Necrologi affrettati
L'apparente contraddizione fra la maturità del capitalismo e l'arretratezza della preparazione soggettiva del proletariato attraverso il suo partito politico, oggi inesistente, si risolve nell'essenza del comunismo, che non è un'utopia o un'ideologia tra le altre e non è per nulla cadavere, ma è un movimento reale verso il futuro.
"Le notizie sulla mia morte sono state di gran lunga esagerate", commentò Mark Twain leggendo il proprio necrologio sui giornali. Che il comunismo sia morto è opinione diffusa, ma l'opinione è altra cosa rispetto alla dimostrazione. Certo, dal lavoro di Marx ed Engels in poi, il termine comunismo è stato messo a dura prova dalla storia, sono nati diversi "marxismi" e ancor oggi esistono nel mondo migliaia di partiti e gruppi comunisti che vi si richiamano. Tutti diversi e, nello stesso tempo, quasi tutti assai simili. Se il comunismo fosse davvero quel misto di utopia, pragmatismo politicantesco, democrazia, parlamentarismo, partigianesimo, statalismo ecc. che oggi ormai si crede esso sia, la sua scomparsa sarebbe un vantaggio per il cambiamento sociale. Ma il comunismo, fortunatamente per l'umanità, non è una paccottiglia del genere.
Oggi un incontrastato "ordine" borghese sembra regnare non solo a Varsavia e a Berlino, come si disse in tragiche circostanze, ma dappertutto. Un comunismo adulterato si adegua a questo ordine vivacchiando in una pletora di organismi, specie lontano dalle metropoli. Ciò nonostante sappiamo benissimo che non è finita qui.
Non appena il comunismo - che, come vedremo, è in realtà cambiamento materiale che si svolge continuamente sotto i nostri occhi - avrà degli effetti evidenti dal punto di vista sociale, spunteranno come i funghi politiche "comuniste". Vi sarà anche l'espressione politica della rivoluzione in corso, e avrà difficoltà ad affermarsi rispetto ai "vecchi orpelli" (Marx), ma in un primo tempo verranno soprattutto riesumati i vecchi cadaveri, imbellettati e rimessi in circolazione, spesso presentati come novità assolute. Un po' com'era successo nel '68 e, con esiti opposti, nel febbraio del 1917 in Russia.
Questa dello pseudocomunismo è una risorsa collaudata, efficace per ricondurre nei ranghi della politica tradizionale un movimento che volesse lanciarsi verso il futuro spazzando tutto ciò che lo intralcia. Non c'è ritegno in "politica": hanno chiamato "comunismo" il più efficiente poliziotto anticomunista dell'ordine costituito che sia mai esistito nella storia, potrebbe succedere ancora. Nessuno riesce a fregare gli operai meglio dei riformisti di ogni specie, che vengono chiamati al governo quando altri falliscono, almeno da quando gli Scheidemann e i Noske si offrirono spontaneamente come "cani sanguinari" nella repressione dei moti rivoluzionari tedeschi del 1919 (e la definizione se la dettero da soli).
"L'ordine regna a Berlino. Stupidi sbirri! Il vostro ordine è costruito sulla sabbia", scrisse una grande rivoluzionaria pochi giorni prima di essere assassinata dai soldati di Noske. L'ordine è transitorio come uno stato poco probabile della materia. Ordine, caos e nuovo ordine sono determinati a susseguirsi finché l'umanità non sarà riuscita a rendere operante ciò che da tempo la distingue dal regno animale: il rovesciamento della prassi primordiale della natura, il progetto.
Ogni fascismo, in fin dei conti, non è altro che il realizzatore pratico delle vecchie e inconcludenti politiche riformiste, ed è naturale che le seconde trascendano spontaneamente verso il primo, per poi esserne massacrate, ormai inutili. Storicamente il fascismo viene dopo la democrazia, perciò è più moderno, più progressivo. Non per niente ha perso militarmente la guerra ma l'ha vinta sul piano politico ed economico. Oggi l'intelligenza politica sta dalla parte del vincitore delle guerre d'un secolo, cioè l'America, che predica il liberismo economico per gli altri e pratica il controllo e la pianificazione mondiale dell'economia a proprio vantaggio. Questo sì che è riformismo vero, cioè fascismo, altro che le camicie nere o brune. Con le vecchie e tronfie borghesie nazionali d'Europa a far da cane da guardia ai rispettivi proletariati; "stupidi sbirri" per conto terzi, terrorizzati ogni volta che Zio Sam alita sui tassi, agita petrolio sul muso di chi ne è senza o getta un po' di bombe per chiarire all'universo la vecchia questione del manico e del coltello.
Forse un giorno, quando l'umanità sarà finalmente libera di scrivere la propria storia senza pregiudizi ideologici, sarà chiaro perché in questo secolo sono state forti le ideologie partigianesche e antifasciste. Perché il fascismo c'è, ed è forte. La borghesia non può permettersi di lasciare l'immensa rete economica mondiale in mano al capitale privato, né può permettersi di alleggerire il controllo preventivo sul proletariato.
La controrivoluzione esiste perché la rivoluzione è un fatto reale, presente nella dinamica del cosiddetto progresso. I fatti sociali sono sempre complementari. L'America sembra contraddire la legge, ma non è così. Là non ci sono mai stati grandi partiti operai, né riformisti né rivoluzionari perché, da una parte, per ragioni storiche, non c'è bisogno di sbirri intermediari e corporativi come in Europa; dall'altra, perché il partito della rivoluzione, in quel contesto di altissima e moderna forza produttiva sociale, già da più di un secolo non potrebbe più essere a struttura democratica (e quindi intrinsecamente riformista) in quanto lo è già lo Stato, che varò a fine '800 i primi bill e act contro il capitale selvaggio. Non si può, infatti, neppure lontanamente immaginare, per gli Stati Uniti, un partito rivoluzionario sul modello "politico" di quelli europei. Il partito rivoluzionario in America, quando si svilupperà, non potrà che essere organico e centralizzato, come un'industria che supera sé stessa, strumento ottimizzato ad un fine, che in questo caso sarà la società nuova. Per quanto sembri assurdo, c'è più comunismo oggi nell'America pragmatica, quacchera e bacchettona, che nella vecchia filosofica Europa.
Qui si vive di luce riflessa e di briciole che cadono dal tavolo dell'imperialismo maggiore. La "libidine di servire" l'esistente sistema con le vecchie attrezzature non morirà finché non morirà il sistema stesso. Perciò la scossa decisiva verrà da Ovest e camminerà verso Est, come da sempre afferma la nostra scuola (anche la Russia saltò come anello debole del capitalismo europeo in crisi, e in seguito saltò la Cina).
Siccome il comunismo non è un'idea, ma un movimento reale che da parte borghese occorre contrastare con strumenti reali, l'ambiente europeo sforna quello che sa, cioè la vecchia e puttanesca politica piena di ideologie e di compromessi, di grandi sistemi teorici e di piccoli battibecchi bizantini. In tale contesto, siccome la storia non ci ha fatto il piacere di forgiare un termine nuovo e più potente per definire ciò che Marx intendeva per comunismo, utilizzeremo tranquillamente quello classico per riprendere il filo. Il cambiamento rivoluzionario non è una questione di parole o di forme, ma di processi materiali e di forza. E non c'è bisogno di attendere un ipotetico futuro, questo cambiamento è in atto da sempre.
Il lavoro che questa rivista intende diffondere, iniziato ormai da più di vent'anni, si basa su premesse elementari e alla portata di chiunque: esse consistono nel rifiutare, togliere, neutralizzare il bagaglio ideologico stratificato sul significato di comunismo e riprendere l'indagine sui fenomeni sociali col metodo originario, straordinariamente confermato da tutte le discipline scientifiche successive.
Non è vero che la teoria rivoluzionaria scaturita dal comunismo sia "difficile". Il difficile consiste nella sua accettazione controcorrente, contro il conformismo politico imperante, non nella sua comprensione. Il difficile è smetterla di ripararsi sotto l'ombrello di qualche religione, rivelata o laica che sia, con le sue divinità, i suoi paradisi e i suoi profeti. Il comunismo, in quanto dottrina, va affrontato come parte integrante della scienza umana, nella sua incessante spinta verso livelli più potenti. Il mondo è più interessante, vario e pieno di cose da conoscere rispetto a quanto i chierici di ogni risma siano disposti ad ammettere sulla base dei loro vangeli autocostruiti e perciò autoreferenziali. E il comunismo è anche lotta incessante per un futuro libero dalle chiese, dai chierici e dai loro metodi, è la soluzione degli enigmi che un tempo si cercava di risolvere con le ipotesi della filosofia, ed è consapevole di essere questa soluzione, dice Marx, come la scienza moderna è consapevole di essere la soluzione dei problemi che in antico venivano affrontati con la religione e la filosofia.
a Neue Rheinische Zeitung, il primo periodico comunista, cui diedero un contributo fondamentale Marx ed Engels, nacque non tanto per stigmatizzare la politica borghese esistente, quanto per denunciare la critica presunta socialista ad essa. Attraverso un'indagine materialistica dei fatti, si dimostrava, direttamente e indirettamente, che la critica "socialista" era pur sempre condotta per mezzo delle categorie filosofiche e ideali esistenti, quindi borghesi. Il sistema esistente veniva invece criticato dai comunisti non dal suo interno, cosa impossibile da farsi, come fu poi dimostrato anche dalla moderna epistemologia, ma ponendosi al di fuori di esso, ad un livello più alto.
Oggi non avrebbe senso una continua critica nei confronti delle migliaia di organizzazioni grandi e piccole che rivendicano quello che chiamano comunismo. Ognuno può verificare dai loro programmi, sulla base della teoria già consolidata, quali siano le differenze o le somiglianze tra di esse e quale sia la coerenza con la teoria. Attenendoci rigorosamente al significato originario di "comunismo", ci occuperemo di rilevare a che punto sia il lavorio della rivoluzione all'interno di questa società e a che profondità siano giunte le gallerie micidiali scavate dalla vecchia talpa sotto i pilastri del vecchio sistema. Come si è già capito, porteremo chi avrà la pazienza di seguirci a porsi una sola questione, fondamentale quanto semplice: che cosa si debba intendere effettivamente per comunismo. Siccome ne deriva una saldatura indissolubile fra prassi e teoria, di qui, e soltanto di qui può venire anche la risposta rispetto a che cosa occorra fare per essere coerenti con l'accezione originaria.
Dopo il declino della Prima Internazionale Marx fu costretto ad affermare di non essere marxista. Era ancora in vita che già si tendeva a trasformarlo in una "icona inoffensiva". Engels non ce la fece ad arginare lo sviluppo dei "marxismi", e la sua battaglia intorno alla nascita della Seconda Internazionale fallì in partenza. Lenin ebbe la possibilità, offerta da una rivoluzione di immensa portata, di unire la teoria delle trasformazioni sociali, scaturita dal moderno capitalismo, alla prassi dettata da condizioni arretrate. Contribuì a fondare la Terza Internazionale. Morì forse in tempo per non esserne travolto. Stalin fu, dalle stesse condizioni, innalzato ad artefice della massima controrivoluzione anticomunista della storia. Trotsky dovette regredire, dal rango di grande "attaccante" della rivoluzione armata, ad avvocato difensore della stessa. Le sue arringhe finirono per utilizzare argomenti democratici, pre-marxisti. Altri militanti furono spazzati via dalle guerre civili, dai plotoni di esecuzione o semplicemente dall'indebolirsi della memoria storica.
Il ricorso ai nomi dei vari personaggi va considerato alla stregua di utile semplificazione, ed è una dannazione che gli uomini siano costretti a ricorrere troppo spesso agli "ismi" con radice personalizzata. A rigore non dovrebbe esistere un "marxismo". Gli studi di Marx accompagnarono una rivoluzione della forza produttiva sociale, cui egli contribuì né più né meno degli scienziati della sua epoca. La conoscenza collettiva della specie si avvale di reti di relazioni, non di immaginarie genialità separate dal tutto. D'altra parte questa rivoluzione fu prodotto e insieme fattore di teorie scientifiche, per cui l'insieme delle scoperte lasciò un segno irreversibile nella vita della specie stessa, al di là dei nomi dei protagonisti. Tra l'altro, tutto ciò fa parte del processo comunista e non può certo essere considerato "morto".
Marx chiamò "comunismo" il movimento concreto di demolizione dei vecchi rapporti di produzione e delle vecchie ideologie, e chiamò "comunisti" coloro che avrebbero dovuto rappresentare il futuro del processo. La classe salariata sarebbe stata lo strumento principale di quel processo, ma solo in quanto capace di superare la condizione di classe per il Capitale e divenire classe per sé. Per questo, nel 1848 con Engels, scrisse non un saggio sociologico ma il manifesto del partito rivoluzionario. È da allora che il concetto di partito, per i comunisti, si distingue da quello di organizzazione, di raggruppamento secondo opinioni compatibili tra loro. Per noi organizzazione politica e partito non sono sinonimi, anche se il partito comunista ha la sua organizzazione, anzi, le sue organizzazioni. Il comunismo si contrappose da subito alle vecchie utopie, così come una realtà avanzante travolge i miti. La nuova teoria riconobbe subito di far parte di un processo che era globale: mentre Marx ed Engels davano mano alle ruspe in campo sociale, osservavano con soddisfazione il contemporaneo crollo dell'edificio basato sull'immutabilità della natura e delle specie viventi. Il partito storico era in azione. Ed era un fatto del tutto pratico, indipendentemente dal fatto che Darwin, Lyell, Maxwell e altri scienziati avessero un determinato modo di opinare sulla società.
Le battaglie, per quanto riguarda il mondo matematico e fisico rivoluzionato, punteggiarono la ricerca come sempre, ma a nessuno venne in mente di creare movimenti scientifici hilbertisti, maxwellisti, boltzmanisti, hamiltonisti, peanisti, poincaristi ecc., mentre nei campi che coinvolgevano l'uomo e la sua mistica, come la biologia e le scienze sociali, nacquero per esempio i darwinismi, i marxismi e i loro contrari: religioni appena mascherate, con i loro dei e profeti che ancor oggi suscitano interpretazione, adorazione o viscerale avversione.
Nel tentativo di dare sistemazione teorica al superamento delle vecchie concezioni, Marx ed Engels presero appunti chiarissimi ed efficaci, per esempio nelle prime pagine dell'Ideologia tedesca: la rivoluzione non è frutto di frasi filosofiche, cui si possono soltanto contrapporre altre frasi; essa è frutto dell'industria, delle macchine, delle ferrovie, del telegrafo, delle classi, di un processo materiale che cambia effettivamente il mondo e che va conosciuto, anticipato nei suoi sviluppi ulteriori. È da questo processo materiale che scaturiscono il proletariato e il partito rivoluzionario moderni; scaturiscono cioè, allo stesso tempo, gli elementi distruttori della vecchia forma e artefici di quella nuova.
Quando si dice che il comunismo, identificato con una tremenda stagione politica che si affianca alle altre non meno terribili di questo secolo, è morto, si dice dunque un nonsenso. Quando si dice che il proletariato non c'è più, che la lotta di classe è tramontata per sempre, che il capitalismo ha stravinto, si capitola semplicemente di fronte alle speranze dell'avversario, alla sua propaganda.
Queste affermazioni, giustificate in campo borghese, rappresentano un vero e proprio collasso "militare" dal punto di vista comunista. Non fanno che ribadire l'approccio di tipo irrazionale, immanentista, al problema del divenire umano, che la borghesia vede necessariamente borghese in eterno. Il comunismo, nell'accezione originaria, si identifica con il divenire reale. Se il capitalismo ha stravinto, proprio per questo il comunismo non è morto affatto. Perché per Marx è il capitalismo che costituisce la base essenziale per il comunismo, essendo più di ogni altra forza sociale esistente la negazione di sé stesso. È il capitalismo al suo apice che sta lavorando di gran lena con tutti gli strumenti, modernissimi e carichi di potenzialità, al proprio superamento. Oggi questi strumenti - automi, reti informatiche, socializzazione massima del lavoro, industrie supercentralizzate, finanziarizzazione estrema, ecc. - hanno superato e sostituito le vecchie industrie, le vecchie macchine, le vecchie comunicazioni. Invece di piangere sui successi della borghesia bisognerebbe dolersi del fatto che essa non riesca a generalizzare ancora più in fretta le sue stesse realizzazioni. Perché con lo sviluppo della forza produttiva sociale viene tolto da sotto i piedi della classe capitalista il fondamento della sua stessa esistenza, per dirla con parole già dette.
La massa umana proletarizzata non è mai stata così numerosa nella storia dell'umanità e non è mai stata più di oggi soggetta alle fluttuazioni del capitale mondiale. Lungi dall'essere materialmente disgregata, come appare, essa si è oggettivamente saldata in relazioni invisibili ma formidabili, subendo la stessa sorte di tutti i traffici e di tutte le produzioni del mondo. Il quale mondo diviene sempre più un sistema globale sottoposto ad un'unica legge, quella della dominazione reale e non soltanto formale del Capitale. Aumenta a dismisura il numero delle persone che dipendono totalmente dal plusvalore estratto dal proletariato in senso proprio e distribuito nella società a mantenere smisurati settori di "servizi improduttivi" e una ancor più smisurata "sovrappopolazione relativa".
Dato che l'intera agricoltura del mondo è da tempo soggetta al controllo diretto degli Stati, lo stesso contadiname, serbatoio antico di tutte le controrivoluzioni della storia, è ormai ininfluente come classe specifica in una eventuale rivoluzione; non è ovviamente scomparso in quanto elemento anagrafico, anzi, è ancora numeroso, ma non rappresenta più una forza sociale in grado di influire come in passato e dar luogo ad una "questione contadina", cioè di suscitare particolari problemi di tattica nel processo rivoluzionario futuro. Le variegate classi contadine rientrano invece nel potenziale distruttivo di tutto l'insieme della massa dei diseredati della terra e questo fatto è enormemente più rivoluzionario della vecchia parola d'ordine "la terra a chi la lavora", del resto più populista che comunista.
La lotta di classe propriamente detta non muore mai. L'altissimo grado di sfruttamento raggiunto nei settori industriali e il completo controllo sociale dimostrano che la guerra incessante per ora è diretta dalla borghesia; ma l'aumento enorme della sovrappopolazione relativa dimostra per converso che la borghesia stessa si trova nella necessità di mantenere una massa enorme e improduttiva di uomini. Questa massa beneficia in un modo o nell'altro di un reddito sociale, ampiamente descritto nelle statistiche borghesi, che può derivare soltanto dalla distribuzione, spontanea o pilotata, di una buona parte del plusvalore prodotto.
Le Nazioni Unite calcolano che meno del 20% dell'umanità si dedichi ad un lavoro qualsiasi da cui ricavare un reddito per sé e la famiglia. In questo 20% sono compresi, oltre ai settori industriali e dei servizi, anche i contadini, i milioni di bambini e di donne schiavizzati, i vasti settori di produzione a bassissima intensità di capitale, il piccolo commercio. Questo solo dato di fatto ha di per sé implicazioni immense, perché evidenzia tre punti fondamentali: primo, che la massa dei senza-riserve è aumentata di fronte ad una espropriazione che ha eroso numericamente le altre classi; secondo, che l'apparente complicazione sociale dovuta al proliferare delle classi "spurie" è in realtà una semplificazione di classe quando si tenga conto della grande divisione tra umanità con-riserve e umanità senza-riserve; terzo, che il tempo sociale di lavoro per la riproduzione della specie è enormemente diminuito e che quindi il tempo di lavoro potrebbe essere drasticamente abbattuto immediatamente eliminando le attività inutili e dannose. L'umanità è già potenzialmente libera dalla pena del lavoro salariato.
La condizione particolare in cui si trova il proletariato occidentale non è nuova. Il fatto che abbia delle riserve e che riesca ancora a beneficiare di un differenziale di salario rispetto al proletariato di altri paesi è un fenomeno già descritto da Marx e da Lenin a proposito del proletariato inglese della loro epoca. Si tratta certamente di un abbrutimento da venale corruzione sociale, come disse Lenin, oppure, come disse la corrente comunista cui ci riferiamo, di "colcosianesimo industriale", dato che il colcosiano russo, nonostante conducesse un'esistenza miserabile non solo dal punto di vista materiale, era ideologicamente legato alla terra, aveva qualcosa da perdere rispetto al puro proletario e ne traeva forme di difesa politica. La condizione del proletariato in Occidente spiega certamente la sua mancanza di combattività di classe, ma non è un fatto che autorizzi teorie speciali. È vero che oggi larghi strati di proletari occidentali hanno ciò che in altri tempi - o altrove ancora adesso - si otteneva con dure battaglie. Ma non è, e non può essere, un dato definitivo. La condizione di questi proletari si confronta oggi direttamente con quella di tutti gli altri proletari in un mondo globalizzato, e se le condizioni di vita non sono già peggiori è perché gli Stati intervengono per evitare tensioni sociali.
Le considerazioni di un comunista non possono dipendere dalla durata dei cicli sociali all'interno di un modo di produzione dato. Questi cicli possono preparare fenomeni molto più esplosivi di quelli del passato. È assurdo farsi un'immagine distorta della classe operaia, mutuata dall'epoca in cui essa era assolutamente minoritaria in una società strapiena di contadini, artigiani, servi, bottegai e altri strati sociali indefiniti, e pretendere che oggi si comporti secondo questo archetipo del tutto soggettivo e arbitrario. È assurdo porre le questioni di tattica come erano poste, nell'ipotesi migliore, durante il periodo della degenerazione della Terza Internazionale. È assurdo immaginare il processo rivoluzionario futuro come una ripetizione pura e semplice di quello passato. Di quel periodo rivendichiamo certamente l'insegnamento e le positive realizzazioni, ma soprattutto ne distilliamo le anticipazioni, così ben evidenziate e studiate nella battaglia della Sinistra Comunista detta impropriamente "italiana" in difesa del comunismo.
Come si può dimostrare che certe statistiche sulla scomposizione di classe sono mere esercitazioni sociologiche della borghesia, così si può dimostrare facilmente che è del tutto fuori luogo l'impressione soggettiva della de-strutturazione di una "classe operaia residua" da parte delle nuove tecnologie e dei nuovi assetti industriali. Di "residuo" c'è solo l'assai comodo adagiarsi sui luoghi comuni. A parte il fatto che bisognerebbe rifiutare un certo linguaggio rivelatore e interessato della propaganda avversaria, chiunque abbia un minimo di esperienza di organizzazione sindacale sa benissimo che non esistono limiti alle forme di lotta escogitabili e che il successo della lotta stessa non dipende dalle forme possibili.
In Corea, Indonesia e altri paesi d'Oriente si sono succeduti recentemente scioperi di vasta portata nonostante le leggi restrittive e condizioni assolutamente avverse (risposta militare dei governi). Negli Stati Uniti, esempio più importante ancora e paradigma delle lotte future, vi sono stati importanti scioperi di cui qui nessuno ha parlato. Solo il grande sciopero della UPS (grande corriere di consegne) è stato così vasto ed è durato così a lungo da comparire anche sugli organi d'informazione europei. Una situazione molto particolare e tipica di questa "nuova" classe operaia di cui tanto si parla, ha portato i lavoratori, profondamente divisi per interessi, sparpagliati per l'immenso paese, sempre in movimento sui veicoli e teleguidati a mezzo di apparati informatici, ad una battaglia esemplare. Essi hanno dimostrato di potersi organizzare e vincere non solo a dispetto della estrema divisione e inorganizzazione, ma proprio in virtù di essa, dato che per venire a capo della loro situazione hanno dovuto utilizzare al meglio i sistemi organizzativi ultra-tecnologici della stessa borghesia, cioè l'arma del nemico. Questo è un classico nella lotta quotidiana come nello sbocco rivoluzionario finale: anche la conquista dello Stato nemico e la sua distruzione sono seguiti dalla formazione di un altro Stato, quello proletario; e lo Stato in quanto tale è un'istituzione che appartiene alla borghesia, dato che l'umanità senza classi ne farà tranquillamente a meno. I lavoratori della UPS hanno saputo sfruttare al meglio le tecnologie messe a disposizione dal capitalismo, trovando immediatamente un'unità formidabile nonostante la fisica impossibilità di contatto, bloccando l'immane macchina di consegne nell'epoca in cui le industrie, lavorando just-in-time, hanno vitale bisogno di essere rifornite.
C'è per noi qualcosa di interessante nel fatto che migliaia di lavoratori possano organizzare picchetti volanti per mezzo di terminali collegati via Internet, ritrovarsi nei punti stabiliti tramite la rete di satelliti utilizzata dagli automezzi per seguire le mappe ottimizzate delle consegne (Global Positioning System, GPS), tenere tele-assemblee permanenti e così via. Non è un caso che proprio lo sciopero dell'UPS abbia obbligato gli esperti di organizzazione aziendale a prendere in esame l'intrinseca fragilità dei modernissimi sistemi integrati di produzione e distribuzione.
Valutare gli strumenti disponibili e la loro potenzialità è sempre stato un compito primario nell'organizzazione degli scioperi. Ora, proprio in questi giorni, le maggiori aziende del mondo stanno regalando computer connessi in rete ai loro dipendenti. Forse pensano che sia un ulteriore elemento di controllo sociale, o forse non pensano proprio a nulla, dati i tempi che infondono sicurezza al capitalista. Forse è vero che intendono soltanto fare un investimento nelle "risorse umane", come dicono, con una gigantesca operazione didattica sulle "maestranze". Ma se fossimo nei panni del capitale Ford, che ha preso l'iniziativa di questa politica fornendo a tutti i suoi 350.000 dipendenti un computer e un accesso a Internet, proveremmo un genuino terrore nel pensare alla possibilità anche remota che si colleghino tra di loro in una rete mondiale organizzata.