La Sinistra Comunista e il "Comitato d'Intesa"
Nella nostra collana Quaderni Internazionalisti. Indice: Presentazione, Che cosa fu veramente il Partito Comunista d'Italia, La "bolscevizzazione", La questione Trotsky, I costruttori di partiti ovvero: bolscevizzazione risorgente e tenace!, Rappresentare la linea del futuro di classe. Più 104 documenti dal 1924 al 1926. Pagg. 440, Euro 15,00.
Il periodo 1924-26 fu cruciale per la Terza Internazionale e per i ben poco omogenei partiti che la componevano. Alla cosiddetta bolscevizzazione, imposta con pratiche burocratiche e minuziose disposizioni formali e disciplina caporalesca, il partito italiano reagì con veemenza. Mosca aveva esautorato d'ufficio la direzione della Sinistra, e il partito, legato ad essa con più del 90% di voti congressuali, non aveva rotto la disciplina per questo. Tuttavia si era ribellato pretendendo la discussione allargata a tutta l'Internazionale e gettando sul tappeto il problema che già allora incominciava a chiamarsi del "centralismo organico".
Infatti il partito "italiano" era l'unico che stava uscendo da schemi organizzativi come la gerarchia interna, la democrazia, il funzionarismo, tutti aspetti ancora legati a questa società. L'esperimento, in parte riuscito, fu troppo breve per avere conseguenze, anzi, non fu capito e provocò pesantissime reazioni contrarie ai vertici dell'Internazionale. Il partito diretto dalla Sinistra reagì con la costituzione di un Comitato d'Intesa, un organismo provvisorio che avrebbe dovuto raccogliere e disciplinare le discussioni fino al successivo congresso, ma che in effetti fu sciolto molto prima, dopo appena tre mesi dalla sua costituzione.
La "costruzione" di un'internazionale "bolscevizzata" secondo modelli prefissati e codificati non era altro che un rigurgito di utopismo. Come dimostrò in seguito la Sinistra Comunista "italiana", tale concezione fu comune a Proudhon, a Stalin, a Gramsci e alle correnti che si ribellarono allo stalinismo rivendicando libertà di critica e democrazia interna sulla base di schemi specifici, antiautoritari, consigliari ecc. A questo utopismo triviale, si accompagnava un operaismo anacronistico, già superato nei fatti dalla rivoluzione, ma ora risorgente con la vittoria della controrivoluzione. Utopismo e operaismo si saldavano, in quanto il modello sarebbe stato "costruito" con l'ordine di dar vita a sotto-modelli come i consigli o le cellule, mentre parallelamente si tentava di "conquistare la maggioranza delle masse" attraverso fronti unici con gli avversari di classe. Un vero modello di democrazia borghese.
La Sinistra insisteva invece sul fatto che la forma-partito, intesa organicamente, era l'unica che fondesse il non-proletario con il proletario, portando il primo a raggiungere il livello teoretico e storico prodotto dal movimento reale degli interessi rivoluzionari del proletariato. La fusione degli individui nel partito organico e la cancellazione dall'anagrafe sociale borghese era l'unica disciplina che poteva servire "come mina rivoluzionaria e non come contromina borghese nelle nostre file". La superiorità del partito organico stava dunque nel superamento dell'utopismo, dell'anarchismo, del laburismo, dell'operaismo. In alcune lettere di protesta inviate alla nuova direzione centrista dai militanti posti di fronte allo schiacciasassi staliniano, è descritta in termini passionali e genuini l'organicità già realizzata, in contrasto col distruttivo caporalismo dilagante. Si entrava nel partito per l'effetto dello scontro storico fra classi e non per l'appartenenza individuale del militante ad uno specifico meccanismo produttivo, settore, categoria, addirittura reparto, su cui la "cellula comunista" doveva conformarsi e su cui il partito avrebbe dovuto basare la propria gerarchia piramidale. Il partito non doveva ricalcare l'organizzazione specifica della società borghese, nemmeno quella produttiva la quale, finché dura il capitalismo, è fisiologica e organica solo alla classe dominante.
Una delle verifiche del fatto che si stava rompendo il cammino verso l'organicità fu, fin dal 1923-24, il dilagare di professionisti vari, soprattutto avvocati, alla nuova direzione del partito ormai in mano ai "bolscevizzatori", mentre diminuivano proprio gli ipocritamente esaltati operai. Non solo, ma poco a poco si gonfiava la "direzione" e diminuivano gli iscritti di base, mentre negli anni precedenti cinque militanti in tutto erano sufficienti per ogni incombenza direttiva centrale, essendo il partito organico in grado di auto-organizzarsi sulla base di un'assimilazione non caporalesca del programma. Come ogni organismo vivente, appunto.
La documentazione raccolta in questo volume mostra nei dettagli lo scontro fra condizioni organizzative reali, dettate dallo sviluppo dei rapporti di classe in un paese di vecchissimo capitalismo come l'Italia e le condizioni altrettanto reali della Russia, portata in quegli anni alla responsabilità internazionale ma portatrice di istanze arretrate. Il confronto è essenziale per capire la fondamentale necessità che il partito comunista si formi e si sviluppi su basi organiche. Nel 1921, alla vigilia del III Congresso, quello in cui fu "codificata" la tattica del fronte unico, la direzione russa, affiancata dalla delegazione tedesca, preparò le Tesi sulla tattica. In esse compare, ossessivo, il ritornello sulla "creazione" di situazioni e organizzazioni. Il contesto è del tutto anti-marxista in quanto vi si confonde la tattica, che è un problema di alleanza fra classi, con la "lotta per la realizzazione del comunismo". Come se il comunismo non fosse il movimento reale continuo della rivoluzione, come lo intesero Marx, Engels, Lenin e la Sinistra, un movimento da assecondare, influenzare, indirizzare, non da creare. E questo era un assunto già condensato nella nostra conosciuta frase "partiti e rivoluzioni non si fanno, si dirigono", contenuta in un articolo comparso nel '21 su Rassegna comunista.
All'epoca del Comitato d'Intesa erano quindi ormai ben consolidate le posizioni sul centralismo organico e altrettanto consolidata l'inaccettabilità delle pratiche "bolscevizzatrici". Il partito "italiano" aveva presentato nel '22 le sue tesi sulla tattica (dette "di Roma"). Esse rispondevano anche all'Internazionale, ma rappresentavano soprattutto un insieme organico sull'azione del partito in rapporto alle "situazioni". Furono respinte dall'IC in quanto, giustamente, incompatibili con i testi che essa stava producendo e ai quali i vari partiti si adeguavano per il semplice fatto che erano essi stessi in perfetta sintonia con l'arretratezza russa. Le Tesi di Roma non elencavano ricette, parole d'ordine che si risolvevano in pure e semplici questioni di procedura politica, ma svisceravano le questioni imposte dalla dinamica storica, la sola sulla quale si può impostare (non "scegliere") la tattica.
Nella massa dei documenti e corrispondenze pubblicate nel volume, nella prefazione che li inquadra, in una dettagliata storia di quegli anni e in un confronto con documenti recenti che dimostrano quanto sia tenace l'errore, i lettori potranno imboccare più percorsi per verificare la necessità di superare le concezioni democratiche di partito e quindi la necessità di battersi per il partito organico. Di fronte agli attacchi cui fu sottoposta la Sinistra Comunista "italiana", accusata di produrre soltanto teorizzazioni astratte e di fomentare frazionismi con il suo rigore teorico, potranno verificare facilmente quanto sia stata disastrosa la vittoria delle tesi avversate dalla Sinistra. Chi non è accecato dai luoghi comuni che inquinano il marxismo con tutto l'armamentario preso a prestito dall'ideologia dominante, chi cioè rifiuta di lasciarsi incastrare nella vecchia forma sociale con tutte le sue propaggini sovrastrutturali, vedrà con chiarezza come l'interpretazione corrente della realtà storica dev'essere capovolta: l'elaborazione scientifica della Sinistra ha sempre rappresentato il vero modo pratico per affrontare sia i compiti della rivoluzione che la terribile situazione controrivoluzionaria, mentre i tentativi centristi di affrontare le situazioni storiche tramite espedienti politici ha sempre rappresentato l'approccio idealisticamente astratto e metafisico.