A 250 anni dalla pubblicazione dell'Encyclopédie

Luglio 1751: dopo sei anni di progetti e preparativi, usciva in Francia il primo volume dell'Encyclopédie, Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers. Doveva essere un lavoro di routine, la semplice traduzione di un'enciclopedia inglese già esistente; la società gravida di una rivoluzione ne fece in breve un'opera completamente nuova.

Nelle prime righe dell'introduzione Diderot e d'Alembert vollero ribadire quel che più volte avevano affermato a proposito della negazione dell'individuo: noi dichiariamo che quest'opera non è il frutto del lavoro di due filosofi che si sobbarcano un compito superiore alle loro forze; noi abbiamo solo messo ordine nel materiale che altri ci hanno fornito. E subito dopo una dichiarazione materialista sulla ricerca intorno alla conoscenza: "Per poco che ognuno abbia riflettuto sul legame tra le scoperte, è facile accorgersi che le scienze e le arti si prestano mutuamente soccorso e che vi è, di conseguenza, una catena che le unisce. Ma se è spesso difficile ridurre a un piccolo numero di regole o di nozioni generali ogni scienza od ogni arte in particolare, non lo è certamente meno il fissare in un sistema unico i settori infinitamente vari della scienza umana. Il primo passo che noi dobbiamo fare in questa ricerca è di esaminare, ci si permetta questo termine, la genealogia e la filiazione delle nostre conoscenze, le cause che hanno dovuto farle nascere e le loro caratteristiche distintive. In una parola, di risalire fino all'origine e alla generazione delle nostre idee (Discours préliminaire).

Duecento esperti offrirono le loro conoscenze per un corpo teorico che divenne il manifesto della borghesia rivoluzionaria ed esso fu riassunto in via preliminare in un opuscolo propagandistico, il Prospectus, distribuito in migliaia di copie. In esso si mostrava l'albero della conoscenza di Francis Bacon e la teologia vi era raffigurata in modo del tutto sovversivo come derivazione della filosofia e non viceversa. Diderot era appena uscito di galera per uno dei suoi scritti contro la cecità sociale; d'Alembert s'ingegnava per trovare sottoscrittori e proseliti assicurando la rispettabilità politica e morale dell'impresa. Entrambi dovettero combattere fin dall'inizio per assicurare autonomia totale all'opera, minacciata dalle forze dell'antica società. Furono vittoriosi, perché nessuno poteva fermare la rivoluzione in corso.

La Chiesa scatenò i gesuiti, la corte feudale scatenò il partito della devozione appellandosi a Dio e al re. Ma il partito del passato si dimostrò impotente. I gesuiti furono sommersi da una quantità sterminata di pamphlet illuministici firmati dagli stessi autori dell'Encyclopédie. Per quest'ultima arrivarono 4.000 prenotazioni da ogni angolo d'Europa, un'enormità, visto che occorreva anticipare l'equivalente della paga annuale di un operaio. Sottoscrissero i borghesi, ma anche i feudali transfughi della loro classe, i colti prelati, gli ufficiali dell'esercito reale. Nessuno aveva previsto un simile successo. Il Discorso preliminare di d'Alembert scatenò l'entusiasmo, se ne fecero letture pubbliche nelle case della borghesia emergente.

Nonostante scattasse l'accusa di empietà e fosse sospesa la pubblicazione, la forza esplosiva della nuova società non permise che il suo manifesto fosse messo a tacere. All'interno stesso dello Stato si moltiplicarono solerti protettori: il sovrintendente alle stampe Malesherbes, il cancelliere d'Argenson, gli statisti Sartine e Vergennes, la potente e colta marchesa di Pompadur. Nel 1753 il re permise la ripresa della stampa. Il lavoro, che non era stato mai interrotto, proseguì al ritmo di un volume l'anno. Schiere di incisori prepararono tavole minuziose che illustravano a tutti le tecniche meravigliose delle arti e dell'industria.

Ma proprio il successo indusse Stato e Chiesa a intensificare gli attacchi per bloccare nuovamente la pubblicazione. Si esaurirono i fondi, e nel 1758 d'Alembert si arrese. Diderot perseverò, covando verso l'amico quella sottile vendetta che fu Il sogno di d'Alembert, una delle opere più alte della borghesia rivoluzionaria, già materialismo non volgare. L'anno successivo il privilegio reale venne ritirato; di lì a pochi mesi la Chiesa avrebbe messo in campo il Papa Clemente XIII in persona, che aveva già posto all'indice le opere di Rousseau e si apprestava a farlo con l'Encyclopédie. Nonostante ciò, quasi nessuno dei redattori smise il lavoro. La monarchia, di fronte alla forza di un fenomeno che stava coinvolgendo le sue stesse strutture, non poté far altro che chiudere un occhio. Anzi, nel 1764, forzata dalla rivoluzione avanzante, fu addirittura costretta a far sloggiare dalla Francia gli anti-illuministi gesuiti. Redazione e stampa continuarono nella clandestinità: nel 1766 tutti i 17 volumi raggiunsero i sottoscrittori. Entro il 1772 anche i restanti volumi delle incisioni furono pubblicati. Della prima edizione se ne erano vendute 25.000 copie, una tiratura inimmaginabile per quei tempi e per il tipo di opera.

In Italia, a Lucca, già nel 1758 erano usciti i primi volumi; a Livorno nel 1770; subito dopo a Ginevra, Losanna, in altre città d'Europa. Diderot definì l'Encyclopédie una "rivoluzione degli spiriti", che nel linguaggio illuminista voleva dire vittoria sulle vecchie categorie filosofiche, sottoposte alla critica del razionalismo materialista e giudicate col criterio dell'utilità sociale. Qualcuno, più tardi, la chiamò macchina da guerra contro l'ancien régime, e basta leggere alcune voci di Diderot come "Art", "Autorité politique", "Égalité", "Impôt", "Industrie", "Répresentance", per rendersi conto di quanto fosse azzeccata la definizione. Industria, dice Diderot, non è quell'entità metafisica che mi ha proposto Quesnay nel suo articolo, ma "concerne la coltura delle terre, la manifattura, l'arte; essa feconda tutto e spande ovunque l'abbondanza e la vita; come le nazioni distruttrici fanno del male che loro sopravvive, così le nazioni industriose fanno del bene che non finisce con esse". Gli enciclopedisti, su incitamento di Diderot, non scrivevano per sentito dire, andavano di persona nelle fabbriche per imparare il processo produttivo e il funzionamento delle macchine più moderne; gli incisori copiavano dal vero. I philosophes non erano topi da convento, preparavano manuali di agricoltura, di scienza, di matematica, di produzione.

Oggi il partito della rivoluzione e la classe che ne sarà lo strumento non possono progettare enciclopedie. Mentre la borghesia aveva già fisicamente il controllo della produzione e degli scambi in una società dove capitalisti e feudali convivevano in sistemi separati, proletari e capitalisti non convivono affatto separati, sono due elementi dello stesso sistema. La borghesia poteva e doveva eliminare il feudalesimo per affermarsi: il proletariato esiste perché c'è il capitalismo e viceversa; abbattendolo non si afferma, si nega. L'enciclopedia della rivoluzione comunista esiste già, non c'è bisogno che la scriva una classe particolare, la scrive la specie: oggi più che mai, molto più di quanto immaginassero Diderot e d'Alembert con i loro 200 collaboratori, si tratta di dare ordine, di mettere in relazione ciò che la specie umana produce nel presente per il futuro. Questa è la nostra enciclopedia, non ha bisogno di un consiglio di sapienti, la sta scrivendo il mondo intero, basta trovare il filo rosso attraverso i lemmi giusti.

Rivista n. 6