Einstein e alcuni schemi di rovesciamento della prassi
"Un ampio materiale fattuale è indispensabile per stabilire una teoria che abbia delle probabilità di successo. Questo materiale, però, non fornisce di per sé alcun punto di partenza per una teoria deduttiva. Non credo dunque che esista un cammino della conoscenza per induzione, perlomeno non in quanto metodo logico. Tanto più la teoria progredisce, tanto più chiaro diventa il fatto che non si possono trovare le leggi fondamentali per induzione a partire da fatti di esperienza" (Albert Einstein a Michele Besso, Princeton, 20 marzo 1952).
"Una sera mi tornarono improvvisamente alla mente le parole di Einstein: E' la teoria a decidere che cosa possiamo osservare" (Werner Heisenberg, in Fisica e oltre).
Perché Einstein? Che c'entra con una rivista sul comunismo? Non solo la relazione c'è, ma vedremo, anzi, che per ragionare di comunismo bisogna uscire dalle solite frasi fatte sul comunismo. Vedremo che non esistono affatto temi "difficili", esistono solo pigrizie mentali, imperdonabili in genere, ma soprattutto in chi pretende nientemeno che di rappresentare il futuro dell'umanità.
La teoria, dice Einstein, deriva dalla nostra esperienza sul mondo che ci circonda, ma nello stesso tempo non è contenuta in esso, è un prodotto specificamente umano, una elaborazione che non troviamo in natura. Il corollario è: una volta che nei millenni si è accumulata conoscenza teorica, quest'ultima guida l'esperienza. Ogni teoria "che funziona" è utile, quindi l'uomo l'adopera, non sta tutte le volte a scoprire l'acqua calda.
Ma come nascono le teorie nuove? E come si impongono all'umanità che si trova così bene con le vecchie perché "funzionano"? Sarebbe sciocco pensare che le vecchie teorie sono sbagliate, solo perché superate da quelle nuove. Siccome l'umanità nel suo complesso non è stupida come l'uomo singolo, che adotta l'ideologia dominante anche quando non ha più senso, essa ha mantenuto, spesso per millenni, le conoscenze fondamentali che servivano entro i limiti del loro particolare utilizzo. E le ha anche abbandonate non appena si sono rivelate incomplete, quindi insufficienti per affrontare compiti più complessi. Einstein nota che una teoria è "buona" quando si fonda su una "completezza logica", cioè sul principio d'invarianza secondo il quale "se una sola delle conclusioni tratte da una teoria risulta sbagliata, questa deve essere abbandonata". Dunque la teoria è "buona" quando è impossibile "modificarla senza distruggere l'intera struttura teorica". Già sentito, da Marx in poi.
Tutte le teorie scientifiche adoperate dall'umanità per spiegare il mondo, compresi i miti e le religioni, sono "valide" di per sé. Ciò che si dimostra antiscientifico è il persistere di antiche credenze quando la loro consistenza logica interna è caduta: Aristotele non aveva "torto" quando traeva conclusioni dal diverso cadere del sasso e della piuma, ma Galileo fece saltare la vecchia consistenza logica con un salto intuitivo, immaginando che i due oggetti incollati non sarebbero caduti ad una velocità media e verificandolo poi empiricamente. Ogni ipotesi teorica è quindi adeguata al tempo in cui ha la sua efficacia empirica in relazione alla sua "invarianza", cioè all'impossibilità di scalfirne un particolare senza far crollare tutta la costruzione. Non per nulla le religioni millenarie, al contrario della scienza, devono difendere la loro immutabilità: esse non hanno più utilità empirica, non devono spiegare nulla, perciò sono per loro natura inconfutabili, nel senso che nessuno può demolire i loro assunti in via teorica e tantomeno pratica.
Marx dimostrò da subito che non si poteva confutare la filosofia, ma solo demolirla, poiché essa, con la religione, avendo ormai esaurito la sua funzione storica, si fondava su pure frasi; perciò ogni critica filosofica alla filosofia non poteva che essere condotta con altre frasi, lavoro alquanto inutile. E affermò, in un passo formidabile, che era ormai tempo di un salto nel conoscere: "Sembrerebbe corretto incominciare con il reale e il concreto, con l'effettivo presupposto, ma ad un più attento esame ciò si rivela falso. Avrei una rappresentazione caotica dell'insieme". Per questo occorre pervenire, analiticamente, "a concetti più semplici, dal concreto rappresentato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici. Di qui si tratterebbe, poi, di intraprendere di nuovo il viaggio all'indietro, fino ad arrivare finalmente di nuovo [al concreto], ma questa volta non come alla caotica rappresentazione di un insieme, bensì come a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni" (Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica).
La filosofia interpretava una locomotiva come oggetto indipendente, isolandolo arbitrariamente dall'insieme materiale e sociale di cui faceva parte e di cui aveva una rappresentazione caotica. Disquisiva sul "concetto di locomotiva" senza poter capire i motivi della sua comparsa e del suo utilizzo. Invece la scienza della società futura conosceva già l'insieme, l'aveva chiamato capitalismo, e sapeva quindi che la locomotiva non era semplicemente un oggetto né un concetto, ma una forza sociale (una merce prodotta dal lavoro sociale) che avrebbe abbattuto tutte le filosofie del mondo con tutte le loro chiacchiere. Ovviamente non ce l'abbiamo con la filosofia in sé, basta mettersi d'accordo su che cosa significa; del resto, proprio questo secolo ha dimostrato che essa deve fondersi nella scienza, e quindi essere negata da essa. Il conoscere umano, dice Einstein (con Marx ed Engels), non è più risultato di induzione, tutt'al più lo era agli albori della scienza ora si procede per induzione-deduzione, adoperando gli assiomi esistenti (la conoscenza consolidata) e scattando in certe occasioni verso assiomi più potenti che confermano e nello stesso tempo negano i primi. Lo scienziato Einstein non ci dice quali siano queste occasioni, né ce lo dice un epistemologo che su questi scatti ha scritto un celebre testo, Thomas Kuhn. Sappiamo però che la cronologia delle scienze e delle arti coincide a grandi linee con quella delle rivoluzioni.
Il concetto di "scatto" deduttivo, e di conseguente esplosione di assiomi con potenza superiore ai precedenti, fu espresso da Einstein in molte occasioni anche in anni precedenti al 1952. Per esempio, nella sua Autobiografia scientifica, che è del 1946, proprio nelle prime pagine, afferma: "Io distinguo da una parte la totalità delle esperienze sensibili, e dall'altra la totalità dei concetti e delle proposizioni che sono enunciati nei libri". Tuttavia, egli continua, gli enunciati acquistano significato soltanto in relazione alle esperienze. Abbiamo dunque da una parte la prassi umana, che è il prodotto delle interrelazioni fra gli uomini e l'insieme dell'ambiente circostante; dall'altra la teoria, prodotta da elaborazioni degli uomini sui fatti empirici. Si tratta di una relazione a prima vista incomprensibile, perché Einstein afferma la netta separazione in due campi e, nello stesso tempo, l'assoluta continuità fra di essi. In questa relazione egli vede l'origine della potenza descrittiva delle leggi rispetto alla realtà, la possibilità stessa per l'uomo di conoscere e agire secondo la conoscenza acquisita (l'unica che permetta la visione analitica dei problemi), l'esplosione intuitiva, il sorgere di nuovi assiomi e quindi il ritorno verso il caotico insieme della realtà.
In un altro articolo, del 1950, Einstein afferma, a sostegno della potenza dell'intuizione contro la pedestre osservazione e catalogazione dei fatti, che ogni vero teorico in fondo dev'essere "un metafisico addomesticato", intendendo che mentre il metafisico tout-court è selvaggiamente schiavo dell'idea, lo scienziato che vada oltre la fisica conosciuta (meta-fisica) è colui che riesce a comprendere, e quindi a dominare, il processo materiale che muove la sua intuizione. Non sa spiegare che cosa sia l'intuizione (a volte chiama "creazione" il processo intuitivo che sembra far scaturire dal nulla le soluzioni), ma nello stesso tempo non rinuncia a una concezione dell'intero processo della conoscenza come un continuum nel quale è bandita ogni barriera fra segmenti, stadi e zone della conoscenza, fra gli uomini di una stessa epoca e fra le diverse epoche. Per questo motivo ha un rigetto verso l'epistemologia dell'indeterminazione, che comporta soprattutto la separazione fra mondo sensibile, macroscopico, e mondo invisibile, microscopico, negato ai sensi: essi non possono essere due cose - dice - se il mondo macroscopico è costituito dalle particelle di quello microscopico.
La continuità non può essere solo nella scienza, perché se "il pensiero scientifico è uno sviluppo del pensiero pre-scientifico", ciò significa che anche fra vita e scienza non può esservi separazione: "Tutto questo si applica nella stessa misura e nello stesso modo sia al pensiero della vita quotidiana che al pensiero più conscio e sistematico della scienza", perché "tutta la scienza non è niente di più che il perfezionamento del pensiero di ogni giorno". Insomma, lo scienziato non deve evitare di invadere il campo del filosofo, come un tempo si pensava; anzi, non può rinunciarvi: "Il fisico non può lasciare semplicemente al filosofo la considerazione critica delle basi teoriche, perché lui stesso sa meglio e sente con maggiore sicurezza dove è il punto dolente" (Ideas and Opinions, 1954, cit. da Holton). Noi sottoscriviamo, aggiungendo che il filosofo autentico smette di essere tale e diventa scienziato. La scienza non si sovrappone dunque alla filosofia, ma la sostituisce: essa è il potenziale conoscitivo che permette all'umanità di smetterla con le frasi, a meno di non dare alla filosofia il significato originario, quando il termine indicava un atteggiamento "amico della sapienza".
Come vedremo, entrambe le descrizioni del processo della conoscenza, quella di Marx e quella di Einstein, sono analoghe a quella implicita nello schema marxista del rovesciamento della prassi tracciato dalla Sinistra Comunista "italiana" negli anni '50.
La prova è in uno schema disegnato dallo stesso Einstein e che troviamo in un'altra lettera del 1952, questa volta all'amico Maurice Solavine. Nello schema (Fig. 1) è concentrata in pochi tratti una grande quantità di informazione e noi lo analizzeremo in modo un po' diverso rispetto a quanto fa l'autore che l'ha pubblicato (cfr. Holton), pur attenendoci rigorosamente all'originale. La totalità dei fatti empirici (o la totalità delle esperienze sensoriali) è simbolizzata da un livello E; abbiamo dunque alla base dello schema il mondo fisico che gli uomini hanno a disposizione per le loro osservazioni. Quello stesso - aggiungiamo con Marx- di cui abbiamo nell'immediato una rappresentazione caotica e che è l'unica fonte delle nostre conoscenze attraverso le sensazioni. Non potrebbe essere altrimenti, dato che la stessa vita dell'uomo si è formata ed evoluta in una interazione millenaria proprio con l'ambiente che ci circonda. E rappresenta dunque un caos di elementi, un vero labirinto di impressioni sensoriali, a proposito del quale è impossibile affermare con sicurezza che non sia "il risultato di un’illusione o di un’allucinazione". Di fronte a tale realtà si trova lo scienziato, cui spetta il compito di non farsi ingannare dalla propria percezione soggettiva; e con questo colleghiamo Marx, Einstein e la Sinistra Comunista con Galileo, il quale, proponendo la traduzione della realtà in assiomi matematici, ebbe l'ardire di paragonare la conoscenza dell'uomo a quella di Dio, se soltanto l'uomo si fosse impadronito con sicurezza del metodo.
La rivoluzione non conosce limiti, perciò Einstein può ripetere Galileo quasi con le stesse parole: "La scienza è il tentativo di rendere la varietà caotica della nostra esperienza sensoriale corrispondente a un sistema di pensiero logicamente uniforme". Nello suo schema ricorrono con tutta coerenza i tre momenti costituivi del classico metodo galileiano: 1) l'utilizzo critico del patrimonio di conoscenza esistente, col quale si osserva e interpreta il mondo; 2) il salto intuitivo che giustifica la "creazione" di un modello in grado di spiegare i fenomeni indagati, isolandone le peculiarità dagli aspetti contingenti e, soprattutto, dalla soggettività dovuta al patrimonio conoscitivo accumulato; 3) il ritorno alla realtà empirica attraverso la verifica sperimentale condotta con il nuovo patrimonio di conoscenze (il "cimento" fra teoria e prassi, cfr. fig. 2).
Qualora si siano stabilite, per un certo campo d’indagine, delle leggi, queste vanno considerate, almeno tendenzialmente, "unificabili". Essendo le leggi espressioni differenziate di fenomeni di una natura unica, non riducibile in campi separati e incomunicanti, sono da "scoprire" o "immaginare", "con valore di 'tentativo', vòlto nella storia in vari sensi prima di imbroccare". E ancora: "La chiarezza è tanto più grande quanto più i modelli sono irreali. Se si vuol fare della scienza, questa deve essere comunicabile e applicabile, e allora per farsi intendere e andare avanti bisogna essere, se non sommari, in buona misura semplificatori".
Né Galileo, né Keplero, né Newton, né Einstein poterono "osservare" la realtà che descrissero; non poterono neppure basarsi su conoscenze parziali precedenti da sviluppare per trarne più completi indizi dell'esistenza di nuove leggi. Tutte le convinzioni passate erano da sottoporre a critica. Tantomeno ebbero la possibilità di fare esperimenti con gli astri, la gravitazione o la luce. La verifica venne necessariamente a posteriori.
L'insieme caotico degli elementi presenti al livello E può essere dunque padroneggiato solamente quando sia eretta su di esso una struttura teorica volta ad ottenere delle relazioni e un ordine tra i "fatti", a prescindere dalla specificità di ognuno di essi. Occorre sottolineare che, conoscendo il metodo di Einstein, in E è rappresentato non solo l'insieme degli oggetti e degli avvenimenti in un dato momento, ma anche la sua dinamica nel tempo: un insieme che comprende gli uomini che partecipano a tale dinamica e fanno storia, producendo le idee atte ad interpretarla. Ma se non si può, come l'epistemologia moderna insegna, valutare un sistema ponendosi all'interno del sistema stesso ed utilizzando le sue categorie, come si giunge allora ad un livello al di sopra di E che permetta invece di padroneggiarne la conoscenza, di stabilire relazioni e scoprire nuove strutture ordinate? In fondo è la stessa domanda che si poneva Marx: come può l'economia politica, scaturita dal sistema capitalistico, giudicare il sistema capitalistico stesso?
Nello schema, Einstein risponde tracciando una linea J che rappresenta un balzo dal livello E ad un livello superiore A; e scrive: "A sono gli assiomi dai quali traiamo le conseguenze. Psicologicamente le A si basano sulle E. Non c'è comunque una via logica dalle E alle A, ma solo una connessione intuitiva". Qui è importante sottolineare che per Einstein i termini "psicologia" e "intuizione" hanno sempre un significato diverso dall'accezione comune, altrimenti non si capisce l'unione di continuità e rottura nella linea continua J che rappresenta uno scatto nella conoscenza. Sappiamo che per "psicologia" egli intendeva un qualcosa di molto preciso, "concreto", un fatto fisico. Era per esempio convinto che, se un giorno si fosse mai provata l'esistenza della telepatia, essa sarebbe assimilabile ad uno dei normali fatti fisici già conosciuti nella sua epoca.
Nel testo Relatività e determinismo, è sottolineata la critica einsteniana non solo dell'indeterminismo ma anche della concezione "discreta" del mondo, quella che lo concepisce come costituito da "oggetti" contigui, mentre esso è piuttosto da rappresentarsi come un continuum di campi, relazioni, scambi di energia-materia ecc. Nella critica citata, che coincide in pieno con quella di Marx ed Engels al pensiero borghese, come non c'è dicotomia, taglio netto, fra materia ed energia, fra mondo macroscopico e microscopico, fra campo e particella, così non c'è dicotomia fra materia e "pensiero". In altre parole, il pensiero è organizzazione della materia-energia, come già intuì proprio la materia-energia di cui erano fatti i cervelli di un Diderot e di un Leopardi. Allora, in Einstein, psicologia e intuizione non sono altro che una parte della materia organizzata in un insieme di altra materia organizzata, cioè tutto l'insieme rappresentato dal livello E. Da qui non si esce, perché abbiamo visto che da tale insieme caotico di fatti non può scaturire quella nuova informazione che permette lo scatto in A.
Come i termini psicologia e intuizione, così molti altri: ipotesi, ispirazione, sospetto, passione, che Einstein utilizza senza spiegarli "razionalmente", non ci aiuterebbero a capire se non li potessimo collegare alla sua concezione fisica del mondo. Proprio nel libro che stiamo consultando per l'argomento qui trattato, vi sono capitoli molto ben documentati che dimostrano come Einstein riconoscesse di non essere un "creatore" di teorie, in contrasto con la parola che utilizza egli stesso per descrivere lo scatto J. Egli, come altri che hanno contrassegnato le rivoluzioni scientifiche, è piuttosto il risultato di un lungo processo che ha visto il coronamento degli studi parziali di generazioni di scienziati, e lo riconosce generosamente, persino al di là degli effettivi apporti di alcuni di essi, come nel caso di Mach.
Lo scienziato che è posto dalla storia al culmine di un processo, dice Einstein, può persino non essere consapevole di che cosa significhi giungere alla decisiva "intuizione"; e nella sua Autobiografia scientifica racconta: "A poco a poco incominciai a disperare della possibilità di scoprire le vere leggi attraverso tentativi basati su fatti noti. Quanto più a lungo e disperatamente provavo, tanto più mi convincevo che solo la scoperta di un principio formale universale avrebbe potuto portarci a risultati sicuri". Il guaio è che, nei singoli fatti noti, tale principio universale non appariva, perché solo nell'insieme delle ricerche di molti scienziati esso poteva essere individuato, stabilendo relazioni, mettendo ordine, superando la vecchia separazione fra le discipline, affondando addirittura la ricerca nei secoli passati fino al principio di relatività di Galileo. Il salto EJA è permesso dal fatto che esistono "certi complessi di impressioni sensoriali che ricorrono ripetutamente"; allora, prima o poi, qualcuno sente la necessità di "coordinare (il termine usato è zuordnen, associare, correlare) ad essi un concetto […] una specie di nodo mentale […] una connessione mentale". Il fatto è che lo scienziato sceglie il concetto senza necessità logica, in modo del tutto "arbitrario [nel senso che] da un punto di vista logico questo concetto non è identico alla totalità delle impressioni sensoriali [del livello E] cui si riferisce, ma è una libera creazione della mente umana o animale". Il termine creazione è utilizzato in modo del tutto anti-idealistico, com'è dimostrato dal finale della frase, che demolisce un’interpretazione idealistica di questa particolare creatività intuitiva; la precisazione "o animale" fa esclamare al suo commentatore: "un'altra inutile barriera eliminata senza tante cerimonie". Se la capacità di pensiero chiamata "mente" è un fatto di organizzazione di materia, ogni essere vivente pensa e intuisce non perché ha proprietà speciali, ma soltanto perché tutta la materia ha una proprietà auto-organizzativa.
Allora la misteriosa "intuizione", adoperando la concezione einsteniana di materia-energia-pensiero, non è altro che ordine che si autocostituisce in una catena deterministica all'interno del livello E, il quale a questo punto si rivela non come un dato fisso ma come una dinamica in rapporto col tempo. Ordine, inoltre, che produce relazioni sempre più evidenti e utilizza la macchina pensante più adatta che si trova in quel momento sulla piazza (lo sconosciuto impiegato di nome Einstein che lavora in un ufficio brevetti, ad esempio), ne dispone i neuroni, gli inietta adrenalina, gli fa ri-scoprire frammenti di scienza isolati che sembravano senza avvenire e invece si fecondano l’un l’altro in una teoria nuova, semplice, elegante, passibile di verifica sperimentale. Lo scatto J, nelle rivoluzioni scientifiche, è il lavoro del cervello sociale che si accumula in qualche suo punto chiave. L’intuizione biologica è un risultato evolutivo registrato nel programma genetico di ogni individuo della specie; l’intuizione scientifica è un risultato evolutivo del cervello sociale, che sempre meno ha bisogno dell'individuo di genio per manifestarsi. Per questo l'evoluzione stessa dell'umanità ha prodotto un suo proprio organo - che per ora chiamiamo partito storico - ben più efficiente di quel chilo e mezzo di materia-energia-pensiero individuale.
Il raziocinio è continuità logica entro il livello E dei fatti, che comprende il vecchio livello A degli assiomi; l'intuizione scientifica è la rottura in E; la discontinuità logica (quella che permette il cambiamento qualitativo, cioè rivoluzionario) è rappresentata dal percorso JA. La discontinuità logica, però, è comunque già contenuta in E: l'intero sistema di concetti che contribuisce a formare gli assiomi, è un linguaggio opera dell'uomo; perciò, adoperandolo per parlare del linguaggio stesso nel normale procedere scientifico, diventa meta-linguaggio, cozza contro un'auto-referenza che soltanto la rottura della sua logica interna può far superare. Ecco perché Einstein esclude che possa esistere quella che normalmente si chiama ricerca sperimentale: "E' un errore il permettere che la descrizione teorica sia fatta dipendere direttamente da affermazioni empiriche". E' vero che "i concetti hanno un significato solo se possiamo indicare gli oggetti ai quali si riferiscono", ma nel procedimento scientifico essi hanno senso soltanto se possiamo anche indicare "lo schema mediante il quale i concetti sono correlati a questo oggetti". Per Einstein la relazione fra teoria ed esperienza sensoria è "analoga non a quella fra il brodo e il bue, ma a quella fra lo scontrino del guardaroba e il cappotto": il brodo è un 'estratto', un 'concentrato' di carne bovina; lo scontrino del guardaroba, a teatro, vale solo a identificare, convenzionalmente, un determinato cappotto. Uno schiaffone formidabile a tutto l'immediatismo scientifico e politico.
Il commentatore di Einstein si domanda il perché "della continua insistenza sul fondamentale dualismo tra esperienza e teoria, affermato a volte in contesti inaspettati e inopportuni" da parte di un grande scienziato del continuo e dell'unificazione. Si tratta evidentemente di una questione di linguaggio, perché noi, abituati alla forma appena un po' diversa utilizzata da Marx, non vediamo affatto la contraddizione: occorre individuare la contemporanea e dialettica presenza di rottura e continuità, dato che, in fondo, la rottura avviene sulla base di un accumulo continuo di conoscenza che trova la sua soluzione discontinua nello scatto al livello superiore (e questa è anche la definizione della teoria delle catastrofi). Ma appena ciò avviene, il ciclo procede, perché il livello A finirà necessariamente per far parte del livello E non appena la nuova conoscenza sia condivisa. E lo sarà, dato che tutto il processo si basa su determinazioni materiali.
Come esiste un’infinità di sollecitazioni materiali che provengono dal livello E, così, in linea di principio, si potrebbe dire che proprio questo fatto conduce a infiniti assiomi al livello superiore A. Ma il salto J disegnato da Einstein non può rappresentare un salto qualsiasi: esso è uno slancio particolare verso quel punto A e solo quello, piuttosto che verso un'altra qualsiasi soluzione. Una storia di condizioni "al contorno" determina il percorso e la sua destinazione, tutte le premesse sono già poste dai risultati scientifici precedenti. Senza uno stuolo di altri scienziati il "genio Einstein" sarebbe impossibile. E' banale, ma in genere non viene avvertita l'esistenza di un vincolo sociale che prepara, guida e rende possibile quel salto e non un altro. L’intuizione, questa particolare forma umana dell'istinto, è la somma di conoscenze precedenti che esplodono tutte in una volta, che adoperano le facoltà particolari di un individuo e la sua materia grigia; non è certo una prerogativa del genio creatore di conoscenza come immaginato dagli idealisti. Qui la libertà di scelta non è quella di cui si parla nei romanzi, che descrivono realtà inventate (anche se, come dice Borges, a nessuno è dato di scrivere qualcosa che non è già anche nella testa di altri uomini), ma piuttosto quella del cruciverba, nel quale soltanto certe parole, non altre, risolvono lo schema concatenando le reciproche lettere.
Il livello assiomatico A è dunque da considerare come un nuovo risultato. Esso diventa un riferimento fondamentale indiscutibile, una "verità" in grado di influire sulle conoscenze precedenti e modificarle anche radicalmente. Al livello A, infatti, vengono unificate in una nuova struttura della conoscenza (ordine) le linee di un percorso materiale, determinato. La nuova conoscenza non può non inglobare la vecchia: se si determina una nuova A, allora questo livello spiega anche tutti i fatti che la A precedente spiegava alle condizioni in cui quel livello era stato raggiunto: la teoria della relatività, per esempio, spiega tutti i fenomeni spiegabili con la meccanica newtoniana (mentre l'inverso non succede). Dal nuovo livello A, possiamo discendere per comprendere da un nuovo punto di vista, più preciso, la realtà E dalla quale eravamo partiti. E' vero che occorre la verifica sperimentale per blindare la nuova teoria e renderla inattaccabile alla critica, ma non si tratta solo di questo: in un sistema regolato da leggi, la prima regola, come abbiamo visto, è quella d'invarianza, tutto crolla se un solo particolare risulta falso o arbitrario.
Se adesso abbiamo A, allora al livello E non possono non esservi fenomeni che solo con A possiamo scoprire e descrivere tramite concetti, cioè S, S1 e S2. Facciamo un esempio: se si assume il principio di relatività correlato a quello della costanza della velocità della luce, allora ne conseguono necessariamente 1) la modificazione dello spazio-tempo, 2) l'impossibilità di definire la simultaneità, 3) le proprietà sperimentabili del moto dell'elettrone. Le prime verifiche sperimentali (la pregressione del perielio di Mercurio, la curvatura dello spazio e dei raggi di luce in vicinanza di una massa) non dimostrarono tanto che la teoria era "giusta", quanto il fatto che una tale teoria era in grado di spiegare fenomeni prima misteriosi o di prevedere l'esistenza di fenomeni sconosciuti.
C'è un particolare, che dimostra la completezza di questo schema scarabocchiato ad un amico: la distanza che separa i fenomeni S dal livello E, simboleggiata da una linea tratteggiata, sta a significare la difficoltà di definire una teoria "esatta". Previsioni esatte possono essere tratte da assiomi sbagliati: gli astrolabi geocentrici "funzionavano" molto bene come modelli basati su quel presupposto, e lo stesso Copernico non diede corso ad una rivoluzione, come in genere si dice, ma ad un tentativo di semplificare i calcoli astronomici (che tra l'altro non davano risultati migliori di quelli tolemaici); la teoria aristotelica degli elementi fu considerata in grado di spiegare i fenomeni per millenni; la teoria del flogisto, quella del calorico e quella dell'etere, che addirittura sopravvisse all’avvento della fisica moderna, furono in grado di dare spiegazioni ritenute soddisfacenti. Inoltre, in linea di principio, è impossibile verificare sperimentalmente una teoria dato che, su infiniti esperimenti, basterebbe il fallimento di uno solo di essi per inficiarla; e non se ne possono fare infiniti. Infine, gli esperimenti di verifica molto spesso dimostrano quello che lo scienziato vuol dimostrare, non per malafede, ma per una caratteristica intrinseca della sperimentazione: l'operatore non può non far parte dell'esperimento.
Con la complessità di tutte queste connessioni Einstein ci spiega che la scienza stessa, come la materia dell'universo, non è un qualcosa di fotografabile una volta per tutte nella sua completezza, ma è un insieme di relazioni, un movimento verso conoscenze superiori, per cui ogni livello soggiace a leggi dialettiche (anche se egli non usa mai questo termine), dato che contiene in sé due opposti: da una parte il fatto che nulla può cambiare semplicemente a partire dall'interno dello stesso livello; dall'altra le leggi del cambiamento, che non possono rivelarsi senza che avvenga uno "scatto" verso il livello superiore. Come l'unica via d'uscita da E è il balzo verso A, così l'unica via d'uscita da A è il percorso a rovescio, nuovamente verso E percorrendo una strada nuova. Ma, a questo punto, dal livello degli assiomi, cioè della teoria, il percorso a rovescio incide sulla prassi, la cambia perché introduce nuova conoscenza. Ciò vale nella vita quotidiana, ma quel che ci interessa maggiormente è che in particolari momenti storici - e solo in quelli - la parte più avanzata della società, che noi chiamiamo partito politico e che in fondo non sarebbe che una sovrastruttura formale se non coincidesse con il movimento storico, diventa una forza materiale in grado di provocare un cambiamento qualitativo, in termini fisici un cambiamento "di stato". Questo percorso inverso rappresenta la vittoria del progetto razionale sulla legge della giungla o, come evidenziano Marx ed Engels, l'affermarsi del regno della libertà su quello della necessità.
Prima di passare allo schema analogo disegnato dalla Sinistra Comunista "italiana" per indicare il passaggio dal regno delle determinazioni naturali a quello della coscienza (volontà, progetto), analizzeremo per sommi capi un altro schema riferibile allo stesso insieme di concetti. Ciò è utile non solo per comprendere i nessi nel tempo fra i vari tentativi di sistemare la questione teoria-prassi, ma anche per dimostrare come l'umanità si ponga problemi che scaturiscono dall'intero processo storico e quindi, materialmente, non possa fare a meno di produrre cervelli individuali che si comportano come cellule di un cervello sociale.
Dovrebbe essere chiaro che questo cervello collettivo, ormai individuato anche da alcuni scienziati borghesi, superando la massa critica dei neuroni e delle connessioni disponibili al singolo individuo, produce un'elaborazione di livello più alto; l'individuo sarà sempre più limitato rispetto al tutto e l'informazione globale sarà per lui sempre meno assimilabile nella sua completezza. Solo un organo sociale potrà mettere in connessione i cervelli individuali e farli funzionare come le cellule del cervello biologico: sarà un caso, ma l'umanità, sviluppando l'insieme delle comunicazioni, dalle ferrovie a Internet (rete di comunicazione che va vista come unico complesso anche se per ora ha un'intelligenza autonoma insignificante), sta già producendo le strutture congeniali a tale organo sociale prima ancora che esso prenda forma "politica".
Lo schema di cui vogliamo parlare è di Gregory Bateson, uno scienziato (antropologo, cibernetico, epistemologo, psichiatra, ecc.) che ha cercato per tutta la vita di mettere in relazione le conoscenze umane in un sistema globale. Indagando intorno alla formazione della conoscenza e alla sua trasmissione, anch'egli si accorse che gli uomini sono abituati a ragionare in base a un processo induttivo, cioè ad argomentare partendo dai dati della realtà percepibile e, basandosi su di essi, a formulare ipotesi. In questo modo, senza collegare i dati tratti dalla realtà con tutta la conoscenza deduttiva accumulata nella scienza, è come se gli uomini fotografassero la situazione e mettessero la fotografia in un cassetto senza saper fare di più che darle un nome e classificarla con altre. Quindi anche Bateson traccia uno schema (fig. 3) dove un primo livello è rappresentato dall'insieme dei fatti oggettivi. Da notare che in ogni attività di indagine i dati, comunque, tanto "oggettivi" non sono; quando li osserviamo sono già, solo per questo, sempre registrati, collezionati, descritti, interpretati, memorizzati, selezionati, tradotti, ecc.
Ai dati "oggettivi" percepiti e catalogati con i loro nomi corrisponde un secondo livello di conoscenza, quello del linguaggio che serve a descrivere relazioni tra oggetti, per esempio parole quali "ego", "ansia", "istinto", "finalità", "mente", "io", "intelligenza", "stupidità", "maturità", e tante altre che di per sé non hanno nessun significato scientifico se non messe a loro volta in relazione con qualcos'altro. Questo secondo livello viene chiamato da Bateson quello dei concetti euristici, e aggiunge: "per pura cortesia". Infatti, a dire il vero, tali concetti non hanno nulla di euristico, cioè non rappresentano un procedimento per conoscere, ma supposizioni di conoscenza a cui si dà un nome vago, e sono così opinabili "che la loro mescolanza genera una sorta di nebbia intellettuale che contribuisce di molto a ritardare i progressi della scienza".
Un terzo livello è costituito dai gruppi di assiomi che formano i cosiddetti principii fondamentali, come quelli della matematica, se si fa anche qui attenzione a non trasformarli in proposizioni vaghe del secondo livello: "Se i numeri sono definiti in modo opportuno, e se l'operazione di addizione è definita in modo opportuno, allora 5 + 7 = 12". Sempre in questo terzo livello vi sono infine proposizioni "scientificamente vere", ma difficilmente assimilabili agli assiomi della matematica (coi quali comunque è difficile tracciare un netto confine): le leggi della conservazione della massa e dell'energia, la seconda legge della termodinamica, e così via.
Se vogliamo un esempio pratico di cosa intenda Bateson possiamo guardare all'indice analitico di un saggio qualsiasi: in esso troveranno facilmente posto sia i dati oggettivi del primo livello, sia gli assiomi del terzo, ma sarà impossibile inserirvi i cosiddetti concetti euristici, cioè le parole descrittive, le opinioni ecc. Anche in un libro scientifico (e spesso proprio perché tale) la proporzione di parole dal significato certo rispetto alle restanti migliaia, quelle che in genere danno luogo ai dibattiti, è insignificante.
Solo basandoci su di una stretta relazione tra i livelli appena descritti è possibile ricavare informazione ulteriore da essi: la "spiegazione" consiste nella correlazione tra i dati empirici e il livello assiomatico, "ma il fine ultimo della scienza è l'accrescimento della conoscenza fondamentale", cioè, come nello schema di Einstein, lo "scatto" che produce modificazioni permanenti a questo livello, accrescendone l'ordine interno. Invece, nella loro ricerca, gli scienziati si basano quasi sempre sull'osservazione del primo livello, quello dei dati, cercando di spiegarlo con il secondo, quello dei concetti euristici, nella speranza che questi ultimi alla fine autocontribuiscano a migliorare la propria capacità descrittiva e perdano di vacuità. Questo però nella realtà non succede e, dice Bateson, da mezzo secolo (era il 1971) "un lavoro cui hanno contribuito migliaia di uomini intelligenti ha prodotto, in effetti, una ricca messe di parecchie centinaia di concetti euristici, ma, ahimè, forse neppure un solo principio degno di figurare nell'elenco dei princìpi fondamentali".
Galileo, Marx, Einstein, Bordiga, Bateson: nomi che evocano lavori lontani nel tempo e nello spazio ma che rappresentano una continuità reale, integrabile con chissà quanti altri riferimenti. Tale continuità non si presenta di certo in modo dichiarato, ma va da noi ricercata seguendo un filo rosso unificatore. Esso ci consentirà senz'altro di dimostrare corretta l'ipotesi che esista una sequenza più lunga, e i nostri esempi potranno essere ampliati di numero e di qualità. In fondo è anche questo che, col nostro lavoro, ci siamo impegnati di fare. Non c'importa nulla se Einstein era un democratico moralista e Bateson un eclettico dalle conoscenze assai poco sistematiche (ma anche ciò dipende dal criterio di "classificazione"). Del resto solo certa superficiale critica filosofeggiante pone Marx fra i "creatori di sistemi"; in realtà Marx ed Engels si sentivano dominati dal demone comunista in quanto organici a un tutto più grande della semplice somma delle sue parti, basti vedere come trattarono le questioni scientifiche del loro tempo: l'evoluzione, la geologia, la matematica, la fisica ecc.
Gli schemi che abbiamo preso in considerazione, da Galileo a Bateson, hanno in comune il necessario legame con la realtà oggettiva, ma nella consapevolezza che questa è sempre interpretata dagli scienziati, i quali adoperano criteri molto soggettivi e soprattutto tradizionali, consolidati, nel descriverla. Soltanto con l'integrazione dei livelli è possibile il salto verso A, quello teoretico, e di qui far discendere un'azione che influisca visibilmente sulla prassi secondo finalità volute.
Il programma (rappresentato da A) definisce anticipatamente le sequenze di operazioni da eseguire (il livello S, S1, S2) allo scopo di ottenere risultati previsti. In fisica, una volta formulato il postulato fondamentale, scaturisce la conseguenza che, date condizioni pregresse, si debbano trovare determinati fenomeni in successione; se ciò non succede salta tutta la teoria. E' interessante notare che anche nei sistemi caotici l'indeterminatezza deriva soltanto dall'impossibilità statistica di previsione, mentre è accertata l'emergenza di un ordine descrivibile. Allo stesso modo dev'essere possibile, alla scienza sociale, definire anticipatamente non solo il risultato finale, ma anche il percorso, le modalità per giungervi; al limite verificare leggi che stabiliscono l'emergere di un certo ordine dal caos. Per questo le modalità in S non possono essere modalità qualsiasi: un eventuale fenomeno S3 non potrà essere "scelto a caso"; sarà "deciso in base a…", e la sua conoscenza approfondita dovrà procedere non da frasi, cioè criteri euristici (chiamiamoli "per pura cortesia"così anche noi), ma da principii già stabiliti.
Il diagramma del rovesciamento della prassi (fig. 4) può apparire dissimile dagli schemi di Einstein e di Bateson, in quanto applicato ai fatti sociali; ma, osservandoli senza preconcetti, diventa chiaro che tutti si basano sui medesimi principii e che sono perciò integrati fra loro.
Incominciamo il confronto tra il "nostro" diagramma e quello di Einstein: le spinte fisiologiche, gli interessi economici e la prassi corrente, rappresentano il livello E della "varietà caotica dell'esperienza sensoriale". Lo scatto corrispondente alla traiettoria J è dato dalle frecce che partono dalla classe e salgono, attraverso i diversi livelli di spinta materiale (fisiologica, economica, sociale), al partito, che nella descrizione della Sinistra rappresenta il cervello collettivo, il livello assiomatico A nella descrizione di Einstein. Le frecce evidenziate in grassetto, che ritornano in senso contrario verso i "fatti" (la prassi), rappresentano la coscienza, cioè la decisione, la volontà, il progetto ai quali l'individuo e la classe, precedentemente coinvolti in indirizzi caotici e dissipativi, ora attivamente collaborano indirizzando al medesimo obiettivo una forza reale.
Osservando sempre il nostro schema, a partire da sinistra, abbiamo i "dati" che corrispondono a quelli descritti da Bateson, rappresentati dal livello dell'ordine esistente, variamente interpretato sia per quanto riguarda il singolo sia per quanto riguarda la classe, dove si coltivano "concetti euristici", cioè parole che esprimono opinioni sul bello e sul brutto, sul bene e sul male, insomma, su tutto ciò che è interpretabile, prima che intervenga la necessità di andare oltre. Si tratta della "politica", dove sguazzano i fotografatori di situazioni concrete, dove la discussione può essere eterna senza portare ad alcun risultato. Solo attraverso l'ulteriore livello, rappresentato dall'ultima colonna a destra, quello della teoria e del partito, può scaturire una soluzione all'insolubile problema delle chiacchiere in cui tutti hanno "ragione" o "torto", un po' come nelle discussioni da bar.
Qualcuno potrebbe chiedersi dove si vedono, qui, le indicazioni pratiche che potrebbero servire a guidare l'attività di migliaia di militanti assai sparsi nel mondo; per evitare gli errori, che pur devono esserci se la situazione è così tremenda; per "avviare la costruzione" del partito; per capire meglio le varie questioni tattiche; insomma, per realizzare tutto ciò che è racchiuso in S e che a prima vista non sembra promettere esaurienti risposte. Certo, anche lo schema del rovesciamento dialettico della prassi può avere i suoi lettori immediatisti: date le condizioni, manca solo l'elemento "rovesciatore", manca la direzione rivoluzionaria, quindi costruiamo il partito.
Abbiamo una certa esperienza di discussioni del genere e sappiamo che si tratta per lo più di scemenze volontaristiche. Tuttavia, entro i limiti del tentativo di approfondire, la domanda sul come si forma e sviluppa l'entità fisica del rovesciamento, non va trattata con arroganza, benché abbia in sé il difetto di presupporre già una capacità di rovesciamento ideologico della prassi, di applicazione di volontà da parte dell'individuo, il quale deve superare il modo di pensare corrente. Perciò bisogna affrontare il problema senza dar retta a quei personaggi che, immaginando di rovesciare la prassi per proprio conto, sono convinti che con la loro e altrui volontà possano cambiare radicalmente le cose, si possa rivoluzionare addirittura l'intera società. E naturalmente si danno da fare per questo. Ora, si può certo applicare volontà sufficiente per il bricolage, il riordino della libreria, l'imbiancamento della cucina, ma occorre rendersi conto che, per quanto riguarda i fatti sociali, il problema si fa immensamente più complesso.
Ad ogni modo, quando il movimento sociale stagna, quasi tutti vivono nella convinzione che la società sia più o meno immutabile, a parte il progresso tecnico. Ogni individuo è una particella sociale fra miliardi e contribuisce al divenire storico per quello che è, una frazione quasi nulla, tanto più che le spinte individuali possono essere contrastanti e quindi annullarsi. Solo una polarizzazione sociale può unificare le spinte caotiche in una potenza concentrata, indirizzata, in grado di contrastare quella dell'ideologia dominante e di scatenare effetti concreti verso il cambiamento. Ma questa polarizzazione dipende da fattori estranei alla volontà dei singoli, precisamente dal tempo di accumulo delle contraddizioni insite nel vecchio modo di produzione, il quale è legato anche al tempo di esposizione degli uomini agli effetti della controrivoluzione, cioè alla corruzione ideologica sempre più profonda. Finché la polarizzazione non si verifica è difficile superare il livello delle frasi ed entrare in quello degli schemi, che poi sono il primo livello di conoscenza per l'attività – diciamo così – progettuale del partito.
Perciò la domanda, oggi generalizzata, sul famigerato "che fare?", sul come si forma e sviluppa la forza fisica che guiderà il rovesciamento della prassi ed agirà materialmente nel senso del cambiamento, dimostra di per sé che tale processo non è in atto. Se c'è la domanda non c'è polarizzazione; non c'è neppure la comprensione del problema (Lenin, come abbiamo detto mille volte, non se lo chiedeva, lo spiegava).
La possibilità di comprensione da parte dell'individuo non nasce all'interno dell'individuo stesso, così come nelle schema di Einstein nulla di nuovo nasce da E sulla mera base dei suoi contenuti. Nel testo originale dello schema di rovesciamento della prassi, troviamo descritto il rapporto dialettico fra le opposte direzioni delle frecce d'influenza (conservatrice e rivoluzionaria): il partito rivoluzionario può essere un fattore cosciente di decisione, in grado di influire sugli eventi, solo in quanto prodotto dagli stessi (i termini vanno intesi in senso matematico: ab = c significa che c è il prodotto della moltiplicazione fra i fattori a e b; c può diventare a sua volta, ma solo dopo la moltiplicazione, un fattore che determina un altro prodotto).
E' negli eventi maturati nel tempo che si trova il conflitto tra le antiche forme di produzione e le nuove, quelle che intravediamo scaturire già adesso dall'esplosione delle forze produttive. Perciò l'individuo potrà comprendere la dinamica della formazione del partito e del suo sviluppo fino al rovesciamento della prassi soltanto se tale conflitto materiale lo coinvolgerà al punto di proiettarlo sulla linea J, che rappresenta lo scatto della conoscenza e quindi dell'azione verso S. Ma non è nel suo cervello che ciò succederà, bensì al di fuori, e a lui in quanto individuo non sarà concessa a priori la consapevolezza della nuova prassi, perché gli verrà dal partito, attraverso i molti che, come lui, ad esso daranno corpo.
Noi ci rifacciamo a Marx e spesso a coloro che sono venuti dopo di lui, anche quando, come gli scienziati che qui abbiamo utilizzato, non sono "marxisti". Lo facciamo perché essi rappresentano il materiale umano che prepara i salti storici, pur essendo ben pochi coloro che sono riusciti a dare sistemazione globale ai problemi affrontati, mantenendo la coerenza anche a livello della concezione sociale. Utilizziamo non frammenti isolati ma un continuo accumularsi, un dinamico procedere della storia in cui le due ultime classi preparano uno scontro decisivo per l'umanità. In questo procedere è acquisito, tra le dotazioni teoretiche della conoscenza futura, lo scontro finale tra la conoscenza dovuta all'idea individuale (illuminata magari da afflato divino) e quella dovuta al lavoro degli uomini nella produzione sociale. Nel secondo caso il "sapere" è considerato accumulo di specie, e i balzi repentini, cui hanno contribuito e contribuiscono magari particolari personaggi o avvenimenti, non sono colpi di genio dell'individuo o delle sue organizzazioni, ma i risultati di rotture storiche profonde, in cui i rapporti fra le classi e il modo di produrre vengono sconvolti dalle fondamenta.
Letture consigliate
- Albert Einstein, Corrispondenza con Michele Besso, Guida Editori; Autobiografia scientifica, Boringhieri; Come io vedo il mondo, Newton Compton; Pensieri degli anni difficili, Boringhieri.
- Gerald Holton, L'immaginazione scientifica, Einaudi.
- Gregory Bateson, "La scienza della mente e dell'ordine", introduzione a Per un'ecologia della mente, Adelphi.
- Partito Comunista Internazionale, "Schema marxista del capovolgimento della prassi", in Partito e classe, disponibile nella nostra collana Quaderni Internazionalisti; "Relatività e determinismo", Il programma comunista n. 9 del 1955.