Sul partito
Dopo l'uscita dei primi due numeri (zero e uno) della rivista e la pubblicazione del nostro sito su Internet si è intensificato lo scambio di corrispondenza. In genere si tratta di brevi messaggi, ma ci arrivano anche lunghe lettere che affrontano argomenti vari, come del resto succede da vent'anni. L’importanza di un lavoro "in doppia direzione", sottolineata dalle Tesi di Milano, ci ha suggerito, come strumento, questa rubrica, pubblicata anche in rete. Preghiamo chi ci scrive di distribuire magari in lettere diverse i vari temi, in modo che si possano raggruppare più agevolmente con criteri tematici; questo permetterebbe di fornire a tutti un quadro più chiaro del lavoro comune. Per parte nostra, rispondiamo sempre anche direttamente ai nostri corrispondenti.
Cari compagni,
[…] Parto dalla constatazione dell'esistenza di quattro o cinque partiti comunisti internazionali/isti e gruppi che si richiamano alla Sinistra e funzionano come partiti. Ognuno di questi sa trarre abbondanti giustificazioni alla propria esistenza, non solo con pagine e pagine di citazioni di Marx-Engels-Lenin, ma anche – e più – con certosine trascrizioni tratte dall'organo del vecchio partito (l'originario Programma Comunista).
Per quanto mi riguarda, non mi impressionano minimamente le dotte citazioni e tanto meno i contesti più o meno plausibili in cui sono calate spesso con opposti intenti. A volte, tutto ciò mi fa pure bene: concilia il sonno. Ma quello che mi dà fastidio è che il bisogno di "generalare" dell'individuo pre-comunista impedisce a generali e gregari di rendersi conto: a) che cadono nel più profondo del ridicolo (e la cosa non è grave); b) che lanciano discredito sul vecchio partito, l'unica formazione politica che ha saputo lavorare alla difesa dei principii della rivoluzione (e questa è cosa molto grave); c) che tolgono credibilità al lavoro in funzione del partito comunista di domani, sulla base del lavoro di ieri (e questa è cosa "semplicemente" disfattista).
Un aeroplano può essere più o meno grande e perfetto, ma il suo funzionamento dipende da una serie di leggi generali sul volo aereo e su di esso possiamo imparare ulteriormente, approfondire la conoscenza di quelle leggi. Se però manca il carburante e il motore si ferma, l'unica cosa che si può studiare rispetto al suo moto successivo è la meccanica dell'impatto sul terreno a partire dalla legge dei gravi. Non stiamo parlando di un vecchio biplano ma di un modernissimo mezzo da combattimento, che non può planare, semplicemente vola o non vola, è "aereo" od oggetto inerte inchiodato a terra. Se l'aereo si schianta, possono intervenire i più volonterosi nel tentativo di rimettere insieme i vari pezzettini e tentare di farli volare, sta di fatto che per le note leggi della termodinamica il sistema non potrà tornare come prima (cioè la probabilità sarà da considerare zero). La buona volontà non può andare contro le leggi della fisica.
Nessuno si preoccupa, oggi, di sapere perché c'era quell'aereo-partito, quale motore lo spingeva, quale carburante poteva utilizzare. Ci si basa sulla elementare constatazione che esso c'era, che gli si è fermato il motore, che ha perso portanza, e infine si è schiantato al suolo. Non ci si chiede altro. Non quale fosse il retroterra storico, politico, teorico, ecc. della sua origine; non quali fossero le condizioni che permisero la sua sopravvivenza storica, attraverso un meccanismo magari piccolo e misconosciuto, ma scientificamente all'avanguardia. Ci si limita a constatare che nacque, visse e morì, come si scrive sulle lapidi, e da qui si parte per dire che se ne può fare un altro. La superficialità diventa un imperio cui non ci si sa sottrarre.
Eppure basterebbe leggere le "Tesi di Roma" sulla formazione e sviluppo del partito rivoluzionario e confrontare con i sessant'anni di battaglie dello specifico organo di cui stiamo parlando, cioè i bilanci delle tesi successive, per capire che il partito è prima prodotto che fattore di storia. Il partito, mentre qui si parla di individui che credono di essere il partito. […]
Caro compagno,
abbiamo spesso affrontato questo argomento in molte corrispondenze, ma è la prima volta che riceviamo una metafora aeronautica, che tra l'altro ci trova pienamente d'accordo. Forse si può aggiungere che i gruppi citati sono molti più di quattro o cinque e che il nostro lavoro iniziò, ancora all'interno del vecchio partito, proprio sulle questioni da te sollevate: se il partito era malato, e questo succedeva certo per determinazioni materiali, non aveva senso "farne un altro" o aderire ad altri che erano la stessa cosa, cioè non aveva senso tentare con la propria volontà di rovesciare tali determinazioni. Che dire di più? Se può ancora avere interesse la questione dopo tanti anni, puoi trovare un minimo di bilancio nelle nostre Lettere ai compagni dalla numero zero del 1981 fino alla n. 19 del 1987. Ma la questione più in generale è affrontata nelle Lettere nn. 20, 30, 31 e 33 (Tirare le somme, Dieci anni, Demoni pericolosi e Militanti delle rivoluzioni), secondo noi più interessanti sui temi del partito e del lavoro da svolgere in quanto scritte ormai al di fuori da quelle discussioni contingenti in cui ci eravamo lasciati trascinare e che non potevano portare da nessuna parte. Tu conosci la Sinistra da trent'anni, ma per i nuovi compagni e lettori tali diatribe non dicono più nulla, ed è bene che sia così.
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Cari compagni,
[…] Essendo all'ospedale ho molto tempo a disposizione per leggere e cogitare.
Siamo negli anni intorno alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1917, una poderosa ondata rivoluzionaria ha mandato in frantumi il vecchio mondo zarista e scosso il mondo intero. La III Internazionale è diventata una realtà fisica operante a livello mondiale. Ad un certo punto la rivoluzione comunista viene sconfitta. Diversamente dal partito della Comune di Parigi (distrutto per via militare), la III Internazionale snatura i propri principii rivoluzionari ponendosi, nello stesso tempo, sul terreno degli interessi nazionali russi e su quello delle alleanze con le sinistre borghesi, quindi con il Capitale, usando il linguaggio del comunismo e mistificandone i contenuti. I comunisti saranno accusati di essere agenti delle forze imperialistiche ed uccisi dagli stalinisti in nome del socialismo in un solo paese. Disgraziatamente tutto ciò dura decenni e occorre giungere al culmine della controrivoluzione affinché sia esplicita la "grande confessione" attesa dalla Sinistra Comunista.
Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Di fronte ad essa, fra le correnti di comunisti che avevano abbandonato la III Internazionale, si pone il problema di ricostituire una nuova organizzazione mondiale comunista, pensando alla possibilità della ripetizione dello schema guerra-rivoluzione della Prima Guerra Mondiale.
La storia ci ha dato la formazione, assai presente nel mondo, della IV Internazionale e, in Europa, del Partito Comunista Internazionale, quest'ultimo presente negli anni '60 e '70 anche in altre aree, come il Nordafrica, il Medio Oriente e l'America Latina. Sorvoliamo sulla miriade di altre formazioni che nell'immediato dopoguerra riprendevano voce, una babele confusionaria nella quale tutti, compresa la Sinistra, erano immersi (come dimostrano gli atti del convegno di Torino del 1945 e il Congresso di Firenze del 1949).
Sono convinto che la buona volontà sia indubbiamente da ammirare, ma il campo della volontà non produce pane se non è debitamente ripulito dalle erbacce.
Indipendentemente dai nomi delle organizzazioni, il trotskismo, tradendo lo stesso Trotsky, si fonde quando può con il suo nemico storico, lo stalinismo, che da parte sua tradisce lo stesso Stalin, e genera una moltitudine di organizzazioni operaiste, democratiche, anarco-sindacaliste, elettoralesche (antiparlamentari finché non riescono a partecipare alle elezioni), resistenziali, frontiste, insomma, una varietà di sigle ma una straordinaria invarianza nei programmi: la rivoluzione è matura, manca soltanto il partito, diamoci da fare. Credo che i risultati di tanto attivismo siano visibili anche ai ciechi, ma purtroppo non a tanti militanti convinti che quella sia l'unica strada da percorrere (aggiungo: d'accordo, salviamo i militanti di partiti e gruppi, ma mi chiedo se sia utile il vostro rifiuto di picchiare sodo su chi li frega, cioè le loro stesse organizzazioni).
Dalla parte opposta, le forze della Sinistra Comunista, una corrente che aveva già criticato i fenomeni storici dello stalinismo e del trotskismo fin dalla fine degli anni '20, si riuniscono sotto il nome di Partito Comunista Internazionale e conducono una battaglia poco appariscente ma serrata contro ogni degenerazione. Lo scopo è di riaffermare in positivo la natura del partito rivoluzionario di domani e gettarne le basi, tenendo fermo il basilare concetto che lo sviluppo quantitativo deve poggiare su quello qualitativo. In poche parole la Sinistra dirà nel secondo dopoguerra: è falso credere che tutte le condizioni della rivoluzione siano mature e che in tale contesto manchi solamente il partito; partito e classe (per sé) sono elementi ben distinti, ma il primo non nasce per opera di volontà; la sua esistenza non è disgiunta dalle determinazioni materiali che influiscono sulla seconda. Non si creano né i partiti, né le rivoluzioni, essi si dirigono.
OK. Adesso facciamoci una domanda: come è potuto succedere che, nonostante questa cristallina formulazione (i partiti non si costruiscono, ma si dirigono), proprio coloro che giurano sulla Sinistra si mettano a costruire partitini che sono solo sigle? E' evidente che non possiamo rispondere con argomenti psicologici anche se travestiti con lessico marxisteggiante. Ed è altrettanto evidente che la strada migliore è quella di constatare le determinazioni che hanno portato a questo risultato. Dopo di che dobbiamo riformulare la domanda affinché qualcuno possa percorrere strade meno conformistiche: "Perché i partiti e le rivoluzioni non si fanno ma si dirigono? Che cosa significa esattamente la cristallina formulazione della Sinistra? E quali sono le condizioni indispensabili per essere abilitati alla direzione del partito della rivoluzione?" […]
Alle tue domande crediamo risponda bene l'articolo Il soggetto sul piedistallo, su questo stesso numero della rivista. Per quanto riguarda le determinazioni che hanno portato ai disastrosi risultati del movimento comunista e a quelle che permetteranno di andare oltre, occorre riferirsi a Marx, che aveva già risposto al quesito: affinché possa nascere il vero partito rivoluzionario è necessario che tutto il vecchio apparato sovrastrutturale che la rivoluzione si è dato per raggiungere i risultati intermedi sia definitivamente sconfitto. Quindi avremo buone possibilità di vedere la nascita e lo sviluppo del nuovo partito quando sarà effettivamente spazzata via tutta l'accozzaglia democratica, resistenziale, stalinista, antistalinista e neobolscevizzante che sopravvive alla grandiosa Rivoluzione d'Ottobre, la quale non era una rivoluzione "russa", come si è finito per dire, ma l'antefatto di una rivoluzione mondiale (Lenin, appena arrivato alla stazione di Finlandia, 3 aprile 1917), poi abortita più che tradita.
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Cari compagni,
[…] Continuando la nostra discussione: il problema della "continuità" del partito formale va visto in senso storico: come non in tutti i momenti è possibile guidare una rivoluzione, così non in tutti i momenti è possibile riannodarne il filo spezzato. Se così non fosse, non vi sarebbe da cercare e riannodare alcun capo di alcun filo, perché ci troveremmo di fronte ad un unico non-spezzabile filo non solo del partito storico ma anche del partito formale. I due fili si intrecciano solo in certi momenti della storia, ma solo quello del partito storico è continuo, l'altro addirittura "deve" essere spezzato dalla rivoluzione che lavora in permanenza rendendo superate le vecchie organizzazioni, come ricorda Marx nel suo scritto sul '48.
Quando alcuni compagni provocatoriamente ammisero che in certi momenti il partito storico poteva essere rappresentato da una biblioteca, si alzarono critiche indignate, ma – a parte le supersemplificazioni che non sempre azzeccano la dimostrazione – è necessario capire che davvero possono esistere periodi durante i quali i "sacri testi" stanno sugli scaffali a riempirsi di polvere; passerà qualcuno e nemmeno li degnerà di un'occhiata; passerà qualche altro e a malapena ne leggerà il titolo di copertina; passerà qualche altro ancora e crederà di trovarvi il Verbo Rivelato; finalmente passerà il meno padreterno di tutti e proprio quello, con altri come lui, riuscirà a cavarne qualcosa da far rivivere. Si tratta, insomma, di capire che fra un episodio e l'altro della storia non solo dei partiti formali, ma anche dei riannodatori di fili, ci sono dei periodi vuoti. Il problema della continuità organizzativa non va affrontato con l'orologio da polso, ma con l'orologio storico che segna grandi squarci significativi nella continuità temporale.
Che cosa significa rivendicare il patrimonio della Sinistra e poi avere "posizioni" diverse? Nient'altro che il partito formale, l'unico che può uniformare le tendenze sulla base di quello storico, non c'è. Non vorrei annoiarvi con queste cose che saranno assodate per alcuni ma non per la maggior parte. Diversi anni fa, un burbero napoletano – che conosciamo bene – avvertiva i compagni di lingua "quasi francese" a non perdersi troppo in chiacchiere (ce l'aveva con voi?). Meno male che la cosa non può riguardarmi, essendo io di lingua "quasi tedesca". Sta di fatto che il Nostro se la prendeva con quelli che discutono sulle posizioni da "scegliere" di volta in volta e, rivendicando l'invarianza storica, diceva che le "posizioni" possono solo essere quelle atte a prenderlo in quel posto […].
A questa lettera, sulla quale siamo sostanzialmente d'accordo, se ne contrappone un'altra, di tono e contenuto opposto, ricevuta in un differente periodo e da un diverso paese. La pubblichiamo qui di seguito e, con la risposta a quest'ultima, rispondiamo anche alla prima.
Cari compagni,
[…] Per un tempo lungo vi abbiamo annoiato col "filo spezzato". In un certo senso non avreste torto [ad annoiarvi] se la frase fosse separata dal resto, perché sarebbe infatti solo una metafora. D’altro lato le discussioni non si svolgono "linearmente", ma a zig-zag, e per questo verso, in ciò, si è espresso qualcosa che rappresenta una differenza con carattere più profondo, differenza che era anche presente in molte discussioni.
Riassumiamo ancora una volta il nostro punto di vista, in modo negativo, cioè come critica: con la vostra affermazione di "continuare il lavoro come se il partito ci fosse" la rottura non viene concepita nella sua forma generalizzata, è collocata soltanto tra partito storico e partito formale. Altrettanto può dirsi del lavoro organico, il quale viene concepito come la comunicazione tra periferia e centro ("doppia direzione", teoria dell'informazione o anche "relazione col mondo"). Secondo noi, da parte vostra, le vecchie questioni sono digerite in maniera del tutto soggettiva, non in modo teorico.
Infatti, quando la esistenza della continuità viene spiegata identificandola con il "movimento reale che distrugge lo stato di cose presente", rimaniamo un po’ perplessi. La wirkliche Bewegung ha, in Marx, una portata storica, mentre voi le attribuite un senso immediato. Dalla direzione storica in generale traete la conclusione (non si sa da dove viene) di poter continuare il lavoro (come se fosse indipendente dal tempo e dallo spazio). Ciò a sua volta presuppone l’idea di poter prendere le mosse dai "risultati generali della teoria", mettersi "sulle sue spalle" (ma forse il lavoro è esso stesso sottomesso a condizioni che non permettono di partire dai risultati, senza ricostruirli). In conseguenza viene resa plausibile la tesi, secondo cui "il partito storico non muore mai". Il ragionamento, ci pare, è una mera astrazione.
Anche il rinvio alla legge di natura è curioso: "il movimento, dice Engels, è il modo di essere della natura, .. non è vero che tutto sia fermo", ergo "la lotta di classe c’è, solo che per ora è latente", ergo viene adoperata di nuovo la vecchia, distinzione hegeliana della classe in sé e per sé; il cui "misticismo astratto" è stato liquidato da Marx. Insomma, con la catena delle formulazioni apparentemente logiche: "movimento reale, movimento in atto, quindi in fase di realizzazione… e determinato, che è come dire realizzato"… non ci siamo. E, in questo, non si è preso nemmeno atto della esistenza materiale di un problema rivoluzionario che sta di fronte al movimento reale.
Noi partiamo dal fatto che non c'è più una continuità neanche e meno di tutto nel senso della teoria: c'è rottura completa. Verrà riconfermata la continuità e la teoria, ma il criterio non è la maturità del Capitale, e neanche la dimostrazione di questo fatto, ma l’evento del tempo, cioè di una situazione in cui si sarà giunti al punto di dover rendere esplicito il programma comunista, e in cui la critica dell’economia politica verrà riscattata (nel senso di "spignorata"), invece di essere solo sempre di nuovo verificata (il che è pure importante). Per voi era una tesi mostruosa dire che dobbiamo renderci indipendenti dalla attualità per non essere presi a rimorchio dell’immediatismo. […]
Cari compagni,
[…] Ribadiamo che il partito storico non muore mai. Non ci è molto utile l'affermazione "il lavoro svolto da voi mostra la non-esistenza della continuità", senza una dimostrazione basata su un confronto fra quello che diciamo e quello che hanno detto Marx e la Sinistra, soprattutto perché le questioni dottrinali non c'entrano per nulla quando non si parla di lavoro comune, sia in senso stretto che in senso lato. Noi abbiamo ottimi rapporti con chiunque ritenga interessante scambiare qualche parola con noi. Comunque un punto di partenza per discutere c'era e per noi era fondamentale: il lavoro della Sinistra, specie in questo dopoguerra. Solo che la Sinistra, con Marx, intende il comunismo non come idea ma come fatto materiale.
Non insisteremo mai abbastanza sul fatto che, dal punto di vista scientifico, occorre partire da certezze acquisite, trattabili come assiomi, anche se poi dovessimo essere così bravi da renderli superati. Sul come ci si arriva risponde Marx con la faccenda del "demone", e c'entrano molto sia l'istinto che le robuste e determinanti pedate materiali della vita. Il cosiddetto metodo sperimentale non esiste e non può esistere, ci vuole una teoria-programma, basata su di un sicuro sistema di riferimento che eviti la relatività politica, vale a dire le teorie del dubbio e dell'indeterminatezza.
Bisogna fare attenzione con le parole quando ci sono di mezzo lingue diverse. Noi, per esempio, non lavoriamo affatto "come se il partito ci fosse", avete tradotto male. Fingere che ci sia una "cosa" che oggi non può esistere sarebbe non solo da immediatisti, concretisti ecc. ma da stupidi. Sono altri che fingono di essere il partito. Cerchiamo però di lavorare con metodo di partito anche se il partito non c'è; la frase esprime un concetto assolutamente diverso. Anche "doppia direzione" per noi non significa affatto mero rapporto centro-periferia di una organizzazione: è piuttosto l'insieme di relazioni proprio dei sistemi complessi, quali sono, appunto, quelli organici. E poi non abbiamo mai detto che "la lotta di classe è latente", questo è un sofisma. Nel mondo diviso in classi esse non sono per nulla latenti, vivono in pieno la loro condizione, materialmente, tutti i giorni. Noi non facciamo che ripetere quello che dicono Marx e Bordiga, cioè che la classe agisce per sé attraverso il proprio organo che è il partito, ma la lotta di classe è sempre effettiva e sarebbe stupido pensare che a volte c'è e a volte non c'è a seconda di quel che si vede. Il primo capitolo del Manifesto incomincia proprio così: la storia è storia di lotte di classe. Anche rivoluzione e controrivoluzione ci sono; noi non crediamo, come non lo credeva Marx, che rivoluzione sia sinonimo di insurrezione (per lui anche il macchinismo è rivoluzione).
Non occorrono conoscenze speciali (teoria dell'informazione o altro) per sapere che l'oggettività degli enunciati è possibile solo attraverso le relazioni che intratteniamo con gli "altri" (marxisti o no). Senza queste relazioni succede, per esempio, che noi utilizziamo dei concetti trasportati di sana pianta da Marx o da Bordiga e che voi li interpretiate addirittura come prove di antimarxismo, come quando cercavamo di discutere sul mondo della produzione socializzata, il quale è già, realmente, fisicamente, un superamento delle categorie di valore. A volte queste incomprensioni ci sembrano soltanto banali questioni di traduzione, ma a volte sono dovute a potenti filtri ideologici.
Ci rendiamo conto che tra noi il tentativo di procedere con metodo è un approccio esclusivamente nostro, del tutto a senso unico, che cozza contro il vostro atteggiamento di rifiuto nei confronti del mondo reale. Un mondo col quale volenti o nolenti dovete fare i conti ogni giorno, come tutti, altro che "rendervi indipendenti dalla attualità per non essere presi a rimorchio dall'immediatismo". La tesi dell'auto-fecondazione intellettuale è una "tesi mostruosa", una fesseria gigante in tutti i sensi, e lo ribadiamo con forza.
Forme di autismo sono naturali in una società basata sull'alienazione, mentre è poco comune e piuttosto curiosa la loro idealizzazione. L'individuo-granello di sabbia è indifferenziato e isolato (cioè contiguo ai suoi simili, non in relazione di continuità) nello stesso momento in cui crede di essere speciale e in grado di elaborare per conto suo. Per questo fa una fatica terribile a diventare cellula di un organismo sia pure storico, parte di un tutto cui contribuisce con le sue qualità differenziate (e abbiamo sempre detto che le differenze sono utili, purché ci sia comunicazione). Bisogna capire che questo "tutto" non è tanto rappresentato dalle persone cui ci rivolgiamo nella vita quotidiana quanto, e specialmente, da un programma che non è certo scritto da "qualcuno". Chissà cosa vuol dire, secondo voi, l'espressione "partito storico", che fa parte del nostro bagaglio dottrinale. Infatti, non tenendone conto, la vostra conclusione è tremenda: "ognuno deve lavorare per conto suo". Deve?
A noi non importa niente se "non la pensiamo allo stesso modo", perché sappiamo di avere qualcosa da imparare da chiunque, mentre molti pensano di essere completamente autosufficienti, di poter fare a meno di relazioni. Noi, grande scandalo, pensiamo di dover imparare persino (e inevitabilmente, data la mancanza del partito) dai borghesi, che hanno portato la conoscenza ai livelli estremi loro permessi dai rapporti di produzione e oggi sono costretti a capitolare ideologicamente di fronte al marxismo. Non abbiamo nessuna paura di contaminazione perché il programma aiuta a soppesare questo tipo di informazione, e senza il programma si soccombe semplicemente all'ideologia. A volte si soccombe anche col programma, ma la garanzia non sta da nessuna parte, tantomeno nel proprio cervello. Anche al nostro interno non vi è "omogeneità di pensiero", ma è da una vita che cerchiamo di spiegare che l'obiettivo dei comunisti non è l'utopia del pensiero unico ma un lavoro comune. Le cellule di un tutto organico sono differenziate, devono esserlo.
Dite che il lavorare ognuno per conto proprio non sarebbe una tesi, ma è da vent'anni che un mucchio di individuali pellegrini del marxismo viene a farci visita e poi si fa in quattro per dimostrarci concretamente che l'unica realtà possibile è l'isolamento. Eppure proprio voi, parlando di altri, dicevate che una critica sensata nei confronti di un lavoro organizzato può venire soltanto da un altro lavoro organizzato. La contraddizione è palese. Dopo aver cercato inutilmente aggregazioni, organizzazioni, omogeneizzazioni, dibattiti, collegamenti o anche solo, come nel vostro caso, un minimo "scambio di bit", dopo, ripetiamo, tutti quanti arrivano a concludere che l'isolamento è la condizione non tanto obbligata, quanto addirittura scelta. Salvo poi ricominciare daccapo con qualcun altro.
Per quanto riguarda la parte "sistematica" sulle nostre "deviazioni" abbiamo già detto che non tenteremo di controbattere: anche se avete coinvolto grosse questioni di metodo, non potremmo dire niente che non abbiamo già detto e, soprattutto, che non abbiano già scritto Marx ed Engels fin dall'inizio del loro lavoro, per esempio in tutto il primo capitolo dell'Ideologia tedesca; contro l'ideologia e la frase, naturalmente, e proprio per la wirkliche Bewegung, cioè il comunismo. Qualcuno dice che Marx in quelle pagine è un concretista, e teorizza una differenza fra il Marx giovane, feuerbachiano, e quello del Capitale. Noi, col Bordiga di Riconoscere il comunismo, diciamo di no, anche se, ovviamente, Marx approfondì nella sua vita molti argomenti. Il marxismo è essenzialmente unitario, perciò quando si parla di sviluppo delle forze produttive come presupposto pratico assolutamente necessario, in cui è implicita l'esistenza empirica degli uomini sul piano della storia universale, non si storicizza affatto, si registra una legge. La contraddizione fra locale (sviluppo della forza produttiva tramite il lavoro sociale) e globale (dimostrazione del comunismo come necessità) è del capitalismo, mentre per il comunismo si tratta di non-contraddizione, di continuità dialettica [su questo punto cfr. l'articolo Leggi d'invarianza, sul numero zero della rivista].
E' vero, come dite, che il significato del "movimento reale" è dato dal tempo, ma non nel senso del suo banale scorrere "storico", concezione che va lasciata a Croce e Gramsci. Le condizioni del movimento (comunismo, n + 1) dipendono, nel tempo, dal presupposto pratico ora esistente (sviluppo delle forze produttive in n). Il marxismo è una teoria del continuo e aborre ogni dicotomia. Non abbiamo mai detto qualcosa di diverso. Il grande Leibniz, vostro concittadino, universalista, teorico del continuo, ingegnere progettista e instancabile promotore di relazioni con altri uomini, questi concetti li aveva chiari già tre secoli fa.