Regressione animalesca

Johannesburg, settembre. Vertice mondiale sullo "sviluppo sostenibile". Presenti i rappresentanti di tutti i paesi del mondo. Più di cento capi di stato. Tutti d'accordo sul fatto che il pianeta sarebbe migliore se ci fosse meno sperequazione, meno povertà, meno inquinamento, più crescita. Più democrazia, dato che la povertà alligna proprio dove essa non c'è (o se la possono permettere solo i "ricchi"?). Qualche patetica contestazione e, com'era stra-scontato, nessun risultato per quanto riguarda i rimedi ai mali del mondo. Non c'era nessun bisogno di muovere decine di migliaia di persone verso il Sudafrica. Anche i giornalisti non sapevano che cosa scrivere. Qualche moralista ha calcolato che per l'inutile summit si è spesa una somma pari al valore annuo di milioni di vite dell'umanità più miserabile.

Thabo Mbeki, il presidente ospite, ha aperto i lavori con questo monito darwiniano: "Non abbiamo fatto progressi nel realizzare la 'grande visione' di Rio. Il risultato tragico è l'aumento, se pure evitabile, della miseria umana, del degrado ecologico, del divario fra Nord e Sud. È come se fossimo costretti a regredire alle più primitive condizioni di esistenza del mondo animale, alla sopravvivenza del più adatto". Se pure evitabile? Da 50 anni si promuovono vertici e tutti continuano a dirsi convinti che il divario crescente fra l'immensa ricchezza e la miseria più nera lo sia. Invece esso aumenta. Il summit di Rio fu nel '92. Nel '98 ve ne fu uno a Kyoto con risultati sempre a zero. Cresce la ricchezza e la miseria cresce ancora di più in ragione dell'aumento di una sovrappopolazione disperata. Ci viene in mente Marx, che un secolo e mezzo fa parlava di "questa legge della società capitalistica [che] suonerebbe assurda fra selvaggi e [che] ricorda la riproduzione in massa di specie animali individualmente deboli e ferocemente braccate".

Se è una legge, essa per definizione governa fenomeni non evitabili. Nella società capitalistica, dice Marx, miseria crescente e sovrappopolazione sono leggi assolute, cioè di portata universale, ineliminabili, totali. I delegati dei paesi imperialisti hanno un bel dire: apriremo i mercati agli alimentari, ai tessili, alle piccole produzioni; accresceremo gli aiuti; chiederemo alle multinazionali di vendere le medicine a basso prezzo. Se ciò fosse possibile non servirebbero i summit. Il fatto è che non si può. Alimentari, tessili e piccole produzioni si muovono verso i paesi industriali come merci prodotte in loco da capitali occidentali per gli occidentali; gli "aiuti" non possono che essere investimenti; i medicinali sono merci e saranno venduti, mai regalati, non c'è "sconto" che tenga dove il costo di una scatola di pillole è pari al reddito di un anno. I paesi più "ricchi" del mondo non potranno mai curare un miliardo di denutriti e 40 milioni di malati di AIDS.

I paesi industriali spendono 300 miliardi di dollari all'anno per i loro contadini affinché il proprio proletariato possa dedicarsi alla produzione di profitto senza aver problemi di cibo. Se non ci fossero leggi soggiacenti, far la predica sul libero commercio dei prodotti agricoli a paesi con una popolazione affamata, sarebbe puro e deliberato cinismo. Fermarsi all'indignazione, al moralismo, alla contestazione, al lato folkloristico dei fenomeni, non porta che a prossimi summit e contro-summit. Non sarebbe male se da tanti "contestatori" incominciasse a staccarsi qualcuno che, stufo di sguazzare nel cretinismo parlamentare globalizzato, fosse in grado di scrutare le suddette leggi e comportarsi di conseguenza.

Rivista n. 9