Tecoppismo cronico e irrecuperabile
Un tempo molte tribù primitive chiamavano "uomini" solo i propri componenti e designavano quelli di altre tribù con qualche termine alieno. Il villaggio di appartenenza era considerato unico, per loro era l'ombelico del mondo. Oggi, spazzati via i residui dei vecchi modi di produzione, sopravvivono tribù ormai rapite dal ciclo capitalistico che, persa la verginità comunistica primitiva, si vendono ai turisti e ai produttori di finti documentari in attesa dell'inevitabile estinzione. Non barattano più conchiglie o specchietti ma dollari, marchi e yen, che il loro agente versa in banca, la quale li mette in circolazione, ecc.
Mentre alla periferia della darwiniana giungla capitalistica si estinguono queste tribù antiche, nel suo cuore si avvia e si consolida un'evoluzione conoscitiva gravida di sviluppi rivoluzionari, basata su strumenti della forza produttiva sociale sempre più avanzati, automi, computer, comunicazione, tutto materiale che un Marx entusiasta avrebbe usato per dimostrare la marcia del comunismo sviluppato. In antitesi con l'andamento generale, strane tribù metropolitane non si estinguono e non evolvono: il loro ombelico del mondo è uno spazio dove impera un comunismo rozzo costellato di simboli arcaici agro-meccanici, dove si adorano santi barbo-baffuti, si compiono riti iniziatici, si tramandano miti di fondazione, si seguono liturgie.
Dall'interno di queste tribù la visuale è un po' ristretta, come quella della Chiesa prima di Copernico e Galileo. Sarà per questo che le chiese hanno ancora successo, anche quelle nuovissime e tecnologiche d'America. Dal profondo di tali universi paralleli alla realtà, da questi buchi neri dello spazio-tempo, come nella ordinaria fantascienza, ogni tanto giunge il grido disperato di chi ne è prigioniero. Ma fosse mai per informarsi, chiedere, tentare una connessione con questo mondo iperconnesso: perché voi siete lì e noi qui; quale strano fenomeno relativistico ha sovvertito i nostri mondi; quale legge fisica ci ha reso separati. No, lo schema tribale non s'infrange mai, il grido è sempre unidirezionale, contro l'alieno: il vero ombelico è il mio, il tuo è falso e tu sei un rinnegato, anatema!
Per chi invece cerca faticosamente di capire la fisica di tutte le molecole sociali, sentendosi parte del mondo che cambia, entrando in relazione con la dinamica del suo divenire, è impossibile entrare in sintonia con questi pozzi di antimateria. Soprattutto è impossibile che lì trovi interlocutori con cui discutere e imparare insieme qualcosa sulla dinamica che distruggerà le attuali molecole sociali e ne farà nascere altre, fino a negare il caos capitalistico a vantaggio di un nuovo ordine. Tuttavia le determinazioni materiali pongono la necessità di nuove relazioni, anche fra gli uomini, e da qualche parte nel mondo il lavoro va comunque avanti.
Di fronte alle difficoltà del percorso c'è chi si sente più sicuro rimanendo ancorato ai risultati delle rivoluzioni passate. Questo sarebbe un non disprezzabile vantaggio se significasse difesa del patrimonio storico delle rivoluzioni, accumulato nel loro succedersi. Ma lo studio del "succedersi" significa capire che c'è una dinamica, perciò capire quello che viene dopo il passato e dopo il presente. Invece vengono mostrate le lampade votive sotto le icone, la "prova" che i santi protettori sono schierati, come fossero gli dei dell'Olimpo sotto le mura di Troia. E' lo sport della stretta osservanza ai santi. Solo che c'è il trucco: li si fa parlare come fa il ventriloquo con il pupazzo. Noi che non veneriamo santi ma cerchiamo solo di utilizzare al meglio il patrimonio comunista, tiriamo innanzi, attingendo da questo e da tutto il mondo che ci circonda, sapendo che oggi, come fu ieri per i nostri maestri, fa scienza solo chi sa fare relazioni dinamiche e non chi colleziona scatti fotografici. Se leggiamo l'Iliade, siamo sicuri di non scadere nel tifo per Ettore o Achille e i loro rispettivi sponsor dell'Olimpo, ma di riuscire a distinguere due modi di produzione che si scontrano, riverberati nell'epica della memoria di specie. I santificati padri delle rivoluzioni non facevano miracoli ma attingevano alla conoscenza passata e presente dell'umanità, ne traevano relazioni, conclusioni, leggi, nuova conoscenza sulla dinamica dei processi futuri.
Sparando contro Stalin al XX Congresso del PCUS, i suoi critici ne utilizzavano appieno le argomentazioni. Disse allora la nostra corrente: "Spegnete la lampada sotto la sua icona, gente, ma andatevene a letto al buio. Non elogiate Lenin e Marx: potrebbero saltar fuori dalla tomba". Era stata citata l'Associated Press, che aveva avuto buon gioco nel mostrare che i super-critici erano gli idoaltri di un tempo. "Citiamo la stampa borghese, eh, tovarisch Tecoppa?" Citando anche L'Unità, si mostrava che questa era in perfetta sintonia con l'agenzia americana (dal Dialogato coi morti). Spegnere il lumino sotto un'icona per accenderlo sotto un'altra è peggio dell'opportunismo. Questa malattia delle tribù-ombelichi, che consiste nel fare le pulci agli altri con gli stessi argomenti usati per adorarli era stata chiamata "tecoppismo". Da Tecoppa, personaggio del commediografo Ferravilla, un tipo che aveva come unico appiglio contro le altrui argomentazioni: "Ma quello lì è capace di parlar male di Garibaldi!". Curiosi di sapere chi ha rispolverato il personaggio? Bordiga, che sapeva in anticipo di essere passibile di iconizzazione. E così è stato.
Quale il processo, ben conosciuto? Quello di ridurre l'universale a particolare pettegolo, di personalizzare processi che sono storici, di ridurre fatti materiali a proposizioni metafisiche e perciò non confutabili, come fece notare la Sinistra Comunista contro lo stalinismo nascente: "Invece di muovere contro le difficoltà, di discutere i pericoli e di ricostituire dinnanzi ad essi le ragioni vitali della nostra dottrina e del nostro metodo, essi si vogliono rifugiare in un sistema intangibile. La loro grande soddisfazione è di assodare, con largo ausilio di frasi del tipo 'ha detto male di Garibaldi', con indagini sulle supposte idee ed intenzioni intime non manifestate ancora, che Tizio e Sempronio hanno contravvenuto al ricettario scritto sul loro taccuino, per gridare dopo: sono contro l'Internazionale, contro il leninismo" (da Il pericolo opportunista e l'Internazionale, 1925).
E non si può rispondere a questo scomunicarsi incrociato, non si può "entrare nel merito", senza abbassarsi al livello batracomico. Le migliaia di gruppi e partitini "comunisti" sparsi per il mondo sono conseguenza di fattori materiali pesantissimi e non ci passa neppure per la testa di "criticare" le leggi del determinismo. D'altra parte, ciò che nelle varie "posizioni" è criticabile è già stato criticato più volte nei "classici", non c'è niente di nuovo. Siamo ben distanti dall'epoca in cui la critica era frutto di universi contrapposti che la storia metteva in collisione, perciò scimmiottare le antiche grandiose polemiche non ha senso, altro che "fecondità del dibattito". Ognuno ha a disposizione tutti i mezzi teorici per trovare la strada del comunismo, non se "vuole", ma se è spinto a farlo. Mettersi a confrontare opinioni è come risvegliare il cretinismo parlamentare, farlo uscire dalle "aule grigie" dei parlamenti, già irreversibilmente sputtanati dalla stessa borghesia.
Perciò non ci interessa ricevere scritti – carta o bit – di qualcuno su qualcun altro. Se non è lavoro comune, apporto anche critico alla continua elaborazione, non ce ne importa niente, non serve a niente.
Le correnti idealistiche vedono il "male" come una malattia iniettata nell'uomo fin dai tempi della creazione. Il rimedio consisterebbe nella lotta per migliorare la struttura mentale del litigioso bipede. Essendo il rimedio figlio diretto del male che si vuole sconfiggere, il fallimento è assicurato e non c'è nulla di più naturale della lotta ideologica tra idealisti. Sono quindi perfettamente conseguenti gli inquisitori, i processi, e se fosse possibile, naturalmente, si ricorrerebbe alle galere e ai boia.
La corrente marxista registra il fenomeno e ne ricerca le determinazioni. Scopre che la struttura mentale dell'uomo (intesa come ideologia) cambia in ragione del cambiamento dei rapporti di produzione e cambia per di più con molto ritardo rispetto a essi. Questo fatto sembra una contraddizione insuperabile: Marx ha un bel dire che i comunisti anticipano il futuro, ma se la struttura mentale è quella dovuta all'ideologia dominante è così difficile uscirne…
Non può l'individuo, non può la classe così com'è. Allora l'unica anticipazione possibile è che la rivoluzione scelga i suoi strumenti, che il partito storico acquisti corpo, braccia, gambe e li faccia muovere. Solo nel partito organico sta la soluzione del problema e finché il cervello sociale non avrà il sopravvento su quello individuale anche nella prassi quotidiana delle migliaia che si richiamano al marxismo, esisterà la "bisanzio comunista", si dibatterà sul sesso degli angeli. Nei Manoscritti del '44 Marx dice che il comunismo è la struttura necessaria e il principio propulsore del prossimo futuro, ma non è la meta dello svolgimento storico, la struttura della società umana. Per evitare la palude bizantina occorre che il principio propulsore lavori, che faccia superare l'individuo. Con che mezzo? Dopo quattro anni dal testo citato, il Manifesto sarà il manifesto del partito comunista, non di qualcuno. Non si vede in che cosa possa consistere un cambiamento "attuale".
Ciò significa che, non essendo il comunismo un modello di società, i comunisti non sono gli anticipatori di un modello ma i detector (chi rileva, chi scopre) di un corso materiale di avvenimenti. Molti non si rassegnano ad essere relegati alla funzione di semplice rilevatore "passivo". Non capiscono che il rilevatore di fenomeni è anche un rivelatore di leggi, e chi trova la legge alla fin fine sa dove porta il processo, quindi sa che nei momenti in cui si manifesta una singolarità storica (cuspide) sarà possibile il rovesciamento della prassi, la manifestazione della volontà di classe. Certo, tramite il partito, che è fatto di uomini. Partito che, secondo una bella definizione contenuta nelle Tesi di Roma, non è tanto un rilevatore del processo sociale quanto un rilevatore nel processo.
Ne deriva che, se pur dobbiamo assolutamente intendere il partito come prodotto della storia prima, molto prima, che esso ne diventi un fattore, dobbiamo anche sapere che siamo nel processo, quindi elementi attivi che anticipano il partito (e non si legga "costruiscono"!).
Se si analizzano le informazioni che gruppi e militanti hanno fornito nella storia delle defezioni dal partito storico, vediamo senza ombra di dubbio che essi sono stati schiacciati dal fatto di essere nel processo senza avere la capacità o la possibilità di reagire da comunisti, cioè di rovesciare la prassi che trascina nell'esistente. Perciò l'hanno accettato, il mondo esistente, ponendosi il compito sciocco di sostituirsi alle determinazioni materiali. Ne sono stati fagocitati e ne hanno utilizzato tutte le categorie di valore. Per questo si misurano e valutano reciprocamente, con acrimonia, ognuno con il suo bravo metro personale. Hanno fatto propria la concezione secondo la quale i comunisti sono i fattori del processo, dimenticando che neppure un droghiere è fattore del suo incasso. Per questo entrano in paranoia quando l'impotenza si palesa.