Il dogma, l'azione e l'Ipse dixit
Fino a Galileo, e anche più in là, i filosofi solevano tagliar corto sulle dispute sollecitate dal divenire del mondo: chi l'ha detto? Ipse dixit, l'ha detto lui, cioè Aristotele, quello che non sbaglia mai. Lo stagirita era una gran testa, e Galileo non lo riconosceva solo per salvarsi dal rogo. Non sbagliava, disse, ma il problema è un altro: se egli fosse qui, oggi, direbbe le stesse cose che dico io, come io direi le cose sue se fossi vissuto allora.
"I comunisti sono per la democrazia". Chi l'ha detto? L'ha detto Marx. L'ha ripetuto Lenin. Vero, nel 1848 e nel 1905; ma un momento, ricapitoliamo.
I maestri insegnano, gli allievi studiano. Spesso ripetono insieme cose dette da vecchi maestri. Naturale, la conoscenza è accumulo e relazione, il ripetere fa parte della rete di relazioni, la ridondanza è sicurezza nella comunicazione. Funziona. Quando ascoltiamo un Cd musicale, quando mandiamo un messaggio, quando l'uomo invia e riceve segnali di qui a Plutone, quando parliamo banalmente al telefono: "Pronto, che tempo fa"? "Piove". "Eh"? "Piove". La ridondanza fa parte dell'apprendimento, il cervello umano ne ha bisogno per passare dalla memoria a breve, volatile, a quella più profonda, duratura nel tempo. Ridondanza, comprensione, memorizzazione e, come diceva una nostra vecchia conoscenza, "ribattitura di chiodi". Il processo rivoluzionario è continuo, una incessante ribattitura di chiodi.
Quelli citati non erano i chiodi da legno, ma i chiodi che tengono insieme ponti d'acciaio gettati fra epoche. Si scalda il chiodo al calore rosso, lo s'infila rovente fra due putrelle forate e si ribatte in modo da forgiarne la testa. Raffreddando, esso si contrae e assembla le travi come nessun bullone può fare. E' un lavoro ripetitivo, sistematico, un chiodo dopo l'altro. Ma su travi diverse in posizioni diverse come da progetto. E a un certo punto ecco una struttura, una capriata, un ponte, un grattacielo, una Tour Eiffel.
E' lavoro da operai che sanno il fatto loro, ben coordinati nelle operazioni, che sommando piccole energie ottengono enormi risultati. E a nessuno di loro verrà mai in mente di dire: "quello è il mio chiodo". E nessuno si porterà mai nel portafoglio la foto del tal progettista, né la metterà in casa a mo' di santino. Ognuno sa benissimo che cos'è un ponte, non ha bisogno di dire tutti i momenti: questo è un ponte, l'ha detto il tale. Anche perché non si può sapere chi sia esattamente costui. Di certo non è uno. E' almeno una squadra di qualche decina di persone, ognuna delle quali adopera conoscenze di altre squadre che nei millenni hanno progettato e fatto ponti di pietra, di legno, di corde, d'acciaio.
Dunque ribattiamo chiodi, sistematicamente. E' certo che ripetiamo. Ma intanto dal livello delle possenti fondamenta ci siamo alzati e uniamo strutture a qualche metro più in alto, con metodo e invarianza di lavoro. Si è capito che non ha senso far valere degli argomenti ricorrendo all'autorità di qualche persona specifica. Fra le persone che potremmo "scegliere" c'è di tutto e il contrario di tutto. Nel fluire del lavoro nel tempo è utile cogliere la differenza fra gli invarianti e le deviazioni, il ricorso a nomi è del tutto secondario e sarebbe addirittura meglio farne a meno. A nessun fisico, facendo un esperimento sulle leggi di gravitazione, verrebbe in mente di dire: l'ha detto Newton. Se invece facesse una ricerca storica con altri fisici o con degli studenti, allora studierebbe i risultati di Newton nella dinamica della conoscenza in quel campo. Una ricognizione sulle fondamenta.
Scorciatoie non ce ne sono mai, il lavoro è continuo, da millenni. Qualche volta registriamo episodi e facciamo nomi, senza cadere nel feticismo di essi ma neppure nel feticismo di assurdi anonimati di maniera. Così ogni tanto siamo chiamati a rispondere del nostro "agnosticismo" di fronte al problema. Falso problema, però. La vera questione sta nel non nascondersi dietro i grandi personaggi per fare le più sporche operazioni di tradimento nei confronti del lavoro che hanno rappresentato.
L'ha detto Marx; e giù citazioni. No, non l'ha detto Marx, l'ha detto la specie umana tramite un suo portavoce particolarmente efficace. Ma non era solo, non era l'unico e non poteva nemmeno occuparsi di tutto lo scibile, anche se non aveva il cervello impigrito dalla tivù e con lo studio non scherzava affatto. Non siamo qui per dare medaglie al merito o mettere alla gogna. Esponiamo, colleghiamo, elaboriamo esclusivamente su serie di fatti e valutazioni precedenti e – l'abbiamo detto anche nel titolo di questa rivista – successive. Fatti e valutazioni di là da venire? Ma scherziamo? Certo che no: il ponte collega le sponde, porta dall'altra parte. L'uomo valuterà i nuovi fatti che avrà sotto mano, e il primo fra tutti sarà l'assenza del capitalismo. Quando sarà abbattuta la struttura di classe attuale, sappiamo esattamente cosa farà l'uomo, perché all'inizio si troverà ad affrontare un mondo esattamente come quello che abbiamo sotto gli occhi, "soltanto" liberato da freni e catene. Una liberazione di energia, perciò sappiamo già dove andrà questo mondo.
L'ha detto Marx. D'accordo, se serve come strumento mnemonico per non farla troppo lunga tutte le volte. Ma il nostro programma, quello che va dall'altra parte, non è il prodotto di una "mente" qualunque in un momento qualunque in un posto qualunque, ma di un movimento, di una dinamica in cui si sono scontrati uomini e soprattutto classi nel volgere di anni, decenni, secoli. Dinamica costellata di singoli episodi, ma tutti collegati e collegabili in un corso unitario, non opinabile. Quindi l'ha detto Marx, un doktor barbuto, figlio di un'epoca in cui la produzione sociale porta alla luce il contrasto fra due classi particolari, complementari e antagoniste, destinate ad annullarsi reciprocamente e a superarsi. L'ha detto Marx in un'epoca adatta più delle precedenti e di quelle successive al sorgere di una teoria sociale. E' un chiodo che è bene ribadire sovente: noi siamo per un corpo invariante di teoria e prassi che non è possibile mutare senza negare, e che non è possibile "superare" senza prima essere giunti al suo livello. Ma questo livello è la sua realizzazione totale. Essa è in corso, e non ammette figliazioni bastarde. Un corso di millenni che chiamiamo per intero rivoluzione.
L'umanità bambina ricorse al mito per memorizzare questo corso e fissarlo come indeformabile rispetto all'opinione del singolo. Più tardi ricorse al dogma. Oggi si serve di sistemi basati su assiomi. Marx dispose questi ultimi come materiale artiglieria pesante contro l'ideologia tedesca. Engels mise in guardia sul loro utilizzo corretto: se il determinismo significasse concatenazione lineare di cause ed effetti, l'intero cammino dell'umanità futura sarebbe prevedibile come un'equazione elementare. Lenin sottolineò che "il marxismo non è un dogma, ma una guida per l'azione". Un enunciato imperfetto, ma scaturito nel corso dell'azione più alta mai tentata dalla classe rivoluzionaria, dove la propaganda valeva come il cannone.
"Dissero", dunque, ma dissero anche un Gramsci e più chiaramente uno Stalin nella loro "lotta al dogmatismo", utilizzando l'infelice frase di Lenin. Infelice, perché il marxismo, non solo ha a che fare con l'azione, cioè la prassi degli uomini, addirittura ne scaturisce. Ma non la mette sul piedistallo come soggetto della storia, come chiave per la sua comprensione. Non è la somma delle prassi degli uomini singoli che fa la storia, ma l'interazione tra gli uomini e degli uomini con l'ambiente in cui vivono, quindi con il loro passato e il futuro cui tendono e che cercano di prevedere. Allora già sarebbe sbagliato indagare su un fenomeno cominciando ad appioppargli un nome sbagliato. "Marxismo" è personificazione di un processo impersonale; come si sa, Marx era contrariato da questo vocabolo, nato mentre egli era ancora in vita. Adesso comunque il vocabolo c'è, adoperiamolo il meno possibile, ma si sappia che esso significa scienza delle leggi della prassi nel divenire della specie umana. La prassi è il livello di base, la somma e l'interrelazione caotica dei fatti su cui s'innestano le azioni coscienti, i progetti degli uomini. Non mancano i progetti coscienti, dunque, ma sono tributari di un mondo che finora si è mosso su di una base caotica, fuori del controllo umano. Per questo diciamo che l'umanità si muove verso il rovesciamento della prassi.
Il marxismo non è dunque un dogma bensì una guida per l'azione? Isolata dal suo contesto, alla luce di ciò che abbiamo appena detto, la frase non vale più nulla. Dogma vuol dire, nel tempo, rivelazione divina che non si può sottomettere ad analisi, dottrina filosofica ammessa in una scuola chiusa, proposizione sintetica basata su concetti non riducibili. Oggi, al di fuori delle religioni rivelate, dogmatico ha senso negativo, specie se si pensa che trionfano le dottrine del relativismo volgare, del dubbio esistenziale. Ma il dogma per noi non è il soffio di un dio, l'invenzione di un furbo oppure la macchinazione di una casta: esso compare in tempi e società determinati, è scienza primordiale fissata in un canone indispensabile alla prassi, rende coerente un insieme di uomini e la loro attività. Perciò il dogma è stato, storicamente, una vera guida per l'azione.
La teoria del comunismo non si può ovviamente chiamare dogma e quindi non ha senso in una discussione, in una ricerca, in una elaborazione, infilzare una dietro l'altra citazioni a raffica, quando con queste si vorrebbe sostituire puramente e semplicemente il metodo di lavoro; quando sono immesse sul mercato in cambio di indulgenze per i propri peccati di opportunismo. Si può citare il Marx del '48 trasformandolo in un volgare riformista democratico, così come l'ipse dixit dei preti trasformava Aristotele, di fronte a Galileo, in un precursore dell'Inquisizione. La nostra teoria mette in relazione i fatti con la dinamica sociale che li trasforma, e in questo senso si può dire che sia una guida per l'azione. Non per i singoli, che poco o nulla possono, ma per il partito, e quindi per la classe.
"Sempre questo Marx! Queste cose le sapeva solo lui? Sono in verità cose di tanta evidenza, che i militanti comunisti potrebbero benissimo fare a meno di citare il Signor Marx Carlo, o indicarlo con un semplice simbolo, o riferire queste belle enunciazioni come se la paternità spettasse a 'Zì Nisciuno'. I pappatutto della borghesia ed i loro multiformi lustrascarpe avrebbero avuto dalla storia le stesse seccature anche senza 'ipse dixit', anche se il detto Signor Marx non fosse nato, anche se i suoi volumi si fossero persi. D'altra parte il Signor Marx non era né pretenzioso né ingombrante, non chiese né ottenne nemmeno una croce di cavaliere, la minimissima briciola dei pasti super appetiti, di potere. Considerava sé stesso, il dottor Carlo, colla sua laurea e i suoi sudati studi di tutta una vita, nulla più che una conferma sperimentale della legge investigata, sintomo lui e sintomo il commerciante agiato don Federico Engels che gli forniva qualche scellino per comprar patate per la cena sul pantagruelico mercato di Londra" (PCInt. 1949).