Homo habilis e linguaggio
Due recenti scoperte rappresentano una potente verifica sperimentale per le ipotesi che Marx ed Engels avanzarono a proposito dell'evoluzione umana, dallo stadio scimmiesco, a quello produttivo, quindi sociale. Un tempo, con in mente la Bibbia più che la realtà, si pensava che l'uomo fosse un animale specifico, e che i diversi resti fossili non fossero altro che vari stadi dell'evoluzione di un unico ceppo. Le scoperte successive rivelarono piuttosto una ramificazione, lungo la quale alcuni tipi umani si estinsero, ma rimase la convinzione che il tronco evolutivo fosse unico.
Ora l'analisi dell'impronta del DNA di un osso neandertaliano rivela che la differenza con noi è tale per cui non vi possono essere antenati comuni. La verifica attuale ripete un esperimento condotto precedentemente su altre ossa e i due risultati si confermano a vicenda. Perciò la quindicina di specie di ominidi che formano l'attuale classificazione potrebbero non essere per nulla parenti, così come l'uomo di Neanderthal non è il nostro parente di un ramo estinto ma un altro tipo di uomo.
La scoperta dà un bel colpo alle persistenti credenze in un mondo in cui l'uomo sarebbe comparso come fine della natura stessa, il che significa far rientrare dalla finestra il creazionismo uscito dalla porta. La genealogia che si sta precisando ci mostra l'uomo attuale percorrere un cammino parallelo a tante altre specie simili e, come nel caso dell'uomo di Neanderthal, per nulla "inferiori". Quindi la grande specie dominatrice dell'universo non è il risultato di un'unica robusta pianta con tanti rami, di cui sarebbero sopravvissute le "razze" attuali, ma una delle 15 specie (almeno) che avrebbe potuto estinguersi come le altre 14 e lasciare il mondo agli altri animali, probabilmente con beneficio di questi ultimi. Di sfuggita notiamo che anche in questo caso si dimostra la non-esistenza di razze umane, essendo le caratteristiche esteriori ininfluenti rispetto all'unicità del ceppo genetico.
L'obiezione di prammatica è che "noi" siamo più intelligenti e che quindi siamo giustamente sopravvissuti perché siamo i più adatti; ma un'altra scoperta dimostra che questa ipotesi pecca di enorme presunzione antropocentrica perché la questione va del tutto capovolta: l'uomo è diventato intelligente perché è sopravvissuto e non viceversa. L'intelligenza viene per ultima, prima vengono molte altre cose, come appunto aveva ipotizzato Engels in un sintetico e chiaro passaggio in Dialettica della natura.
In Cina è stato trovato un manufatto di pietra - e questa è la seconda scoperta - in un contesto perfettamente databile risalente a 803.000 anni fa. Poiché prima si ipotizzava che nel suo movimento verso l'Asia l'ominide del ramo orientale non avesse raggiunto l'abilità che il suo antenato africano aveva nel frattempo maturato, si pensava di conseguenza che l'abilità nel fabbricare manufatti dipendesse da condizioni locali, anche se in altri territori l'unità di stili e di tempi smentiva questa logica.
Il manufatto, un'amigdala, è perfettamente lavorato, come i suoi corrispondenti dei vecchi siti africani ormai classificati da tempo. Ciò significa che, essendo escluso uno scambio a quella distanza, uomini lontani hanno maturato capacità di produzione indipendente in tempi simili e, siccome quello specifico oggetto non era un utensile (non presenta mai tracce di usura da utilizzo) pur essendo, come e più di un utensile, difficile da costruire (bisogna battere la pietra in maniera del tutto anti-intuitiva), si suppone che servisse in interazione con altro, forse nel contesto di qualche rituale, su cui però è meglio non fantasticare.
Ciò che risulta certo è che l'intensa e complessa attività necessaria per costruire questi oggetti con tecniche complesse e raffinate ha contribuito ad affinare la sensibilità della mano e, attraverso il sistema nervoso, a stimolare lo sviluppo di alcune specifiche parti del cervello. Infatti sono state individuate sull'interno dei crani le impronte del cervello corrispondenti all'area di Broca, quella utilizzata per il linguaggio. In un ominide che non è anatomicamente in grado di parlare, l'area del cervello a ciò deputata può solo dimostrare che la produzione materiale stessa era linguaggio, ne anticipava la forma attuale, stava "facendo" umano l'uomo.
La potenza dell'indagine dialettica sui fenomeni è dimostrata dal fatto che Engels, pur conoscendo la milionesima parte di ciò che conosciamo noi oggi sull'evoluzione umana, anticipò il fatto che la sequenza doveva essere produzione-mano-cervello-linguaggio e che questi momenti interagivano, mentre la scienza ufficiale vi giunge solo oggi e solo a causa di scoperte sul campo, quindi con metodo del tutto empirico, induttivo. Del resto è evidente che, se il pensiero non è di origine soprannaturale, la materia vivente deve poter registrare, nella sua stessa struttura, sequenze di movimenti e azione fisica su altra materia, le quali si stabilizzano negli organi del lavoro come la mano, e poi nel cervello, diventando poco per volta architetture ordinate che preludono al linguaggio.
Probabilmente quelle stesse forme che permisero a Noam Chomsky di parlare di una "grammatica innata", a Konrad Lorenz di studiare comportamenti altrettanto registrati nell'istinto degli animali e a correnti pedagogiche (come ad esempio quella montessoriana non degenerata) di osservare nei bambini fenomeni che non potevano essere dovuti a mero apprendimento. Che dunque non va inteso come innatismo spirituale, metafisico, ma in senso del tutto materialistico e dialettico.