Il lavoro prossimo venturo

"Entro qualche anno, per la maggioranza delle persone il lavoro non occuperà più di un decimo del tempo di vita" (da Sviluppo senza lavoro di D. De Masi, Edizioni del Lavoro, 1994). Forse la frase "qualche anno" è un po' azzardata, ma se calcoliamo il lavoro disponibile pro-capite, forse non c'è bisogno di aspettare tanto per lavorare due ore e mezza al giorno, facendo la media ci siamo già vicini, perché masse smisurate di uomini già non lavorano affatto (non hanno lavoro).

Per noi l'espressione "tempo di vita" ha un significato profondamente diverso da quello attribuito nella citazione. Nella società futura non ci sarà un tempo di vita e un tempo di lavoro, sarà tutto tempo di vita. Nonostante ciò, bisogna riconoscere (nel senso di individuare, distinguere, identificare) nelle pieghe di questa società, così com'è, il grande potenziale che permette di sperimentare il cambiamento possibile. Tutti sanno che si può sperimentare senza laboratorio e senza prove empiriche: celebri sono gli esperimenti "mentali" di Galileo e di Einstein (anzi, noi abbiamo affermato che la "ricerca sperimentale" non esiste, si chiama bricolage).

Oggi nel mondo sono produttivi circa 800 milioni di uomini su sei miliardi. È di per sé una cifra che fa riflettere, tenendo conto che la produttività sociale del capitalismo è infima. Questo squilibrio risulta da un processo storico di millenni che ha portato l'uomo, da libero, ad essere schiavo dei processi produttivi, e da schiavo di questi ad una potenziale liberazione dalla necessità: per ora solo potenziale, ma possibile. Il modo stesso di utilizzare l'energia sociale ci mostra, dialetticamente, un ciclo liberatorio attraverso il passaggio del lavoro coatto: prima l'animale addomesticato, poi lo schiavo che non veniva più ucciso in guerra e le prime attrezzature per il lavoro comune, il servo della gleba immerso nella piccola industria locale e nella prima internazionalizzazione del mercato, infine l'operaio d'industria libero sul mercato mondiale come premessa all'uomo libero dal lavoro stesso.

La massa delle attrezzature è passata dai pochi strumenti dell'uomo nomade che non poteva portare con sé grandi cose, alla dotazione del contadino neolitico che già aveva un'abitazione stabile; dalle macchine poderose che distinsero l'era del carbone e dell'acciaio, alla nuova perdita di massa delle macchine e delle strutture moderne. Esse si fanno più leggere e incorporee, fino ai limiti del software, mezzo di produzione fra tanti, come lo fu per millenni il linguaggio parlato. Man mano che la scienza si sposa alla produzione e alla sua organizzazione, e la tecnologia incorpora sempre meno lavoro, anche la quantità generale di energia umana nella produzione viene ad essere ridimensionata. Il grande automa generale descritto da Marx, con la sua capacità di aumentare la "composizione organica del Capitale", si impone nei processi produttivi moderni evidenziando soprattutto l'aumento suddetto, cioè la capacità di "mettere in moto sempre più Capitale con sempre meno uomini". Una volta erano le aziende in crisi a licenziare, ora sono le aziende che raggiungono alti gradi di prestazione industriale, di efficienza, di produttività.

Oggi la materiale, effettiva, massiccia liberazione dal lavoro coatto si chiama "disoccupazione". Ma di fronte ad un processo liberatorio di portata storica è assurdo chiedere "lavoro" comunque, magari keynesianamente fasullo: per questo la richiesta di una giornata lavorativa drasticamente più breve non è una mera richiesta sindacale ma un'anticipazione rispetto ad una società veramente umana.

Rivista n. 10