Le prerogative di Dio
L'intero pianeta è come un immane laboratorio in cui innumerevoli elementi bio-chimici prodotti dall'uomo siano lasciati alla sperimentazione spontanea nella dinamica dell'ambiente. La multinazionale che progetta e brevetta combinazioni genetiche nuove è solo uno dei fattori che danno vita al laboratorio globale. Lo scatto di fase verso una nuova società non farà scomparire tale laboratorio ma la sua anarchia, le sue finalità e il tipo di conoscenza cui i suoi criteri sono improntati. La genetica sociale capitalistica ha clonato cervelli capitalistici e questi non possono, in quanto organi individuali, pensare contro l'ideologia dominante anche se la contestano. A meno che l'individuo-cellula non vada a far parte di un organo-cervello-sociale che già esiste e che è proiettato fuori da questa società. Da Marx in poi, questo organo si chiama "partito storico".
In questo primo articolo affrontiamo le questioni di metodo nell'approccio al problema delle biotecnologie, in un secondo, nel prossimo numero della rivista, tratteremo le questioni relative alla ricerca e alla sperimentazione.
Le tecniche di manipolazione genetica sono pericolose per l'uomo? Il loro impatto sulla natura può dar luogo a fenomeni imprevedibili e disastrosi? Sono quindi da combattere? Oppure sono una conseguenza logica e utile della ricerca scientifica in uno dei campi del conoscere?
Combattere è una parola multiuso: combatte la sua anonima battaglia di classe l'operaio che quotidianamente difende il valore della sua pelle sul mercato del lavoro, e combatte una battaglia interclassista per esempio chi, armando schiere di salutisti e specialmente di famelici avvocati, chiede "risarcimenti" miliardari alle multinazionali del tabacco dopo aver fumato per una vita senza troppi pensieri.
Perciò la questione va posta subito al di fuori del dibattito in corso fra i sostenitori del sì, quelli del no e quelli del "ragionevole dubbio": il capitalismo non è in grado, con le sue merci, né di sfamare le popolazioni della terra, né di avere una conoscenza globale dei fenomeni che innesca, compresi quelli sociali in cui sono coinvolti tutti i giudici improvvisati, interessati o neutrali, dei fenomeni stessi. D'altra parte è semplicistico ricercare la "colpa" dei disastri sociali e ambientali in qualcuno o qualcosa: gli uomini non sono "contro" la natura, come se fossero un qualcosa che non ne fa parte; L'umanità, compresa la sua società capitalistica con biotecnologie e tutto il resto, è un prodotto della natura come lo sono i vulcani, i terremoti, le alluvioni e i cancri. Si mobilita il mondo degli ex fumatori volontari contro le multinazionali tabagifere, e tace, contro tutte le altre multinazionali altrimenti patogene, il mondo dei morituri involontari. Tutto questo baccano così selettivo è frutto di pulsioni che vanno e vengono, mentre sarebbe necessario soffermarsi sulla natura dei fenomeni e chiedersi perché duri così a lungo una società che è ormai un involucro non più corrispondente al suo contenuto, secondo la bella osservazione di Lenin.
L'uomo è penetrato nella materia inerte distruggendo l'antico dualismo che la contrapponeva all'energia; non poteva di certo fermarsi di fronte alla materia vivente e, svelando i suoi segreti, ha distrutto anche l'altro e più importante dualismo: quello fra corpo e spirito, fra aggregati di cellule e pensiero. L'attuale modo di trattare le biotecnologie è dunque un passaggio necessario che sarà utile anche alla società futura? E quali pericoli è possibile prevedere di qui ad essa?
Le risposte non sono semplici, come invece sembrerebbe alla lettura dei surriscaldati interventi dei campi avversi. Ma anche i non specialisti possono – soprattutto rifiutando l'atteggiamento crociatista che si basa su certezze inesistenti – inquadrare in modo sufficientemente chiaro il problema. Non esistono campi che ognuno di noi non potrebbe frequentare: l'importante è non mettersi a discutere su impulsi sentimentali, opinioni "personali" e appartenenze a parrocchie varie, ma su dati oggettivi, sapendoli individuare. D'altra parte non è sufficiente studiarsi tutta la biologia molecolare per venire a capo del gran polverone biotech: troviamo degli accademici schierati in entrambi i campi, anche se in genere essi tendono a conservare lo stipendio adattandosi. E questa volta tutti coloro che hanno l'abitudine di citare i santi marxisti per trovare la ricetta a tutto sono spiazzati: l'ingegneria genetica, come la relatività e la meccanica quantistica non somigliano a niente che essi abbiano affrontato. Qualcosa si trova nei testi della Sinistra Comunista, ma i fabbricatori di icone se ne stanno alla larga, non sono cose che servono alla politica.
Sappiamo però che Marx studiava sodo sui risultati scientifici del suo tempo, Engels approfondiva alla grande, Lenin era un divoratore di libri scientifici e i nostri vecchi compagni della Sinistra erano i più curiosi di tutti sulle modificazioni della forza produttiva sociale dovuta al capitalismo stramaturo. Engels, come risulta dalla corrispondenza, legge Darwin nel 1859 e scrive a Marx:
"E' proprio stupendo. Per un certo aspetto la teleologia non era stata ancora sgominata e lo si è fatto ora. E poi non è stato ancora fatto un tentativo così grandioso per dimostrare uno sviluppo storico della natura. Naturalmente bisogna passare sopra al goffo metodo inglese" (12 dicembre 1859).
Marx legge il libro esattamente un anno dopo e a sua volta commenta:
"Ecco il libro che contiene i fondamenti storico-naturali del nostro modo di vedere" (19 dicembre 1860).
Osserviamo: 1) "E' stupendo"; Engels esprime il suo entusiasmo per una capitolazione della borghesia di fronte alla teoria rivoluzionaria che nel '59 era già completamente sviluppata nel suo schema generale. 2) "La teleologia non era ancora stata sgominata": in effetti la teleologia (finalismo mistico) era già stata sgominata dal metodo che ora chiamiamo impropriamente marxista, anche se qualcuno doveva ancora applicarla al campo del vivente in senso evolutivo biologico. 3) Il "goffo metodo inglese": critica del metodo induttivo, cioè quello dell'osservazione empirica, che porta Darwin a scrivere montagne di pagine di osservazioni sul campo per poter giungere alla deduzione fondamentale (Engels dirà che induzione e deduzione sono inscindibili, e Darwin, che non era un fesso qualsiasi, alla fine non scinde, ma, senza poter disporre di una teoria di riferimento, fa una fatica immane). 4) Il "nostro modo di vedere" ha dunque un riscontro da qualche parte nel mondo, indipendentemente dalla nostra presenza, come fatto determinato dalla società stessa. Se siamo deterministi-materialisti-dialettici ecc. dobbiamo essere sicuri che è così; sta a noi scovarne le tracce e utilizzarle, magari anche noi con un po' d'entusiasmo, che non guasta.
Stabilito che possiamo fare affidamento sul metodo, dove troviamo, nel caso specifico a proposito delle biotecnologie, un riscontro col "nostro modo di vedere"?
Doppia faccia della hybris
Possiamo risalire ai concetti fondamentali della biologia molecolare attraverso testi di scienziati, oppure attraverso certa buona letteratura scientifica divulgativa; possiamo ricorrere ai super-siti delle università attraverso Internet; possiamo utilizzare la critica che i vari autori si fanno reciprocamente; ma "il nostro modo di vedere " non lo troviamo e non lo possiamo trovare nel singolo scienziato del giorno d'oggi.
Marx aveva un solo Darwin da mettere a confronto con la nuova teoria rivoluzionaria, beato lui; il biologo molecolare odierno che ci riverberi materiale adatto per verificare la teoria è, ahinoi, sparpagliato in decine di individui, giusta la natura specifica non locale del cervello collettivo.
Messe le mani avanti e stabilito il preciso quadro di riferimento, non ci arrendiamo affatto, senza entrare ovviamente in un dibattito impregnato di una mistica contraria ad ogni materialismo, compreso quello illuministico dei grandi rivoluzionari borghesi.
Dalla mole di materiale documentario raccolto sulle biotecnologie abbiamo estratto una manciata di articoli che, pur affrontando in svariati modi il problema, confermano gli aspetti di misticismo. Il più vecchio di essi risale al 1975, vale a dire alla preistoria delle discussioni sull’argomento, ma dimostra che già allora il dibattito aveva assunto forme crociatiste, anche se non ancora esasperate. Lewis Thomas, l'autore, è un medico specializzato in ricerche sul cancro e autore di un celebre volume sulla cellula. Si tratta di un americano, e non a caso: infatti in America il pragmatismo del business ha demolito più che altrove le vecchie strutture "culturali" e convive, nello stesso tempo, con un forte bisogno del mito e dell'irrazionale.
Il suo articolo inizia con un paragrafo sulla hybris, ed è proprio il ricorso a questo concetto-chiave l’elemento comune a tutti gli articoli. Il termine è della Grecia arcaica e mitica, non ha un corrispettivo moderno e si può rendere soltanto attraverso una parafrasi: si tratta della presunzione di potenza tipica dell'uomo tracotante, il quale, nei suoi atti, giunge ad offendere le leggi generali della specie e degli dèi, meritandosi l'inesorabile punizione. Anche il mito ebraico registra uno spettacolare caso di sfida-castigo con l'episodio della Torre di Babele. Una versione positiva di sfida agli dèi è la hybris prometeica che, al di fuori del mito, possiamo paragonare al cammino che l'uomo sta facendo e farà per procurarsi non solo il fuoco - cioè l'energia, la forza produttiva sociale - ma, con questo, soprattutto la definitiva libertà dal bisogno.
Nel nostro caso la hybris ha a che fare con gli ibridi biogenetici e può darsi che anche l'assonanza non sia casuale; forse il latino hybrida, che designa una persona nata da genitori di condizione o razza diverse, ha origine nella comune base indoeuropea. Sta di fatto che Greci e Romani arcaici consideravano barbari i figli avuti con individui non autoctoni e a questa progenie non era permessa la vita pubblica. Con ciò contrasta l'Olimpo greco-romano, dove notoriamente gli dèi partorivano ibridi accoppiandosi non solo con gli umani ma anche con gli animali e le piante.
La mitica hybris si presenta dunque anche oggi, quando l'uomo, che già si nutre da millenni di ibridi naturali dopo aver selezionato e incrociato le specie, vuole aggiungervi quelli artificiali, ottenuti manipolando le strutture genetiche. Ovviamente la distinzione non è basata su criteri scientifici perché in entrambi i casi si tratta di ibridi ottenuti con arte dall'uomo e non prodottisi in via spontanea; ma, secondo l'immaginario popolare, proprio gli ultimi sarebbero estranei ad una sana vita dell'uomo. Il significato generale di "ibrido" è: "costituito da elementi di natura diversa, specie se non risolti in una superiore unità" (dal Dizionario Sabatini-Coletti). L'uomo moderno, intimidito di fronte alle sue stesse realizzazioni, vede negli organismi modificati geneticamente dei pericolosi elementi di natura estranea alla tradizione, "non risolti nella superiore unità", come recita il dizionario, non tanto perché "mostruosi" in sé stessi quanto perché si crede non si armonizzino con tutto ciò che esiste.
Hybris sarebbe dunque l'atteggiamento degli scienziati che vogliono imitare gli dèi nel modificare la natura. Ma diciamo pure che è anche, nello stesso tempo, l'atteggiamento di chi attribuisce agli scienziati il terribile potere di farlo. Chi dice "giù le mani da Dio" è più reazionario di chi vuol fare semplicemente soldi con le biotecnologie.
E' vero che in questa società gli scienziati sono degli apprendisti stregoni che non badano a ciò che possono scatenare, e sono pronti a giustificare qualsiasi cosa a pagamento, come si conviene in una società in cui l'unico valore è il valore di scambio; ma il movimento di critica è ad un livello viscerale, e di scientifico non ha neppure l'apparenza, specie quando il dibattito si svolge a botta e risposta sulla base di argomenti identici. Non a caso nascono i partiti "trasversali": scienziati che diventano mistici e mistici che si atteggiano a scienziati, autentici simboli di quest'epoca bolsa.
Nel dibattito non si può entrare, se non si vuole far parte della congrega. L'uomo ha spaccato la terra e ne ha tratto il cibo. L'ha spaccata ancor più a fondo e ne ha tratto i metalli e altre cose utili. Poi ha spaccato gli atomi e la faccenda è sembrata un po' troppo ardita: trarre energia dalla materia era già cosa da dèi. Spaccando l'atomo si era entrati nell'intimo della materia-energia, si erano liberate potenze cui l'uomo prima aveva sacrificato corpi disintegrati nelle esplosioni nucleari e poi anime che, nel teorizzato "equilibrio del terrore", avevano finito per avere sempre più terrore dell'equilibrio, chiedendo ordigni di potenza crescente, fino a immagazzinarne quantità più che sufficienti a polverizzare diverse volte la Terra. Ma la razionalità, vacante in campo militare, suggeriva positive conquiste, come l'energia atomica che illuminava le città e muoveva le fabbriche. Così anche allora c'era chi prendeva partito, finché un gigantesco problema scientifico fu ridotto al dibattito da taverna, concluso poi in una disputa schedaiola.
Ora, maneggiando DNA ricombinante (la ricombinazione genetica è alla base dell'ereditarietà sessuale naturale e la troviamo in tutti i fenomeni biologici) ed entrando nella cellula del vivente si va ad intaccare direttamente l'anima, e il vecchio homo insipiens teme il castigo più che mai. E poiché si lavora in quel senso per ottenere nuove strutture della vita, di fronte a tanto qualcuno non ha più resistito: quella è prerogativa di Dio, qui si vuol creare, come afferma parte del movimento anti-biotech americano. Ma c'è chi applaude all'aumento della produzione agricola e all'efficacia della medicina, che sarebbero l'unica via per non lasciar morire di fame e di malattia milioni di persone.
Nelle dispute nascono arbitri e anche in questo caso non potevano mancare coloro che si mettono a scrivere regole morali. E siccome anche i codici di bioetica si moltiplicano a seconda delle opinioni, finiremo di nuovo tutti alle urne per stabilire, a maggioranza, se la biotecnologia sia opera di Dio piuttosto che del Maligno. Questo sì che sarà un criterio democratico.
Non c'è modo di sapere, in ambito capitalistico, se le biotecnologie sono utili all'umanità o meno. Ci sono, vengono utilizzate, si fanno investimenti giganteschi, se ne prevedono profitti conseguenti. Le sorti dell'uomo come individuo rientrano in questo schema, le sorti dell'uomo in quanto specie non sono contemplate nel sistema delle merci. La legge del valore opera rispetto alle questioni umane ponendole a zero.
Per essere allarmati rispetto a quanto succede alla specie e all’ambiente non ci sarebbe bisogno di andare a cercare malanni supplementari creati in laboratorio manipolando DNA. Ci sono già quelli creati dal corso capitalistico delle cose che rendono malato tutto il pianeta. Inquinamento e distruzione dell'ambiente provocano azioni bio-molecolari a livello patologico che si manifestano continuamente sulla biosfera, quindi sull'intero mondo vivente, compresa l'estinzione di migliaia di specie. Il capitalismo è la vera malattia artificiale odierna della Terra, ma sembra che nessuno pensi al fatto che il nostro pianeta, nei suoi quattro miliardi e mezzo di anni di vita, è riuscito a sopportare, e a superare, catastrofi ben più gravi. La prima estinzione di massa, per esempio, fece scomparire nel Permiano il 95% delle specie esistenti; milioni di anni dopo, alla fine del Cretaceo qualcosa provocò l'estinzione dei dinosauri. Nessuno sa ancora esattamente se ciò avvenne per motivi intrinseci alle specie o per cause ambientali indipendenti. Nel caso dei dinosauri qualcuno accusa la loro enorme mole, il basso rendimento energetico, la distruzione dell'ambiente, altri ipotizzano la caduta di un asteroide. Se paragoniamo l'umanità attuale con le specie delle passate estinzioni, dobbiamo osservare che le biotecnologie sono solo una fra le tante potenzialità di disastro artificiale, probabilmente meno deleterie di quelli naturali che hanno provocato le estinzioni passate.
Ad ogni modo, nel mondo dell'informazione attuale, tra le cause di potenziale disastro ecologico emergono solo quelle che provocano effetti eclatanti, che diventano casi immediatamente trasferibili alla cosiddetta opinione pubblica tramite i media, e che vengono trattati in modo del tutto riduzionistico, cioè puntando l'obiettivo sul particolare, isolando causa ed effetto in quel punto da tutta la catena deterministica, così da apparire sporadici, riferibili a qualcosa di specifico, addirittura a qualcuno.
Patologie specifiche del modo di produzione presente
Le vittime del salto di specie della patologia detta della "mucca pazza", per esempio, non devono dir grazie a un batterio, a un virus o a un gene artificiale ma semplicemente a una proteina, una mera catena molecolare che già esisteva in natura ed era stata studiata presso una tribù che praticava il pasto rituale del cervello dei morti. Ora, il ciclo di produzione industriale della carne l'ha fatta esplodere nello sviluppatissimo mondo della scienza. L’origine è nota, il processo anche, la legge ha disposto il rimedio. Si davano in pasto ai bovini alimenti contenenti residui del ciclo di macellazione degli ovini, cioè si dava carne agli erbivori. Il risultato immediato era l'accrescimento della produzione di carne, e nessuno avrebbe potuto sapere, neppure attraverso le prove di laboratorio, che ad anni di distanza si sarebbe formata una proteina micidiale in grado di attaccare anche il cervello umano. Il salto di specie della patologia non era contemplato dalla miope conoscenza capitalistica, dato che anche un virus, per quanto anch'esso di struttura molto semplice, possiede l'informazione genetica per replicarsi, mentre la proteina del morbo in questione, anche priva di materiale genetico è in grado di replicarsi e di infettare. Il fatto è che non c'è nessuna ragione per dare gli ovini in pasto ai bovini, se non per profitto. Persino l'antica magia avrebbe avuto qualche remora, e lo sciamano della tribù sopra ricordata avrebbe certamente preservato gli erbivori da cibi carnei evocando un tabù naturale, mentre il pasto cannibale avveniva almeno tra uomini, che sono onnivori.
L'anti-razionalismo degli attuali santoni naturisti non ha la giustificazione che poteva avere la magia antica: esso, come tutte le manifestazioni attivistiche esistenziali d'oggi, non arriva prima del danno, arriva dopo, con volgare procedimento induttivistico. L'esecrazione per gli effetti non ha senso se non si eliminano le cause, ma non solo i santoni, anche la scienza di quest'epoca può soltanto registrare dati e analizzarli a fatti compiuti; quindi può soltanto cercare di risolvere i problemi man mano essi si presentano, isolandoli in tal modo dal contesto. Non esistendo in questo modo di produzione un assetto della conoscenza impostato verso il futuro, gli uomini non possono far altro che correre ai ripari rispetto a quel che gli capita fra capo e collo. L'individuo che intuisse un pericolo nel mangiar carne, per prevenire guai avrebbe la sola alternativa di cibarsi di vegetali, anche questi non certo esenti da pericoli, compresi quelli "biologici" (che spesso sono semplicemente una truffa). Così come stanno le cose ci possiamo benissimo aspettare una qualche molecola di "pesce schizofrenico" o di "pollo depresso", visto che anche negli allevamenti ittici e avicoli vengono utilizzati scarti di macellazione, sangue, residui dell'industria alimentare. Sarebbe interessante sapere ciò che succede a certi celebri e speciali vitelli piemontesi da carne che vengono nutriti da secoli a uova di gallina. E non parliamo di ciò che i pesci "naturali" trovano in acqua.
La mistica antica aveva un senso: quando in alcune regioni dell’India i sacerdoti traevano vaticinio per i raccolti dalla dimensione dei ghiaccioli alle sorgenti del Gange, paragonati al fertile lingam di una divinità, ciò era razionale, perché era probabilmente la registrazione nei millenni che tanto ghiaccio a monte in inverno significava tanta acqua a valle per i campi in primavera. La mistica moderna non è all'altezza: se parla di cellule modificate vi vede un arbitrio contro natura, mentre noi e la totalità del mondo vivente siamo il risultato naturale di cellule mutagene che hanno dato corso all'evoluzione dell'intero pianeta. Per un ricercatore d'oggi una cellula che muta "spontaneamente" è cancro, mentre una che muta in laboratorio è progresso. Nello stesso tempo il cancro deve avere un agente assassino, la sostanza x, il virus y, la radiazione z, che il medico poliziotto deve cercare, catturare e processare.
Il cancro è stato trovato anche in mummie millenarie, non ha avuto bisogno né di un agente assassino né di manipolazioni genetiche per affermarsi gagliardamente in questa società: ha fatto da sé con quello che gli hanno messo abbondantemente a disposizione. Coloro che muoiono in seguito all'enorme incremento del numero dei tumori non devono ringraziare un agente specifico, altrimenti in sua presenza morirebbe chiunque fosse esposto alla sua azione, indipendentemente dalle "dosi" e salterebbero le eleganti disquisizioni degli oncologi sul concetto di probabilità.
Di agenti ce ne sono migliaia, e partecipano a una serie di concause complesse, catene molecolari e stati fisiologici prodotti dai cocktail micidiali assorbiti nella normale vita quotidiana, tra chimica, radiazioni, cibo e modo di vita, compresi gli elementi oncogeni naturali cui un tempo nessuno badava (raggi ultravioletti, radioattività naturale, muffe della farina, oli vegetali, virus, ecc.).
In questa fase capitalistica il pianeta intero è un laboratorio di sperimentazione biogenetica e la biosfera già presenta i risultati, come evidenziano mille studi parziali. Il laboratorio della multinazionale che sperimenta combinazioni genetiche nuove per brevettarle non è che uno degli elementi sociali di quell'intera rete complessa rappresentata dalla produzione e riproduzione tipica dell'umanità in questa fase della sua esistenza. E non è detto che sia il più pericoloso per il suo futuro. Lo scatto di fase in una nuova società non farà scomparire né il laboratorio dei ricercatori né il laboratorio-pianeta: farà scomparire il fine del primo con tutta la conoscenza cui i suoi criteri sono improntati (dal punto di vista umano il profitto è un non-fine); farà insomma del laboratorio di ricerca e del laboratorio-pianeta un tutto organico.
Pochi rivoluzionari, molti rattoppatori
A tutto ciò non si possono contrapporre teorie e azioni che si basano sulle stesse conoscenze che si vogliono criticare. A nulla vale agitarsi contro gli effetti di un capitalismo che mercifica tutto, compreso il cibo e la salute: un capitalismo che non lo faccia non esiste. E occorre pur chiedersi come mai non si veda all'orizzonte una forza che cresca per abbatterlo (e che ne sia in grado), mentre nascono come funghi i suggeritori di rattoppi. La genetica sociale capitalistica non poteva che fabbricare cervelli capitalistici e questi non possono, in quanto cervelli individuali, pensare contro l'ideologia dominante. Soltanto quando l'individuo-cellula va a far parte di un organo-cervello-sociale è possibile rompere con l'ideologia. Questo organo già esiste ed è proiettato fuori da questa società: da Marx in poi si chiama "partito storico".
Nel dibattito sulle biotecnologie i difensori della produzione capitalistica si piazzano meglio dei mistici e dei politici perché, qualsiasi cosa succeda, a meno che la rivoluzione non esploda, hanno già vinto in partenza contro l'opinione. Essi fanno parte del fenomeno produttivo, mentre i contestatori non ne sono l'antitesi ma l'epifenomeno, il sottoprodotto che fa da contorno decorativo. E' certo convincente dal punto di vista "scientifico" l'argomento secondo cui un elemento patogeno molecolare naturale ha bisogno di tempi evolutivi, cioè di milioni di anni, per raggiungere l'efficienza necessaria a nuocere, ed è certamente vero che non c'è nessuna differenza accertabile in laboratorio fra un ibrido naturale e uno artificiale. Ecco allora teoricamente dimostrato che i cibi transgenici non producono patologie ecc. Il progresso non si può fermare, dicono, si può soltanto regolamentare il campo, e questo, concedono, va fatto, come no. Hanno la sicurezza delle spalle coperte dalla potenza del Capitale.
A simili argomenti il mistico contestatore e il politico non sanno far altro che rispondere adoperando argomenti dello stesso tipo: voi volete farci mangiare cibi non sperimentati! Volete rimpiazzare la biodiversità con l'omologazione da monopolio! Trasparenza! Libertà di scelta cosciente! Mangeremo dunque prodotti sperimentati, non monopolistici ma lasciati al libero mercato, con etichette esplicative adatte a far valere la libera scelta secondo coscienza… e secondo il reddito.
E l'estremista: bisogna eliminare la ricerca biotecnologica finalizzata alla prevaricazione imperialistica, all'alimentazione artificiosa e al profitto! Parole grosse. Egli, con atteggiamento tipico della piccola borghesia avvocatesca che è madre di tutte le contestazioni riformiste, non riesce a coniugare i proclami con i modi concreti per metterli in pratica. Per questo spesso finisce a coltivare attività bombarole (esiste un terrorismo ecologico). La buona volontà dei governi dovrebbe riciclare le multinazionali trasformandole, da cellule dell'imperialismo globale, in fonti di ricerca umanitaria tesa a risolvere il problema della fame e della malattia. Favole. Finché il cibo, la terra, la malattia, saranno fonte di valore, si può star tranquilli che saranno parte integrante di un sistema che non può essere soltanto "contestato". E specialmente la malattia sarà meticolosamente accudita dal capitalismo affinché non scompaia mai, altro che prevenuta. D'altro canto anche la morte è un business non da poco: non solo perché prospera l'industria del defunto, ma anche perché il capitalismo è riuscito a dilazionare la morte nel tempo, facendo dell'anziano un oggetto di enorme mercato.
Nel dramma del mondo parti di fianco
Il citato articolo di Thomas ha il merito di far scattare il problema fuori dalla lizza ignobile del dibattito in corso, con un salto storico che abbraccia più epoche ed esclude dalla ricerca le partigianerie e le opinioni bollando con il potente termine hybris il ricercatore e ancor più il suo critico. E' difficile parlare delle biotecnologie in modo pacatamente scientifico, perché l'uomo antico che è in noi le affronta con in testa la hybris e non la scienza. Perciò l'autore, sostenitore dichiarato dell'ingegneria genetica, affronta il metodo e non l'argomento, per il quale non ci sono orecchie in grado di sentire. Operazione che i contestatori non possono fare, poiché, attribuendo agli ingegneri genetici anche ciò che sono ancora lungi dal saper fare (e forse non si può proprio fare) sono immersi fino al collo nella hybris rovesciata.
Come possiamo allora affrontare il problema senza cadere in una qualche forma di hybris? Un articolo della Sinistra sulla questione agraria è intitolato: Nel dramma della terra parti di fianco. Attacchiamo dunque con quella che gli strateghi chiamavano manovra avvolgente. Si dice nell'articolo citato: è facile dire "rendita", ma che cos'è? Il reddito del proprietario, dice l'economia politica. No, dice Marx, è plusvalore originato dai proletari e poi ripartito nella società. Senza l'operaio non c'è rendita moderna, anche se il processo di trasformazione non si vede (il prezzo delle merci agricole è esattamente salario, profitto e rendita, la quale è sovrapprofitto, quindi plus-plusvalore). E’ pura illusione che si possa stabilire per legge una determinata rendita, perché essa non dipende dalla persona del rentier o dai governi, ma dalla quantità di plusvalore disponibile per la ripartizione. Nella Questione delle abitazioni Engels dimostra che sarebbe una sciocchezza da parte degli operai organizzare sit-in davanti ai proprietari delle case per ottenere un abbassamento degli affitti, cioè della rendita: devono sostituire l'illusione con la forza, cioè con la lotta per un aumento di salario, in modo da risolvere il problema alla radice.
Allo stesso modo bisogna chiedersi se ha un senso chiedere alla borghesia e ai suoi governi di modificare la natura del cosiddetto progresso in ambito capitalistico, perché esso dipende dalla necessità di avere valore da distribuire nella società sotto forma di salari, profitti, interessi e rendite. Non esiste, in questa società, la possibilità di bloccare un'attività qualsiasi che prometta profitti: per un profitto normale il Capitale è disposto ad uccidere; per un sovrapprofitto è disposto a qualsiasi aberrazione che la mente umana sia in grado di concepire, e la legalità è un fattore ininfluente.
Il contadino può sentirsi allettato da proposte di alto reddito garantito per appezzamenti anche di poca superficie: i vivaisti gli propongono alberelli da carta e certi buontemponi anche alberelli da tartufo, ma le multinazionali biotech sempre più spesso sperimentano i vari tipi di ambiente per le loro colture. Il contadino non deve far altro che seminare vegetali transgenici sperimentali, seguirne la crescita e la maturazione, procedere al raccolto prima della fioritura e sotterrarlo sul posto. "Alto reddito garantito" significa alta rendita per il proprietario del terreno, che non deve far nulla, neppure vendere, solo intascare la sua piccola quota di plusvalore proveniente da altre parti. Il contadiname è il massimo agente delle multinazionali biotecniche, eppure nessuno fa sit in nelle campagne; o meglio, in America si fanno, ma per motivi opposti, cioè per chiedere che venga trasferito ancora più plusvalore ai "poveri" contadini. Così i proletari non solo vengono avvelenati, ma devono anche pagare gli avvelenatori.
Il fatto che da millenni noi non viviamo più di frutti della terra ma di frutti dell'uomo, piante o animali che siano, non impedisce alla hybris di prendere il sopravvento. La brassica silvestre, che è un'erba non più utilizzata come cibo, sta all'attuale grande verza invernale sua pronipote come la fragolina selvatica sta alla fragola da laboratorio ibridata col DNA del salmone per farla resistere al freddo. C'è una continuità "logica" fra verza e fragolona: entrambe non esistevano in natura. Eppure la grande verza che permise (insieme con il grano, il sale e il vino acido) alle legioni di Roma di conquistare mezzo mondo non ha inquinato la "natura" con i suoi semi e pollini. Non difendiamo affatto la fragola al salmone, ne facciamo benissimo a meno, ma è evidente che la hybris non proietta nel cervello dell'uomo una mera catena molecolare; il subconscio collettivo registra ancora un accoppiamento sessuale contro natura tra il salmone e la fragola, al pari di quello di Pasifae, che, accoppiandosi col toro, figliò Minotauro.
Naturalmente con questo armamentario del pensiero nessuno è in grado di stabilire se le biotecnologie sono bene o male. Qui si innesta (si ibrida armonicamente?) un discorso che facciamo da tempo: volete il capitalismo? E allora dovete per forza stabilire d'ufficio che la biotecnologia è bene, perché è utile nel contesto della società basata sul valore di scambio. Se qualche molecola impazzita vi farà ammalare, proprio le biotecnologie vi cureranno in bellissimi ospedali tecnologici, e il Prodotto Interno Lordo, questo nuovo idolo moderno che è solo un indice del valore prodotto ex novo, e non un indice di benessere come ci gabellano, salirà di conseguenza.
Nominiamo un bel comitato di gente seria e irreprensibile
La conoscenza umana è per sua natura inarrestabile. Da quando l'uomo ha incominciato a produrre, essa si basa in modo spontaneo sull'approfondimento dei risultati raggiunti; ma così facendo è obbligata ad espandersi in dominii nuovi. Il modo di produzione capitalistico si è imposto anche a causa dell'impulso impresso dal Capitale alla ricerca di strade nuove per la sua propria valorizzazione. Ma questo impulso è più forte di ogni altra considerazione perciò, se in un primo tempo tutta la scienza ne viene rivoluzionata, ad un certo punto il capitalismo stesso, contraddittoriamente, fissa la conoscenza raggiunta e frena la sua ulteriore espansione. E' ovvio che così vengano privilegiate le strade che conducono al profitto e ne vengano abbandonate altre che sono magari più promettenti per l'umanità; ma a questo punto il "dibattito" è già segnato da una serie di pregiudiziali. Quindi, dato che non c'è scienza in ballo ma interessi e opinioni su interessi, è ovvio si finisca nel solito rito democratico, cioè nella valutazione delle opinioni attraverso la conta del loro numero.
Sia gli scienziati che i contestatori sono immersi nel dilemma democratico e quindi si pongono il problema per loro reale: a chi tocca prendere una decisione? Al politico e al magistrato, com'è successo ad esempio con il caso Di Bella? Oppure nominiamo un bel comitato, di gente seria e irreprensibile, che potrebbe magari, sotto la spinta dell'opinione pubblica, decidere che sarebbe meglio spendere il denaro per una scienza più popolare? Perché non indire un bel referendum, come quello sull'energia nucleare che fece decidere al popolo fra petrolio e uranio? Questo, lo capiscono in molti, sarebbe un passo per non fermarsi più, in quanto farebbe sempre capolino qualche hybris sfruttabile a fini di concorrenza economica, politica o altro. E poi nascerebbero inevitabilmente laboratori clandestini ecc.
Teoricamente la modifica genetica artificiale non differisce da quella naturale, almeno per quanto riguarda il risultato. Molti insetti si riproducono con notevole polimorfismo, cioè dando luogo ad individui diversi a seconda di come avvengono la formazione delle uova (per fecondazione o per partenogenesi) e il trattamento delle larve, quindi agendo sui meccanismi genetici in modo del tutto naturale, adattando gli individui alle esigenze dell'insieme. Tutto ciò è considerato normale, senza scomodare i nazisti o la bioingegneria. Invece siamo generalmente turbati (e anche i più oltranzisti fra gli addetti ai lavori mettono le mani avanti) dal fatto che si possa con relativa facilità manipolare geni umani o ibridarli con quelli degli animali per ottenere cellule o individui transgenici brevettabili e commerciabili. Sconvolge l'idea che queste pratiche possano scombussolare l'equilibrio dei meccanismi genetici che regolano l'intero pianeta. L'umanità intera si ciba ormai di ibridi e, peggio, di poche decine di specie ibridate fra le migliaia che rappresentavano l'alimentazione umana tradizionale e che sono state abbandonate in pochi decenni per scarso rendimento. Ma la produttività delle specie estinte o in estinzione è scarsa solo in relazione a parametri di mercato; in un altro tipo di società sarebbe considerata con tutt'altri criteri, quelli nutrizionali, in primo luogo.
Quando si scopre una nuova fonte di conoscenza, in questa società diventa pura chiacchiera pretendere che si sappia in anticipo l'effetto della scoperta stessa. Così è velleitario pretendere che si "apra un dibattito" mentre si sperimenta nei laboratori segreti delle industrie biotech e chiedere che queste ultime rinuncino al brevetto delle tecniche ricombinanti dopo investimenti per miliardi di dollari. D'altronde, finché esiste questa società di rattoppatori, cioè di brancolatori nel buio, di assai parziali rovesciatori di prassi, è politicamente insulso sia gridare "al lupo!" che chiudere la stalla quando i buoi sono ormai scappati.
"Non stupisce che siamo depressi"
E' interessante il senso d'impotenza che scaturisce dall'articolo dell'autore citato. Egli si schiera contro la demonizzazione della ricerca ma è pieno di dubbi sulla soluzione in ambito democratico. Nota che comunque la conoscenza umana non si può fermare, quindi sarebbe meglio regolarla, ma solo quando si sospetti il pericolo. L'unica e profonda realtà scientifica di questa epoca, scrive, è stato lo spalancarsi di infinite possibilità di conoscenza. Ma nello stesso tempo si è avuta la verifica sperimentale di quanto sia ignorante l'uomo (capitalistico), di quanto creda di conoscere e di quanto poco invece conosca, e soprattutto sappia conoscere, sé stesso e la sua società. Per noi questa osservazione un po' socratica è la verifica sperimentale di un assunto teorico: lo sviluppo delle forze produttive apre nuove vie alla conoscenza, la tecnica e la scienza entrano a far parte della natura di questo modo di produzione e l'uomo capitalistico crede di poter continuare su questa strada all'infinito, mentre noi, al contrario, lo neghiamo. Nello stesso tempo in cui si svela un immenso campo di conoscenza, i rapporti sociali esistenti ne bloccano l'ingresso e l'uomo potrà entrarvi soltanto quando, rivoluzionati questi rapporti, cesserà di essere uomo borghese.
Certo, l'uomo borghese ha aperto la via alla conoscenza atomica, spaziale, cosmologica, biologica ecc.; ma si è fermato lì, non sa andare avanti. Utilizza conoscenze formidabili: ricombina DNA di tabacco con quello di topo per aggirare l'assuefazione indotta dalla chimica nei parassiti, ma per vendere sigarette cancerogene in cui mescola additivi onde aumentarne il potere di dare assuefazione; ibrida sequenze genetiche di specie diverse, anche fra animali e vegetali, ma immette sul mercato e nei nostri piatti cibi che un tempo avremmo sputato con disprezzo; clona animali che possono replicare inalterati caratteri specifici ottimizzati al fine della produzione e del profitto, ma deve poi fare i conti con intrinseche debolezze biologiche richiedenti trattamenti medici sempre più massicci. Non gli manca la scienza del particolare, gli manca quella del globale, che gli suggerisca cosa farsene delle meravigliose scoperte. Non a caso in campo medico avanzano strabilianti tecniche di rattoppo e trapianto mentre langue la comprensione della malattia, della sua origine, del suo stesso concetto.
"Questi sono tempi duri per l'intelletto umano, non stupisce che siamo depressi", scrive Thomas. Nel 1975 qui non si usava ancora gran che essere depressi, ma in America sì. Adesso ci stiamo globalizzando. Perché l'uomo capitalistico sia depresso è spiegato bene dallo scienziato: la causa consiste nel "non vedere una vera luce in fondo a nessuna galleria, non conoscere neppure una galleria in cui addentrarsi con fiducia". Ecco perché Bordiga chiamava "pionieri da vicolo cieco" gli eroi della cosiddetta conquista spaziale e preconizzava che l'uomo borghese se la sarebbe cavata meglio con le macchine, i robot.
Le macchine capitalistiche, l'intera tecnica e la teoria che la supporta, comprese le biotecnologie, sono una conquista per tutta l'umanità, la vera base materiale della futura liberazione dal bisogno. Ma la base dell'industria è nell'uomo che vi lavora, quindi nella terra che lo alimenta. Marx studiò a fondo il ciclo di produzione della terra, compresa la chimica agraria del suo tempo che ebbe il suo massimo esponente in Liebig. Riteneva positive le ricerche in quel campo e chiese ad Engels di procurargli il materiale necessario per fare il confronto fra il reintegro chimico e quello con i fosfati naturali. Si era all'inizio, quindi non si preoccupò delle esagerazioni velenose per l'intero ambiente, questo fu un problema successivo: la chimica agraria dell'epoca era ausiliaria del ciclo naturale e la "legge di Liebig" rispettava tale ciclo, oggi del tutto abbandonato. Non sappiamo nulla degli appunti su Liebig, che pure ci devono essere stati (nel Carteggio si parla di giornate passate a studiare al British e nottate a scrivere); quindi non sappiamo se Marx avesse già notato che anche in un ciclo ancora naturale la correzione del terreno sfruttato è sempre un rattoppo che non può continuare all'infinito. Secondo Liebig non l'aumento del lavoro applicato alla terra avrebbe fatto aumentare proporzionalmente il prodotto, ma l'integrazione chimica degli elementi sottratti. Marx fece notare che, nell’agricoltura intensiva, proprio il lavoro provocava l'impoverimento del suolo e quindi rendeva necessari gli studi sul suo reintegro chimico.
Da quel punto in poi, con il suolo sempre più impoverito dall'impossibilità di utilizzare la chimica come reintegro di minerali accessorio alla concimazione naturale, si innesca una catena di rimedi che alimentano un circolo vizioso: la terra richiede concime chimico, l'industria lo produce e lo impone ecc. Vengono prodotti concimi sempre più efficaci, pesticidi sempre più potenti, colture e animali si adattano sempre più all'uno e all'altro, finché i vegetali e gli animali da cibo non diventano così avvelenati e deboli che diventa necessaria la biotecnologia, come un tempo fu necessaria la chimica.
Bordiga approfondì in molti testi la questione della rendita capitalistica facendo anche tesoro dell'esperienza del padre, profondo conoscitore dell'economia agraria, e riportò le leggi di Marx ad una metafora: il capitale satiro violenta la terra vergine facendole figliare mostruosità. Ritorniamo al concetto originario sia di hybris che di ibrido. La terra, oltraggiata dalla cementificazione, dalla distesa di manufatti che la ricopre, dalle miniere che la perforano e dal ciclo chimico che mineralizza il suolo, si vendica producendo disastri. Il volume Drammi gialli e sinistri è impostato su questo assunto: nella società capitalistica non si può prevenire perché conviene investire, anche quando alla fin fine ci scappa la catastrofe, che è altro investimento per la ricostruzione. L'investimento è il vero criterio di conduzione delle politiche "agrarie": la terra non è più nelle mani del pater famìlias. Finisce per sempre l'usufrutto dell'uomo che tramandava ai posteri terra intatta, trionfa lo stupro irreparabile.
Una volta persa la verginità, la terra, intesa anche come pianeta, non tornerà mai più signorina, neppure con l'operazione plastica. L'uomo mangerà d'ora in poi il cavolo da due chili, la mela McIntosh, il grano ibridato e il vitello selezionato, non perché deciderà di farlo, ma perché molti degli originali sono ormai estinti e vi sarà costretto. Forse, per sfizio o per scientifico ragionamento, vorrà riprodurre il cavoletto selvatico, il grano neolitico o il Bos Primigenius, ma questa è un'altra storia, anche se comporta la perpetuazione delle biotecnologie fino ad allora.
Disastri in eredità
Se affrontiamo i problemi contingenti delle biotecnologie collegando le attuali singole tessere di mosaico all'intero quadro rappresentato dalla storia umana, anche futura, vediamo che l'insieme comprende la modificazione genetica, ottenuta per selezione antica o per manipolazione di DNA ricombinante. Non solo è stata irreversibilmente sverginata la terra, ma anche tutto il resto. Lo sviluppo delle forze produttive ha comportato questo e non altro. Finché la società sarà di tipo "naturale" nel senso di automatica e incosciente, non vi sarà nessuna coscienza di naturalista a fermare il processo di indagine, dai risvolti pazzeschi quanto si vuole, sulle possibilità di valorizzazione del Capitale in ambito biologico.
La biologia genetica è un prodotto dell'industria moderna come lo sono i robot e le reti telematiche; essa si avvale sia della fisica che delle tecnologie della comunicazione, e non è un caso che ormai siano fusi insieme i rispettivi metodi e formalizzazioni: un biologo molecolare odierno è nello stesso tempo un fisico delle particelle e un esperto di teoria dell'informazione.
Probabilmente la nostra rivoluzione erediterà una decina di miliardi di uomini per lo più non troppo in forma in un ambiente diventato ostile e invivibile. Bisognerà sfamarli e metterli in quadro per molti anni ancora.
Le biotecnologie nascono dal rapporto uomo-terra: la teoria della rendita ci dice che essa è plusvalore, quindi il maggior profitto dei laboratori verrà dall'applicazione del capitale al suolo; la teoria della rivoluzione ci dice che questo vincolo sarà spezzato dalla scomparsa del valore: sopravviveranno i laboratori, ma al loro interno sarà studiato il grande sistema della natura, la cui armonia dovrà comprendere l'uomo. Essi saranno utilizzati per distribuire meglio il nutrimento agli abitanti del globo e, soprattutto, saranno inseriti velocemente in un piano organico che tenga conto dei nuovi bisogni; cosa che non sarà possibile se prima non verranno negati in quanto fonte di valore, con tutto l'ambiente precedente. Dato che l'umanità non avrà nessuna intenzione di aspettare cinque o sei secoli per vivere una vita finalmente umana, dovrà pianificare il controllo dell'intero sistema bio-chimico formatosi nell'epoca capitalistica. Problemi simili e altri che non possiamo neppure prevedere ci assilleranno, ma nello stesso tempo costituiranno la sfida che l'umanità dovrà raccogliere per aver eliminato la lotta fra le classi liberando così un'energia sociale immensa da dedicare alla natura.
Nel campo della biogenetica, come in quello delle nuove tecnologie e applicazioni informatiche, l'uomo sta muovendo soltanto i primi passi, e siamo convinti che, anche all'interno del capitalismo, questo sarà terreno di verifica per gli assunti rivoluzionari, per stabilire cioè quali forze sono con la società attuale e quali con quella futura. In ogni caso da parte comunista non vi può essere un rifiuto preconcetto delle tecniche. Ognuno dei problemi individuati dagli ecologisti o dai naturalisti, preso a sé, è un problema reale: ciò che rende la loro azione inadeguata ai compiti che si prefiggono di risolvere – anche dal punto di vista riformista – non è neppure la loro attitudine un po' naïve e un po' barricadiera, ma è la pretesa di lottare contro un problema per volta, isolandolo, specializzandosi per settori, attribuendone la responsabilità a persone o gruppi, e chiedendo quindi che persone o gruppi lo risolvano. In fin dei conti tradendo così per primi lo stesso concetto di ecologia, che è per definizione olista, globale.
Anche soltanto per mettere toppe al problema ecologico senza sconvolgere i rapporti sociali esistenti, occorrerebbe un superorganismo superglobalizzato supertotalitario e antidemocratico in grado di dettare ordini e applicare sanzioni, far entrare eserciti dove non si ubbidisca ecc. Questo è la sola tecnica di governo del fatto sociale che il capitalismo ha dato prova di saper mettere in campo oltre alla legge della jungla del laissez faire, per ora in ambito nazionale e mai mondiale. Ma si chiama fascismo. Non c'è dubbio che il capitalismo stia tentando di darsi un assetto globale di questo genere e può darsi che in tal modo riesca a limitare i danni. Ma se il degrado del sistema Terra sarà portato talmente avanti da obbligare l'umanità futura a un lungo dispendio d'energia sociale per il recupero di un rapporto organico con l'ambiente, non vi sarà dubbio che anche le strutture sociali dell'epoca di transizione dovranno affrontare il problema in modo drastico, totalitario, come faranno con tutte le altre sopravvivenze del vecchio modo di produzione.
Letture consigliate
Sulle biotecnologie vi è una letteratura sterminata, specialmente per quanto riguarda la discussione. Su Internet si è scatenata una vera e propria guerra tra fautori e detrattori, con siti molto documentati da entrambe le parti. Anche il materiale in italiano è abbondante, ma riguarda soprattutto il dibattito. Abbiamo selezionato alcune pubblicazioni e alcuni siti, facendo presente che ogni bibliografia non può che essere parziale.
- Lewis Thomas, La medusa e il mollusco, Sperling & Kupfer, da cui citiamo l'articolo "I rischi della scienza".
- Manfred Eigen, Gradini verso la vita, Adelphi.
- Walter Bodmer, Luigi Cavalli-Sforza, Genetica Evoluzione Uomo, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori.
- Brian Tokar, Stop the Biotech Assault on Earth and Humanity!, For Earth First! Journal, primavera del 1999.
- D. Boulter, Plant Biotechnology: Facts and Public Perception, Journal of Phytochemistry, Vol. 40, No. 1, 1995.
- Mario Sanguinetti, Biotecnologie in agricoltura, un dibattito sempre più acceso: Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura n. 14.
- Guy Durand, La bioetica, Mondadori.
- Alessandro Giannì e Claudia Carrescia, Gli alimenti geneticamente manipolati: la vita in gioco: www.greenpeace.it/archivio/soia/ingioco.htm
- Un sito della "Campagna per la sicurezza alimentare" con molti link sugli organismi geneticamente modificati (OGM): www.rfb.it/csa/links/ogm.htm
- Bio Tech's life Science: www.life.nthu.edu.tw/~g864204/dict-search.html
- Human Clonig Foundation: www.humancloning.org/
- Rosslin Institute: www.ri.bbsrc.ac.uk/
- University of Wisconsin - Biotech Center; Thomas M. Zinnen, Wholesome, Holistic and Holy: www.biotech.wisc.edu/Education/wholesome.html