Scienza e rivoluzione - volume I parte II (19)
Lo sviluppo rivoluzionario della forza produttiva capitalistica, la pretesa conquista del Cosmo e la teoria marxista della conoscenza
8. Il principio di equivalenza
Per capire l'importanza dell'obiezione del compagno fisico alle affermazioni di Bordiga e di conseguenza capire la temerarietà della risposta (o l'incoscienza, secondo i critici) occorre tener presente che il principio di equivalenza è conosciuto fin dall'antichità, che fu al centro delle dimostrazioni di Galileo sulla caduta dei gravi, che fu ripreso da Newton in termini inequivocabili e che infine Einstein lo elevò a principio. Il primo a lasciar traccia del fatto sperimentale che tutti gli oggetti cadono con la stessa accelerazione fu il filosofo bizantino Iohannes Philiponus che pensò, e forse effettuò, un esperimento del tipo di quello di Galileo, registrandone i risultati nei suoi commentari alla Fisica di Aristotele.
Einstein legò l'equivalenza di massa ed energia all'equivalenza fra gravità e inerzia. La cosa non era semplice: se la luce ha energia, quindi massa, deve essere soggetta alla gravità, essere catturata e deviata per esempio dalla grande massa del Sole. L'intuizione fu sviluppata in teoria che fu a sua volta oggetto di esperimento ed ebbe così la sua verifica, ma la legge non era intuitiva per la maggior parte degli scienziati. Infatti la luce, contrariamente alle particelle, non ha massa "da ferma" (cioè non esiste), quindi a rigor di logica non ha inerzia: la sua massa deriva unicamente dal movimento. Einstein in fondo dimostra ciò che Engels poteva solo tentare di dimostrare sulla base delle conoscenze della sua epoca, e anche per lui vi erano scogli non indifferenti.
Estendere il principio di equivalenza alla luce richiedeva di abbandonare le strade classiche e reinterpretare lo stesso fenomeno considerando l'effetto della gravità non tramite la massa ma tramite il tempo. Vale a dire che Einstein smise di ipotizzare un'equivalenza fra due "cose" e la riferì alla condizione di due osservatori posti in due sistemi di riferimento accelerati, l'uno sottoposto ad una forza costante, l'altro alla gravità. I due osservatori dovevano trovare in quelle condizioni le stesse leggi della fisica. Attenzione: non semplicemente un'equivalenza fra gravità ed accelerazione, ma in tutte le leggi della fisica scoperte e scopribili nei due sistemi. Einstein attribuì perciò le due condizioni diverse ma equivalenti ad una unica origine, la curvatura dello spazio-tempo. Tra l'altro, il campo gravitazionale ha massa e quindi è di per sé stesso fonte di curvatura dello spazio (214).
Immaginiamo un modello arbitrario, per esempio costruito al computer, in cui due capsule spaziali C e C' ruotano intorno ad un pianeta P in posizione geostazionaria, cioè ruotando con la stessa velocità angolare a cui ruota il pianeta stesso (215). La seconda capsula è distante dal pianeta il doppio della prima. E' evidente che gli astronauti all'interno delle capsule, se escludiamo ogni riferimento esterno al sistema, penserebbero di essere immobili. Infatti non vedono stelle di riferimento, vedono sempre lo stesso punto del pianeta e vedono le due capsule sempre nella stessa posizione relativa. Se prendessero delle misure di spazio e di tempo, esse coinciderebbero. Eppure noi che siamo fuori dal loro sistema di riferimento sappiamo che in realtà C', essendo distante il doppio, fa il doppio di strada rispetto a C e, facendola nello stesso tempo, va ad una velocità doppia. Le due capsule non sono quindi affatto ferme rispetto al pianeta, e neppure l'una relativamente all'altra: per noi che siamo all'esterno le misure di spazio e di tempo non coincidono. Il nostro modello sembra violare la teoria di Einstein.
Questo sistema, possibile in una simulazione arbitrariamente costruita, è impossibile nella realtà, ed è proprio partendo da questa impossibilità che vogliamo cercare di rendere evidente il principio di equivalenza. Nella realtà il sistema funzionerebbe benissimo con il pianeta ed una sola capsula spaziale, la prima C, a condizione che essa si trovi in orbita circolare e ad una distanza coerente con la posizione geostazionaria (per la Terra a 36.000 km dalla superficie). In essa, come in tutti i corpi posizionati in orbita, l'astronauta sarà in un sistema inerziale, cioè non sottoposto a gravità o ad altre forze.
Ora, quali saranno le condizioni per riprodurre nella realtà la situazione del modello virtuale, arbitrario, a due capsule geostazionarie? E' chiaro che la seconda capsula, posta a distanza doppia, quindi sottoposta a gravità ¼, per rimanere in un'orbita permanente dovrà ruotare a velocità molto più contenuta; in caso contrario essa abbandonerebbe la sua traiettoria seguendone un'altra che la lancerebbe nello spazio lontano dal pianeta (partirebbe per la tangente). Per mantenere la condizione del nostro modello, noi dovremo fornire energia alla capsula, accelerarla, ma nello stesso tempo spingerla verso il pianeta con un razzo laterale, in modo che una composizione di forze la mantenga nell'orbita obbligata. Una cosa del genere sarebbe forse difficilissima da ottenere in pratica, ma solo in questo modo riusciremmo a riprodurre le condizioni del modello arbitrario: fornendo energia al sistema (216). Con i concetti di massa, energia, velocità, evochiamo la teoria di Einstein e dovrebbe risultare evidente che, mentre nella prima capsula C l'astronauta è in condizioni di imponderabilità, nella seconda C' il suo collega si trova a dover scontare in qualche modo l'energia supplementare: si sentirà cioè sottoposto ad una forza gravitazionale in senso contrario alla direzione in cui si trova il pianeta. Ma anche in questo caso avremmo comunque riprodotto, se pure artificialmente, un sistema i cui riferimenti interni sono immobili relativamente gli uni agli altri, quindi le misure di spazio e di tempo condotte dagli astronauti in C e in C' dovrebbero essere identiche. Invece no: due osservatori immobili l'uno rispetto all'altro, ma sottoposti a campi gravitazionali (o accelerazioni) di valore differente, non possono che rilevare, secondo la teoria di Einstein, misure di spazio e di tempo differenti tra loro. Questo perché il campo gravitazionale induce nello spazio-tempo una geometria non euclidea, lo deforma.
Ora prendiamo il classico regolo rigido di Einstein e misuriamo la distanza di C (la capsula come sistema inerziale) da P, poi con lo stesso regolo misuriamo la circonferenza percorsa da C e la rapportiamo al raggio, avremo 2p , cioè 6,283185... Poi facciamo la stessa operazione con C' (la capsula come sistema accelerato): rapportando le misure avremo ancora 2p . Relativamente ai singoli sistemi di riferimento, che siano inerziali o accelerati, l'equivalenza delle misure è totale.
Il principio di equivalenza, che assimila il campo all'accelerazione, è valido dunque quando si decida di porsi nella rappresentazione teorica della relatività generale di Einstein. Ciò non significa che "non sia possibile una rappresentazione diversa, in cui l'equivalenza non sussiste" (217). Non solo sono possibili rappresentazioni diverse, ma vi sono teorie cosmologiche che non tengono conto della teoria della relatività, come quella proposta da Bondi, Gold e Hoyle, detta dello "stato stazionario", o entrano in conflitto con essa, come quella di De Sitter, il quale utilizzò formulazioni modificate dallo stesso Einstein (218).
Note
(214) Una buona trattazione dell'argomento si trova nell'articolo A Cultural History of Gravity and the Equivalence Principle (vedi bibliografia Internet).
(215) Un modellino si potrebbe costruire appoggiando i corpi P, C e C' su di un disco ruotante, ma bisognerebbe prescindere dalla forza centrifuga.
(216) Oppure legando i due corpi con un cavo, come negli esperimenti di satelliti teethered, dove l'energia si traduce in un aumento della velocità periferica del corpo esterno e in una tensione sul cavo (in un esperimento italo-americano il cavo si ruppe proprio per questo).
(217) Livio Gratton, Relatività, cosmologia, astrofisica, Boringhieri, pag. 120. Lo spunto per il modello dei corpi rotanti è derivato da quello pubblicato su questo volume, a sua volta derivato da quello di Einstein (A. Einstein e L. Infeld, L'evoluzione della fisica cit. pag. 236).
(218) Fred Hoyle, Galassie, nuclei e quasar, Einaudi. La teoria dello "stato stazionario" è considerata oggi di dubbia sostenibilità, ma è interessante la critica dell'astronomo: "Personalmente nutro forti ed emotive avversioni per quanto viene introdotto artificialmente in cosmologia. L'idea di cui faccio uso nelle ricerche cosmologiche è che tutti gli aspetti importanti dell'universo siano compresi entro le leggi, che essi non siano stati impressi al di fuori delle leggi. Questa è una delle semplificazioni che uso. Personalmente non perdo tempo ad investigare teorie che richiedono condizioni iniziali speciali" (pag. 115). La cosmologia Einstein-De Sitter, sviluppata a partire dal 1917, e le successive estensioni, sono un importante riferimento per le cosmologie attuali basate sulle teorie matematiche dei gruppi.
FINE