Newsletter numero 146, 24 maggio 2009
Bruciare il presente per salvare il futuro. 1
Dopo gli ultimi agguati a Rosengard (Malmoe, Svezia) un giornalista sconcertato s'è chiesto: "Ma che tipo di società è quella in cui si attirano i vigili del fuoco nei quartieri, al fine di lanciare pietre contro di loro e il personale medico?". Evidentemente per i sempre più numerosi "teppisti" del mondo tutto ciò che rappresenta lo Stato merita disprezzo, pietrate e fuoco. Malmoe è una grande città industrial-portuale. Gli scontri sono di solito confinati nei quartieri in cui hanno origine, quindi i benpensanti per loro fortuna possono ancora stare tranquilli. Ma intanto hanno paura che l'esplosione esca dai ghetti, perché quando la disoccupazione sale al 90% come a Rosengard, ogni modello di pace sociale è destinato a saltare.
Bruciare il presente per salvare il futuro. 2
Come nel 2005 in Francia, l'uccisione di un ragazzo da parte della polizia ha incendiato per tre notti la periferia di Setubal, città portuale portoghese. Anche qui è bastata una scintilla per far esplodere la rabbia accumulata dagli strati dei senza-riserve. Ovviamente "unanime e accorata condanna" da destra e da sinistra. Da una parte la solita criminalizzazione degli immigrati, dall'altra la ricerca delle "colpe" del governo socialdemocratico reo di aver liberalizzato l'economia peggiorando le condizioni sociali. Mentre il mondo comincia a sussultare come un'unica enorme Banlieue, si moltiplicano le discussioni da salotto (parlamentare).
2006: Banlieue è il mondo (rivolta e riforma)
Tensione sociale e bucce di banana
Torino, 16 maggio. Manifestazione operaia organizzata da sindacati e sindacatini. Davanti alla Fiat tiene il suo discorso Rinaldini, segretario della Fiom. Sta per intervenire un rappresentante dei Cobas, come peraltro concordato, ma sul palco viene bloccato. C'è un po' di parapiglia, Rinaldini si volta, perde l'equilibrio e cade. Apriti cielo. Aggressione! Squadristi rossi! Risorge il nuovo brigatismo! Marcegaglia, capessa della Confindusria, stigmatizza. Risponde Epifani, capo della CGIL: vedete cosa succede a voler isolare il sindacato. E i bonzetti della sinistra sindacale fanno eco: "Poiché il rischio di insorgenza sociale è forte, noi cerchiamo di guidarla e, in qualche modo, tenerla". Sono sinceri, quasi quasi fanno tenerezza.
Ottimismo psichedelico
Quella che stiamo vivendo non è una crisi congiunturale. Il Capitale, dice Marx, non è una cosa ma un movimento. Perciò i suoi fenomeni interni sono irreversibili, com'è irreversibile la sua forma imperialista. C'erano le crisi mercantili, manifatturiere, industriali, bancarie. Oggi c'è la crisi del Capitale resosi autonomo rispetto alle sue fonti. Nessuno riuscirà mai più a farlo ritornare ai tempi d'oro dell'accumulazione. Può darsi che eviti ancora la catastrofe, ma con queste caratteristiche, diceva già Marx, è "potenzialmente morto". Secondo Tremonti invece la crisi sta finendo, e ci sono segnali positivi. Non c'è uno straccio di dato oggettivo che lo provi, come insistono a dire i maggiori istituti internazionali, ma dal G20 in poi l'ottimismo è la bandiera d'obbligo dei politici. Come nella battuta ricordata dal film L'odio. Un uomo cade dal 50° piano; al 20° si fa coraggio e pensa: fin qui tutto bene.
Missioni di pace a raffica
Mentre Obama mette virtualmente al bando la tortura made in Usa, l'esercito americano, coadiuvato dal corpo di spedizione internazionale, tortura, bombarda e mitraglia qualunque essere vivente si opponga alla strategia imperialista di Washington in Afghanistan. I Talibani dal canto loro rispondono con una mossa strategica micidiale, aprendo cioè in Pakistan un altro focolaio di guerriglia che minaccia direttamente la capitale, per intanto costretta ad accogliere milioni di profughi in fuga. La Croce Rossa Internazionale denuncia che i raid aerei statunitensi uccidono soprattutto civili, specie donne e bambini. Il macabro conteggio rivela la debolezza estrema di un paese imperialista che vuole essere globalmente egemone ma non può mettere soldati sul terreno. Adesso quindi sono tre le guerre che deve affrontare. Sempre che non si apra anche il fronte iraniano.
2008: Barack Obama e il governo del mondo
Insopprimibile disfattismo
In Israele ogni soldato, terminata la leva, rimane in servizio come riservista; e siccome chiunque sia in grado di portare un'arma è in queste condizioni, l'insubordinazione esce dai confini delle caserme per coinvolgere l'intera società. Anche se al momento vi sono solo reazioni di tipo pacifista, pretendere la pace in tempo di guerra e opporre un rifiuto organizzato all'ordine di combattere è uno straordinario atto di disfattismo oggettivo. Alcuni membri di una Ong pacifista israeliana (New Profile) sono stati infatti arrestati dalla polizia per "incitamento e sostegno alla diserzione in guerra". E tali episodi si moltiplicano in un clima sociale poco conosciuto al di fuori di Israele: la pressione sui soldati è così forte che essi cedono psicologicamente e muoiono molto più per suicidio che per scontri armati.
2002: Dal fronte interno israeliano
Disoccupazione e solidarietà
Nel mondo l'enorme diminuzione dei contadini, degli artigiani e dei piccoli commercianti non si riflette in un aumento proporzionale degli addetti ad altre attività, specie salariate. Perciò cresce la disoccupazione mondiale, attualmente al 30%. Nei paesi sviluppati si tenta di frenare il fenomeno incentivando i "contratti di solidarietà" (meno ore, meno salario), una versione pidocchiosa del vecchio slogan "lavorare meno, lavorare tutti". Se avversiamo ovviamente il modello odierno, non meno avversavamo comunque quello vecchio: la richiesta storica del movimento operaio è sempre stata la riduzione dell'orario a parità di salario e salario ai disoccupati. Prima della degenerazione attuale, ai comunisti non era mai venuto in mente di rivendicare il lavoro salariato.
1993: Capitalismo, produttività, disoccupazione
Sinistri alla frutta
Il governo vuole ributtare a mare gli immigrati, ma il presidente della Camera Fini si smarca: "Un conto è l'immigrato clandestino, un conto chi può chiedere l'asilo". Il segretario di Rifondazione Ferrero approva entusiasta: "[Fini] dice cose di buon senso, parla da esponente di una destra europea, né fascista, né razzista". Il responsabile esteri del PD Fassino dichiara ai microfoni di Radio 24 che non se la sente di condannare il respingimento degli immigrati: la sicurezza non deve essere monopolio della destra. Non stupisce che, secondo un recente sondaggio del Sole 24 Ore, nelle prossime elezioni il centro-destra dovrebbe raccogliere il 58,2% dei voti dei lavoratori, mentre ai sinistri dovrebbe andarne il 22,4%. Dunque spazzati via come miserabili insetti. E i sinistri-sinistri? L'ultima volta che li abbiamo visti, al Primo Maggio, erano giovani, erano tanti, cantavano l'inno nazionale interclassista filo russo-americano Bella ciao. Come Ferrero e Fassino quando avevano la loro età.
1951: La dégringolade
Città retrofuturibili?
Inesorabile come le stagioni riaffiora la pagliacciata propagandistica sulla pretesa conquista manned (umanata) dello Spazio. Con meno chiasso di una volta, bisogna dire, dato che il pubblico si è un po' stufato dopo mezzo secolo di balle spaziali. Questa volta è di scena la costruzione di città per astronauti-coloni sulla Luna e su Marte. Garantisce la scientificità dell'impresa nientemeno che l'Agenzia Spaziale Italiana. Il Corriere si chiede come saranno: tra le ipotesi, ameni centri residenziali per borghesi miliardari in fuga da quella che sta diventando una immensa banlieue, cioè la Terra. Balle a parte, la cosiddetta conquista dello Spazio parla con la lingua del Capitale: dollari, missili, conquistatori, colonie, architettura e perché no urbanistica. Tante belle casette su Marte, pressurizzate con vista sul cratere e orto idroponico incorporato. Con mutuo subprime garantito dalle migliori società di rating. Investimenti galattici. Dio vi ha promesso il Paradiso, noi ve lo vendiamo. A comode rate. C'era già arrivato Philip Dick.
1957: Triviale
rigurgito di illuminismo
1960: Elementi
della questione spaziale
1999: Scienza
e rivoluzione
The Wrestler
Nell'ultimo film di Aronofsky, il vecchio wrestler The Ram, interpretato da un mostruoso Mickey Rourke, ha il volto sfatto e il fisico decadente. Proprio come gli Stati Uniti. La gloria è lontana, la società cambia profondamente, e non c'è doping che tenga quando il cuore non regge più. L'eroe delle masse è costretto a ritornare semplicemente Randy Robinson, un proletario qualunque con la famiglia sfasciata, socialmente isolato, costretto a svendere la propria forza-lavoro al (super)mercato. Ma chi ha tanto vissuto sotto la luce dei riflettori non può accettare una vita qualunque: Randy non avrà altra scelta che tornare a recitare il proprio ruolo nella tragicommedia del wrestling/capitalismo, anche a scapito della propria esistenza. Proprio come gli Stati Uniti.