Potenza dell'omologazione

I sinistri c'erano tutti al Gay Pride: Veltroni, Bertinotti, Cossutta. Finiti i bei tempi di Baffone, quando non c'era bisogno di questuare voti e gli omosex si spedivano in Siberia. C'erano le bandiere verdi, quelle rosse con falce e martello e persino quelle liberali. Come al 1° Maggio, festa di San Giuseppe, dove la polizia non è più quella di una volta ma sfila in testa, prima della banda cittadina, dei gonfaloni con le medaglie, delle maschere e dei trampolieri. Gli operai in coda per favore.

Le rappresentanze degli omosex li rappresentano meno di quanto facciano i deputati col popolo, si sono autoproclamate tali, ma tant'è: questi sono tempi di coalizioni e un errore di immagine ti spedisce all'opposizione. Il PC di Palmiro tuonava contro il trasformismo, ora siamo al travestitismo. La libertà? Suvvia, si cercano aderenze schedaiole. Ne siamo sicuri più che della caduta del saggio di profitto.

La Chiesa dice quel che deve dire, e il dibattito s'alza subito di tono. Laicità dello Stato! Rispetto della Costituzione! L'Arcigay habla con tono e scrive il suo manifesto: "E' una questione politica e sociale non più aggirabile. Gay, lesbiche e transessuali hanno alzato la testa prendendo in mano le loro vite in un processo inarrestabile di liberazione". Un rappresentante dell'Arcigay dichiara in televisione che "l'omosessualità è un fenomeno moderno". Che cultura sublime. Cossiga, che conosce i greci antichi, commenta: "Essere gay capisco, ma arcigay mi sembra esagerato". Superiorità dei destri storici sui sinistri suonati. Il vecchio Scalfari, seriosissimamente come suol fare, aderisce alla marcia in cui "duecentomila persone sfilano ordinatamente e senza incidenti, unite nella richiesta di diritti civili fondamentali, di riconoscimento e di libertà".

Duecentomila da tutto il mondo. Ordinati e debitamente omologati. Sui giornali appaiono solo foto di omacci borchiati, bellocce in pose debitamente pruriginose, danzanti travestiti un po' fru-fru e soprattutto articoli inneggianti alla normalità, come quelli che ti dicono: in fondo negri ed ebrei sono brave persone.

Milioni di lesbiche e gay davvero normali stavano facendosi i fatti loro altrove, fregandosene dei diritti e dei carnevali, trattando il sesso per quello che è: una pratica da godersi in pace. Ma ciò non è interessante per le feste mediatiche.

Più che l'orgoglio omosessuale trionfa il luogo comune. La Chiesa, che ha una pazienza millenaria e sa trarre a sé le pecorelle smarrite, fa dire ai vescovi: l'amore non è peccato, purché sia casto e monogamico. Rispondono i capi del movimento omosex: niente è più casto e sicuro di un'unione registrata come si deve, sottoposta finalmente alla legge, come tutto il resto. "Chiediamo il riconoscimento legale delle relazioni d'amore e il diritto di fondare una famiglia a cui sia riconosciuta piena dignità sociale" proclama il manifesto dell'Arcigay. E come no: vogliamo anche noi la coppia indissolubile, il tran-tran domestico. Siamo tutti buoni cittadini che pagano le tasse e hanno il diritto alla loro quotidianità. Vogliamo - è detto in un’intervista - diritti legali che ci permettano, come a tutti i coniugi, di lasciare e ricevere eredità in caso di morte. Suona un po' lugubre, ma ci voleva: non aveva forse detto il vecchio Engels che proprietà, famiglia e Stato vanno a braccetto?

L'omosessuale storico, da Saffo a Proust, quello che ha spesso influenzato l'arte del suo tempo, che ha sferzato le omologazioni, che ha considerato di una noia mortale il sesso senza peccato, si rivolta nella tomba.

Rivista n. 1