Le attenzioni dello Stato

Nella Repubblica uscita dal fascismo e dalla Resistenza esiste una legge che vieta di essere comunisti. O meglio, lo si può essere solo se per comunismo s'intende una specie di filosofia, un pensiero utopico, un moto dei sentimenti, un movimento parlamentare fra tanti altri. Farsi interpreti del movimento reale ed agire è proibito. Recita letteralmente la legge: va in galera chi promuove associazioni dirette a stabilire la dittatura di classe e a sovvertire gli ordinamenti economico-sociali, o aventi per fine la soppressione dell'ordinamento politico-giuridico dello Stato. Noi siamo perfettamente d'accordo, faremmo esattamente la stessa cosa. Almeno finché le classi esisteranno. Nel Bel Paese fino all'85 era persino proibito costituire associazioni internazionali, nel caso qualcuno volesse fare le cose in grande, ma quell'articolo, chissà perché, è stato dichiarato incostituzionale. La società borghese proibirebbe comunque di essere comunisti anche se non vi fosse la legge scritta. Dipende dai rapporti di classe. È quindi bene tener presente che ogni classe dominante tiene al proprio potere e, leggi o non leggi, fa di tutto per mantenerlo.

Nel mese di luglio ci è capitato di attirare involontariamente le attenzioni dello Stato. La faccenda è stata alquanto seccante perché sono stati perquisiti otto luoghi inerenti alla nostra redazione (che lavora per lo più in rete), compresa una nostra sede, e ci sono stati sequestrati sette computer più vario materiale. La motivazione è di tipo "logico": siccome due anni fa avevamo tenuto una riunione cui avevano partecipato anche elementi oggi indagati per supposti "propositi di eversione", allora può darsi che ci fosse un nesso con la rivista e i suoi redattori.

I travet dell'ordine costituito che si arrabattano per giustificare il loro stipendio e migliorarsi la pensione firmando mandati, sembrano indifferenti al fatto che oggi l'eversione ha un tasso di probabilità pari allo zero assoluto. Comunque logica vuole che ci s'informi sui "contatti", risalendo fino ai parenti, agli amici, agli ex compagni di scuola, alle fidanzate, ecc. Nel mandato della Procura c'era un dettagliato schema dei movimenti di 56 perquisiti, dal 2001 ad oggi, compresi il trasloco della mamma e la bevuta al bar. Lo Stato deve sapere. I criteri possono essere molteplici, la storia delle classi dominanti è piena di esempi, da quelli caserecci a quelli cruenti.

Ci dicono che bloccare la rivista con i sequestri è incostituzionale. Forse è una tesi plausibile, non siamo ferrati in materia. A noi premeva non interrompere il lavoro, ci è sembrato più naturale procurarci qualche computer d'emergenza che non studiare diritto. Leggi e costituzioni non sono obiettivo dei comunisti, né i comunisti, nonostante gli articoli dei codici, possono essere loro obiettivo. Infatti l'ipotesi di eversione dell'ordine costituito, formulata anche nel mandato di perquisizione (non a carico nostro bensì dei "contatti", ma fa lo stesso) non corrisponde alla natura del compito rivoluzionario dei comunisti, dal Manifesto in poi. È ovvio che ogni comunista lavora nella prospettiva di partecipare alla lotta rivoluzionaria e, necessariamente, alla sua direzione. Senza questo presupposto mancherebbe ogni argomento a favore del partito come organo della classe e della realizzazione del programma immediato, come andiamo scrivendo su questa rivista.

Ma il partito, quel partito, non c'è. Ora, nella nostra teoria, è ben precisato il fatto che nessuna situazione sarebbe rivoluzionaria – anche se dovesse collassare l'economia, sfasciarsi l'ordine costituito, svanire l'apparato di controllo delle classi al potere – se non fosse possibile il formarsi e lo svilupparsi del partito rivoluzionario. Ergo, in situazioni come quella odierna, molto meno prossime al confine – cioè al dualistico disordine sociale – di quelle ipotizzate, non è possibile che i comunisti si diano da fare in attività eversive. È ben possibile che la loro semplice esistenza venga sentita come eversiva, ma questo è un discorso che non riguarda né le leggi né il buon senso: ci sono maniaci che ritengono eversivo anche Nanni Moretti.

Si potrebbe dire che è meglio prevenire che curare. Giusto, è la dottrina Fouché, così ben ripresa dall'apparato imperialistico americano a livello globale. A questo punto, però, lo Stato dovrebbe fornirsi di qualche pre-cog, come nel racconto di Dick Minority report, recentemente portato sullo schermo, e interrogare questi sensitivi sul futuro comportamento degli individui presi in considerazione: è risaputo infatti che quasi tutti i rivoluzionari attuali resistono poco sulla breccia, basti guardare quanti ex sessantottini e "comunisti" sono sul libro paga della borghesia, e non sempre quella più illuminata, come si suol dire. C'è il rischio di arrestare preventivamente troppi militanti di qualche futuro partito borghese.

Quando maturasse sul serio una situazione storica in cui fosse possibile l'attacco aperto all'ordinamento dello Stato, il movimento rivoluzionario sarebbe del tutto indifferente rispetto ai risvolti giudiziari del suo proprio operato, quindi anche gli avversari dovrebbero essere indifferenti a leggi e costituzioni che non avrebbero più nessun significato. In tali periodi il diritto lascia il posto ad altri strumenti più adatti, come la forza aperta. L'insegnamento della classe oggi al potere, nel corso della sua rivoluzione, ci è preziosissimo e ne abbiamo un totale rispetto, anche se ovviamente non pretendiamo affatto che la borghesia permetta al suo esempio di uscire dai libri di scuola per essere utile al proletariato. Quando alla borghesia servì, il Partito Fascista dichiarò apertamente di voler prendere il potere con le armi contro la frazione democratica, ma non ci furono appelli alle leggi né processi per eversione, anzi, lo si chiamò al potere. E non era più una situazione rivoluzionaria.

Nessuno è mai riuscito a evitare una rivoluzione. Si possono certamente bloccare rivolte, organizzazioni e militanti, ma quando il contesto è anche meno che rivoluzionario non lo si fa mai applicando i codici da tempi normali, lo si fa con colpi di stato, dispiegamenti militari, leggi eccezionali. I codici servono al massimo per reprimere atti di violenza sporadica e più o meno individuale, ma in questo caso è del tutto ridicolo tirare in ballo la sicurezza dello Stato.

Parafrasando il memoriale dei comunisti al processo del 1923, affermiamo che se c'è l'inchiesta giudiziaria sull'eversione, vuol dire che l'eversione non c'è.

Il paradosso è spiegabile anche con una ipotesi banale: ammettiamo che un giorno l'eversione fosse realmente in atto; con quali forze, con quale organizzazione, con quali strumenti raggiungerebbe i suoi scopi? Coi volantini? Da noi sono arrivati cinque o sei carabinieri dei ROS per ogni locale perquisito; ad occhio e croce l'intera operazione deve aver mobilitato non meno di 3-400 uomini. In questo caso avevamo a che fare con soldati ben addestrati, coordinati, professionali. Una bella eversione in piena regola ne mobiliterebbe migliaia, forse decine di migliaia, e non solo per curiosare fra le scartoffie. Di quale parte si farebbero strumento le forze armate il giorno in cui la società fosse davvero giunta al confine fra un modo di produzione putrefatto e un mondo completamente nuovo, proiettato nel futuro? Non è un assioma né una certezza scientifica, ma sappiamo che gli eserciti sono sempre stati uno strumento primario di tutte le rivoluzioni. Ai delegati bolscevichi dei soviet bastarono poche parole per conquistare l'armata golpista di Kornilov scagliata contro la rivoluzione. Ed essa aveva ben altro peso che un codice penale.

Rivista n. 12