Riscontri e prospettive
A due anni dalla prima uscita di n+1, ecco un numero redatto quasi completamente sulla base del nostro continuo "dialogato" con compagni e lettori. Compreso l'editoriale che state leggendo. Anche se evitiamo sempre di tracciare un confine troppo netto tra il lavoro di redazione e quello di compagni e i lettori, questa volta si è largheggiato. In fondo siamo di fronte alla verifica sperimentale che la concezione organica del lavoro, la doppia direzione degli impulsi nervosi nell'organismo politico, funziona. E il riscontro è nel complesso positivo.
Con buoni contributi al lavoro ci arrivano anche opinioni individuali filtrate da passate o presenti milizie che lasciano l'impronta in pressanti interrogativi. Com'è possibile, per esempio, che chiamiamo "lavoro di partito" il nostro, anche in mancanza di un partito tradizionale? Come possiamo considerarlo unitario, se è basato sulle diversità naturali degli individui? C'è ovviamente paura delle difficoltà, e dell'isolamento che ne deriva. L'isolamento è un dato di fatto: chiunque non sia integrato nella dinamica sociale in cui vive tende a venire isolato. Ma siccome ogni società produce i suoi elementi antagonistici, l'isolamento non può mai essere totale. Si tratta di riconoscere questi elementi e collegarli in un lavoro comune. Chi non lo facesse sarebbe politicamente spacciato, e nelle tesi della nostra corrente si ricorre alla metafora della turris eburnea per sottolinearlo con forza. Perciò il problema è comunicare; anzi, soprattutto, che cosa comunicare e come.
Comunicare: la trasmissione fra le molecole sociali avviene attraverso il linguaggio. Parola, scrittura, segni, comportamenti. In un lavoro specifico, specie in un gruppo ristretto, è inevitabile che il linguaggio assuma caratteri specifici e tenda a specializzarsi. Nel lavoro in doppia direzione non è certo facile utilizzare un linguaggio condiviso, e il problema ha risvolti più profondi di quanto non appaia a prima vista. Due individui che utilizzino la parola "comunismo", possono intendere una gran quantità di cose diverse quando provengano da ambienti diversi. Si può definire correttamente comunistica la vita dell'uomo paleolitico, del cristiano primitivo, del monaco buddista e del seguace di qualche setta laica moderna. Ma in centinaia di milioni hanno ritenuto comunistiche le aberrazioni borghesi di Stalin, Mao, Togliatti e soci. Senza battere ciglio.
Attenti lettori hanno rilevato che questa rivista è scritta con un linguaggio particolare. È vero. Ci sforziamo di non usare i luoghi comuni sul comunismo. Di evitare la consueta magniloquenza sulle "sorti magnifiche e progressive" del proletariato. Di ricorrere il meno possibile all'ipse dixit della citazione. Non sopportiamo di veder ridurre la rivoluzione ad un super-kitsch degno dei monumenti eroici prodotti dal fascismo e dal realismo socialista. E cerchiamo di utilizzare il vocabolario scientifico piuttosto che quello filosofico, politico, morale. Ogni modo di esprimersi è legato a un mucchio di fattori, ma alla radice di tutto sta il contenuto del messaggio da trasmettere. Lo si può fare a senso unico, come un'emittente radio, oppure in doppia direzione, come diciamo sempre. Dando vita a una rete di comunicazione, l'unica in grado di simulare i neuroni di un cervello.
Non miriamo a ottenere conversioni al comunismo, nessuno ha tanto potere. Siccome però il comunismo è un processo reale, siamo tutti suoi prodotti e cerchiamo di tenerci in contatto con precisi criteri. In genere chi segue un'ideologia o una mistica politica, specie quando sedicente comunista, non è attratto da un lavoro come il nostro, che produce per sua natura un linguaggio a-ideologico. Va bene così: per noi è interessante chi è già catturato dal demone (Marx) e ha ripudiato l'ideologia, chi è già stato messo dai fatti in sintonia con il comunismo. Non abbiamo nessuna intenzione di convocare un congresso generalizzato e permanente dove si confrontino tesi diverse e opinioni del tutto soggettive. Questo nostro drastico atteggiamento la maggior parte dei lettori l'ha capito assai bene e lo riscontriamo con enorme soddisfazione.
In una e-mail ricevuta ci si chiede di trattare sulla rivista proprio il problema del superamento positivo dell'individuo nel lavoro organico. È un problema evidentemente sentito. Oggi l'individuo è tanto più esaltato quanto più è massificato e massacrato a milioni. La contraddizione è ben conosciuta anche da alcuni studiosi borghesi, e i meno fessi sono preoccupati. L'isolamento di massa è una patologia moderna, la "depressione" uno stato mentale diffuso che diventa malattia fisica. La famiglia esiste ormai soltanto in funzione delle merci che consuma, e non fa che produrre isolamento. L'individuo – esaltato e annullato – perde la testa: ragazzi massacrano genitori, genitori cacciano bambini nelle lavatrici o li annegano; masse d'individui si sentono attratti da crociate e guerre sante.
In un indimenticabile passo di Marx (Note su Mill del 1843) vi è un dialogato fra due uomini: finché si scambiano merci, l'uno è alieno ed egoista di fronte all'altro, perciò gli sottrae vita; quando nella nuova società sono finalmente "umani" e si scambiano semplicemente lavoro, l'egoismo scompare, l'uno lavora per l'altro, gli apporta vita. Solo in questa nuova relazione le diversità fra individui si completano. Allora ognuno partecipa al tutto con la propria individualità. E la differenza non porta egoismo, ma effettivo altruismo. Non si tratta più di essere "uguali" secondo leggi divine o terrene, ma di mettere la propria necessaria, utile, proficua diversità al servizio della specie. La democrazia non è abolita, semplicemente non ha più alcun senso. Quando si straparla di "partito" si pensi un poco a queste dialettiche antitesi.
Per Marx la realizzazione della filosofia borghese avrebbe comportato l'estinzione della filosofia tout court. Allo stesso modo la realizzazione del "comunismo rozzo", cioè la generalizzazione della proprietà, avrebbe comportato l'estinzione della proprietà stessa; l'uomo egoista, colui che possiede, si sarebbe estinto, lasciando il posto all'uomo sociale. Ma proprio l'uomo egoista è oggi realizzato come non mai e la proprietà non può far altro che staccarsi sempre più da lui sottomettendosi al capitale anonimo. Ecco che allora la potenza dell'uomo-specie inizia a sovrastare la meschinità dell'individuo egoista. Ecco che allora, di fronte alla realizzazione del massimo quantitativismo produttivo, si prospetta l'estinzione delle ideologie quantitativistiche E con esse il rifiuto della tecnologia. Che non è più luddismo, ma critica argomentata. La massima realizzazione di scienza e tecnologia porta al superamento positivo del dominio di scienza e tecnologia sull'uomo. Anche su tutto ciò abbiamo ricevuto sollecitazioni per un ulteriore lavoro. Lo faremo, mettendo in moto, come sempre, la nostra "redazione diffusa".
Insistiamo da sempre sul lavoro politico come progetto. È tipico dell'uomo progettare. Il più ecologico degli alveari ci mostra solo sé stesso in eterno, ma la più schifosa città industriale ci mostra nello stesso tempo la caotica accozzaglia di progetti singoli e il come potrebbe essere se fosse progettata razionalmente e armonicamente, cioè rivoluzionata. Progetto è sinonimo di programma. Il programma non è altro che una situazione reale anticipata. Cosa mai disse Marx di diverso fin dal Manifesto? I comunisti sono coloro che "rappresentano la globalità del movimento", cioè coloro che anticipano la società futura. Anticipare. Per i comunisti questo è il vero problema. In grande e in piccolo, essere rappresentanti di un futuro. Non: sopravvivere attestandosi soltanto sul passato (atteggiamento conservatore). Non: rimuginare soltanto il presente (atteggiamento esistenziale). Raccontare cose avvenute è facile, ma è anche facile raccontare fantasie, utopie. Ed esse non potranno mai sostituire il reale divenire che chiamiamo comunismo.
Oggi sembra quasi impossibile riuscire a rompere la tradizione dell'autoreferenza comunista. Nel migliore dei casi il bagaglio teorico è fermo alla Terza Internazionale. E fosse almeno quella nata dall'Ottobre vittorioso. Invece è quella degenerata della democrazia, dei fronti unici, delle tattiche evanescenti, dei processi politici. Si finisce come in televisione, dove l'argomento principe è la televisione stessa. Siamo ad un mostruoso meta-comunismo, alla chiacchiera sulle interpretazioni dei tentativi passati. Noi vogliamo attenerci ai fatti reali che cambiano il mondo.
D'altra parte sappiamo benissimo che, se l'adesione al programma rivoluzionario rimane platonica, si rischia di saltare sul campo minato dell'innovazione di tipo opportunista. Ma è proprio quando ci sono ostacoli e difficoltà che si vede la stoffa del combattente. Quando la rivoluzione è in fase di avanzata tutti sanno dove andare. Occorre quindi sminare e avanzare, non ci sono santi. Il punto di forza di ogni rivoluzione non può essere un passato che essa demolisce: consiste piuttosto nel dimostrare praticamente come sarebbe il mondo senza le cose del passato. Il movimento reale di ogni rivoluzione ha come riferimento un futuro reale, descrivibile attraverso la negazione delle caratteristiche della società morente. Nel nostro caso attraverso l'eliminazione dei rapporti di valore.
Su questa rivista il lettore non troverà ricette preconfezionate ma lo stimolo e l'invito a partecipare, direttamente o indirettamente, ad un lavoro. L'importante è che per mezzo del lavoro comune s'impari a smetterla di usare proposizioni senza contenuto empirico. Qui non si leggerà mai che "il capitalismo è una schifezza", che "il comunismo è una bellezza" o che "il comunismo è meglio del capitalismo". Accostare simili giudizi di merito ai sostantivi non serve a niente, si manifesta semplicemente un'opinione. Cosa che lasciamo fare ai politici. Si procede scientificamente solo quando si discute su di un oggetto reale, anche se osservato da più punti di vista, riconoscibile da tutti tramite parametri consolidati. Quest'oggetto dev'essere anche sottoposto ad indagine secondo metodi nuovi (per noi il metodo individuato da Marx), altrimenti non si aggiunge nulla all'esistente.
Quando la nostra corrente criticò la pseudo-scienza propagandistica della cosiddetta conquista spaziale affermò che si era fermi a Newton e che non c'era "conquista": quel che si voleva far passare per "nuovo" era mera tecnica, presente nella normale produzione, o raggiungibile in qualsiasi laboratorio di fabbrica, senza dover immaginare nuovi Far West spaziali. Per noi il nuovo è scaturito dall'affermazione storica del capitalismo moderno e Marx aveva intorno a sé altri scienziati che stavano rivoluzionando con lui il mondo della conoscenza dell'epoca. Come ammise egli stesso, attingeva ad essi, senza inventare nulla, operando semplicemente nuove e potenti relazioni. Il comunismo non sopporta le mistificazioni. Nel tempo esse vengono smascherate. I risultati di una ricerca scientifica devono essere condivisibili, una volta affermatisi, esattamente come dovevano essere condivisibili i dati di partenza. Chi vedeva comunismo in Russia era semplicemente accecato dall'ideologia. Oggi del "comunismo" russo non parla più nessuno, a parte qualche borghese, più che altro per ragioni propagandistiche ed esorcistiche.
In scienza occorre anticipare il risultato, l'esperimento non serve che a convalidare la teoria, a verificarla. La teoria però risulta convalidata anche quando sia sottoposta a prova negativa, quando cioè non si riesca a trovare un elemento che possa dimostrarla falsa: tutto il marxismo sarebbe una bufala gigantesca se, per esempio, qualcuno riuscisse a dimostrare la possibilità di accumulazione senza che si produca plusvalore mediante forza-lavoro. Oggi che c'è crisi in borsa, persino i trafficanti di Wall Street devono ammettere che il prezzo delle azioni dovrà corrispondere al valore delle industrie che le emettono. Che occorre produrre valore e non solo giocare alla roulette dei titoli. Ieri non lo dicevano affatto, credevano ai miracoli; domani l'avranno già dimenticato. Noi non scriveremo articoli leggendo le loro poco scientifiche opinioni emesse col senno di poi.
Si cerca di anticipare, dunque. Gli articoli di questa rivista non vogliono comunicare al mondo la nostra egregia opinione su come vanno le cose nell'universo e su quello che ne pensano gli altri. Vogliono rendere condivisibile una ricerca durata un secolo e mezzo, che ha portato a risultati verificabili sperimentalmente, facilmente comprensibili e perfettamente utilizzabili. Non vogliono far parte di un "ismo" variamente personalizzato con i grandi o piccoli nomi della rivoluzione. Questa rivista fa parte di un progetto di lavoro e attraverso essa il lettore è invitato a smetterla di trattare il comunismo come se fosse un'utopia da realizzare.
Certo, impostare un lavoro su queste premesse e leggerne i risultati è più "difficile" che recitare litanie "marxiste". Ma, come spesso ripetiamo, la correttezza di un'impostazione non si giudica dagli scogli che si incontrano bensì dalla sua coerenza rispetto alla teoria generale. Può darsi benissimo che un'impostazione teoricamente corretta e rigorosa non possa far valere tutta la sua carica di energia nel contesto sociale, e che invece un minestrone raffazzonato raccolga un notevole successo di pubblico. Se si fosse misurata l'attività bolscevica con il metro del successo immediato, la Rivoluzione d'Ottobre non ci sarebbe stata. E non ci sarebbe stato neppure l'immenso patrimonio della nostra scuola. Se siamo d'accordo con le sue tesi, dobbiamo aspettarci i risultati quantitativi soltanto dalle premesse qualitative, e assolutamente non viceversa, come troppi immaginano.
Su questi temi, come abbiamo detto, ci sono stati inaspettati riscontri, attenzione, discussioni, specie da parte dei giovani. Sarà l'insofferenza verso un mondo ormai cadavere, sarà il senso della misura dettato dal fatto che la rivoluzione non procede al momento con episodi eclatanti: c'è nuova e matura consapevolezza sotto il sole. Rara, ma c'è. Una delle manifestazioni più odiose di certa sinistra è la professione di umiltà di fronte alla grandezza dei compiti rivoluzionari e, contemporaneamente, la spacconeria più sfacciata. Quest'ultima si rivela sia nella sufficienza con cui si trattano avversari che non andrebbero per nulla sottovalutati, sia nei vuoti appelli alla ripresa del movimento di classe, con tanto di punti esclamativi. La ripresa del movimento classista non dipende da ciò che fanno gruppetti sparuti. Di fronte ai lanciatori di proclami si schiera una borghesia che ha accumulato più potenza e conoscenza di tutte le altre classi dominanti nella storia. E l'opportunismo politico-sindacale porta ancora milioni di persone in piazza su temi di salvaguardia della società borghese. Il farne barzellette è semplicemente da stupidi.