L'invasione

Il mondo barbarico non vinse quando fece le sue scorrerie né quando attaccò i ben muniti e fortificati limes dell'impero di Roma. Vinse quando l'impero ebbe bisogno di uomini e questi arrivarono, chiamati, a lavorare le terre e soprattutto ad ingrossare le legioni. Al crollo dell'impero i protagonisti interni della catastrofe erano già quasi tutti barbari, compreso l'imperatore.

I barbari non ci sono più, anche se sopravvivono negli articoli dei giornali e soprattutto nella fantasia del piccolo borghese che ha paura gli sparisca l'argenteria dalla villa. Il capitalismo ha livellato il pianeta, ed essendo ormai unico il modo di produzione il travaso di popolazioni è solo movimento di quella speciale merce che si chiama forza-lavoro. Essa non si muove sotto i riflettori delle televisioni rischiando la vita sui gommoni o sulle carrette del mare: arriva alla stazione col treno. E' questa la merce che forma statistiche a sette cifre, non qualche migliaio di disperati, spesso vittima di tutte le mafie del mondo.

Nel maggio scorso, The Economist ammise finalmente che all'Europa servono più operai immigrati. La tesi per niente sottintesa era che, in un mondo di libero mercato, l'ideale sarebbe avere anche frontiere aperte alla libera compravendita della forza-lavoro. A basso prezzo, naturalmente, dato che cinque miliardi di abitanti, non tutti in grado di alimentarsi decentemente, si confrontano con il restante miliardo in grado di sprecare alla grande.

L'Europa e l'America hanno bisogno di braccia e nello stesso tempo la loro popolazione vorrebbe chiudere le porte all'immigrazione. Col solo risultato di renderla clandestina. Haider e i nazionalisti dei vari paesi sono nel mirino dei socialdemocratici del vecchio continente, ma intanto le agenzie di sondaggio tengono d'occhio i motivi dei loro successi schedaioli indipendenti dalle etichette politiche. I popoli sono sensibili alle invasioni.

Il governo italiano si allinea con qualche ritardo all'autorevole periodico britannico e tramite il presidente del consiglio fa sapere che se non arriveranno lavoratori a basso costo non ci saranno neppure i soldi per pagare le pensioni. Improvvisamente fioriscono gli esperti d'immigrazione. Bisogna eliminare alla radice il traffico dei gommoni e delle carrette del mare, dei vagoni merci e dei container, non reprimerlo con operazioni di polizia. Siamo seri, bisogna fare come in America, là ne arrivano 800.000 all'anno (più 300.000 clandestini ben organizzati da fiorenti industrie del passaggio di frontiera); al solito, basta copiare da chi si è dovuto organizzare prima. Si aprano uffici di immigrazione alla fonte.

Qualche dilettante che vuole sparare sui gommoni albanesi è subito zittito: qui si lavora, la tolleranza zero l'applicheremo in casa, non sul mare. Persino i destri di AN, persino la Lega Nord, prendono posizione: lavoratori a basso prezzo sì, clandestini delinquenti no. Come se si diventasse lumpenproletario per disposizione innata; come se il gradino sottostante a quello del lavoratore a basso prezzo fosse il risultato di un "libero arbitrio"; come se un disperato non diventasse facile preda per chiunque offra uno straccio di attività pagata, nel campo di pomodori o nel campo della droga. Il dibattito s'accende di toni aspri, ma questo è folklore montecitoriano. Le poche migliaia di clandestini transitano attraverso i paesi d'Europa seguendo traffici e parenti: i milioni arrivano senza sollevare chiacchiere e si fermano.

In Europa occidentale gli operai dell'industria e dei servizi diminuiscono soprattutto a causa della continua ristrutturazione dei processi produttivi. Ma diminuiscono anche perché la popolazione operaia europea non fa figli e invecchia. Nei prossimi cinquant'anni, dice The Economist, solo per ovviare al decremento demografico, occorreranno 1,6 milioni di operai esteri all'anno. Per sostituire i pensionati e garantire il flusso dei contributi ne occorreranno 13,5 milioni all'anno. Non è un errore di stampa: più di 15 milioni di lavoratori all'anno in tutto, calcolati sulla base del livello di vita medio europeo di oggi. Senza tener conto di eventuali bisogni dell'economia in mezzo secolo, di variazioni nell'assetto dell'occupazione, di aumenti nella durata media della vita, ecc. E dunque – aggiungiamo noi - bisognerà sfruttare a basso costo almeno 15 milioni di lavoratori in più all'anno per mantenere l'attuale livello di vita agli europei che vivranno di qui al 2050. L'origine dell'aristocrazia operaia non è una favola senza radici materiali. Ma che succederà realmente agli operai europei?

L'immigrazione odierna non è come quella storica, che riempì le Americhe, né somiglia a quella del periodo di ripresa economica postbellica che interessò il Nord Europa; oggi non sono possibili, data l'ampiezza e l'oggettiva incontrollabilità del fenomeno, politiche di assimilazione, che richiederebbero troppo tempo. L'incremento di popolazione dovuto a elementi difficilmente integrabili potrebbe far scoppiare non solo un problema di ordine pubblico dovuto ai malavitosi, come temono le piccole borghesie gelose dei loro privilegi, ma anche uno scontro sociale causato da una concorrenza insostenibile sui salari: i lavoratori europei potrebbero attribuire il peggioramento delle loro condizioni di vita ai concorrenti, come spesso succede, ma una guerra fra poveri potrebbe anche trasformarsi in forme di solidarietà. Come leggiamo sull'ineffabile Sole-24Ore, non si può escludere "qualche indesiderabile effetto soprattutto sul tema caldo del mercato del lavoro e della distribuzione dei redditi degli operai". Insomma, la borghesia teme la lotta di classe anche quando non se ne vedono le avvisaglie.

Geminello Alvi su Repubblica fa presente che i fautori ad oltranza del libero mercato dovrebbero, per essere coerenti, alzare l'offerta di salario, e vedrebbero come per incanto molti giovani italici desistere dal rifiuto del lavoro; del resto, non sono i liberisti accaniti a sostenere che il gioco della domanda e dell'offerta è una legge economica basata sul prezzo? La provocazione cade nel vuoto perché è proprio la legge del mercato che le varie borghesie nazionali paventano: sia che porti più profitto creando problemi sociali, sia che ne porti di meno con l'aumento dei salari. D'altra parte, lasciando fare alla libera concorrenza, nessuno può sapere fino a quando i proletari d'occidente potranno sopportare di perdere giorno dopo giorno le posizioni raggiunte nel passato.

La soluzione non c'è: la sovrappopolazione relativa è un fenomeno mondiale, tipico di questo modo di produzione, e non ha nulla a che fare con l'ordine pubblico o con le teorie neo-malthusiane di controllo delle nascite. Marx la chiama relativa perché, anche se la popolazione mondiale fosse la metà di quel che è, vi sarebbe sempre un sovrappiù di uomini: il rapporto percentuale dei lavoratori produttivi rispetto al resto della popolazione sarebbe sempre lo stesso, dato che in relazione all'alta forza produttiva della società attuale vi sono troppi uomini. Perciò l'umanità dovrà convivere col fenomeno finché esisterà il capitalismo e affrontare il fatto che un numero calante di produttori dovrà mantenere un numero crescente di persone nullafacenti o addette ad attività improduttive, inutili o addirittura dannose.

L'Europa "dei dodici" ha 331 milioni di abitanti, e gli immigrati "regolari" sono circa 17 milioni in tutto. In Germania ve ne sono 7,5 milioni, segue la Francia con 4,2 milioni, l'Inghilterra con 2,5 (anche la piccola Irlanda, fornitrice storica di emigranti, ha attualmente un alto tasso di sviluppo e necessita di 200.000 immigrati nei prossimi sette anni). L'Italia è al quarto posto con 1,5 milioni di immigrati regolari, dei quali 240.000 giunti solo nel 1999 (111.000 dall'Europa orientale); nel biennio 1999-2000 ne saranno assunti circa 200.000, specie nell'industria e nell'edilizia (53.000 operai specializzati), su di un totale di 800.000 assunzioni (delle quali il 40% saranno a tempo determinato, cioè precarie).

Nonostante queste cifre, alla fine del 2000 vi saranno 2,6 milioni di disoccupati secondo il calcolo ufficiale, ma 6 milioni tenendo conto della totalità delle persone in età di lavoro e senza occupazione. La sovrappopolazione relativa è difficile da calcolare, ma se dai dati sull'occupazione togliamo i servizi improduttivi ("non destinabili alla vendita", secondo la definizione canonica), abbiamo ufficialmente 11 milioni di lavoratori produttivi su una popolazione di 58 milioni. Naturalmente bisogna calcolare che anche nell'industria più produttiva una gran parte dei dipendenti svolge mansioni di per sé improduttive, come la vendita, il marketing, l'amministrazione, la sorveglianza, ecc.

L'immigrazione aggraverà il fenomeno dell'esuberanza di uomini e non eliminerà la pressione dall'esterno sui paesi a capitalismo maturo. L'unico modo per eliminare tale pressione sarebbe quello di varare un programma gigantesco di investimenti diretti nei paesi d'origine degli immigrati al fine di portare lo sviluppo locale al livello di quello occidentale, ma ciò è impossibile, non solo perché i capitali utilizzabili a tal fine semplicemente non ci sono, ma perché, se fosse realistica una soluzione del genere, che effetto farebbe sul mondo capitalistico una Cina, con un miliardo e mezzo di abitanti, dedita ad una produzione del tipo di quella che ebbe il Giappone nella sua ascesa come potenza industriale? La crisi capitalistica di sovrapproduzione non è una favola marxista.

Anche la Germania ha i suoi problemi. E' l'avamposto dell'Est, come l'Italia è il pontile europeo sul Mediterraneo dove attraccano le barche dei clandestini di tutti i popoli rivieraschi. In quanto avamposto è stata presa particolarmente d'assalto quando è crollato l'Est europeo, ma finora la sua lunga esperienza di immigrazione le ha risparmiato problemi sociali. Leggiamo sempre sul Sole - 24 Ore che anche il futuro tedesco in questo campo sarà incerto: "Le migrazioni di lavoratori dall'est Europa creeranno forti pressioni sul mercato del lavoro interno e grosse tensioni sulla coesione sociale. E sarà proprio il più ricco tra i mercati europei, la Germania, a dover fronteggiare il flusso più massiccio di lavoratori dai dieci paesi dell'Europa centro-orientale quando la loro adesione alla UE avrà rimosso le ultime barriere all'immigrazione: circa 220 mila persone l'anno cercheranno una collocazione stabile in Germania".

Queste previsioni hanno già prodotto effetti politici, dato che la sensibilità tedesca al problema dell'immigrazione è, come altrove, una leva elettorale. La Germania riceve già 600.000 immigrati all'anno ed ha perciò chiesto con molto anticipo, in deroga ai trattati, l'imposizione di restrizioni alla circolazione delle persone nel periodo dell'estensione dei trattati ai sei paesi dell'Est oggi candidati. Non è un caso che i negoziati fra l'Unione Europea e questi ultimi si sia impantanato particolarmente sui capitoli dedicati alla mobilità del lavoro. La forza-lavoro è una merce che si deve poter scegliere sul libero mercato: nello stesso momento in cui chiede controlli e restrizioni per i lavoratori generici, la Germania ha lanciato un appello urgente, tramite il suo cancelliere, perché arrivino al più presto 20.000 programmatori esperti di reti proprio dall'Europa orientale e dall'India. Gli Stati Uniti, come al solito primi sul mercato delle tecnologie, avevano comprato in massa i programmatori russi: erano molto bravi, costavano un decimo di quelli americani e non erano avvezzi alla contrattazione del loro prezzo, un vero affare.

Provenienza dei dati:

  • "In due anni un'occupazione a 200.000 extracomunitari", Il Sole-24Ore, 26.4.2000.
  • Vittorio Da Rold, "Immigrazione, sfida europea", Il Sole-24Ore, 5.3.2000.
  • Vitttorio Da Rold, "L'allargamento UE porterà 220.000 immigrati all'anno in Germania", Il Sole-24Ore, 21 .5.2000.
  • "Europe needs more immigrants", The Economist, 6.5.2000.

Rivista n. 1