La "bolscevizzazione"
Com'era ovvio che fosse, le manovre della Centrale non durarono a lungo senza avere conseguenze sull'intero partito. La strada intrapresa era irrimediabilmente senza uscita. Sul piano inclinato dei metodi impiegati nella lotta contro la Sinistra non poteva che esserci accelerazione. L'impulso definitivo prese corpo nei primi mesi del 1925 dopo l'inasprimento del contrasto nel partito russo. Siccome là diventava virulenta la propaganda contro le deviazioni di Trotzky, divenne naturale raccattare uno slogan già pronto e utilizzarlo ad uso interno di partito. In coincidenza con la demolizione della sinistra russa fu formulata la parola d'ordine interna "bordighismo uguale trotzkismo". Certamente i due personaggi erano grandi capi rivoluzionari anche se la differenza tra i loro atteggiamenti politici e le loro posizioni teoriche era enorme. Ma che importa: dato che in Russia l'aggettivo "trotzkista" era diventato infamante, l'operazione consisteva nell'attribuirlo in Italia a scopo infamante, senza andare troppo per il sottile nelle spiegazioni sull'aderenza teorica tra il destinatario e il contenuto che si dava all'aggettivo stesso. La lotta della Sinistra contro i metodi che avevano preso piede nell'Internazionale ora aveva una motivazione più evidente, anche se per molti militanti con compiti di responsabilità nel partito la cosa era chiara già da un pezzo. Molti di questi non si attendevano svolte chiarificatrici e, dato che i primi sintomi nel partito italiano si erano a loro palesati ben prima del V Congresso e si erano confermati e rafforzati nei mesi seguenti, persero le staffe e passarono al contrattacco. Fu uno slancio generoso, ma si infranse contro il muro di una storia che essi da soli non potevano cambiare.
I compagni erano inferociti, e la perdita di controllo non giocò a loro favore. Il problema della correttezza dei rapporti in seno al partito, anche e soprattutto in presenza di conflitti politici, era molto sentito nella Sinistra. Ciò per la semplice ragione che essa si era formata in una battaglia all'interno del vecchio PSI, dove gli stessi argomenti di tattica e disciplina avevano formato il contenzioso di una lotta durata dieci anni. Questa esperienza aveva fortemente determinato il contegno della Sinistra nei confronti del Comintern prima ancora che le divergenze fossero tali da non consentirle più di mantenere la direzione del PCd'I. Si trattava di un'esperienza che la distingueva nettamente anche da altre correnti di sinistra nell'Internazionale. Per esempio, il gruppo Fischer-Maslow, pur di ottenere e mantenere la direzione del partito tedesco, aveva smussato le sue posizioni scendendo a compromessi e patteggiamenti con la direzione internazionale e con la frazione predominante nel partito russo. L'atteggiamento della Sinistra "italiana", apparentemente rinunciatario, era in effetti dettato da esperienza che altri non avevano. La critica all'interno del vecchio PSI era stata condotta in posizione d'attacco in una situazione di crescita rivoluzionaria che aveva portato alla rivoluzione d'Ottobre e, in Italia, alla costituzione del PCd'I. Ora, all'interno di quest'ultimo, in una situazione in cui risultava all'attacco non il proletariato bensì la borghesia, la posizione non poteva che essere di difesa. Ma cosa significava "difesa"? Rispondere punto per punto alle provocazioni? Rimanere disciplinati in attesa di tempi migliori? O sfruttare la battaglia per fare un ulteriore bilancio sulla forza dell'opportunismo e trarne conclusioni a beneficio di future possibilità rivoluzionarie?
Era necessario che la politica dell'Internazionale giungesse fino alle estreme conseguenze e solo allora, forse, si sarebbe potuto salvare un nucleo non corrotto per il partito e le azioni del futuro. Qual è, tra l'altro, la definizione che dà Lenin dell'opportunismo? Evitare di sacrificare il futuro per il successo effimero del presente. Questo era sempre stato il motivo portante della politica della Sinistra in tutta la sua storia, ecco il terreno sul quale smascherare la bolscevizzazione "marxista-leninista". Ma come si poteva salvare il futuro sottomettendosi alle forze che stavano rendendo l'Internazionale una potenza opportunista o, al contrario, scatenando una battaglia velleitaria, persa in partenza? Nella seconda parte delle Tesi di Roma del 1922 la Sinistra aveva già risposto a queste domande. Sotto l'influenza della richiesta da parte dell'IC di allargare i propri confini a forze socialdemocratiche e riformiste, già si era scritto a chiare lettere che ciò avrebbe comportato il pericolo di degenerazione opportunistica. Da questa situazione un partito veramente comunista ha la possibilità di uscire soltanto con un nuovo processo di formazione organizzativa a livello più alto, esattamente com'era successo dalla Seconda alla Terza Internazionale. Ma, è scritto nelle Tesi, il ritorno al partito genuino da una situazione degenerativa è possibile soltanto "sotto l'influsso di nuove situazioni e sollecitazioni ad agire esercitate dagli avvenimenti sulla massa operaia". La tragedia fu che non esistevano allora queste condizioni materiali, e solo la Sinistra comunista italiana ne era consapevole. Ciò non significava che si dovesse adottare una posizione disfattista. Le situazioni favorevoli si sarebbero ancora potute verificare e il partito mondiale del proletariato avrebbe potuto trovare in queste la forza per riprendersi e sconfiggere l'opportunismo. Il fatto che la storia sia andata diversamente non invalida la posizione della Sinistra, che fino all'ultimo ha lottato per questa prospettiva. La controprova sta nella circostanza che l'alternativa era quella di allinearsi all'IC e finire nella palude stalinista o fare un'alleanza ibrida con Trotzky, o percorrere la stessa strada di altre sinistre più o meno consigliari e libertarie, dunque finire come sono finiti il trotzkismo e le altre correnti immediatiste.
La lotta andava quindi portata a termine comunque, anche se non si potevano intravedere risultati sicuri, anche se intanto la pesante ristrutturazione organizzativa iniziata dopo il V Congresso sotto gli auspici della "bolscevizzazione" stava eliminando completamente ogni residuo organico nella struttura di partito. Il funzionamento e la struttura del partito italiano erano un'eccezione rispetto agli altri partiti, ma la bolscevizzazione, come tutte le manìe organizzativistiche e statutarie, non andava tanto per il sottile. Siccome la struttura che avevano assunto tutti i partiti aderenti all'Internazionale all'atto della loro fondazione venne considerata ad un certo punto alla stregua di residuo socialdemocratico, si obbligò tali partiti ad assumere artificialmente una nuova configurazione sulla base di un modello bolscevico che neanche i bolscevichi avevano mai adottato nelle forme ora presentate. La nuova struttura doveva essere basata sulle cellule di fabbrica (dove esistevano, ma anche di strada o di villaggio) e su una diversa concezione degli organi direttivi.
Così, soprattutto nei grandi centri industriali come Torino e Milano, si procedette all'introduzione delle cellule d'officina, mentre al vertice del partito si istituirono nuove cariche. Quella di segretario generale, prima inesistente, fu attribuita a Gramsci; all'ufficio di segreteria, suddiviso in due sezioni, andarono Togliatti (azione e propaganda), Scoccimarro e Mersù (entrambi all'organizzazione). A queste due sezioni se ne aggiunsero altre, come ad esempio quella industriale, dove volevano spedire Bordiga; quella agraria, diretta da Grieco, e quella femminile, di cui era responsabile Lidia Ravera. Un altro istituto burocratico introdotto all'inizio del 1925 e sancito l'anno dopo dal Congresso di Lione, fu la Commissione Centrale di Controllo, che aveva il compito di occuparsi dei più importanti casi di indisciplina e simili; ad essa si affiancavano, per i casi minori, le commissioni di controllo federale. L'Ufficio Primo, che con la Sinistra era un organo informale in quanto si occupava del lavoro illegale e quindi segreto, fu formalizzato e ad esso vennero attribuiti veri e propri compiti di polizia interna.
Risulta subito evidente il contrasto con la precedente natura e struttura del partito italiano, nato sulla base di una tradizione di lavoro organico sviluppatosi contro la sclerotizzazione delle gerarchie socialiste, i formalismi, la democrazia interna, i compromessi, la politica delle alleanze e dei blocchi; tutti elementi della politica corrente verso i quali la genuina militanza comunista aveva maturato una notevole nausea e che con la bolscevizzazione sarebbero diventati pane quotidiano.
Le direttrici di questa ristrutturazione del partito italiano erano comuni a quelle di altre sezioni dell'Internazionale, ma era evidente che in Italia, proprio per le particolarità esistenti, il problema dell'organizzazione era più acuto. Da una parte ne aveva maggior bisogno proprio l'Internazionale per avere sotto controllo il partito, ma dall'altra questo bisogno cozzava con la difficoltà che la nuova direzione incontrava nel procedere. A nulla serviva accampare il pretesto che il nuovo modello organizzativo fosse più adatto alla situazione di semi-legalità in cui il partito era costretto ad operare nell'Italia fascista. Già di per sé tale modello, ingombrante e poco agile, non rispondeva affatto alle esigenze di una lotta clandestina, né in Italia né in altri luoghi; tantomeno era conforme allo stadio di sviluppo del modo di produzione capitalistico cui era pervenuta l'Italia, dato che proveniva dall'esperienza russa contro l'autocrazia. Era anzi proprio il partito italiano che aveva dimostrato per primo come l'inquadramento necessario per rispondere alla guerra civile scatenata dalla borghesia non fosse compatibile con l'organizzazione per luogo di lavoro e con strutturate gerarchie, poco snelle nel rispondere ad esigenze militari.
L'inquadramento imposto dall'Internazionale aveva origine nelle presunte caratteristiche, affermate come un principio organizzativo universale, che avrebbe dovuto assumere un partito "veramente bolscevico", il partito rivoluzionario per antonomasia, una specie di forma platonica ideale. Tale tipo di inquadramento doveva essere messo in pratica indipendentemente da qualsiasi area geo-storica in cui operasse il bolscevizzando partito. Posto così, il problema dell'organizzazione diventava indifferente rispetto ad eventuali peculiarità della situazione di paesi a differentissimo sviluppo, in situazione di pace o di guerra ecc. In compenso la bolscevizzazione si dimostrava efficace strumento per quanto riguardava le necessità interne di irreggimentazione, di controllo e di accentramento da parte del Comintern nei confronti dei partiti. Il correttivo veniva introdotto offrendo ai partiti la possibilità di adeguamento dell'organizzazione nel caso la storia presentasse la necessità di una "svolta" tattica. L'organizzazione non era vista quindi come uno strumento del partito per affrontare compiti pratici ma si identificava con il partito, il quale non adottava una tattica determinata dalle condizioni geostoriche in cui operava, ma adeguava sé stesso e la sua struttura secondo le "variazioni" tattiche. Da dove queste variazioni piovessero nessuno lo spiegava.
Alla base del lavoro di partito non vi era più la discussione e la verifica teorica e tattica, nel senso di relazione dialettica fra teoria e azione, ma il formalismo organizzativo, il ricorso al rimescolamento delle responsabilità, la creazione di strutture piramidali fini a sé stesse, il tutto elevato a metodo per il superamento dei problemi di carattere politico. "La parola è all'organizzazione" scriverà Zinoviev nel maggio del 1925 in una lettera indirizzata al KPD. Togliatti è molto esplicito nel collegare la soluzione dei problemi politici a pratiche organizzative. In questo è tanto chiaro quanto assolutamente antimarxista, dato che in una relazione afferma il contrario di quanto nel partito avrebbe dovuto imparare: "La stretta connessione esistente per noi, nel momento presente, fra i problemi di organizzazione e i problemi politici (...). L'aumento dell'efficienza politica del Partito e la sua trasformazione in un organismo di lotta capace di trascinare al suo seguito vasti strati delle masse lavoratrici, apparvero infatti sin dall'inizio della crisi Matteotti dipendenti in gran parte dalla soluzione di una serie di problemi di natura organizzativa".
Ciò è esattamente l'opposto della nota posizione della Sinistra: la rivoluzione non è una questione di forme di organizzazione. L'esigenza cui si richiamava Togliatti nella relazione era quella di trasformare il partito in uno "strumento omogeneo, ordinato, compatto", un imperativo questo che, tanto nel Comintern quanto nelle sue sezioni, imponeva la dissoluzione di ogni forma di dissenso, da ottenere con qualsiasi mezzo anche quando tale dissenso non si fosse manifestato con una attività palesemente frazionistica.
Il ripudio della concezione del partito come avanguardia della classe, giusto il dettato di Marx; l'adozione della parola d'ordine "costruire il partito di massa" nel senso che il partito sarebbe una parte della classe e non il suo organo di guida; la "bolscevizzazione" organizzativa; tutto ciò impresse al PCd'I uno sviluppo distorto nella struttura formale e nei contenuti sociali e politici della sua azione. In primo luogo il partito italiano non poteva essere affatto "di massa" a causa delle sue origini, dato che era già il frutto di una selezione che più di tanto non poteva dare; infatti il numero dei suoi iscritti rimase nonostante tutto relativamente basso anche dopo le campagne di arruolamento lanciate dai centristi. Inoltre la "cellula" rispecchiava in maniera alquanto meccanica la realtà sociale ed economica del paese. Per esempio, nei grandi centri industriali essa comprendeva i lavoratori di una singola azienda e, quando questa era grande, addirittura di un singolo reparto. Si rompeva quindi nella base stessa del partito il tradizionale collegamento fra proletari che era sempre avvenuto alla scala territoriale. Ciò non solo nel partito ma anche all'interno del sindacato. Il raggruppamento territoriale è un elemento organizzativo importante perché unisce gli individui al di sopra delle loro particolarità, evita l'imbarbarimento della discussione che l'individuo, per sua natura, devia verso minuzie legate al proprio mestiere o comunque alla propria specifica condizione. L'organizzazione su base territoriale lega strettamente occupati e disoccupati, proletari ed elementi di altre classi, intellettuali e analfabeti, insomma, ogni militante fa vita di partito in quanto comunista e non in quanto appartenente a specifiche categorie o classi o ceti sociali. Con la frammentazione della "massa" degli iscritti nelle cellule, ben difficilmente la discussione riusciva a superare i ristretti confini dei problemi concernenti la situazione all'interno dell'azienda o della categoria, ed una sintesi delle diverse istanze doveva avvenire ad un livello superiore nella gerarchia del partito. Ciò rompeva definitivamente il tentativo varato dalla Sinistra di superare il centralismo democratico con il lavoro organico di tutti i membri del partito. In mancanza di lavoro organico e di entusiasmo rivoluzionario, divenne naturale l'esigenza di un apparato burocratico di partito, di una rete di funzionari stipendiati. Nel periodo di direzione della Sinistra questi erano pochissimi ed erano piuttosto dei "fiduciari", la cui funzione si basava sulla "doppia trasmissione" tra il centro e la base e tra questa e il centro, nonché sulla rete di rapporti che avveniva orizzontalmente. Bordiga in tutta la sua vita non distinse mai la responsabilità politica dei "capi" da quella dei "gregari". Ora, con la bolscevizzazione, la funzione dei capi era divenuta soprattutto quella di trasmettere, di far valere e di mettere in pratica alla periferia le indicazioni della Centrale. Ruolo, quest'ultimo, che per certi aspetti la struttura sulla base delle cellule agevolava, dato che, interrotta definitivamente la doppia direzione che unisce il centro con la periferia e viceversa, l'esistenza stessa di funzionari-impiegati ne autoalimenta l'esigenza. Ecco perciò che nascono le "scuole di partito" per i dirigenti locali, vero paradosso per un partito come il PCd'I, nato sull'onda di una battaglia decennale contro il culturalismo e le scuolette di marxismo. La formazione politica ed ideologica di nuovi quadri nelle scuole di partito o in Unione Sovietica e, di conseguenza, di un apparato che desse una garanzia di affidabilità e di allineamento alla nuova Centrale, rappresentò ovviamente uno dei metodi di lotta impiegati contro la Sinistra. Bordiga ricorderà ironicamente, nelle Tesi di Lione, il paradosso di questa bolscevizzazione alla rovescia: "Prende un ironico sapore la pretesa dei leaders ordinovisti di bolscevizzare coloro dai quali furono in realtà essi stessi avviati ad un indirizzo bolscevico nel senso serio e marxistico e non con procedimenti meccanici, burocratici e pettegoli".
Note
1) Tesi sulla tattica, Roma, marzo 1922. Ora in In difesa della continuità del programma comunista, disponibile presso Quaderni di n+1.
2) Cfr. Martinelli, Il Partito comunista d'Italia cit. pagg. 247-250.
3) Cfr. "Circolare del CE sull'estensione dei compiti dell'Ufficio primo" e "Precisazioni del CE sui compiti dell'Ufficio Primo" presenti in questa pubblicazione. La grande quantità di documentazione giacente da allora negli archivi di polizia dimostra come la formalizzazione estrema dell'ufficio per il lavoro illegale non fosse stato un buon investimento per la sicurezza del partito.
4) Cfr. per esempio" Inquadramento delle forze comuniste", in Il Comunista del 21 luglio 1921: "Finché il partito non è in presenza delle necessità immediate di un'azione 'militare', basterà ch'esso abbia una rete esecutiva di cariche disciplinari e gerarchiche che curino la propaganda, il proselitismo, la stampa, l'attività sindacale, elettorale e simili. A tal uopo ogni sezione avrà un comitato esecutivo che dirigerà tutta l'azione". Il testo prosegue affermando che nel partito rivoluzionario gli aderenti non si limitano a delegare l'azione ai comitati, ma tutti senza eccezione sono organizzati in gruppi con un loro capo, in modo che l'insieme del partito possa essere mobilitato in brevissimo tempo contando sulla totalità delle proprie forze. Il partito risultava così nello stesso tempo fortemente centralizzato ma non a gerarchia piramidale stratificata, bensì con una organizzazione a rete.
5) In Agosti, La Terza Internazionale cit., vol. 2, pagg. 330-340.
6) Relazione organizzativa per il V Esecutivo Allargato, in APC 294.
7) L'organizzazione per cellule, che finiva per sindacalizzare il partito, cioè per rendere immediatista un organo squisitamente politico, non poté rappresentare un disastro più di quanto non lo rappresentasse complessivamente la situazione politica generale, poiché nel frattempo ci pensò il fascismo a sindacalizzare la società intera. Resta il fatto che l'organizzazione per cellule, congeniale all'ordinovismo, è rimasta una fissazione molto indicativa del modo di intendere la militanza comunista. Martinelli nel saggio citato (pag. 261) fa un'apologia della cellula e scrive: "Il vantaggio delle cellule è quello di aderire, con grande plasticità, alla realtà sociale, che comincia adesso a riflettersi nella struttura stessa del partito comunista, rendendo le sue organizzazioni capaci di esprimere non solo una omogeneità politica e ideologica, ma anche le diverse particolarità delle zone del paese. L'eterogeneità della composizione sociale va vista anche in questo quadro e, sotto questo aspetto, è un indubbio elemento di forza". L'autore in questione è uno degli esempi di quanto sia difficile, anche con una conoscenza minuziosa della materia, uscire dagli stereotipi dell'omologazione stalinista. Senza strapparsi di dosso questa remora, anche gli studiosi più diligenti e scrupolosi non potranno mai capire che è proprio l'adesione alla realtà sociale che frega il partito, organo specifico di distruzione di questa realtà. Martinelli, sotto la suggestione dell'esistente, scambia persino il numero esiguo dei dirigenti e la mancanza di un robusto apparato formale intermedio nel PCd'I dei primi anni, per una impostazione altamente centralizzata e gerarchica che dà al Comitato Centrale un potere assolutista. Non gli viene neppure in mente (bastava che guardasse alla Russia stalinista) che la realtà dimostra il contrario, cioè che ogni potere assoluto ha bisogno di più burocrazia e più gerarchia.
8) Che la vivacità politica delle cellule fosse assai scarsa è confermato da una lettera a firma Laguska indirizzata alla sez. di Organizzazione del Comintern il 15 luglio 1925 in cui si afferma: "È difficile ottenere che le cellule si convochino per discutere di questioni politiche sia interne che generali. Esse preferiscono discutere dei problemi immediati della fabbrica e della categoria" (APC 314/10-13). Un altro documento che risale probabilmente a qualche mese dopo porta un titolo significativo: "Per dare una vita politica alle cellule" (APC 301/28-30). Per fenomeni analoghi nel KPD, cfr. Weber, La trasformazione del comunismo tedesco. La stalinizzazione della KPD nella Repubblica di Weimar, pagg. 280-281.
9) Progetto di tesi per il III Congresso del Partito Comunista d'Italia, conosciuto come Tesi di Lione e pubblicato in parte su L'Unità del 12,14,23 e 26 gennaio 1926 (Cfr. "Dalle tesi presentate dalla Sinistra al III Congresso del PCd'I" in questa pubblicazione). Il testo completo è ora nel volume In difesa della continuità del programma comunista ed. Programma Comunista Milano 1970. Disponibile presso i Quaderni di n+1.
La Sinistra Comunista e il Comitato d'Intesa
Quaderni di n+1.
Un volume utile per meditare sui ricorrenti collassi politici di fronte alle situazioni sfavorevoli nella storia.