Prefazione
L'importanza delle formazioni economiche e sociali nella dinamica storica

Il testo di Amadeo Bordiga che qui presentiamo comparve sul giornale del Partito Comunista Internazionalista Il programma comunista nn. 3-6 del 1958 come resoconto della riunione generale di Firenze, tenuta nel gennaio dello stesso anno. Ad esso fu dato il titolo Le lotte di classi e di Stati nel mondo dei popoli non bianchi, storico campo vitale per la critica rivoluzionaria marxista.

Abbiamo aggiunto in appendice l'articolo Peculiarità del­l'evoluzione storica cinese, uscito successivamente sui nn. 23-24, che era stato scritto appositamente da altro redattore allo scopo di integrare i riferimenti alla grande rivoluzione cinese e alla sua storia piena di insegnamenti per i marxisti.

L'importanza dell'argomento esula però dalla specifica storia cinese: ogni passaggio da un modo di produzione all'altro offre a chi lo studia gli invarianti che seguono la dinamica dei processi storici e su questo aspetto nel testo si afferma categoricamente che "non può accampare pretesa a chiamarsi dialettico e marxista chi non sa leggere, ogni qualvolta si discute del passaggio da precapitalismo a capitalismo, i taglienti enunciati del passaggio da capitalismo a comunismo, che sono tutti capiti e addotti a rovescio non solo dagli opportunisti delle varie storiche ondate (per i quali il comunismo trae la maggioranza dei suoi connotati da 'immarcescibili conquiste' del tempo capitalista) ma anche dai gruppetti delle sinistre eterodosse che nelle loro storture svelano ad ogni tratto la loro soggezione reverenziale per i 'valori' capitalistici di libertà, civiltà, tecnica, scienza, potenza produttiva − termini tutti che noi, con Marx originario e uscito dal getto incandescente della fornace rivoluzionaria, non vogliamo ereditare, ma spazzare via con odio e disprezzo inesausti".

In questo passo, come vedremo in seguito, è racchiusa la chiave del metodo per la definizione marxista della storia: la comprensione del passaggio storico dal precapitalismo al capitalismo è nello stesso tempo comprensione del passaggio storico dal capitalismo al comunismo. Allo stesso modo, la comprensione della necessità del comunismo rende più chiara la forma capitalistica che gli è inferiore.

Il lavoro del rivoluzionario non è quindi assimilabile in nessun modo al lavoro dello storico, almeno così come lo storico è inteso nella società borghese. Il marxista non mette i fatti in una sequenza semplicemente temporale, bensì opera sulle determinazioni economiche che hanno portato a specifiche forme di società e quindi a determinati rapporti di produzione, cioè di proprietà. Gli uomini, gli eserciti, i governi ecc. che sono serviti da materiale per la storia ufficiale, per noi vengono dopo lo sviluppo delle forze produttive, sviluppo dal quale sono scaturiti determinati rapporti di produzione, i quali hanno espresso a loro volta la sovrastruttura ideologica, giuridica e politica. Tutto ciò, trattato spesso con superficialità da molti che si richiamano al marxismo, non è affatto banale. Per ben che vada, coloro che si dedicano allo studio della storia, così come viene praticato in questa società, giungono a superare di poco la suddivisione tra scienza dello spirito e scienza della natura, e al massimo introducono alcuni fatti evidenti che secondo loro provocano, nel tempo, dei cambiamenti materiali: la scoperta del fuoco, l'adozione della staffa per i cavalli e del timone per i carri, la rotazione delle colture, la scoperta della polvere da sparo, la cosiddetta rivoluzione industriale, ecc.

Tuttavia le scoperte che, per esempio, portarono alla rivoluzionaria utilizzazione dell'energia contenuta nell'acqua trasformata in vapore, non sono la causa della rivoluzione industriale. Una simile semplificazione del materialismo non cambia molto alle precedenti concezioni. All'azione di Dio furono sostituite le azioni degli uomini e infine alle azioni degli uomini fu sostituita la tecnica o l'economia, ma tutto ciò non basta. Esistono leggi della storia? Oggi tutti dicono di sì, noi compresi, ma la nostra affermazione si basa su presupposti diversi rispetto a quelli correnti. Possiamo individuare le leggi della storia solo se in essa riusciamo a individuare, attraverso le varie trasformazioni sociali, degli invarianti, cosa che la borghesia moderna riesce a fare bene per quanto riguarda la sua scienza naturale (contrapposta ancora alla scienza dello spirito), ma che gli storici borghesi non sono ancora riusciti a fare per quanto riguarda la loro materia.

Individuare un invariante significa individuare una regolarità che permette di passare da dati qualitativi, quindi soggetti ad individuale percezione e interpretazione, a dati misurabili, quantitativi. Gli effetti del naso di Cleopatra o dell'ulcera di Napoleone sono alquanto refrattari alla misura. Marx individua delle categorie o determinazioni che passano invariate nella storia degli uomini, per esempio la famiglia, il possesso, lo Stato. Queste categorie sono però soggette a trasformazione sotto l'influenza di un qualcosa che non può essere soltanto il trascorrere del tempo. Il possesso rimane tale sia che si parli di preistoria, sia che si parli di capitalismo, ma esso diventa prima proprietà, poi specifica proprietà capitalistica. Il problema è quello di individuare le determinazioni soggiacenti a questa trasformazione.

Oggi è persino banale osservare che le scienze umane utilizzano sempre più gli strumenti teorici e sperimentali delle scienze fisiche, come in chirurgia, in archeologia ecc., ma questo può succedere solo perché umano e fisico erano separati dall'immaturità delle forze produttive, immaturità che impediva la liberazione dai vincoli antichi, originati dalle precedenti epoche, nelle quali non erano vincoli e potevano anche svolgere una funzione positiva. Oggi uno storico come Duby può affermare che l'oggetto della sua ricerca si è spostato, in quanto la storia ormai si interessa sempre meno dei fatti e sempre più delle relazioni. Un altro storico, Le Goff, afferma che la storia si dimostra scienza in quanto ha bisogno di tecniche, di metodo, e viene insegnata in relazione ad essi; l'archeologia, quindi, non è un'appendice della storia perché, se quest'ultima si è almeno in parte liberata del peggiore idealismo, occorre proprio dire grazie ai procedimenti scientifici dell'archeologia moderna che mette in relazione il reperto, il monumento, con i dati ricavati dall'ambiente in cui si trova, dai pollini, dalla trasformazione del carbonio, dalle microtracce di utensili e presenze varie. Il marxismo sarà morto, come dicono i borghesi, ma Duby può fare una simile affermazione dialettica solo perché un grande movimento rivoluzionario ha sconvolto le vecchie idee. E Le Goff ammette che l'unico pensiero coerente a proposito della storia è quello marxista, pur se inquinato dal marxismo volgare. Sarà morto un "ismo", e forse ciò si dimostrerà positivo (traiettoria dello stalinismo), ma rimane una possente costruzione teorica con cui il mondo deve fare i conti, volente o nolente. Se non si è giunti ancora al superamento definitivo, e ne siamo ancora distanti, dell'opposizione fra natura e pensiero, è perché resiste un certo modo di produzione.

La relazione che ha cercato e trovato Marx è quella esistente fra sviluppo delle forze produttive, rapporti di proprietà, sovrastruttura. Questi tre elementi sono congiunti in ogni epoca storica. A un dato sviluppo dell'uno è collegato lo sviluppo degli altri, nell'ordine in cui li abbiamo appena scritti. Lo sviluppo delle forze produttive determina la necessità del superamento dei rapporti di produzione esistenti in una certa epoca, ma ciò significa che determina nello stesso tempo la necessità di nuovi rapporti. La sovrastruttura si adegua a queste necessità, sopravvive, reagisce o scompare secondo il grado di maturazione delle forze produttive e la vitalità delle classi che si affrontano.

In scienza, se si trova una relazione fra grandezze misurabili in un sistema dinamico, ciò significa che si è trovata la chiave di indagine nei due sensi della sua storia: si ha la possibilità di indagarne e comprenderne il passato come il futuro. Ecco perché, nello studio della dinamica sociale nel tempo, è tanto importante lo studio del passaggio fra un modo di produzione all'altro, fenomeno che era in corso all'epoca in cui furono scritti i testi che qui pubblichiamo, con le guerre di liberazione nazionale e lo sviluppo del capitalismo in grandi paesi come appunto la Cina e l'India.

Il termine che utilizza Marx per "formazione economica e sociale" è ambivalente e può essere anche letto come "formazione economica della società". Nel primo caso abbiamo un soggetto specifico, un tipo di società formato e basato su di un'economia particolare. Nel secondo caso abbiamo un concetto dinamico del processo che porta ad un determinato tipo di società con la sua economia (o viceversa). Ma l'espressione tedesca permette di unificare il significato profondo della frase permettendo un'operazione che ha importanza teorica notevole.

Bisogna capire fino in fondo questo fatto per capire anche l'importanza degli articoli qui raccolti. Marx tratta la società borghese con metodo che non può essere mutuato dall'interno delle categorie borghesi, dall'idea che la borghesia si fa di sé stessa. Per questo è necessario unificare sia il risultato che sta sotto gli occhi di tutti, sia il processo storico che ha condotto a questo risultato. Tra l'altro questa è anche l'unica via per proiettarsi nel possibile risultato successivo, il futuro, da cui partire a ritroso per studiare meglio quello attuale, il presente.

Nella prefazione a Per la critica dell'economia politica del 1857, Marx afferma che parlare di produzione in generale è certamente un'astrazione, ma un'astrazione che ha un senso concreto, in quanto ci permette di fissare l'elemento comune a tutte le produzioni particolari, elemento che esiste realmente. Tuttavia l'elemento astratto, isolato mediante il confronto al di sopra del tempo e dei tipi di società, "è esso stesso qualcosa di complessamente articolato che si dirama in differenti determinazioni. Di queste alcune appartengono a tutte le epoche; altre sono comuni solo ad alcune". Non è difficile vedere in questo passo di Marx, e in altri, un collegamento con la teoria degli invarianti, che sarà scoperta (in quanto tale) solo più tardi dalla scienza borghese. L'individuazione dell'elemento comune a diversi soggetti di indagine è l'unica via per poter definire una realtà sfuggente per la sua complessità, per potere, in fondo, matematizzare l'esperienza ovvero rendere possibile la conoscenza scientifica.

Continua Marx: "La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di capire al tempo stesso la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è svolto in tutto il suo significato".

Nel processo storico, nel divenire successivo delle forme di produzione, non ci si può fermare ad una specifica forma, specie se si tratta di quella in cui si vive. Marx osserva che ogni procedimento scientifico deve astrarre dal soggetto dato, in quanto in esso, nella realtà come nella mente, è riflessa ogni determinazione di esistenza degli uomini che osservano. Questa sorta di "principio di indeterminazione" sociale vale ancor di più per l'economia politica in quanto specifico prodotto dei rapporti umani all'interno della produzione e riproduzione sociale, quindi rapporti di classe, con tutto il corollario di interessi da difendere ecc.

L'economia politica non si chiamava certamente così prima che gli uomini ordinassero la materia di cui essa si occupa. Eppure gli stessi uomini possedevano, producevano, scambiavano e consumavano entrando, in questa loro attività vitale, in rapporti precisi fra persone e classi. Quando l'economia politica nasce in quanto tale, non può che parlare di sé stessa per mezzo della classe che l'ha fatta nascere: "L'economia politica pertanto anche come scienza non comincia affatto nel momento in cui si comincia a parlare di essa come tale. Questo fatto deve essere tenuto ben presente, perché offre elementi decisivi per la divisione della materia".

La storia dell'umanità diventa quindi serie di relazioni, come riconosce Duby, e il suo studio non può essere condotto sulla base dell'empirico succedersi dei fatti, della nascita e morte degli uomini e delle date di tutto ciò. Ma non può nemmeno essere condotto semplicemente secondo l'evolversi temporale delle tecniche, delle economie e delle società, perché i salti storici non sono dovuti solo alla tecnica e perché non avvengono distruggendo, ma piuttosto inglobando le forme precedenti, le cui categorie sono negate, rovesciate o trasformate. Uno studio scientifico della storia, quindi, deve essere condotto sulla base del succedersi delle forme di produzione, intendendo per questo la trasformazione sociale attraverso la trasformazione dei rapporti che, nella loro massima astrazione, rappresentano degli invarianti (trapasso dal semplice possesso alla proprietà, poi alla proprietà capitalistica ecc.).

La divisione della materia, cioè la disposizione delle categorie economiche secondo la loro importanza in ogni tipo di formazione sociale, è fondamentale per la comprensione dei rapporti di classe e per il loro superamento: "Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche nell'ordine in cui esse furono storicamente determinanti. La loro successione viene invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l'una con l'altra nella moderna società borghese, e quest'ordine è esattamente l'inverso di quello che sembra essere il loro ordine naturale o di ciò che corrisponde alla successione dello sviluppo storico. Non si tratta del posto che i rapporti economici occupano storicamente nel succedersi delle diverse forme di società e ancor meno della loro successione 'nell'idea' (Proudhon), che non è che una rappresentazione nebulosa del movimento storico, ma della loro connessione organica all'interno della moderna società borghese".

Agli albori dello svolgimento storico la coppia che si riproduce e quindi la famiglia sono evidentemente al primo posto nell'importanza sociale, e questo fatto rimane registrato nell'idea attraverso il tempo fino a oggi. Ma nello svolgimento storico delle forme di produzione la famiglia cambia posto nell'ordine delle categorie economiche e sociali. Nel capitalismo la famiglia diventa l'ultimo anello delle relazioni capitalistiche, quello del consumo finale, mentre al primo posto abbiamo le determinazioni generali astratte che sono comuni a tutte le forme di società che conoscono la produzione. La stessa proprietà diventa un problema esclusivo di rapporto sociale, in quanto il capitalista come proprietario di fabbrica diventa superfluo, essendo rimpiazzato dal funzionario stipendiato, rappresentante del capitale per azioni.

L'indagine sulle società in fase di transizione (per esempio quelle che vedono in corso la rivoluzione nazionale), è fondamentale, quindi, per assumere elementi scientificamente utili allo studio di tutto il corso dell'umanità, dalle società passate, come il comunismo primitivo, al capitalismo e al comunismo sviluppato. Per quanto i testi che seguono siano allo stadio di "semilavorato", come inevitabile nel corso della lotta per salvaguardare la teoria dai disastri staliniani, essi offrono tutto il materiale necessario per comprendere la dinamica completa dei processi storici. Essi si integrano nello studio più vasto condotto sullo stesso argomento e raccolto in alcuni articoli dell'organo di partito di allora, Il programma comunista cui rimandiamo il lettore. Insomma, come diceva il titolo originale degli articoli, le lotte di classi e di Stati nel mondo dei popoli non bianchi rappresentano uno storico campo vitale per la critica rivoluzionaria marxista. Ma allora tutte le lotte e gli sconvolgimenti che riflettono un reale cambiamento nell'assetto della formazione economica e sociale devono essere studiati con lo stesso metodo dai marxisti.

Sappiamo che la scomparsa dell'ex URSS non rappresenta un cambiamento nei rapporti di produzione ma un assestamento di rapporti capitalistici ormai maturati in un ambito statalista e bisognosi di ulteriori passaggi. Ma qual è l'effettiva portata di uno sconvolgimento che tutti ritengono grandioso ma che nessuno riesce a capire quale sbocco possa avere? Sgombrato il campo dal "crollo del comunismo" che solo i borghesi più cretini possono sostenere come tesi, ci troviamo davvero di fronte al passaggio da un capitalismo statale a uno di libero mercato? E con quali conseguenze dal punto di vista della formazione economica e sociale?

Escluso un regresso storico delle società moderne proprio perché escludiamo un blocco delle forze produttive della società, dobbiamo chiederci, alla luce dello schema marxista del succedersi delle forme, quale invariante passi trasformato nella nuova società russa. Infatti, se si sostenesse la tesi del crollo del capitalismo di stato a favore del libero mercato, crollerebbe la tesi della società più sviluppata che contiene gli elementi di quelle meno sviluppate. Il capitalismo di stato è più avanti, nella storia, del libero mercato. La Russia deve mantenerne l'invariante al suo interno. Che cosa succederà al termine dell'attuale fase caotica di transizione se la Russia deve rimanere soggetta all'irreversibilità storica? Non c'è nulla, nell'ambito del capitalismo, che possa andare oltre il moderno capitalismo di stato. Il lettore scoprirà, leggendo i testi, che nella Russia odierna possiamo verificare sperimentalmente che dopo n (capitalismo) possono solo esserci o n+1 (comunismo) o una degenerazione totale dell'umanità, ipotesi non assurda ma piuttosto improbabile, dato che ogni sistema contenente in sé gli elementi necessari al nuovo ordine, giunge dal caos a questo ordine per via assolutamente deterministica.

Abbiamo intitolato uno studio che stiamo facendo e che per ora ha visto la luce in uno dei tre volumi previsti, Dinamica dei processi storici . Per Marx si impone il termine processo ogni volta che vi sia interazione fra il supposto punto di partenza e il supposto punto di arrivo. Per esempio, l'economia classica e quella volgare definiscono la produzione come punto di partenza e il consumo come punto di arrivo. Per Marx, per una vera scienza, non è così. L'interazione fra produzione e consumo deve essere vista anche tra consumo e produzione. Produzione e consumo (e viceversa) rappresentano due elementi di uno stesso processo la cui dinamica non può essere fatta iniziare dall'uno o dall'altro. Tutto ciò è magistralmente trattato nella già citataIntroduzione del 1857 al testo Per la critica dell'economia politica.

Ogni dinamica ha dei risultati temporanei e la dinamica stessa imprime una forma a tali risultati. Per Marx ogni forma raggiunta non è che l'intera dinamica analizzata dal punto di vista del risultato, proprio per questo esso è temporaneo, perché non c'è una partenza e non c'è un arrivo, ma vi sono solo forme transitorie in cui si fissa una dinamica complessiva. Come vedremo fra poco, tutto ciò ha attinenza con un procedimento matematico indispensabile per capire la matematica stessa, quindi, per estensione, tutte le scienze. La dottrina dei modi di produzione non è un modo di dire politico, ma un ulteriore pezzo che perfeziona la macchina della conoscenza.

Ogni forma sociale è certamente passiva in quanto prodotto da rivoluzioni e sconvolgimenti nei precedenti modi di produzione, ed infatti si trasforma prima o poi in catena per lo sviluppo ulteriore delle forze produttive. Ma agisce attivamente nello sviluppo delle categorie contenute in essa e quindi è nello stesso tempo fattore di cambiamento. Causa ed effetto si combinano in una unica risultante, quando la storia è studiata nella sua dinamica vera, e questa combinazione, questo risultato cui era già arrivato Hegel, ci danno la possibilità di capire la vera natura delle formazioni economiche e sociali, di capire quando sono giunte a maturità sufficiente per poter lasciare il posto a forme nuove e più evolute. Quando una forma storica determinata raggiunge un certo grado di maturità, dice Marx, essa cade lasciando il posto a un'altra più elevata. E' qui che subentra il conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale, quindi il conflitto fra le classi che questa forma ha portato sulla scena. Trattare con indifferenza (succedeva anche di questo) le lotte dei popoli coinvolti nel passaggio da una forma all'altra era suicida dal punto di vista dell'attività rivoluzionaria.

Certamente il fermento del mondo coloniale non era assimilabile ad una rivoluzione capitalistica "pura", cioè al passaggio dal feudalesimo o dal modo di produzione asiatico al capitalismo più o meno sviluppato. Ma proprio per questo era importante la lotta all'indifferenza nei confronti delle spinte materiali verso più maturi rapporti. Era difficile, senza un ricorso all'analisi scientifica dei modi di produzione, valutare le implicazioni degli accadimenti a partire semplicemente dalle premesse democratiche delle borghesie nazionali inconseguenti o dagli intrecci delle rivolte anticoloniali con gli interessi dei maggiori imperialismi. Perciò si sballava grossolanamente la valutazione di un intero ciclo storico. Non si capiva, insomma, che gli invarianti passavano da una forma all'altra sotto trasformazione, che la proprietà coloniale diventava proprietà capitalistica della borghesia nazionale, rendendo possibile l'accumulazione locale e quindi la base per lo sviluppo del proletariato nelle aree interessate. Ad una osservazione superficiale risultavano incomprensibili le conseguenze, per esempio, delle riforme agrarie, timide, inconseguenti quanto si vuole, ma prodotto e fattore nello stesso tempo del legame rivoluzionario fra il suolo e il capitale. L'indifferentista osservava le categorie economiche e sociali senza inserirle nella dinamica storica e quindi sottovalutava scioccamente le "riforme" di una borghesia invigliacchita dal sevizio agli ex dominatori coloniali: tanto tutto era capitalismo e imperialismo e, secondo lui, il proletariato non aveva nulla da guadagnare nel passaggio da una dominazione all'altra. In fondo l'indifferentista non basava la propria "analisi" sul movimento storico materiale ma su ciò che i partecipanti a questo movimento dicevano di sé stessi. Proprio il contrario di ciò che invece Marx raccomanda a proposito di procedimento scientifico. Lo sviluppo del proletariato nazionale è la condizione primaria affinché esso possa unificarsi con quello mondiale e innanzitutto deve almeno esistere, ed esiste nella misura in cui esiste una borghesia. Le due principali classi dell'epoca borghese nascono storicamente complementari, una non può esistere senza che esista l'altra, ma è nel successivo processo storico che la questione si chiarisce nel senso della crescente contraddizione fra sviluppo delle forze produttive e modo di produzione che ne rappresenta le catene. Ad un certo grado di questo sviluppo, mentre la borghesia non può fare a meno del proletariato, quest'ultimo può fare a meno della borghesia. La stessa crescita della sovrappopolazione relativa dimostra la contraddizione estrema in cui cade il modo di produzione capitalistico: la borghesia ricava il plusvalore dallo sfruttamento del lavoro di una classe, ma nello stesso tempo l'aumento della forza produttiva della società elimina forza lavoro dal ciclo produttivo. Nel momento in cui la borghesia soffre la contraddizione fra bisogno di estorsione sempre maggiore di plusvalore e bisogno di fare a meno di forza-lavoro, la forza-lavoro dimostra una volta per sempre che può fare a meno della borghesia, superando nello stesso tempo la sua condizione di classe fra le altre classi.

Ne deriva che oggettivamente, come dice Marx, ogni passo nel movimento reale vale più di una montagna di proclami politici e che il travagliato divenire delle formazioni economiche e sociali si può e si deve indagare attraverso il processo materiale e non soltanto attraverso le sue manifestazioni politiche e militari. E' fondamentale sottolineare che quando Marx parla di formazione economica e sociale non si riferisce assolutamente all'apparenza esteriore delle cose, alla loro forma visibile. Egli insiste più volte sul fatto che lo scopo della conoscenza è trovare la legge dei fenomeni che si stanno indagando e per legge non intende un meccanismo che governa tali fenomeni così come li vediamo nella loro forma finita, nei nessi che li legano in un periodo di tempo isolato. Per Marx ciò che conta, ciò che rende scientifico un metodo d'indagine, è la ricerca delle leggi del mutamento dei fenomeni, del loro sviluppo e dello sviluppo delle relazioni fra di essi, vale a dire la ricerca delle leggi del trapasso dei fenomeni da una forma all'altra o, meglio, da una forma nell'altra, da un ordine tra relazioni ad un nuovo ordine tra altre relazioni.

Questo metodo non è altro che il metodo di tutta la scienza, così come è stato descritto anche da Engels, in una unità di ricerca e risultati con Marx che è segno di un organico dispiegarsi della ricerca stessa. Nella dialettica dell'astratto e del concreto, la scienza si pone l'obiettivo di scoprire la forma reale dei fenomeni, la dinamica di essi, al di là della forma visibile nella quale essi si presentano alla coscienza individuale di uomini che vivono all'interno di quei fenomeni e rimangono invischiati nella loro apparenza. Il reale quindi non è ciò che semplicemente si vede e si tocca, ma ciò che si sviluppa in una dinamica i cui nessi vanno ricercati al di là di un tempo specifico, al di là di un osservatore o di un luogo isolati. In una lettera ad Engels del 27 giugno 1867 Marx spiega questa dinamica a proposito delle trasformazioni del valore: "Qui si mostrerà di dove origina il modo di vedere le cose di borghesucci e di economisti volgari, cioè dal fatto che nei loro cervelli si riflette sempre e soltanto la forma di manifestazione immediata dei rapporti, non la loro intima correlazione. Del resto, se così fosse, che ragione ci sarebbe infine di una scienza? Ora, se io volessi in precedenza togliere di mezzo simili dubbi, rovinerei tutto il metodo dialettico di sviluppo".

E ancora: "Non deve quindi stupire che l'economia volgare si senta pienamente a suo agio proprio nella forma fenomenica estraniata dei rapporti economici in cui, prima facie, essi sono assurde e complete contraddizioni − e ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l'essenza delle cose coincidessero immediatamente − e che questi rapporti le appaiano tanto più evidenti di per sé, quanto più il loro nesso interno è nascosto".

È evidente, quindi, che per fare scienza occorre non fidarsi della "manifestazione immediata dei rapporti", ma cercare "la loro intima correlazione". Come si raggiunge questo risultato nel campo della storia, cioè del succedersi delle formazioni economiche e sociali? Come si potrebbe descrivere una dinamica delle forme nel modo più semplice possibile senza far intervenire qualità soggettive? Nel testo che presentiamo Bordiga utilizza la seguente schematizzazione rivendicandola contro tutte le chiacchiere "a soggetto" dei politicanti:"Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n , in tutto esse sono n + 1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma".

Sotto l'apparenza banale dello schema vi sono implicazioni profonde richiamate dall'utilizzo di un principio importante della matematica, enunciato da Peano e portato alle estreme conseguenze da Poincaré, il quale, qualche anno dopo, lo applica alla teoria della conoscenza. Il principio è stato formulato e utilizzato dai due grandi matematici dopo la morte di Marx, ma questi l'aveva già applicato discorsivamente nell'opera preparatoria al Capitale e possiamo senza ombra di dubbio affermare che rientra nel metodo complessivo che sta alla base della sua struttura: su ogni elemento semplice della società che produce, è possibile costruire ragionamenti che possono essere utilizzati per gli elementi più complessi; su ogni tipo di società che produce, si possono costruire ragionamenti che possono essere utilizzati per le società che vengono dopo, più complesse.

Peano era giunto alla conclusione che il linguaggio, cioè una concatenazione logica di espressioni, non è in grado di dare una definizione di numero: "Dal lato teorico, per decidere la questione della definizione, occorre sia detto prima di quali idee ci possiamo servire. Qui si suppongono note le sole idee rappresentate dai segni 'e', 'o', 'non', 'è', ecc. (...). E allora il numero non si può definire, poiché è evidente che comunque si combinino tra loro quelle parole non si potrà mai avere un'espressione equivalente a numero (...). Si possono dare dai vari autori differenti risposte, potendosi diversamente intendere la semplicità. Per mio conto la risposta è che il numero intero positivo non si può definire perché le idee di ordine, successione, aggregato, ecc. sono altrettanto complesse come quella di numero". Come non è una spiegazione dire che un numero è un numero, così non è una spiegazione dire che un modo di produzione è un modo di produzione. Marx per via descrittiva, Peano e Poincaré per via matematica, dimostrano che ogni fenomeno è descrivibile soltanto attraverso un altro fenomeno, quello del linguaggio, che è una convenzione. Peano, circoscrivendo il linguaggio in una sequenza di elementi semplici, formula cinque assiomi cui si può ridurre tutta la matematica. Poincaré estende questo risultato concentrandosi sul principio di ricorrenza o di induzione completa e sul concetto di gruppo di trasformazioni, che ne è l'analogo in geometria (lo studio sui gruppi di trasformazioni avviene, contemporaneamente a quello di Peano, a opera di Klein e altri). A questi assiomi Poincaré dà importanza epistemologica universale. In effetti gli assiomi dell'aritmetica e della geometria rappresentano un processo di pensiero che avvicina, al limite, alle possibilità universali di comprensione, che permette il salto qualitativo reale dalla concezione discreta del mondo a quella del continuo, dal finito all'infinito o, se vogliamo, ad una concezione non dualistica.

Bordiga conosceva bene non solo la matematica ma anche le implicazioni per quanto riguarda la teoria della conoscenza. Molte sue proposizioni possono essere riferite a tale conoscenza, per esempio quando tratteggia una teoria delle catastrofi quasi vent'anni prima che venisse pubblicata quella di René Thom. Non si tratta, naturalmente di preveggenza o di un anticipo della stessa teoria. Molto probabilmente il nome è derivato dalle critiche socialdemocratiche alla teoria catastrofista di Rosa Luxemburg. Ma Bordiga cita espressamente Poincaré i cui risultati sono di importanza decisiva per le scoperte di questo secolo, tanto che alcuni lo pongono come capostipite della teoria della relatività, della meccanica quantistica e delle attuali teorie del Caos. Raggruppando gli enunciati scientifici sparsi nell'opera di Bordiga è abbastanza visibile il suo percorso conoscitivo per quanto riguarda l'argomento qui trattato: Peano, forse Klein, sicuramente la scuola italiana di geometria algebrica, vale a dire le correnti che della matematica facevano una questione epistemologica di rottura, cosciente o no, nei confronti del formalismo accademico. Non è un caso che proprio dalla scuola italiana sia scaturita l'esigenza di superare le barriere tra filosofia e scienza. Ciò non è per nulla strano, dato che l'ambiente universitario dell'inizio secolo era certamente permeato dalle nuove scoperte e ricettivo nei confronti dei risultati "umanistici" collegati alle scienze, specialmente a Napoli dove Bordiga si formò.

Qui Bordiga utilizza il quinto assioma di Peano nell'acce­zione estesa di Poincaré, con riferimento esplicito al metodo di Marx purtroppo solo accennato nell'Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica: ogni forma storica è un trapasso di forma, e ogni nuova forma contiene, trasformate, le determinazioni della forma precedente e viceversa. La differenza fra il ragionamento esclusivamente logico criticato da Marx (la forma di manifestazione immediata dei rapporti) e il ragionamento logico-dialettico (la loro intima correlazione) è subito evidente tramite l'utilizzo dello schema estremamente semplificato. In logica il ragionamento induttivo comporta la generalizzazione (inferenza) dell'abbinamento di una proprietà in una serie di casi a tutti i casi intesi universalmente: un cigno è bianco; tutti i cigni noti sono bianchi; allora il cigno è bianco. La proposizione formulata in questo modo è ovviamente falsa, e non solo per quanto riguarda il nostro esempio (quando in Australia furono scoperti i cigni neri, l'aristotelica verità cadde da sé). In questo caso la proposizione diventa accettabile solo se si accetta anche come conferma un presupposto di probabilità.

L'induzione matematica ci dice invece che ogni operazione possibile su n è anche possibile su n + 1 dato che, nella successione infinita dei numeri, n + 1 contiene sempre tutti i numeri precedenti; infatti il processo che porta da n a n + 1 genera l'infinita serie dei numeri interi. Il principio di induzione matematica è un'altra cosa rispetto all'induzione logica, che possiamo definire empirica. Engels nota che, se da una serie di osservazioni dirette, si può ragionevolmente affermare che il sole sorgerà domani e sorgerà ad Est, ciò non significa aver dimostrato che il sole sorge sempre ad Est, qualunque sia il numero di osservazioni che si siano fatte. L'induzione empirica può portare a spiegazioni convincenti dei fenomeni, ma mai alla loro dimostrazione. Può essere un punto di partenza, non la base su cui fondare la scienza, poiché il grado di certezza dei suoi risultati varia al variare del numero di osservazioni. Il sole sorgerà certamente domani nel punto che oggi chiamiamo Est, ma non siamo tanto sicuri che succederà la stessa cosa fra un paio di milioni di anni a meno di chiamare "Est" un altro luogo, mentre siamo sicuri che fra un miliardo di anni non sarà certamente così, e fra dieci miliardi di anni è probabile che non sorgerà affatto, avendo coinvolto la Terra nella sua esplosione o nel suo collasso.

Al contrario, con l'induzione matematica abbiamo la possibilità di stabilire la "verità" di un teorema in una successione infinita di casi escludendo ogni gradazione di certezza dovuta al numero delle osservazioni. Supponiamo una proposizione A relativa a un numero intero arbitrario n. La proposizione A potrebbe rappresentare un teorema qualsiasi, per esempio: "La somma degli angoli di un poligono convesso che abbia n + 2 lati è sempre n angoli piatti". Per la dimostrazione di un teorema elementare di questo genere non sono sufficienti dieci, cento o mille dimostrazioni di singoli casi per ogni corrispondente valore di n: sarebbe come dimostrare il sorgere del sole a Est dopo un certo numero di osservazioni.

Noi abbiamo invece la possibilità di prendere l'esempio più semplice, quello del poligono con il minimo numero di lati che ×è il triangolo, e applicare ad esso la successione n + 1. In un triangolon è necessariamente uguale a 1 perché non può essere che n + 2 non sia 3. Questa osservazione non ha nulla a che fare con l'osservazione empirica e non dipende dal numero di recursioni. Siamo quindi certi che un poligono con n + 2 lati conn = 1 è un triangolo e che la somma dei suoi angoli è n angoli piatti, cioè 1 ×180°.

Per un poligono di n + 2 lati in cui n passi a n + 1, cioè 2, abbiamo il quadrilatero (ovvero n + 1 + 2). La somma degli angoli di un quadrilatero si sa che è n + 1 angoli piatti cioè 2 × 180° = 360°. Ma anche se non lo sapessimo, è evidente che, facendo l'operazione inversa, otterremmo la stessa prova. Partendo infatti dal quadrilatero e sottraendo 2 lati, avremo in ogni caso n + 2 lati con n = 1, cioè il triangolo, cioè n angoli piatti. A questo punto possiamo partire da un poligono qualsiasi e trarre la formula universale per la nostra prova di validità. Sia n il numero dei lati del poligono.

Allora la formula (n − 2) × 180° ci dà il numero di angoli piatti corrispondente. Per n + 1 avremo:

(n − 2) × 180° + 180° = (n − 1) × 180°

Con questo la ricorrenza è dimostrata per ogni successione di n e si possono applicare gli stessi criteri al pentagono, all'esagono e così via. Questo modo di dire del linguaggio comune, che può anche essere sostituito con eccetera, dimostra che il principio di induzione matematica è utilizzato moltissimo anche senza menzione esplicita, quindi si è imposto spontaneamente là dove non si sente il bisogno particolare di dimostrazioni a priori, quelle che sono accampate magari per coprire degli specifici interessi di classe. La conseguenza del ragionamento induttivo (matematico e non empirico) è questa: se sappiamo che la proposizione A con un numero n qualsiasi (An) è vera, allora ne consegue la validità di An+1 , ma allora ogni successione di A ( A1 ; A2 ; A3 ecc.) è vera, quindi A è dimostrata.

La legge in quanto tale nasce da considerazioni sull'infinito e riguarda una serie infinita di casi. Perché allora Bordiga afferma che"Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n , in tutto esse sono n + 1"? Non è invece prevedibile, dato che lo sviluppo dell'umanità non può essere finito, che vi siano ulteriori successioni di "forme" dopo il capitalismo? Certamente la storia dell'umanità non si ferma con il comunismo e, uscendo dall'ambito della nostra rivoluzione (siamo comunisti, "la nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma" ), la serie dei possibili assetti sociali umani può ben essere infinita, almeno nell'ambito di quei miliardi di anni che rappresentano la prevedibile durata del nostro sistema solare, poi si vedrà. La legge non è invalidata dal periodo di osservazione, che è altrettanto convenzionale del linguaggio e dei segni matematici. Cambiando la scala di applicazione ed estendendola a tutta la storia dell'umanità o, se vogliamo, a tutta la storia della vita sulla Terra, si può dimostrare che le trasformazioni avvengono sempre su base invariante, così come è stato dimostrato che l'organismo umano attuale non è altro che una trasformazione topologica degli organismi che l'hanno preceduto, a partire almeno dai primi vertebrati a simmetria bilaterale comparsi quattrocento milioni di anni fa.

La legge è talmente di applicazione universale che Marx ed Engels la utilizzano (ovviamente senza ricorrervi direttamente dato che non potevano conoscerla) non solo per quanto riguarda i successivi modi di produzione, ma anche per quanto riguarda la formazione del valore nelle diverse sfere di produzione. Marx sostiene l'impossibilità della formazione originaria del valore di scambio, quindi della merce, senza che vi sia stata separazione fra comunità umane diverse, cioè a diverso grado di potenza delle forze produttive. Una determinazione del valore è infatti possibile soltanto attraverso il confronto di differenze che debbono essere ricondotte ad un unico criterio di misura, e tale criterio è adottabile soltanto se nelle comunità diverse esiste un "metro" uguale per tutti. Engels si rammarica che Marx non abbia potuto affrontare a fondo la questione e, in polemica con alcuni personaggi che non avevano capito la teoria del valore, ne fa un'esposizione storica in rapporto con i successivi modi di produzione, trattandola come un invariante che scorre sotto trasformazioni in tutti i periodi della storia umana, che "ha quindi regnato su un arco di 5-7 millenni". Qualche anno prima (27 gennaio 1886) scriveva a E. R. Pease: "Le nostre concezioni sulle differenze tra la futura società non capitalistica e la società odierna sono deduzioni esatte basate sui fatti storici e sui processi di sviluppo. Se non sono presentate in stretto legame con questi fatti e questo divenire, esse non hanno alcun valore teorico e pratico". Non c'è possibilità di deduzione esatta senza una stretta connessione fra le forme attuata con un procedimento del tipo che abbiamo cercato di descrivere. Non è importante sapere tutto sul principio di induzione matematica (Marx non ne era al corrente come abbiamo visto); è importante capire quali procedimenti della conoscenza dei fenomeni bisogna seguire per non incorrere in errore.

D'altra parte, l'importanza di capire che cosa succede nei passaggi da una forma all'altra, e anche nei tentativi di tale passaggio, è fondamentale per comprendere anche in quale stadio dello sviluppo storico del capitalismo ci troviamo attualmente. Oggi dire che la Russia è un paese capitalista non fa impressione a nessuno, ma bisogna ricordare che la nostra corrente è stata la prima ad affermarlo quando milioni e milioni di uomini credevano che là ci fosse socialismo in cantiere o già bello e confezionato. La stessa cosa vale per la Cina. Sappiamo che nel passaggio dalle forme inferiori a quelle superiori può non muoversi tutta la società ma solo una parte di essa e il percorso potrebbe non essere sempre lineare. Ecco perché, oltre a vedere nella Cina un paese capitalistico in evoluzione, giudichiamo i suoi sconvolgimenti sociali in modo non sociologico. La guerra civile, la cosiddetta rivoluzione culturale, i fatti di Piazza Tien An Men sono episodi di assestamento della società cinese nella sua lunga marcia verso la forma n matura. Il comunismo, n + 1, contiene e supera n: se la nostra proposizione A è la transitorietà di ogni modo di produzione fino al comunismo, tutte le proposizioni della successione devono essere vere, quindi An è dimostrata e n + 1, che è il comunismo, è una realtà necessaria, determinata.

La legge generale del divenire umano scoperta da Marx, la dinamica dei processi storici, è valida per tutto l'arco storico che unisce il primo uomo che ha scheggiato una pietra con l'uomo comunista, ma le leggi dello sviluppo interno delle singole formazioni economiche e sociali non sono valide per ogni periodo. "Ciascun periodo ha le proprie leggi", dice Marx, e infatti, nella prefazione alla prima edizione del Capitale egli precisa che non si occupa di economia in generale ma di "svelare la legge economica del movimento della società moderna". La dinamica delle forme sociali comporta la loro successione in forme diverse, le rivoluzioni rappresentano un cambiamento sostanziale per tutte le forme di società divise in classi. La successione, il trapasso da una forma in un'altra è possibile perché ogni forma porta nel suo interno delle contraddizioni che la mettono in conflitto con lo sviluppo ulteriore delle forze produttive. Il capitalismo è la più contraddittoria di tutte le forme, è la forma che rappresenta il culmine di tutte le forme antagonistiche dello sviluppo. Ogni forma è altamente rivoluzionaria quando si presenta sulla scena storica e diventa controrivoluzionaria quando la forma successiva spinge per erompere. Questo modo di porsi contraddittorio, come funzionamento interno e come funzione storica, può essere affrontato solo con la dialettica, unico modo per non impantanarsi nella logica sillogistica che vede lo sviluppo come una serie di cause ed effetti in cui le relazioni sono un semplice e rozzo riferimento spaziale e temporale.

Per il borghese la dialettica "è scandalo e abominio perché, nella comprensione positiva della realtà così com'è, include nello stesso tempo la comprensione della sua negazione, del suo necessario tramonto; perché vede ogni forma divenuta nel divenire del moto, quindi anche nel suo aspetto transitorio; perché non si lascia impressionare da nulla, ed è, per essenza, critica e rivoluzionaria".

Con la dialettica si introduce, nella storia delle formazioni sociali, il concetto di relazione, e quindi il concetto di "forma" applicato a una determinata società così come si presenta ai nostri occhi senza l'intervento della dialettica astrazione, non ci dice nulla sulla sua autentica natura. Occorre invece analizzare sia la totalità dei rapporti sociali ed economici presenti in essa, sia le relazioni tra il substrato materiale, le idee e la sovrastruttura in genere; analizzare le relazioni tra il presente e la funzione passata di certe forme, tra il presente e la loro determinata trasformazione futura. Senza questo procedere scientifico non si giunge a nulla, ed è negato il salto verso la comprensione dei rapporti sociali intesi come rapporti di classe transitori, destinati a scomparire.

L'indagine nei confronti di una formazione sociale, dice Marx, deve digerire il materiale analizzato fin nei minimi particolari, ma non in una sterile catalogazione, necessaria all'inizio ma non sufficiente; deve svelare le diverse forme di sviluppo di questo materiale e, soprattutto, rintracciare il concatenamento interno ad una data società, legame che svela a sua volta la dinamica storica indietro nel tempo, unico modo per proiettarsi in avanti. Solo dopo che si è fatto questo tipo di lavoro è possibile dare una descrizione "conveniente" del movimento reale.

Dice il testo qui pubblicato: "La relazione tra sottostruttura economica e sovrastruttura politica non sarebbe mai stabilita senza la profonda osservazione e rilevamento dei fatti di cui la sovrastruttura è teatro [...] dire che alla storia degli Stati e dei popoli noi sostituiamo quella delle classi non si riduce al banale espediente di eliminare gli Stati con un calcio nel sedere, chiudere gli occhi al loro avvicendarsi, e dare la parola [...] alle classi; anzi in fondo a quella che ingenuamente si tratta come la classe unica, l'eletta, la predestinata". Effettivamente non ci è per nulla utile analizzare per esempio la Russia attuale (o quella cosiddetta sovietica) o la Cina individuando le arretratezze che vi si ritrovano, la sopravvivenza di forme neppure capitalistiche all'interno di un modo di produzione pur dominante, quello industriale capitalistico ecc. Sebbene la maggior parte di osservatori non giunga neppure a questo livello, ciò che dobbiamo fare è individuare in primo luogo quale sia il modo di produzione dominante e quali siano le forme subordinate, frenanti; in secondo luogo, su questa base, stabilire quale sia il movimento reale che porta al superamento della fase presente, quali siano i nessi (relazioni) fra il modo dominante, le sopravvivenze del passato, le altre forme che le circondano e le leggi dello sviluppo che permettono di intravedere il successivo modo di produzione; infine, spinta la nostra indagine a ciò che significa giungere alla nuova forma, sparare con tutta l'artiglieria teorica sulla mistificazione di un capitalismo che si vuole far passare per socialismo.

Solo spingendoci a n + 1, la forma successiva, possiamo produrre la critica definitiva a quella precedente, perché nessun sistema è giudicabile con gli strumenti che esso stesso fornisce e le sue contraddizioni risultano evidenti solo se ci si spinge ad un sistema di potenza superiore. Quando Marx analizza il capitalismo del secolo scorso, non gli basta accedere ai dati dell'Inghilterra, il paese che forniva l'esempio pratico del macchinismo, del sistema del credito, del capitale finanziario, del mercato mondiale. La sua indagine si deve spingere alla dimostrazione di che cosa succederebbe se non esistessero le categorie capitalistiche studiate a proposito dell'Inghilterra e con questo giunge alla negazione di esse, all'affermazione della necessità storica del comunismo. Nello stesso tempo, con questo tipo di lavoro, stabilisce una volta per sempre le leggi che regolano qualunque tipo di società precedente, qualunque esempio storico di formazione economica e sociale nella serie di n − 1 e così via, come dicevamo poc'anzi.

"Il fisico" dice Marx, "osserva i processi naturali là dove appaiono nella forma più pregnante e meno velata da influssi perturbatori, ovvero, se possibile, compie esperimenti in condizioni che assicurino lo svolgersi del processo allo stato puro. Oggetto della mia ricerca in quest'opera sono il modo di produzione capitalistico e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono. La loro sede classica è fino ad oggi l'Inghilterra, che quindi serve da principale illustrazione dei miei sviluppi teorici [...] Il paese industrialmente più evoluto non fa che presentare al meno evoluto l'immagine del suo proprio avvenire". Con lo stesso criterio scientifico aggiungiamo: il paese industrialmente più evoluto non fa che presentare a sé stesso l'immagine del suo proprio avvenire. Infatti, all'interno del modo capitalistico di produzione, vi sono già delle anticipazioni di comunismo, come per esempio nella fabbrica, dove il flusso interno delle operazioni legate al lavoro associato non risponde già più al criterio di scambio fra equivalenti per mezzo del denaro e dove vige tranquillamente il piano di produzione finalizzato al raggiungimento dello scopo finale in contraddizione con l'anarchia esterna della distribuzione. D'altra parte, oltre ad annotare questo fatto, Marx annota anche come il sistema azionario decreti la inutilità del capitalista come personaggio legato al capitale, quindi l'inutilità dell'intera classe capitalistica. Quando delle figure sociali o delle categorie economiche divengono inutili, si dimostra anche l'inutilità, la potenziale non-esistenza dell'intero sistema capitalistico.

In questo risultato sta tutta l'enorme differenza fra il marxismo e tutte le correnti, in genere filosofiche, che intendono il succedersi delle forme e delle sovrastrutture come una filosofia della storia. Persino il citato Le Goff, leggendo il quale non si riconosce certamente uno dei nostri, se la prende giustamente con Gramsci nel quale si rintracciano posizioni filosofico-storicistiche le quali, rispetto a Marx, sono "posizioni estremamente duttili" che "non segnano un progresso del materialismo storico" e che rappresentano "uno scivolamento verso il marxismo volgare" per via del suo sottolineare, nel materialismo storico, la preminenza del secondo termine sul primo. La storia concepita materialisticamente e dialetticamente non è un progresso dell'umanità verso un fine, ma è un movimento reale che libera catastroficamente le forze produttive dai vincoli che le società creano ad un certo punto del loro sviluppo. La costruzione, nella teoria di Marx, è la seguente: l'insieme dei rapporti di produzione rappresenta la base reale (struttura) sulla quale si appoggia un apparato giuridico e politico (sovrastruttura) al quale a sua volta corrisponde una forma determinata delle idee (coscienza sociale). La storia è una successione di forme sociali che, terminato il loro compito, compiono un salto di qualità, costringendo i rapporti di produzione a modificarsi, la sovrastruttura giuridica e politica a scomparire, la coscienza sociale ad adeguarsi.

Questo schema è contenuto non solo nella ultranota prefazione a Per la critica dell'economia politica, ma in innumerevoli passi di Marx ed Engels, dall'Ideologia tedesca all'Anti-Proudhon, dai Grundrisse al Capitale. La dottrina dei modi di produzione è fondamentale per capire ogni cosa che riguardi la storia dell'umanità, quella passata e quella futura: non è poco. Nella sezione dei Grundrisse dedicata alle forme economiche precapitalistiche (citata nel presente libro) si delinea la teoria della dissoluzione delle strutture economiche precedenti il capitalismo, ma tale teoria, stabiliti gli invarianti e le trasformazioni, riguarda tutti i tipi di società, cioè si dimostra la teoria della dinamica generale dei processi storici.

In una lettera ad Annenkov, Marx traccia un formidabile schema della dinamica dei processi storici gettandosi nella demolizione di Proudhon e delle sue utopie idealistiche. Marx dice di aver letto il libro di Proudhon in due giorni, quindi si scusa per non essere in grado di scendere in particolari. Sappiamo che deciderà in seguito di rispondere per esteso con la Miseria della filosofia, ma nella lettera in questione i temi sono così concentrati da fornire una chiave di lettura insostituibile. Tutta la critica a Proudhon si basa su di un punto centrale: l'incapacità di capire gli sviluppi storici impedisce di capire gli sviluppi economici e viceversa. La base delle forze produttive che agiscono sugli uomini di oggi si trova nel passato, è il prodotto dell'energia e della vita di uomini che non ci sono più. Per questo i viventi non possono essere liberi arbitri delle loro forze produttive, quelle di oggi e quelle di domani. Lo sviluppo delle forze produttive è la storia dell'umanità e delle relazioni economico-sociali al suo interno. Proudhon sbaglia perché come tutti i borghesi concepisce la storia come un flusso lineare di avvenimenti che non hanno relazione né con gli invarianti né con le trasformazioni indotte dallo scorrere del tempo e dal conseguente formarsi, nello spazio, di aree geostoriche delimitanti lo sviluppo economico e sociale differenziato, in qualsiasi epoca. Quindi Proudhon non riesce a capire neppure lo sviluppo differenziato all'interno di un'area geostorica definita. Per questo parla di divisione del lavoro senza sentire minimamente il bisogno di menzionare il mercato mondiale. Senza un sistema di relazioni Proudhon non può giungere a capire le leggi di sviluppo, quindi non può capire neppure la necessità, la determinatezza delle transizioni storiche. Per Proudhon, quindi, la società futura non è un movimento reale, ma un'idea.

Per dimostrare l'importanza del processo materiale sulle idee, Marx analizza quelle di Proudhon. Egli è il rappresentante di forze materiali di una società progredita, il filosofo di una piccola borghesia che, costretta dalla situazione in cui si trova, "diventa da un lato socialista, dall'altro economista". Il piccolo borghese è "accecato dallo splendore della grande borghesia ed ha compassione per le sofferenze del popolo. Egli è borghese e popolo al tempo stesso, [...] divinizza la contraddizione, perché la contraddizione è il nucleo del suo essere. Egli non è altro che la contraddizione sociale messa in azione. Egli deve necessariamente giustificare mediante la teoria ciò che egli è nella pratica, e Proudhon ha il merito di essere l'interprete scientifico della piccola borghesia francese; questo è un merito reale, perché la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando".

La Cina, oggetto di questo libro, ha dimostrato in grandissima scala quanto la sua rivoluzione sia stata influenzata dalla contraddizione tanto decantata da Mao: l'immenso paese è diventato l'interprete scientifico della borghesia e del popolo, di una rivoluzione capitalistica ammantata di socialismo; Mao, interprete di una grande rivoluzione, non impersonava certo l'ideale della "piccola borghesia francese", ma era innegabilmente "borghesia e popolo al tempo stesso" al di là delle sue personali professioni di marxismo. La Cina è una potente conferma di quanto lo sviluppo delle forze produttive influenzi la struttura delle idee, la coscienza sociale; ieri ha dimostrato, e continua a dimostrare, ciò che nella storia si muove per primo: non le idee, ma lo sviluppo delle forze produttive. La rivoluzione culturale ha significato l'esigenza di uno stimolo rispetto alle vecchie idee, indipendentemente dal contenuto marxisteggiante, ma si basava su di una trasformazione reale del tessuto produttivo cui non corrispondeva più la mentalità contadina; il "Grande Balzo" è stato un sussulto ideologico nato dall'erompere delle nuove energie dell'accumulazione capitalistica di base.

Oggi certe aree della Cina sono molto avanti nel processo di trasformazione dei rapporti di produzione, ma a questo sviluppo non corrisponde ancora un adeguato sviluppo della sovrastruttura giuridico-politica che è ancora primitiva (un capitalismo di stato funzionale all'accumulazione di base), mentre la coscienza sociale, espressa per esempio dagli slogan delle manifestazioni di Tien An Men è ferma alle parole d'ordine democratiche tipiche del XVIII secolo europeo. La piccola borghesia, in questo caso rappresentata dagli studenti cinesi, è stata "parte integrante" del tentativo di rivolta schiacciato dall'esercito, ma la comparsa minacciosa del proletariato ai margini della rivolta ci mostra senza dubbio che le forze produttive incominciano a sentire come catene non solo il capitalismo arretrato, ma il capitalismo in quanto tale. D'altra parte aree immense della Cina sono ancora soggette a forme economiche e sociali veramente arretrate. La Cina, come la Germania nei confronti dell'Inghilterra ai tempi di Marx, può guardare alla Russia per vedere il suo proprio futuro, perché queste aree perdono rapidamente la loro importanza rispetto al modo di produzione dominante. Come la Russia, la Cina dovrà spezzare i vecchi legami, compreso quello con un capitalismo di stato arcaico che non è più funzionale alla moderna accumulazione, al dispiegarsi della produzione di massa, della concorrenza, della finanza. La similitudine sembra azzardata, ma solo per chi non vede il reale sviluppo dei nessi fra le forme presenti nella società cinese. La similitudine non sarà nello svolgersi dei fatti, che potranno essere diversissimi per le telecamere, i microfoni e i fax della stampa internazionale, ma nel significato materiale, economico e sociale di questi fatti.

L'Asia è una polveriera sociale. Questo che sembra un luogo comune si concretizza nelle immense aree urbane in cui si mescola la ricchezza sfrenata e la miseria al limite della vita umana. In Cina vi sono duecento milioni di senza-lavoro che non figurano in nessuna statistica ufficiale, pendolari del lavoro precario, pellegrini perenni in cerca di un luogo in cui fissare una merce non richiesta. In India non si sa quanti siano i disperati nelle stesse condizioni, se non peggiori.

L'orecchio occidentale non deve ingannarsi nell'udire le rivendicazioni egualitarie e democratiche, l'occhio non deve essere sviato dalle manifestazioni contro la corruzione e la ricchezza sfacciata: l'ingenuità non è prerogativa orientale, qui si grida di peggio. Ma ogni movimento non deve essere analizzato sulla base delle sue grida, bensì sulla base della struttura che sta dietro quelle grida. Per quanto immensi possano essere gli spazi che separano gli agglomerati umani, tre miliardi di uomini sono ormai strappati per sempre dalle loro condizioni precedenti di lavoro e di sussistenza e sono costretti a condurre vita sociale in dipendenza del modo di produzione dominante. Non torneranno più alla propria terra, al lavoro artigiano, al commercio minuto. Saranno strumenti sovversivi del nuovo che eromperà dalla catastrofe e, come dice il testo, "Non dovrà essere dubbio allora, se si sarà saputa vincere la battaglia della teoria, che descrivere il capitalismo nella sua profonda essenza come separazione del lavoratore dalle condizioni del lavoro non significa inserire in una scienza passiva una fredda definizione, ma significa, per il comunismo dialettico, lanciare la consegna incendiaria per la lotta distruttiva del sistema capitalista".

Novembre 1995

Note

[1] Vedi più oltre il paragrafo "La grande serie dei modi di produzione".

[2] Jacques Le Goff, Storia e memoria, Einaudi, pagg. 84 e 112. George Duby è storico del Collége de France; Jacques Le Goff è storico della École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, esponente della Scuola delle Annales. Entrambi medievalisti, sostengono un approccio globale (non évenementel) alla storia.

[3] Ökonomische Gesellschaftsformation: il vocabolo composto che segue l'aggettivo "economica" è traducibile in entrambi i modi e Marx utilizza il contesto per forzare il significato della frase. Cfr. Enc. Einaudi, vol. 6, pag. 342 e segg.

[4] K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Introduzione del 1857, Editori Riuniti, 1969 pag. 173.

[5] Cfr. La passione e l'algebra, ed. Quaderni Internazionalisti, cap. Tre formule per l'invarianza, pag. 81.

[6] K. Marx, Per la critica cit. pag. 193.

[7] Il principio d'indeterminazione fu formulato da Heisemberg nel 1927: non si possono misurare contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella per via dei limiti insiti nell'azione stessa della misura compiuta dall'osservatore.

[8] K. Marx, Per la critica cit. pag. 194.

[9] K. Marx, Per la critica cit. pag. 196.

[10] Le forme di produzione successive nella teoria marxista, disponibile presso Quaderni Internazionalisti nell'edizione 19/75, elaborata rispetto all'originale.

[11] Dinamica dei processi storici − Vol. I, Teoria dell'accumulazione, ed. Quad. Int. Quaderno n. 9.

[12] K. Marx, Per la critica cit. pagg. 178-182.

[13] K. Marx, F. Engels, Carteggio, Ed. Riun. 1972 vol. Quinto pag. 45. La lettera è datata, per svista, 27 luglio.

[14] K. Marx, Il Capitale, Libro III, Utet 1987, pag. 1008.

[15] H. C. Kennedy, Peano, Boringhieri, pag. 63.

[16] Il principio di ricorrenza e il convenzionalismo di Poincaré sono citati in Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria, ed. Quad. Int. pag. 80 e segg.

[17] F. Engels, Dialettica della natura, Op. Compl. Ed. Riuniti, vol XXV pag. 512 (vedere anche l'abbozzo di una critica all'induzionismo nelle stesse pagine).

[18] K. Marx, Il Capitale, Libro I ed. Utet, pag. 168; Libro III pag. 229.

[19] F. Engels,Integrazione e poscritto al III Libro del Capitale; in Il Capitale, Libro III ed. Utet, pag. 1100 e segg.

[20] Vedi anche: La passione e l'algebra, Amadeo Bordiga e la scienza della rivoluzione, ed. Quad. Int. 1994, capitoletto Il principio di induzione completa n + 1 che segue quello sull'invarianza, concetto anche ricordato negli articoli di questo volume.

[21] K. Marx, Il Capitale, Libro I, Utet 1974, pag. 87.

[22] K. Marx, Il Capitale, Libro I, Utet 1974, pag. 74.

[23] J. Le Goff, op cit. pagg. 84-85.

[24] K. Marx a Pavel Vasilevich Annenkov, 28 dicembre 1846. Carteggio, Op. Compl. Editori Riuniti, vol. XXXVIII pag. 458.

Prima di copertina
La dottrina dei modi di produzione

Quaderni di n+1.

La successione, il trapasso da una forma in un'altra è possibile perché ogni forma porta nel suo interno delle contraddizioni che la mettono in conflitto con lo sviluppo ulteriore delle forze produttive.

Indice del volume

La dottrina dei modi di produzione