Che cosa è presente? E che cosa è già futuro?
I fisici hanno una bella espressione per definire il confine fra il mondo visibile e quello delle particelle: "Shifty split" (separazione ambigua, spaccatura indefinita). La utilizzano come metafora per descrivere l'antico errore consistente nel ritenere separato l'osservatore dalla realtà osservata, ma anche per spiegare che il nostro mondo visibile è sì in continuità con quello invisibile (è composto di particelle), ma nello stesso tempo è un mondo completamente diverso.
Quando si esegue una misura si dice per esempio: il tavolo è lungo un metro; come se in qualche modo il metro fosse già una proprietà del tavolo o dello strumento di misura Il fatto è che il metro è una nostra convenzione, fissata in un oggetto sul quale sono incise delle suddivisioni arbitrarie. Fra "sistema" e "apparato", fra tavolo e chi lo misura con lo strumento in mano, vi sono relazioni complesse. Ogni cosa interagisce con l'altra e persino le parole per descrivere la realtà ne dipendono, assumendo un significato diverso a seconda della loro storia e del loro utilizzo. Per questo l'uomo ha dato luogo a scuole e discipline che necessitavano di linguaggi appropriati, conosciuti e condivisi da tutti i seguaci.
L'espressione è stata utilizzata a proposito del mondo delle particelle, che non è trattabile con i criteri tradizionali, ma il concetto si può estendere a tutto l'universo del conoscere: un flipper che spari la pallina con un perfetto sistema elettromeccanico dovrebbe produrre sempre lo stesso risultato, mentre sappiamo che ciò non può essere a causa delle piccole imperfezioni nel sistema. Esse si potrebbero ridurre, per esempio misurandole e agendo di conseguenza. Ma procedendo verso una precisione sempre più accurata si giungerebbe prima o poi a intervenire a livello atomico e quindi scatterebbe la necessità di utilizzare criteri che finora, in mancanza di spiegazione migliore, sono considerati adatti a un altro mondo. Il flipper meccanico tradizionale, newtoniano, ha proprietà intrinsecamente probabilistiche pur soggiacendo ad una ferrea logica deterministica. Einstein rifiutava la concezione dei due mondi e, da buon teorico della conoscenza, cercò per tutta la vita il modo di dimostrare che non solo il tavolo, chi lo misura e il metro, ma anche tutte le parti dell'intero universo rispondono alle stesse leggi.
Marx ebbe a che fare con una difficoltà analoga mezzo secolo prima dei fisici. Si accorse subito, adottando il suo nuovo metodo, che il Capitale si concretizza in denaro, che il denaro è una misura di valore, che il valore è tempo di lavoro a sua volta misurabile in denaro, quindi valore… e così via. A complicare le cose c'è il fatto che il denaro ha un suo valore intrinseco in quanto merce vendibile, che il prezzo di tutte le merci oscilla intorno al valore per cause aleatorie dovute all'azione degli uomini, che questi ultimi non badano al valore ma adoperano solo il prezzo per compiere misure sulla loro economia, che il denaro può anche non esistere come "oggetto" e che, infine, nelle merci è contenuto, col valore, un rapporto sociale.
Perciò Marx, nel tentativo di individuare una legge generale del tipo di quella ricercata da Einstein in fisica, riordinò il materiale conosciuto fino ad allora, a partire dalla complessità del capitalismo. Si avvide così che questo modo di produzione era un sistema completamente diverso da tutte le società che l'avevano preceduto e a sua volta la società futura sarebbe stata completamente diversa dal capitalismo. La questione richiedeva un approccio scientifico moderno, sulla base di astrazioni ad alto livello da cui partire per formalizzare un modello generale. Di qui si sarebbe poi potuto discendere, tramite astrazioni di livello sempre più basso, fino al meccanismo della società così com'è.
Essendo il capitalismo un sistema molto complesso, è anche intrinsecamente caotico per questa ragione, poiché ogni sua componente interagisce con le altre e non è possibile, a livello del concreto, individuare in esso delle strutture ordinate su cui eseguire calcoli. Come non ha senso misurare un metro con un altro metro, così non ha senso misurare un valore con il valore. Occorre rapportare tutto ad un'unità di misura esterna al sistema. Attraverso queste osservazioni Marx scoprì che si poteva fondare una buona teoria della misura economica basata su leggi, che permettesse formalizzazioni cioè calcoli e previsione. Come il metro è una convenzione che gli uomini si son data per misurare tutto il resto, così il tempo di lavoro medio necessario a produrre le merci è una convenzione per misurare il loro valore. Il tempo di lavoro medio per produrre una merce è un'astrazione, ma senza dubbio la somma di tutti i tempi per produrre tutte le singole merci dà il valore totale ed è rilevabile nella realtà. In questo modo si ha a disposizione un punto di partenza materiale e inconfutabile per stabilire che il prezzo è un elemento aleatorio scientificamente inutilizzabile, mentre la somma dei valori da cui trarre un valore medio cui si rapportano per forza tutte le merci è un elemento su cui fondare scientificamente una teoria. Tanto inconfutabile che i borghesi, mentre continuano a maneggiare prezzi e a perdersi nelle dinamiche non lineari del capitalismo, sono costretti ad utilizzare la somma dei valori come riferimento fondamentale per il confronto delle economie parziali di ogni paese del mondo.
La legge fondamentale del capitalismo, in quanto sistema dinamico complesso, ci permette di dimostrare che vengono messi in moto meccanismi con retroazione positiva, come l'accumulazione (plusvalore che ritorna nel ciclo produttivo e produce ancora più plusvalore), e di aver bisogno di meccanismi con retroazione negativa per non esplodere a causa dei suoi eccessi, cioè non morire (crisi e distruzione di capitali in esubero). Il capitalismo moderno ha quindi avuto bisogno di escogitare meccanismi di equilibrio per compensare la sua natura del tutto caotica, anarchica, squilibrata. Marx individua la contraddizione suprema del capitalismo in questa tendenza ad andare contro la sua stessa natura, di spingere al massimo la forza produttiva sociale e, nello stesso tempo di soffocarla. Questa è la contraddizione che genera le forze che lo abbatteranno, in primo luogo una classe che è l'unica fonte di tutto il plusvalore e l'unica in grado, per la prima volta nella storia, di eliminare non solo la vecchia classe dominante ma tutte le classi.
Come si vede ce n'è abbastanza per spingere i comunisti verso l'indagine su tutti i fenomeni che anticipano la società nuova, quindi che rappresentano già la shifty split, la separazione ambigua con essa. Dal Manifesto in poi, i rivoluzionari non si sentono più realtà separata e non fabbricano più utopie da presentare all'altrui attenzione: anticipano una realtà conosciuta, perché il fine non è scindibile dal percorso per giungervi.
Tra l'oggi e il domani, tra le due classi storiche avversarie, vi è una terra di nessuno difficile da esplorare ma che si deve conoscere, dato che da Lenin in poi i comunisti chiamano "di transizione" il carattere specifico della fase moderna del capitalismo. Chi vi si avventura rischia di trovarsi sotto il fuoco amico oltre che nemico, ma non si può avanzare stando nei bunker.