Che cos'è la Sinistra Comunista "Italiana"

Anche dove non compaiono esplicite citazioni, il presente testo è stato interamente composto con argomenti sintetizzati da testi della Sinistra.

1. Riaffermazione della necessità storica del comunismo

Il comunismo è morto? Il marxismo ha fallito il suo compito di comprendere la società capitalista e le sue contraddizioni, quindi la necessità storica del suo rivoluzionario superamento? Sarebbe dunque il capitalismo un modo di produzione in grado di migliorarsi continuamente? Non sarebbe quindi transitorio come le società che l'hanno preceduto?

Mentre l'area russa è coinvolta nella crisi generale e salta l'apparente stabilità sociale su cui per anni il capitalismo di stato ha fondato l'accumulazione in URSS, l'odio e il livore anticomunista di grandi e piccoli borghesi si sfoga su qualunque simbolo possa evocare lo spettro rivoluzionario.

Lo stalinismo li ha aiutati nella loro illusione di vittoria, ma sbagliano di grosso: il comunismo non può "morire". Per comunismo si intende il procedere dei rapporti sociali così come procedono gli altri fenomeni della natura e il marxismo non è altro che la scoperta scientifica delle leggi di questo procedere.

Marx come persona è semplicemente il prodotto di un processo storico che obbliga anche altri a indagare sugli stessi problemi; non è lui che scopre per primo le classi, il plusvalore e la rendita moderna. Ma egli scopre con Engels il meccanismo economico che sta alla base dei rapporti di classe, quindi sociali. Esattamente come gli scienziati rivoluzionari borghesi scoprirono le leggi che governano il mondo fisico.

Marx indica con il termine "comunismo" il movimento reale che contribuisce al superamento dello stato di cose presente.

Il comunismo non è quindi un modello di società che si possa inventare e applicare. La differenza tra utopismo e comunismo consiste proprio nella differenza tra la società ideale descritta e vagheggiata da chi vuole sopprimere gli inconvenienti della società in cui vive, e la società che necessariamente è preparata dalle contraddizioni materiali del capitalismo e dai conflitti di classe che ne derivano.

Engels in una famosa polemica offre del comunismo una definizione cristallina:

"Heinzen si immagina che il comunismo sia una certa dottrina che muova da un nucleo e ne tragga ulteriori conseguenze. Heinzen si sbaglia di molto. Il comunismo non è una dottrina ma è un movimento; non muove da principii ma da fatti. I comunisti non hanno come presupposto questa o quella filosofia, ma tutta la storia trascorsa e specialmente i suoi attuali risultati reali nei paesi civili. Il comunismo è nato dalla grande industria e dalle sue conseguenze, dall'instaurazione del mercato mondiale, dalla concorrenza libera da ostacoli che questo comporta, dalle crisi commerciali sempre più violente e generali, che già ora sono diventate crisi complete del mercato mondiale, dalla creazione del proletariato e dalla concentrazione del capitale, dalla lotta di classe - che ne deriva - tra proletariato e borghesia. Il comunismo, per quel che è teorico, è l'espressione teorica della posizione del proletariato in questa lotta e il compendio teorico delle condizioni per la liberazione del proletariato".

Il comunismo, ben lungi dall'essere morto, muove da fatti che dimostrano ogni giorno la sua forza dirompente e la necessità del cambiamento sociale. Il marxismo offre gli strumenti per conoscere e comprendere questo processo catastrofico.

Conoscenza e comprensione non saranno patrimonio di individui, coscienza dei singoli, ma teoria e coscienza della parte più avanzata della classe rivoluzionaria o, meglio, dell'avanguardia umana che rappresenta il partito rivoluzionario: nel partito vi sono solo comunisti, indipendentemente dalla classe di appartenenza.

2. Riaffermazione della funzione organica del partito

Dice il Manifesto di Marx ed Engels: "I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai. I comunisti non hanno interessi distinti da quelli di tutto il proletariato. I comunisti non pongono principii particolari sui quali vogliano modellare il movimento operaio".

Parole dal significato inequivocabile quanto dimenticato come in quelle che seguono: "Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su principii inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto".

Anche il partito è "semplicemente" l'espressione generale di rapporti di fatto.

L'organizzazione del partito proletario si forma e si sviluppa nella misura in cui esiste, per la maturità di evoluzione della situazione sociale, la possibilità di una coscienza e di una azione collettiva unitaria nel senso dell'interesse generale e ultimo della classe operaia. D'altra parte il proletariato appare ed agisce nella storia come una classe quando appunto prende forma la tendenza a costruirsi un programma e un metodo comune di azione, quindi a organizzare un partito"
(Tesi di Roma del PCd'I, 1922).

Da quando l'Internazionale Comunista degenerata non rappresentò più gli interessi storici della classe rivoluzionaria, un partito nel senso del brano appena citato non c'è più.

E' inutile cercare la data intorno alla quale il Partito cessò di esistere quale realizzatore fisico del Programma: i grandi eventi che portano a svolte storiche non registrano sé stessi e tantomeno permettono ai protagonisti di fissare passaggi per i posteri.

La Sinistra Comunista, in sintonia con Marx, spiega l'andamento discontinuo e spezzato del partito formale con l'andamento dei fatti legati alle vicende sociali, l'attacco o il ripiegare della lotta di classe. Per contro spiega l'ascesa armonica del partito storico con il maturare incessante dei rapporti di produzione verso la catastrofe rivoluzionaria.

Compito dei comunisti rivoluzionari è quello di comprendere quando sia possibile congiungere le vicende del partito formale alla "curva armonica" del partito storico.

Malgrado l'esistenza del partito formale sia spezzata, i comunisti rivoluzionari hanno imparato una volta per sempre che si deve lavorare con metodo di partito. Quando qui di seguito si farà riferimento al partito del secondo dopoguerra, lo si farà nell'accezione che la Sinistra stessa non si è mai stancata di ribadire: organizzazione che in periodo storico sfavorevole non può essere vasta né può avere influenza decisiva sulla classe operaia.

I due concetti, di partito storico e partito formale, non sono in opposizione metafisica e "la conclusione da dedurne è che per la vittoria sarà necessario avere un partito che meriti al tempo stesso la qualifica di partito storico e di partito formale, ossia che si sia risolta nella realtà dell'azione e della storia la contraddizione apparente tra il contenuto (programma storico, invariante) e partito contingente, cioè forma che agisce come forza e prassi fisica di una parte decisiva del proletariato in lotta ("Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole", 1965).

I partiti, come le rivoluzioni, non si fanno, si dirigono.

Questa posizione classica della Sinistra sul Partito implica che l'organizzazione sia intesa non come un insieme gerarchico di "uffici" e di "capi" alla maniera degli apparati borghesi, ma come un organico intreccio di funzioni centralizzate, trasposizione sul piano sociale della struttura naturale degli organismi biologici, nei quali la trasmissione di "informazione" non ha "direzioni" a senso unico, ma un continuo scambio che ne regola la vita.

"Questa trasmissione tra le molecole che compongono l'organo partito ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto. Abusare di formalismi di organizzazione senza una ragione vitale è stato e sarà sempre un difetto e un pericolo sospetto e stupido" ("Tesi supplementari sul compito storico,l'azione e la struttura del partito comunista mondiale", 1966).

"E' chiaro che sarà un partito piccolo, non per nostro desiderio od elezione, ma per ineluttabile necessità. (...) Non vogliamo un partito di setta segreta o di élite (come da polemiche innumerevoli), che rifiuti ogni contatto con l'esterno per mania di purezza. Non vogliamo ridurre il partito ad una organizzazione di tipo culturale, intellettuale o scolastico (...). E' chiaro che il piccolo partito di oggi ha un carattere preminente di restaurazione dei principi di valore dottrinale, e purtroppo manca dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della Prima Guerra. Tuttavia non per questo possiamo calare una barriera fra teoria e azione pratica; poichè oltre un certo limite distruggeremmo noi stessi e tutte le basi nostre di principio. Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i reali rapporti di forze lo consentono" ("Considerazioni" cit., 1965).

"Teoria e azione sono campi dialetticamente inseparabili e gli insegnamenti non sono libreschi o professorali ma derivano da bilanci dinamici di scontri avvenuti fra forze reali di notevole grandezza ed estensione (...). Sul piano interno la via da percorrere era solo quella che nel processo storico ci avesse sempre più liberato dal letale meccanismo democratico, non solo nella società e nei vari corpi che si organizzano in seno a questa, ma nel seno della stessa classe rivoluzionaria e soprattutto in quello del suo partito politico.

"La struttura di lavoro del nostro movimento si basò su incontri frequenti di inviati di tutta la periferia organizzata, nei quali non si pianificavano dibattiti, o contraddittori fra tesi in contrasto, ma vi era soltanto la continuazione organica del grave lavoro di consegna storica delle lezioni feconde del passato alle generazioni presenti e future, alle nuove avanguardie che si andranno delineando nelle file delle masse proletarie". ("Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale", 1965).

Le strutture elettive e gerarchiche, gli statuti, le costituzioni, i meccanismi democratici, il burocratismo, sono propri dei partiti borghesi e sono rifiutati dal partito rivoluzionario. Ricaviamo, sempre dalle tesi citate:

"L'organizzazione, come la disciplina, non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo; non ha bisogno di codificazioni statutarie e di regolamenti disciplinari; non conosce antitesi tra 'base' e 'vertice'; esclude le rigide barriere di una divisione del lavoro ereditata dal regime capitalista, non perchè non abbia bisogno di 'capi' o anche di 'esperti' in determinati settori, ma perchè questi sono e devono essere come e più del più 'umile' dei militanti, vincolati da un programma, da una dottrina e da una chiara e univoca definizione delle norme tattiche comuni a tutto il partito, note ad ognuno dei suoi membri, pubblicamente affermate, soprattutto tradotte in pratica di fronte alla classe nel suo insieme; e sono tanto necessari quanto dispensabili non appena cessino di rispondere alla funzione alla quale per selezione naturale, e non per fittizia conta delle teste, il partito li ha delegati, o ancora peggio quando deviino dal cammino per tutti segnato".

"Un partito di questo genere (...) non condiziona la sua vita interna, il suo sviluppo, la sua (diciamo pure) gerarchia di funzioni tecniche al capriccio di decisioni contingenti e maggioritarie; cresce e si rafforza per la dinamica della lotta di classe in generale e del proprio intervento in essa in particolare; si crea senza prefigurarli i suoi strumenti di battaglia, i suoi organi a tutti i livelli; non ha bisogno di espellere dopo regolare 'processo' chi non si sente più di seguire la comune e immutabile via".

La questione del partito è inscindibile dallo sviluppo della lotta di classe, quindi dalla maturazione delle esperienze storiche nel tempo e dalla lotta per la riaffermazione dei principii. I punti che seguono, nel tracciare uno schema della storia e delle posizioni, tracciano nello stesso tempo uno schema della concezione organica del partito, vera anticipazione delle necessità future della rivoluzione.

3. Che cos'è la Sinistra Comunista "Italiana"

In Italia i contatti con la Prima Internazionale sono caratterizzati da una varietà di posizioni in massima parte non materialiste nè internazionaliste, tranne il giornale La Plebe, fondato dal Bignami nel 1868 e il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna organizzato da Andrea Costa nel 1881.

Sullo sfondo delle lotte proletarie di fine secolo si forma una Sinistra coerentemente marxista che, nel 1910, si delinea come corrente organizzata nell'opposizione ai riformisti entro il Partito Socialista riunito al Congresso di Milano.

A cavallo del secolo la Sinistra rivoluzionaria si caratterizza per una serie di battaglie, in primo luogo a fianco della classe operaia e alla guida di importanti lotte, considerandole non fini a sè stesse, ma come elemento di una più generale battaglia rivoluzionaria.

La stessa battaglia viene condotta dalla Sinistra contro le correnti riformiste già allora presenti nel partito, nei sindacati e nelle organizzazioni socialiste. Si sviluppa per esempio uno scontro durissimo intorno alla Federazione Giovanile Socialista, vista dalla destra come organismo "culturale" del partito e dalla sinistra come scuola di battaglia rivoluzionaria.

Nel 1911 la Sinistra si rafforza nella lotta per l'opposizione alla Guerra di Libia e, nel 1912, al Congresso di Reggio Emilia del Partito Socialista, la Sinistra si configura finalmente come Frazione Intransigente Rivoluzionaria nella lotta contro la destra riformista.

Mentre a Napoli i "destri" della sezione del PSI formavano un blocco con massoni e borghesi anticlericali, i marxisti rifiutavano la manovra uscendo dalla sezione pur proclamandosi parte del partito e fondando, con l'apporto fondamentale di Amadeo Bordiga, il Circolo socialista rivoluzionario Carlo Marx.

Nel Congresso di Ancona, i marxisti si battono per la difesa del programma rivoluzionario contro la destra storica del PSI. La Sinistra Comunista è delineata con precisione come Corrente e come Scuola.

Nel 1914, allo scoppio della guerra imperialistica, i partiti della Seconda Internazionale votano i crediti di guerra e, nel 1915, in Italia la Sinistra è sola a sostenere il disfattismo rivoluzionario, mentre gli interventisti escono dal PSI e i centristi escogitano l'ambigua formula "nè aderire nè sabotare", che equivale a una capitolazione.

Tra il 1915 (settembre) e il 1916 (aprile) si svolgono le semiclandestine conferenze internazionali di Zimmerwald e di Kienthal. Sul problema della guerra si delinea una saldatura della sinistra internazionale, da Lenin e Trotzky a Liebknecht e Luxemburg. La Sinistra italiana è sulle stesse posizioni: "feroce intransigenza" nella difesa delle "frontiere ideologiche" del marxismo contro il disastro della socialdemocrazia con la formula espressa da Lenin: "trasformare la guerra imperialista in rivoluzione proletaria".

Quando nel 1917 in Russia esplode la Rivoluzione di Ottobre, la Sinistra italiana è l'unica corrente che nel mondo riconosce nel bolscevismo l'avanguardia della rivoluzione mondiale e non un fatto nazionale. Il bolscevismo, dice la Sinistra, "è pianta di ogni clima": con l'Ottobre Rosso, "la rivoluzione sociale internazionale è all'ordine del giorno della storia".

Al XV Congresso socialista nel 1918, la Sinistra si schiera senza compromessi con le tesi di Lenin e spinge il partito ad appoggiare la rivoluzione internazionale. L'unità del partito viene mantenuta dalla Destra solo grazie a compromessi che eludono le questioni teoriche, mentre il gruppo parlamentare agisce in completa autonomia.

Il problema, afferma la Sinistra, è di "vedere quale delle tendenze è sulla linea del Programma del Partito e corrisponde alle finalità che esso si propone".

Il 1919 è un anno di grandi scioperi in Italia e di moti rivoluzionari in Germania e Ungheria. I capi spartachisti vengono assassinati, mentre a Budapest viene proclamata la Repubblica dei Soviet.

Il Soviet è un organismo immediato che rappresenta il momento del dualismo di potere: può nascere solo in parentesi temporali in cui i meccanismi democratici non sono ancora spezzati ma viene già messa all'ordine del giorno la questione del rovesciamento delle vecchie classi. Soviet sarà il giornale della Sinistra.

Su questo terreno si sviluppa la polemica con l'Ordine Nuovo di Gramsci, con i Consigli di Fabbrica e la loro concezione gradualistica della rivoluzione.

All'interno del PSI si forma la Frazione Comunista Astensionista. Politica antiparlamentare e sostegno di un Fronte di azione comune di tutti gli sfruttati, su problemi concreti, a differenza del Fronte unico rivoluzionario sostenuto da anarcosindacalisti, anarchici e socialdemocratici, alleanza fittizia fra correnti politiche diverse e incompatibili.

Nel marzo dello stesso anno viene fondata l'Internazionale Comunista, come base per il Partito Comunista Mondiale.

Mentre gli scioperi continuano imponenti, scoppia la polemica: "Preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale?" La Sinistra intensifica la sua battaglia per nulla moralistica contro la "cloaca" parlamentare:

- Ferma proclamazione delle proprie basi teoriche: il marxismo.

- L'Internazionale non è semplicemente un risultato specifico della rivoluzione in Russia ma rappresenta, al di sopra dei confini, il processo mondiale rivoluzionario in stretta aderenza con i principi marxisti rinnegati dalla Seconda Internazionale.

- Rigorosa selezione dagli elementi opportunisti per l'affermazione del movimento comunista internazionale.

- Negazione della visione gradualistica della rivoluzione.

- Riaffermazione senza mezzi termini della necessità della conquista e del mantenimento del potere attraverso il maneggio dello strumento statale, eredità borghese che dovrà estinguersi quando avrà esaurito la sua funzione.

- Funzione primaria del partito come direzione rivoluzionaria; conquista dell'influenza sulla parte decisiva del proletariato anche attraverso i sindacati; natura organica e non "democratica" o "burocratica" della forma partito.

Il Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, svoltosi nel 1920, rappresenta il punto più alto raggiunto dall'impostazione teorica e dalla coerenza organizzativa nella storia delle Internazionali. Teoria, principi, fini, programma e tattica si integrano in un complesso di tesi perfettamente valide per il movimento inteso come partito mondiale. L'appello ai popoli d'Oriente per la lotta rivoluzionaria di liberazione nazionale si integra con i compiti del proletariato occidentale per una guerra senza quartiere al capitalismo.

Al Secondo Congresso, la Sinistra contribuisce alla definizione dei "21 punti di adesione". Non si tratta di questioni formali, ma di metodo e di principio: l'Internazionale non poteva continuare ad essere un'aggregazione di tendenze o partiti nazionali, ma doveva avviarsi verso il partito unico mondiale con le sue sezioni nei vari paesi.

L'importanza di questa impostazione si rivelerà fondamentale quando invece l'Internazionale diverrà un'aggregazione di partiti nazionali e la sua direzione, con la sconfitta della rivoluzione in Occidente, dovrà cedere alle esigenze della costruzione del capitalismo in Russia, mistificato come costruzione del "socialismo in un solo paese".

Al Congresso di Livorno, nel 1921, la Sinistra Comunista si stacca dal vecchio PSI per fondare, sulla base dei "21 punti" dell'Internazionale, il Partito Comunista d'Italia, sezione del partito mondiale, sulla base del Programma qui riassunto:

1 - Conferma dell'antitesi fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione, quindi ineliminabilità della lotta di classe.

2 - Il sistema rappresentativo democratico è uno degli strumenti di difesa dell'ordinamento borghese e il parlamento l'organo specifico di questa difesa.

3 - Non si può modificare il sistema di rapporti economici e giuridici su cui si basa l'ordinamento borghese senza la conquista rivoluzionaria del potere politico.

4 - L'organo indispensabile per la conquista del potere politico è il partito rivoluzionario. Il partito organizza la parte più avanzata della classe proletaria, unifica gli sforzi delle masse sfruttate sia per la difesa di interessi contingenti che per il risultato finale, l'emancipazione di classe. Il partito diffonde la coscienza rivoluzionaria e organizza i mezzi materiali di azione.

5 - La guerra è causata dalle ineliminabili contraddizioni del capitalismo. Nella guerra l'imperialismo moderno trova la sua salvezza, ma essa non fa altro che denunciare l'estrema disgregazione del capitalismo e la necessità del suo superamento che avverrà necessariamente con lo scontro fra le due grandi classi, borghesia e proletariato.

6 - La vittoria della rivoluzione proletaria non potrà affermarsi diversamente che distruggendo l'apparato di dominio delle vecchie classi sconfitte. La dittatura del proletariato non è altro che la formazione della nuova rappresentanza statale sulla base produttiva, escludendo da ogni "diritto" politico le vecchie classi.

7 - La forma di rappresentanza politica del nuovo Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori già sperimentato dalla Rivoluzione Russa (rimanendo inteso che la rivoluzione non è una questione di forme organizzative).

8 - La difesa dello Stato proletario non può essere effettuata senza togliere alla borghesia e ai partiti avversari della rivoluzione ogni mezzo di agitazione e propaganda politica, senza organizzare anche militarmente il proletariato per respingere gli attacchi inevitabili che verranno dall'interno e dall'esterno, come l'esperienza insegna.

9 - Attuazione successiva e sistematica di tutte le misure economiche e sociali con le quali il sistema capitalistico sarà sostituito dalla gestione collettiva della produzione e della distribuzione.

10- Per effetto di questa trasformazione economica e delle conseguenti trasformazioni di tutta l'attività della vita sociale, una volta eliminata la divisione in classi, andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico. Il suo meccanismo si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.

Il partito appena costituito è subito posto di fronte alla necessità di ingaggiare complesse battaglie su tutti i fronti:

- Sindacale, sostenendo la massima unità fra i proletari in un fronte di battaglia contrapposto a quello della classe dominante.

- Politico, lottando sia contro il fascismo che contro i riformisti i quali si contrappongono ad esso sul piano legalitario. La Sinistra sostiene che il fascismo non è un fenomeno "arretrato" ma una manifestazione moderna della dominazione di classe borghese, un'esigenza razionalizzatrice, sia per fronteggiare la crisi storica del capitalismo, sia, di conseguenza, per fronteggiare la capacità di lotta del proletariato.

- Militare, sostenendo, la necessità della preparazione alla lotta armata, non sporadica come quella degli "Arditi del popolo" ma con un inquadramento militare centralizzato ed efficiente.

- Internazionale, lottando strenuamente in tutte le sedi contro le deviazioni tattiche, come per esempio l'interpretazione errata della questione del Fronte Unico. Esso non deve essere inteso come "blocco" fra formazioni politiche diverse ma come azione fisica comune tra tutti i proletari, indipendentemente dall'organizzazione in cui militano. I fronti si riveleranno poi ciò che veramente erano, alleanze antifasciste, partigianerie a favore di un ramo della borghesia contro un altro ramo.

Tra il 1921 e il 1924 vengono meno le possibilità di una soluzione rivoluzionaria in Occidente. La controrivoluzione incomincia a far sentire i suoi effetti, mentre alla morte di Lenin le questioni russe incominciano a prendere il sopravvento nell'Internazionale.

Al Quarto Esecutivo Allargato dell'Internazionale, a Mosca, il rappresentante del P.C.d'I. (Bordiga) denuncia il profilarsi all'orizzonte della teoria del "socialismo in un solo paese", effetto delle sovrapposizioni "russe" sull'internazionalismo.

In Italia i centristi allineati all'Internazionale sono spinti da questa ad assumere il controllo del partito. La Sinistra, pur avendo la maggioranza congressuale, rifiuta di considerare le questioni della "dirigenza" come essenziali nello scontro storico ormai in atto. Inizia la battaglia della Sinistra contro quello che si chiamerà s talinismo.

Tra il 1925 e il 1926 la rigida selezione delle adesioni al partito viene abbandonata, con la conseguenza di allargare ulteriormente le maglie teoriche. Dal 1924 è segretario Gramsci (prima non esisteva questa figura nel partito) e le pesanti sollecitazioni di Mosca, anche di carattere economico, sui funzionari, consegnano la direzione del partito al centrismo, nonostante la stragrande maggioranza degli iscritti appartenga alla Sinistra.

In questo clima si svolge il Congresso di Lione. Nella clandestinità imposta dal fascismo ormai affermatosi, la Sinistra, boicottata dal potente apparato dell'Internazionale, non riesce neppure a far arrivare tutti i delegati che, in quanto assenti, vengono dati per votanti a favore delle tesi centrali. Il meccanismo democratico consegna definitivamente al centrismo tutta la struttura organizzativa.

La Sinistra non considera affatto perduta la battaglia per salvare l'Internazionale dallo stalinismo e, quando si delinea l'opposizione all'interno del partito russo, essa l'appoggia.

L'opposizione di Trotzky è calunniata e isolata; ogni opposizione viene da quel momento definita come "trotzkista".

Nonostante le differenze, la Sinistra rifiuta di abbandonare l'opposizione russa agli attacchi degli avversari e manifesta piena solidarietà nella battaglia.

A partire da 1926 il contrasto, dunque, è prettamente politico e teorico. La teoria aberrante del "socialismo in un solo paese" è una doppia negazione del marxismo. Primo, perchè chiama "socialismo" ciò che Lenin definiva "sviluppo capitalistico all'europea nella Russia piccolo-borghese e semi-medievale"; secondo, perchè svincola i destini della rivoluzione russa da quelli della rivoluzione mondiale.

Tale teoria è la manifestazione ancora latente della controrivoluzione. Essa sfocerà nella giustificazione politica dell'eliminazione fisica della vecchia guardia bolscevica a cominciare dalla sinistra "trotzkista" in Russia per finire alla progressiva eliminazione di ogni opposizione nei partiti aderenti, all'estero.

Causa non secondaria della capitolazione del centrismo di fronte alla borghesia è la rivincita delle non sopite correnti socialdemocratiche mai eliminate del tutto, con l'abbandono delle parole d'ordine rivoluzionarie, sostituite dalla difesa della democrazia contro il fascismo.

Consapevole che l'opposizione allo stalinismo manifestatasi in ambito europeo non significa automaticamente essere in regola con il marxismo, la Sinistra rifiuta anche un "blocco" dell'opposizione antistaliniana, tra le cui file vi sono, peraltro, dei veri antimarxisti.

Il rifiuto del centralismo e del partito come organo dirigente della rivoluzione è anche peggiore del "totalitarismo" staliniano perchè sfocia in teorizzazioni democratiche e anarchiche impotenti di fronte alle forze che una rivoluzione mette in moto.

Le oscillazioni tattiche dell'Internazionale provocano sbandamenti all'interno dei partiti aderenti, ma anche l'opposizione agli errori tattici non riesce a trovare una coerenza teorica. Nel 1925-27 la tattica staliniana del Fronte Unico tra comunisti e nazionalisti del Kuomingtang porta per esempio alla tragedia del fallimento della rivoluzione cinese, ma l'opposizione nel suo insieme non comprende che la tattica, sbagliata o non compresa, è il risultato di una malattia del partito, non della "colpa" dei suoi organi centrali.

Tra il 1927 e il 1930 quasi tutti i membri dirigenti del partito sono imprigionati dal fascismo o mandati al confino. In queste difficili condizioni gli esponenti della Sinistra continuano l'opera di difesa dei principi rivoluzionari e la spaccatura con i centristi, anche tra coloro che sono prigionieri, si amplia. Nel frattempo Trotzky è espulso dal partito russo. L'Internazionale è ormai saldamente in mano agli stalinisti e l'intimidazione, l'imprigionamento, le pressioni di ogni tipo gravano sugli esponenti della Sinistra che sono sfuggiti alla polizia fascista rifugiandosi in Russia. Più di duecento compagni spariranno nel nulla.

Nel 1930 Bordiga viene espulso dal partito con motivazioni infamanti. Molti compagni emigrano all'estero costituendo i primi nuclei di quella che poi sarà la "Frazione all'Estero" del P.C. d'I., raccolta intorno alla rivista Bilan.

Negli anni '30 lo stalinismo procede all'eliminazione fisica di quelli che Stalin, nella sua storia del partito russo, definirà "rottami buchariniani e trotzkisti, spie, sabotatori, traditori della patria". Migliaia di combattenti rivoluzionari, assieme ai capi di una generazione di rivoluzionari comunisti, sono assassinati dai plotoni di esecuzione staliniani.

Mentre i massimi imperialismi preparano la Seconda Guerra Mondiale, l'Internazionale degenerata chiama i proletari alla partecipazione a blocchi interclassisti, i Fronti Popolari, visti come sostegno della politica nazionale russa. Il Partito Russo, dopo aver firmato l'intesa con il governo tedesco per la spartizione della Polonia, passa con gli Alleati chiamando il proletariato alla partigianeria antifascista. Cioè a favore della democrazia contro il fascismo, in appoggio armato dell'imperialismo angloamericano contro quello tedesco, nipponico e italiano.

Nel 1940 Trotzky è assassinato in Messico da un emissario di Stalin.

Nel 1943 il partito russo scioglie l'Internazionale ormai diventata inutile nella politica oscillante dello Stato russo, compromesso via via nelle alleanze con i diversi imperialismi. La guerra di questi ultimi viene chiamata da parte russa "Grande guerra patriottica", in spregio alle più elementari parvenze di marxismo.

Mentre la guerra ancora non è spenta, nel 1944, riprendono i primi contatti organizzativi fra i compagni della Sinistra. Nel 1945 i compagni si raccolgono intorno al periodico Battaglia Comunista e fondano il Partito Comunista Internazionalista.

Lo scontro con i centristi è subito violentissimo. Il Partito comunista italiano (l'introduzione dell'aggettivo nel nome del partito sottolinea la vocazione nazionale) e l'organizzazione sindacale da esso controllata subordinano la lotta di classe alla ricostruzione borghese della nazione distrutta dalla guerra. Parlamentarismo e unità nel segno della pacificazione patriottica sono alla base del partito di Togliatti.

La riorganizzazione delle file marxiste, la formazione dei gruppi sindacali e la denuncia dell'opportunismo inaspriscono la lotta fino allo scontro fisico. I compagni Fausto Atti e Mario Acquaviva vengono assassinati dai centristi.

Il partito non si può ricostruire a tavolino. I gruppi che si richiamano alla Sinistra non sono ancora omogenei, molti compagni non hanno inteso la lezione dell'Internazionale degenerata e ritengono naturale organizzarsi secondo il "centralismo democratico". Ciò significa che demandano a tesi contrapposte da discutere a congresso la soluzione di problemi teorici e tattici come l'azione nei sindacati o la natura della società russa. Non si può ripercorrere questa strada: occorre ristabilire, dopo il disastro, l'integrità del marxismo, da porre alla base dell'organizzazione formale.

Nel 1945 vengono redatte le tesi sulla "Natura, funzione e tattica del partito della classe operaia", che affermano:

"Le tattiche locali non possono essere che aspetti della strategia generale rivoluzionaria il cui primo compito è la restaurazione della chiarezza programmatica del Partito proletario mondiale, seguito dal ritessersi della rete delle sue organizzazioni in ogni paese".

Il periodico Prometeo raccoglie in quegli anni articoli e tesi sulle principali questioni poste sia dalla discussione teorica, sia dagli importanti avvenimenti del ciclo postbellico.

Secondo le tesi di Roma del 1922, come abbiamo visto all'inizio, il partito rivoluzionario si "forma e si sviluppa" in rapporto alla lotta di classe. Nel 1951 le "Tesi caratteristiche del partito" ribadiscono: "Il partito esclude assolutamente che si possa stimolare il processo con risorse, manovre, espedienti che facciano leva su quei gruppi (...) che usurpano il nome di proletari, socialisti, comunisti". Non vi sono ricette per stimolare la lotta di classe e per ingrandire artificialmente le file del partito. L'unica risorsa è la coerenza programmatica e l'azione a contatto con la classe operaia ovunque sia possibile, in una situazione oggettiva di ripresa di classe.

Inevitabile, come tutta la storia del movimento operaio insegna, una dura selezione delle forze. Nonostante una scissione, nel 1952 il nucleo del partito è saldamente formato. La restaurazione della teoria rivoluzionaria prende corpo in una lunga serie di Tesi e di lavori collettivi sulle principali questioni. L'organo di stampa del partito è ora Il Programma Comunista sul quale compaiono i resoconti di importanti riunioni generali cui partecipa tutta l'organizzazione.

Il lavoro sistematico porta l'organizzazione a ramificarsi internazionalmente. Nel 1957 al periodico in lingua italiana si affianca la rivista teorica del partito in lingua francese, Programme Communiste Il lavoro teorico si svolge seguendo tre grandi rami: la questione russa, la questione del partito e il corso del capitalismo mondiale.

Nel 1964, in conseguenza dell'estensione organizzativa in diversi paesi, il partito prende il nome più conseguente di Partito Comunista Internazional e. Nel 1966, con le ultime tesi "organizzative", il partito è robustamente attrezzato per affrontare l'eventuale crescita e i pericoli che essa comporta.

(Purtroppo negli anni '70, parallelamente al declino del ciclo di lotte operaie e dei fermenti sociali degli anni precedenti, prendono piede tendenze volontaristiche tendenti ad ovviare con l'attivismo e all'organizzativismo, stigmatizzati dalle tesi del '66, alle determinazioni materiali che impongono al partito limiti numerici e di intervento. L'effimero allargamento della presenza internazionale e degli effettivi viene annullato da una crisi distruttiva che precipita intorno al 1980-81.

Dal 1982 l'organizzazione formale non esiste praticamente più. Esistono diversi gruppi che si richiamano alla Sinistra, alcuni sotto la denominazione di "partito comunista internazionale", altri sotto la sigla dei periodici o delle pubblicazioni che diffondono. Esiste inoltre una quantità di singoli individui che rimangono fedeli alle tesi della Sinistra ma non militano in nessuna "organizzazione".

La situazione organizzativa, è evidente, rispecchia alla lettera le tesi sulle possibilità reali dello sviluppo del partito in rapporto allo stato della lotta di classe.

La riorganizzazione del partito, sulla base delle sue classiche tesi, è impossibile per semplice desiderio o conclamata necessità. A questo fine lavorano soggettivamente e isolatamente forze per ora sparse e con diversi gradi di coerenza con le tesi suddette, ma è chiaro che esso è irrinunciabile e che, se venisse meno per alcuni, per ciò stesso si metterebbero fuori dalla Corrente storica.

E' altresì chiaro che, in quanto deterministi, siamo convinti che una mutata situazione sociale, quale potrebbe scaturire dagli avvenimenti internazionali in corso, con il riaprirsi di cicli di lotte non episodiche, potrà favorire la riorganizzazione del partito. Ciò non succederà soltanto per un automatico avvento delle condizioni favorevoli, ma anche per l'intreccio fra queste condizioni e la coerenza che si saprà mantenere con le posizioni della Sinistra).

4. Riaffermazione del "catastrofismo rivoluzionario"

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la degenerazione politica dei vecchi partiti comunisti era ormai giunta a compimento da molti anni.

Sul piano della dottrina generale dell'evoluzione storica e sociale essa aveva condotto al rinnegamento puro e semplice della visione "catastrofica" di Marx: né gli urti fra Stati, né i contrasti di classe avrebbero potuto e dovuto sfociare in una lotta violenta.

La prospettiva, precisatasi negli anni '50, era quella della "coesistenza pacifica" e di conseguenza era ambìta una "pace sociale" che si sarebbe dovuta ottenere tramite il "confronto democratico" per una armonica "programmazione" dell'economia tramite "riforme di struttura".

Il sedicente comunismo staliniano, cui era seguito l'ancor più marcio "comunismo" degli eredi, non era altro che un'apologia del Progresso inteso come aumento della produzione e della produttività, quindi un'apologia del Capitalismo con il suo corollario di competizione, di esaltazione dell'incremento dei commerci e di corsa all'emulazione del più arretrato nei confronti del più sviluppato.

Queste, nè più nè meno, erano le posizioni della borghesia "progressista" della seconda metà del secolo scorso, ridipinte di volta in volta con involute giustificazioni "progressiste" moderne.

Per il marxismo le posizioni rimangono invariate sia di fronte al vecchio stalinismo che di fronte a ciò che potrebbe prenderne il posto recuperando sotto nuovo nome il vecchio ciarpame democratico.

Sotto il capitalismo, in qualunque ottica si voglia vedere il "Progresso", l'aumento della produzione e soprattutto della produttività significa aumento dello sfruttamento, aumento della miseria relativa e anche assoluta del proletariato internazionale. Nei paesi sviluppati si restringe il numero degli occupati direttamente nella produzione e si allarga il numero degli occupati nei settori marginali dei servizi. Diminuisce il numero dei veri e propri capitalisti e aumenta il numero dei potenziali senza-riserve, aumenta l'assoggettamento al capitale e l'insicurezza dovuta alle oscillazioni del mercato delle merci e della forza-lavoro, aumenta quella che Marx chiamò la sovrappopolazione relativa.

Ma se consideriamo il mondo come una grande unità integrata in cui il capitalismo domina con le indispensabili differenze di sviluppo, allora non si parla più soltanto di miseria relativa ma di miseria assoluta di interi paesi, di interi continenti. Il potenziale antagonismo di classe non è per nulla attenuato ma portato al massimo dell'esasperazione.

L'integrazione sempre più spinta del mercato mondiale, incluso quello dei paesi dell'Est europeo, significa estensione delle contraddizioni che attanagliano i paesi più sviluppati i quali, per superarle, non hanno altra via che riversare sui paesi più poveri le deficienze di un'accumulazione ormai asfittica, che ha perduto per sempre lo slancio degli anni d'oro della rivoluzione industriale e dell'espansione all'estero.

L'integrazione dell'economia mondiale è un risultato rivoluzionario malgrado le forze di conservazione del capitale, ma non avviene per pacifica emulazione, bensì per mezzo della sopraffazione del più forte sul più debole, dei paesi sviluppati sui più affamati, dei maggiori imperialismi sui minori.

Il tentativo di esorcizzare la crisi cronica del capitale porta inevitabilmente agli scontri commerciali e finanziari, preparazione reale alla guerra che poi non è altro che la vera e unica valvola di sfogo per consentire un successivo ciclo rinnovato di accumulazione.

Ad ogni piè sospinto i rappresentanti dei maggiori governi imperialisti proclamano l'avvento di nuove ere di prosperità e di pace, ma i fatti materiali si incaricano di smentirli non appena piccoli squilibri provocano vere e proprie ondate mondiali di paura con il ricorso a tutti gli espedienti per rattoppare le falle.

Con il collasso dei paesi dell'Est europeo si è parlato per qualche tempo di nuove possibilità di sviluppo dei mercati e di entusiasmanti opportunità future per il capitalismo, si è parlato di un Nuovo Ordine Mondiale che avrebbe dovuto seguire la fine della Guerra Fredda, ma ben presto gli incauti futurologi hanno dovuto piegarsi alla realtà di un capitalismo che non reagisce più agli stimoli, come un ammalato comatoso all'ultimo stadio.

Il marxismo non rinuncia neppure per un momento alla sua visione catastrofista, neppure di fronte ai reiterati tentativi di introdurre tecniche di controllo e di governo del fatto economico a scala mondiale. Gli organismi internazionali non hanno svolto nè potevano svolgere funzioni in tal senso perchè erano e sono controllati dai maggiori imperialismi, Stati Uniti in testa. Le Nazioni Unite sono rimaste passive di fronte alle guerre nel migliore dei casi, nel peggiore hanno dato copertura militare agli interessi americani. La Banca Mondiale e il collegato Fondo Monetario Internazionale hanno indirizzato i capitali esuberanti dei paesi maggiori verso i paesi che avevano bisogno di questi capitali per lo sviluppo interno, ma per allentare i cordoni della borsa hanno imposto condizioni di sudditanza economica terribili, costringendo intere popolazioni al superlavoro sottopagato al solo fine di pagare gli interessi del debito.

Il debito estero mondiale non si è rivelato altro che un modo per far fruttare i capitali dei paesi sviluppati attraverso lo sfruttamento indiretto dei tre quarti della popolazione mondiale, senza peraltro permettere una crescita che si sarebbe tradotta in concorrenza. In altre parole, i paesi ricchi finanziano l'acquisto di impianti e servizi forniti da loro stessi, guadagnando sia sugli interessi dei crediti che sulla vendita vera e propria.

Questa situazione contribuisce a creare tensioni estreme che, in mancanza di un movimento di classe internazionale, si sfogano in tribalismi e nazionalismi esasperati con uno stillicidio di violenza che incrementa lo stato di disfacimento della civiltà borghese, a partire dalla sua periferia, ma sempre più vicino ai centri di controllo imperialisti.

Lo stalinismo individuava nella mancanza di programmazione del capitalismo i guai cui esso andava incontro nelle sue modernissime forme. E anche buona parte degli economisti borghesi spinge da decenni per politiche "coordinate" al fine di trovare rimedi ai "limiti dello sviluppo" capitalistico.

Di fronte a simili argomentazioni il marxismo non ha nulla da aggiungere a ciò che già affermava contro la socialdemocrazia riformista classica: il capitalismo moderno non è affatto caratterizzato dall'assenza di un "piano", anzi, nelle sue forme più alte, in cui sono state applicate fino in fondo le istanze keynesiane, la pianificazione è stata una caratteristica per nulla secondaria del governo borghese. Da questo punto di vista è il fascismo, con la sua politica economica centralizzata, il vero realizzatore dialettico delle istanze riformiste.

Queste politiche sono già state applicate tutte, in tutti i paesi. Il fascismo ha perso la guerra ma ha vinto la politica degli anni successivi proprio attraverso i suoi negatori, i regimi democratici dell'Est e dell'Ovest. Non esistono più politiche seriamente in grado di garantire un decente tasso di accumulazione, ma solo politiche economiche tese a strappare ai concorrenti quote delle loro attività commerciali e finanziarie. Ben poche grandi industrie hanno ancora una preponderante attività produttiva. Ormai tutte le industrie di una qualche rilevanza, senza eccezione, fanno parte di organismi finanziari complessi che agiscono cercando di sfruttare al massimo la loro capacità di far circolare capitali in ambito nazionale e internazionale secondo la descrizione classica marxista dell'imperialismo.

Questo era perfettamente previsto dagli schemi dell'analisi di Marx. Il capitale anonimo domina incontrastato sul pianeta e non ha più bisogno di un possessore personale. Il capitalista proprietario di capitali è sostituito dal funzionario stipendiato: la classe borghese, come già osservava Engels nell' Antidühring, è assolutamente superflua. Tra l'altro questo ci permette anche di valutare concretamente il capitalismo russo che si è potuto sviluppare senza i fisici possessori di capitali.

L'apologia del capitalismo e il riformismo di stampo socialdemocratico, che ben si fondevano nello stalinismo, sono portati all'esasperazione sulla tabula rasa ideologica che la controrivoluzione staliniana ha generato nella classe operaia.

Si realizza così una concreta alleanza fra il disarmo teorico che la controrivoluzione staliniana ha perseguito in decenni di tradimento dei principii, e l'incretinimento generato dall'ideologia borghese del benessere, tradotta in ultima analisi nell'apologia del possesso frenetico di oggetti e di servizi di nessuna utilità umana.

La disgregazione della forza rivoluzionaria del proletariato è generata da questa alleanza che si traduce in disfattismo vero e proprio in quanto viene inculcato per via del tutto naturale il concetto che non esiste altro modo di vivere, che non esiste la possibilità di ribellione e che l'organizzazione rivoluzionaria o anche solo di difesa delle proprie condizioni immediate sono ferri vecchi.

L'ideologia dominante è allora pienamente quella della classe dominante e concorre, con l'apparato poliziesco-militare a far capitolare gli individui di fronte all'apparente onnipotenza del capitale.

Noi sappiamo che il ritorno al catastrofismo rivoluzionario sarà inevitabile non appena si stringerà il cerchio della crisi mondiale attorno ai principali paesi. Essa, da economica e sociale cronica, diverrà acutissima fino a porre l'alternativa tra guerra e rivoluzione. Non ha importanza permanente il fatto che, intanto, le posizioni indotte dalla controrivoluzione nel proletariato si autoalimentano, creando ancora ragioni proprie ed imperiose per credere nell'ineluttabilità della dominazione borghese e del suo terrorismo consumistico o armato.

Il capitalismo corrompe e infiacchisce il proletariato ma, senza volerlo, lo educa dialetticamente alla rivoluzione finché alla fin fine tale educazione avrà il sopravvento sulla corruzione.

Lo sviluppo stesso del capitalismo conferisce alla classe proletaria un'assoluta potenza sociale mettendo nelle sue mani l'unica possibilità di creare plusvalore. L'espropriazione capitalistica crea anche un numero sempre maggiore di senza-riserve e gli conferisce la possibilità di utilizzare gli strumenti di dominio del nemico: l'abitudine all'organizzazione e al maneggio delle macchine, delle reti di comunicazione, dell'apparato militare, e di quello statale. Questo è un dato di fatto che nessuna droga sociale potrà annullare.

In effetti, tutti i prodotti sofisticati dell'industria del consenso e del falso piacere sono impotenti a lenire il crescente malessere della vita sociale quanto i tranquillanti della medicina moderna sono impotenti a restituire all'uomo della società capitalistica l'armonia dei rapporti con sè stesso e con gli altri.

Mentre la società accresce bisogni fasulli, nello stesso tempo diminuisce la possibilità effettiva del soddisfacimento di questi bisogni. Il capitalismo libera forza lavoro dal ciclo produttivo, ma nello stesso tempo schiaccia il produttore in una giornata lavorativa che non può comprimere al di sotto delle otto ore, anzi, obbligando gli occupati a un sopralavoro mentre si allarga la schiera dei senza lavoro.

Gli effetti di queste contraddizioni sono necessariamente rivoluzionari, anche perchè il capitalismo è obbligato a istruire all'organizzazione e alla percezione di alternative possibili la classe che dovrà abbatterlo.

In realtà, il capitalismo accumula un'enorme capacità di sviluppo della forza produttiva sociale senza essere in grado di trasformarla in godimento dell'esistenza umana. Alla fine il confronto con ciò che potrebbe essere la società senza il capitalismo, avrà il sopravvento, non come conquista della coscienza individuale, ma come materiale maturazione di una possibilità reale.

5. Riaffermazione del "totalitarismo"

L'affermarsi del democratismo e la concezione, tanto diffusa quanto errata, che sarebbe compito proletario opporsi al totalitarismo sono effetti della vittoria della controrivoluzione; in realtà lo Stato borghese democratico è quanto di più totalitario si possa immaginare.

L'orientamento attuale ha origine dalla reazione alle manifestazioni esteriori dei fascismi di vario tipo, cioè dei regimi che il totalitarismo della borghesia ha spinto all'estremo limite dell'utilizzo dell'esecutivo. Resistenza e antifascismo sono i peggiori prodotti del fascismo.

Marx individuò nel colpo di stato di Luigi Bonaparte la tendenza perenne della borghesia ad accentrare il suo potere e fin da allora i marxisti sostengono che non vi saranno più ritorni indietro. Il fascismo è la risposta borghese alla necessità di accentrare il controllo politico ed economico della società. L'antifascismo è la risposta altrettanto borghese di coloro che vogliono l'accentramento politico ed economico con altri metodi.

In fondo il fascismo, come afferma la nostra corrente, non è altro che il realizzatore dialettico delle vecchie istanze riformiste. Esso ha perso militarmente ma ha vinto politicamente, come ricordato, e soprattutto sul terreno della politica sociale. E' il metodo di governo ormai irreversibile della borghesia.

L'atteggiamento dei comunisti di fronte al totalitarismo borghese non è di indignazione tartufesca bensì di comprensione dello sviluppo storico delle forme sovrastrutturali. Noi non siamo mai stati contro il totalitarismo staliniano in quanto tale, ma perchè rappresentava un'inaudita violenza sulla classe proletaria ai fini dell'accumulazione capitalistica in Russia, per di più con l'infame mistificazione che si trattasse di socialismo.

Non solo rifuggiamo da ogni atteggiamento moralistico di fronte al totalitarismo, ma lo rivendichiamo ai nostri fini senza falsità.

La scienza borghese rivoluzionaria ha sostituito agli assunti totalitari metafisici le provate leggi della natura, ma le dottrine borghesi attuali del dubbio perpetuo e dell'esistenzialismo individuale sono una regressione rispetto a tali scoperte. Le leggi della fisica sono totalitarie in quanto indiscutibili. Sono affinabili, come nel passaggio dalla meccanica newtoniana a quella relativistica, ma spiegano il mondo e tappano la bocca ai metafisici per sempre.

Ogni rivoluzione deve essere totalitaria se vuole essere vittoriosa, perché ogni rivoluzione non è altro che il coronamento di un moto dovuto a leggi naturali. Tanto più la rivoluzione proletaria, che ha il compito di porre fine al ciclo delle società divise in classi nello scontro finale fra le due più importanti.

Il proletariato non ha da rivendicare per sè nessuna libertà all'interno della società borghese per la semplice ragione che è già libero, libero di vendere la sua forza lavoro al prezzo di mercato e non può modificare dall'interno il capitalismo per modificare questa condizione, può solo distruggerlo. Quindi non riconosce nessuna libertà alle altre classi in una fase di transizione che ha il compito di portare le classi all'estinzione con l'abolizione del lavoro salariato.

L'antitotalitarismo è la rivendicazione di quelle classi che, pur non essendo borghesi, vivono all'interno del capitalismo, dispongono di proprietà o di mezzi di produzione, commercializzano prodotti o beneficiano del plusvalore estorto alla classe operaia. Vivono del capitalismo ma ne sono schiacciate perchè non ne fanno parte, quindi vorrebbero, come già Marx ed Engels facevano notare, un capitalismo senza le sue contraddizioni.

Piccola e media borghesia urbana, intellettuali e studenti, contadini e artigiani, commercianti e redditieri sono blanditi o espropriati dal grande capitale, generati in continuazione solo per essere rovinati a ondate ricorrenti. Di qui l'antitotalitarismo come ideologia dell'impotenza di classe.

La rivoluzione proletaria, dunque, sarà politicamente totalitaria instaurando il proprio potere tramite il proprio partito e, non avendo nessun senso condividere il potere con le classi che si vogliono abolire, sarà una dittatura della classe attraverso il suo partito.

Questa formulazione, che ha fatto sommamente indignare tutti i borghesi e i rinnegati fino a scoppiare d'ipocrisia, non sta affatto a indicare che il partito esercita il potere attraverso la nomina dei suoi uomini nei ministeri, come succede nei parlamenti borghesi.

La rivoluzione proletaria sarà quanto di più impersonale sia mai avvenuto nella storia e la questione del potere non ha nulla a che vedere con il potere personale dei vari capi.

Marx, Engels, Lenin e tutti gli altri veri rivoluzionari non hanno mai aspirato a cariche rifuggendo come la peste la personalizzazione delle responsabilità; hanno sempre condotto una vita normalissima, anche quando alcuni tra loro poterono maneggiare un potere enorme sull'onda dell'avanzata rivoluzionaria.

I borghesi non possono neppure concepire un'impostazione del genere perchè il loro mondo si muove essenzialmente sulla base di precisi interessi di persone e di gruppi, quindi la loro "politica" si adegua a questo stato di cose.

La Sinistra comunista ha ingaggiato una lunga battaglia contro ogni concezione personalistica della storia riprendendo la concezione materialistica di essa. Non sono i personaggi a fare la storia, bensì è la storia a gettare sulla ribalta i suoi strumenti anche sotto forma di personaggi.

Classica è stata la battaglia della Sinistra contro i "costruttori" di partiti, di rivoluzioni e di socialismo: se, come abbiamo detto, le rivoluzioni non si "fanno" ma si dirigono, si intende che vi è situazione rivoluzionaria solo quando vi sia un vasto movimento di classe ed esso renda possibile lo sviluppo di un forte partito della classe operaia.

6. Riaffermazione dell'internazionalismo

Dal 1848, cioè dalla data della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, l'azione rivoluzionaria del proletariato ha oggettivo carattere internazionale. "Gli operai non hanno patria", la lotta per l'emancipazione dell'umanità dalle classi non può avere frontiere.

Il carattere internazionalista del movimento comunista deriva in prima istanza dal carattere internazionale del capitale che, nel suo movimento di espropriazione delle vecchie classi, non può essere nazionale. Ma il carattere internazionalista della rivoluzione proletaria ha la sua maggiore ragione di essere nel fatto che non è possibile realizzare la trasformazione totale dal capitalismo al socialismo senza che siano coinvolte almeno le aree più importanti del mondo capitalistico sviluppato.

La Prima Internazionale iscrisse nei suoi statuti generali l'esigenza di un legame tra i proletari di tutti i paesi per la vittoria. La Seconda Internazionale, al suo atto costitutivo, riaffermò l'internazionalismo attraverso la proclamazione di una giornata mondiale di lotta per la riduzione della giornata lavorativa che doveva ripetersi ovunque ogni Primo Maggio. La Terza Internazionale fece propri gli statuti della Prima e proclamò che "la nuova Internazionale dei Lavoratori è costituita per l'organizzazione di azioni comuni dei proletari dei diversi paesi che mirano all'unico fine dell'abbattimento del capitalismo, l'instaurazione della dittatura del proletariato e di una repubblica internazionale dei Soviet per la completa eliminazione delle classi e per la realizzazione del socialismo".

Il filo di questa posizione rivoluzionaria era stato spezzato una prima volta alla vigilia della Prima Guerra Mondiale come conseguenza del rinnegamento dei principi internazionalisti da parte della Seconda Internazionale; sarà spezzato una seconda volta con l'azione congiunta fra teoria e prassi del "socialismo in un solo paese" ad opera dello stalinismo.

Mentre dal disastro dell'intervento a fianco delle borghesie nella Prima Guerra il Movimento Operaio si era sollevato con la rinascita dell'internazionalismo che sfociò nella fondazione della Terza Internazionale, dal disastro staliniano non è ancora possibile emergere se non con una ripresa generalizzata dello scontro di classe.

La dissoluzione dell'Internazionale Comunista, ma prima ancora la distruzione della dottrina e della tattica comuniste, hanno avuto come risultato l'esasperazione delle "vie nazionali al socialismo", dell'egoismo di partito, del riconoscimento della responsabilità nella politica delle "patrie" borghesi attraverso l'accettazione totale del gioco democratico nei parlamenti.

In questa situazione terribile, nessuna effettiva solidarietà internazionale si è mai più verificata, nonostante le moltiplicate occasioni in cui sarebbe stata necessaria. Grandi scioperi e movimenti proletari sono stati lasciati languire, se non addirittura oggettivamente boicottati, come durante lo sciopero dei minatori inglesi, quando in Inghilterra giungeva il carbone polacco.

La stessa mancanza si è verificata durante il ciclo delle lotte di liberazione nazionale nei paesi d'Africa e d'Asia, lotte abbandonate a sè stesse e lasciate languire fra guerriglia e diplomazia delle grandi potenze. Di fronte alle lotte armate che già nel primo dopoguerra mettevano in discussione la dominazione imperialistica del mondo, il Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista e il Primo Congresso dei Popoli d'Oriente avevano delineato la grandiosa prospettiva di una strategia mondiale unica in grado di saldare il disfattismo antimperialista dell'insurrezione sociale nelle metropoli capitalistiche con la rivoluzione nazionale nelle colonie e semicolonie.

L'asse di questa strategia era il proletariato dei paesi più moderni per la semplice ragione che solo una rivoluzione anticapitalistica avrebbe potuto eliminare le pesanti ipoteche del passato e quindi l'handicap storico dell'arretratezza.

L'internazionalismo quindi non era solo una forma propagandistica, ma un vero e proprio programma rivoluzionario per legare alla classe operaia le masse oppresse del mondo in un piano economico mondiale.

Era il solo programma che avrebbe potuto estendere nei paesi d'Africa e d'Asia l'economia capitalistica senza passare attraverso la fase brutale dell'accumulazione e dello sfruttamento sanguinoso che altri paesi avevano conosciuto. Solo così si sarebbe potuto evitare l'enorme ritardo dovuto al trasferimento di plusvalore nelle metropoli imperialistiche e portarsi al livello delle economie più evolute.

Nel 1926-27 la politica cieca dell'Internazionale ormai degenerata portò a sacrificare il generoso proletariato cinese che era scattato per la propria rivoluzione e avrebbe avuto bisogno del massimo sostegno per la vittoria.

Si costrinse il Partito Comunista Cinese a confondersi con il movimento nazionalista del Kuomingtang e quindi a sottostare alle leggi dell'accumulazione capitalistica condotta da una feroce borghesia non più rivoluzionaria, con il risultato di far massacrare centinaia di migliaia di combattenti rivoluzionari quando il patto dovette per forza di cose saltare.

La tremenda conseguenza della distruzione di ogni prospettiva marxista a proposito dell'internazionalismo portò, nel secondo dopoguerra, all'utilizzo delle lotte di liberazione nazionale da parte dello Stato sovietico per fini imperialistici suoi, nel tentativo di creare un sistema di alleanze opposte all'imperialismo antagonista degli Stati Uniti.

Tale politica, assolutamente controrivoluzionaria anche nei confronti delle rivoluzioni nazionali borghesi, incanalò le lotte anticoloniali in un vicolo cieco nel quale il compromesso politico e diplomatico locale seguiva quasi regolarmente quello tra le grandi potenze.

Moti grandiosi che coinvolsero centinaia di milioni di proletari, contadini poveri e masse oppresse di tre continenti, un potenziale enorme che poteva coinvolgere anche la classe operaia delle aree imperialiste, andarono perduti per la rivoluzione.

Questo risultato tremendo, la disfatta del proletariato e del suo alleato naturale, la immensa massa degli oppressi del mondo intero, operato dai massimi imperialismi, è il risultato coerente del preventivo disarmo ideologico e organizzativo causato prima dalla socialdemocrazia e poi dallo stalinismo con tutti i loro eredi.

Le stesse condizioni di bestiale sottosviluppo di tre quarti dell'umanità non è semplicemente il risultato di cause naturali o dell'imperialismo predatore ma di fattori concomitanti di cui il disarmo ricordato è uno degli aspetti essenziali.

In mancanza di una lotta conseguente, dopo l'ottenimento dell'indipendenza andarono al potere borghesie vendute agli interessi dell'imperialismo che impararono ben presto a fondare la loro sopravvivenza sulla collaborazione pagata con le centrali imperialistiche di entrambi i colori.

In molti casi, fu così bloccato l'effetto rivoluzionario dell'accesso al capitalismo in nuovi paesi, fu bloccata la crescita del proletariato locale e si generalizzò un parassitismo succhione assolutamente estraneo alle caratteristiche della borghesia alla sua fase nascente.

Nonostante il ritardo causato dalla sconfitta mondiale del proletariato e della sua rivoluzione, l'internazionalismo è destinato a risorgere per il semplice fatto che il capitalismo stesso tende a unificare i mercati, quindi anche la classe proletaria che questi mercati alimenta con la produzione.

Malgrado quindi il rigurgito di nazionalismi vari come riflesso della crisi capitalistica, la fase attuale vede e vedrà il positivo crollo di separazioni artificiose tra aree di diverso sviluppo, ma soprattutto vedrà l'unificazione reale del proletariato coinvolto dal malessere al di sopra delle frontiere.

L'apparente caos generato dall'esasperazione dei particolarismi, non nasconde che gli apparati statali che contano si rafforzano sempre di più, si rafforza la loro centralizzazione e il loro potenziale di violenza controrivoluzionaria.

L'internazionalismo vede rafforzate tutte le sue prospettive future, mentre il nazionalismo non è altro che la caricatura di quello che fu in passato, diventa copertura per manovre di infimo livello e scontri armati senza scopo e senza senso reale per chi vi partecipa, manovra per i paesi "protettori", rifugio della miseria esasperata che si illude di trovare nell' "altro", nello "straniero", la propria causa.

7. Riaffermazione del programma rivoluzionario

L'umanità, dalle sue origini fino alla scoperta della coltivazione della terra e dell'allevamento, ha vissuto senza proprietà privata, senza sfruttamento del lavoro, senza divisione in classi e senza Stato.

Ad un periodo di "comunismo primitivo" che è durato più di un paio di milioni di anni (dipende da quanto si va indietro a considerare umano l'uomo), si contrappone un periodo di poche migliaia di anni in cui, scoperto in un lungo processo il "plusvalore della natura", avviene il passaggio rivoluzionario alla produzione di beni e di strumenti per la produzione stessa, quindi l'estorsione di plusvalore dal lavoro umano.

Il marxismo considera la società capitalistica come l'ultima società divisa in classi, non perchè dipinga un modello di società futura cui l'umanità dovrebbe adeguarsi, ma perchè, nella fase storica corrente, diventati superflui i possessori di capitale, diventa superfluo tutto ciò che attiene alla riproduzione del capitale.

Gettando lo sguardo su tutto l'arco dell'esistenza umana, diventa chiaro che il breve periodo della divisione in classi, dello sfruttamento, dell'accumulazione del capitale, della rivoluzione industriale, non è altro che un ponte fra il comunismo primitivo e il comunismo sviluppato.

Per affermare i caratteri della società futura è sufficiente la negazione dei caratteri della società presente. E tale negazione esiste di per sè, non sono i comunisti a crearla. I comunisti sono soltanto coloro che, non avendo interessi capitalistici da difendere, scorgono, vivono e sentono tale negazione, organizzandosi per affrontare i problemi del cambiamento sociale che essa comporta.

Il passaggio dal capitalismo al socialismo non rappresenta un'evoluzione graduale.

Se anche in natura l'evoluzione si traduce soprattutto in una serie di passaggi catastrofici da una condizione all'altra, da un equilibrio ad uno superiore, nelle cose sociali l'andamento catastrofico è ancora più evidente in quanto le vecchie classi superate dalla storia non cedono il passo alle nuove condizioni di loro spontanea volontà. La conservazione di classe è l'elemento che bisogna spezzare nel cambiamento rivoluzionario.

Per questo i marxisti affermano che la vittoria rivoluzionaria è necessariamente il risultato violento di uno scontro di classe. Ed è per questo che hanno sempre messo in chiaro la differenza che passa tra la conquista del potere politico e la trasformazione economica e sociale.

La conquista del potere politico rappresenta un avvenimento relativamente breve e traumatico, mentre la trasformazione della struttura economica e sociale sarà necessariamente graduale e di lunga durata.

Nell'Occidente sviluppato ci pensa già il capitalismo a presentare soluzioni di tipo transitorio o a prefigurarne di possibili. Si pensi all'enorme quantità di servizi inutili che oggi rappresentano solo energia sprecata visto che lo scopo principale è quello di mantenere l'accumulazione del capitale.

I tre quarti della popolazione "attiva" non produce più nulla e si dedica ai bisogni fittizi tipici del capitalismo decomposto. Il tempo di lavoro è assurdamente prolungato in rapporto alla potenza produttiva sociale e moltiplica gli effetti dell'enorme sciupìo. L'attività umana che va oltre il minimo tempo di lavoro necessario a riprodurre i bisogni primari potrà essere indirizzata verso il miglioramento della vita di specie e il superamento dell'anarchia economica. L'egoismo, l'individualismo, e la triviale manìa del possesso personale saranno così, in via del tutto naturale, superati.

Già ora il denaro tende a scomparire come elemento fisico per assumere compiutamente la forma valore-lavoro, almeno per chi riceve un salario. Sparisce la moneta e rimane la scrittura contabile delle ore lavorate e del valore corrispondente, maneggiato attraverso varie forme di tessere elettroniche.

Si comprende come la generalizzazione di questo solo dato rappresenti addirittura un passo avanti pratico rispetto alle utopie di certo socialismo ottocentesco che vagheggiava attorno a "buoni-lavoro" che avrebbero garantito l'equa spartizione dei prodotti.

Ma il risultato maggiore oggi visibile e gravido di conseguenze sociali per il futuro è l'uso integrale della macchina in sostituzione del lavoro, problema affrontato già da Marx e oggi centuplicato nella sua importanza.

Se in questa società è impedita la diffusione generale dell'automazione a causa della legge della caduta del saggio di profitto e dei risvolti sociali della disoccupazione, non così sarà in una società che renda possibile l'abbattimento della giornata lavorativa per liberare al massimo l'uomo dalla necessità del lavoro.

Quindi il lavoro cambierà natura, passando da attività coatta ad attività veramente umana.

E' proprio l'enorme sviluppo delle forze produttive, con il dominio del capitale impersonale, l'automazione, la rivoluzione informatica, che rende possibile il confronto non più con ciò che è stata l'umanità, ma con ciò che potrebbe essere se non ci fosse il capitalismo.

La follia della degenerazione politica attuale non solo impedisce l'affermarsi della consapevolezza di una diversa e migliore società, ma chiama il proletariato a lottare per obiettivi addirittura opposti, come per esempio l'accrescimento senza fine degli indici di produzione, la costruzione insensata di abitazioni speculative mentre le città vengono invase da uffici e centri commerciali che ne espellono gli abitanti, la difesa di posti di lavoro assolutamente inutili o dannosi invece di una diversa distribuzione dell'energia sociale, l'incremento senza fine della "previdenza" a carattere mercantile utile soltanto ad una ripartizione parassitaria del plusvalore.

Qualora vi fosse una rivoluzione vittoriosa nell'Occidente capitalista ultramaturo, nulla mostrerebbe l'infamia dell'involuzione opportunista meglio di alcune elementari misure immediatamente applicabili oggi, ben oltre a quelle, pur sempre attuali, contenute nel Manifesto di Marx:

1) Disinvestimento di capitali, ovvero inversione del "dominio del lavoro morto sul lavoro vivo", inversione del rapporto fra la massa della produzione utile al capitale e quella utile alla vita.

2) Elevamento autoritario dei "costi di produzione", ovvero modifica del rapporto fra salario e tempo di lavoro, almeno fino a che esiste mercato e moneta.

3) Riduzione drastica della giornata lavorativa almeno alla metà delle ore attuali.

4) Piano di "sottoproduzione", teso a ridurre forzosamente i consumi indotti artificialmente dalle necessità dell'accumulazione capitalistica, onde recuperare un senso naturale dell'esistenza, non tanto individuale, quanto della specie nel suo insieme. Grande riduzione del pazzesco spreco di energia con rapido sviluppo dello studio sulle fonti non esauribili.

5) Rottura dei limiti di "azienda", cioè dell'anarchia della produzione, con l'adozione di un piano di distribuzione delle materie di lavoro e dei consumi in generale.

6) Fine della contraddizione fra infanzia, età produttiva e vecchiaia, quindi garanzia della "alimentazione sociale", cioè della cura non solo degli immediati produttori, ma di quelli futuri e di quelli che consegnano la loro eredità alle nuove generazioni.

7) Rottura della contraddizione fra agglomerati urbani e aree agricole o disabitate, drastico ridimensionamento delle mostruose concentrazioni abitative, studio scientifico e non mercantile dei rapporti con l'ambiente. Contenimento del traffico e dei trasporti entro limiti umani con l'eliminazione dei movimenti inutili di oggetti e uomini. Superamento naturale della mania della velocità, triviale riflesso del binomio tempo - denaro.

8) Abolizione della specializzazione professionale e della divisione del lavoro, superamento della differenza sociale fra lavoro manuale e intellettuale, negazione positiva del carrierismo e della corsa ai titoli.

9) Sottrazione al mercantilismo e agli interessi di classe della scuola, della stampa, dei mezzi di informazione di tutti i tipi, della rete dello spettacolo e del divertimento.

Questo elenco, ben lungi dall'essere completo ed esauriente, non solo è realistico e dimostrabile, ma non è neppure un programma a termine, è il minimo che farà una rivoluzione anticapitalistica nei paesi cosiddetti sviluppati come programma immediato, perchè molte delle premesse esistono già, basta liberarle dalle "catene" capitalistiche.

Il generalizzato rifiuto spontaneo degli effetti del capitalismo, per quanto manipolato, incanalato, persino sfruttato a proprio favore dalle classi capitalistiche, diventerà rifiuto del capitalismo non appena i fatti materiali genereranno una diffusa spinta verso la realizzazione di questo programma.

Spinta sociale che non ha nulla a che fare con la coscienza individuale o la maturazione di tipo culturale. Prima la negazione: ci penserà il capitalismo, dialetticamente, a preparare nuove generazioni di rivoluzionari, con lo spettro della crisi generalizzata, del marasma economico e sociale che già sconvolge buona parte del mondo, con l'assenza di vie d'uscita, con lo spettro della guerra.

Gennaio 1992

Prima di copertina
Che cos'è la Sinistra Comunista 'Italiana'

Quaderni di n+1.

Il presunto crollo del comunismo e la nostra difesa totale della grande costruzione marxista.

Indice del volume

Che cosa è la Sinistra Comunista "italiana"