
3) Salario garantito ai proletari estromessi dal ciclo produttivo (pensionati, licenziati, disoccupati, ecc.) partecipazione di questi alla vita organizzativa di classe.
4) Contro tutte le discriminazioni (donne, giovani, apprendisti, appalti) nessun contratto a termine.
5) Contro gli incentivi, eliminazione degli straordinari, contro il sistema delle qualifiche e della "professionalità".
6) Contro la scadenza fissa dei contratti e per la generalizzazione delle lotte.
7) Per le forme di lotta unificanti e classiste che mettano in campo la forza proletaria.
Le rivendicazioni economiche non risolvono che le esigenze immediate degli operai. La difesa di queste esigenze, come anche nuove conquiste sindacali, sono riassorbibili da questo sistema tuttavia la lotta sindacale su basi di classe è estremamente importante perché rappresenta una scuola di guerra sia per i proletari che ne derivano l'esigenza dell'organizzazione, sia per i comunisti che ne traggono insegnamenti per la direzione rivoluzionaria.
Opuscolo di novembre 1981, del Partito Comunista Internazionale (il programma comunista), sezione di Torino