Insegnamenti di un colpo di stato
Dall'assalto dei militari cileni al Palacio de la Moneda contro il governo frontista di Allende sono passati trent'anni. Tanto tempo, ma né il golpe pinochetista contro la "transizione pacifica e istituzionale al socialismo", né i pretesi vantaggi della democrazia populista, sembrano aver insegnato qualcosa. Eppure di insegnamenti ce ne sarebbero, primo fra tutti l'evidenza che anche quest'ultima spara regolarmente sul "popolo", di preferenza sul settore proletario.
Nonostante ciò, in Bolivia (e in Argentina, Perù, Brasile, Venezuela…) si continua a morire per la democrazia populista, per promesse che non valgono un soldo bucato, fatte da ogni potenziale golpista che, al servizio di non importa quale interesse borghese autoctono o forestiero, sfrutta i moti popolari contro il golpista in carica. Non ha nessuna importanza se ci sono i parlamenti, non servono a niente. Con simili premesse, in Cile, come altrove, tutto si ripeterebbe come nel '93. In Argentina, esempio recente ed eclatante, i socialpopulisti, in sintonia con gli eredi di Peròn, hanno continuato a tradire i proletari, e il movimento dei rudi picchettatori (cortador de ruta) è stato soffocato dalle famigerate assemblee autogestite, guardate a vista dalla truppa sul piede di guerra, padrona della piazza. In Brasile si chiacchiera amabilmente sulle sciocchezze demagogiche di Lula prendendole sul serio, mentre il Fondo Monetario Internazionale vigila sulla salute dell'economia e la CIA ha nel cassetto eventuali soluzioni alternative. In Venezuela si dibatte sulla natura del regime di Chavez e ci sono "marxisti" europei che hanno chiamato "rivoluzione", le manifestazioni popolari esplose quando gli Stati Uniti hanno dato sul campo un saggio di ciò che potrebbe succedere se si arrivasse a un controllo autonomo del petrolio (caso mai ci si dimenticasse chi è il padrone del Sudamerica). In Bolivia i proletari, in rivolta ma senza guida, riversano la loro rabbia in richieste di democrazia economica e muoiono a decine sotto il piombo.
Non si può certo pretendere che blandi riformisti democratici si tramutino in rivoluzionari, ma è sempre tragico vedere come alla fin fine ogni lotta, anche grande e generosa, si riduca all'assemblea parolaia nella quale i proletari vengono coinvolti, imprigionati dentro parlamentini in cui si riproduce – in piccolo ma moltiplicato per mille – il cretinismo parlamentare. I comunisti italiani nel 1920 furono contrari all'occupazione delle fabbriche, cioè all'auto-incarcerazione dei proletari mentre le truppe giolittiane s'impadronivano della piazza assediandoli: e continuano oggi a combattere l'illusione che si possa cambiare la società capitalistica con le sue stesse regole, perché quest'illusione si paga in massa con la vita, come in Cile, in Argentina, in Brasile, in Bolivia e in Messico, dove feroci dittature non furono minimamente ostacolate dalla marea populista.
Qui in Italia, dopo aver permesso nel modo più imbelle il consolidamento dell'avanzata fascista, i democratici capitolarono all'Aventino in un mortale abbraccio interclassista. Allo stesso modo i riformisti cileni si impiccarono da soli sottoscrivendo uno "Statuto di Garanzie" con i golpisti invece di renderli innocui con una sollevazione di massa. Nessuno stava obbligando Unidad Popular a siglare un accordo del genere, ma è nel codice genetico del riformista dare garanzie affinché nulla cambi al di fuori di un po' di facciata. E quando, nonostante tutto, viene schiacciato, eccolo pronto all'autocritica per non aver ceduto abbastanza.
Con lo Statuto, il partito di Allende si impegnava ad amministrare lo Stato sotto l'egida del "potere legale", dal parlamento alla magistratura, dalla grande proprietà all'esercito, dalla Chiesa ai mezzi di comunicazione. Soprattutto si impegnava a rispettare l'intera piramide del comando militare, manifestando un assoluto rispetto verso la conservazione dell'ordine sociale esistente. Non ci fu nulla di eroico nel comportamento masochistico e suicida dei vertici di Unidad Popular, a dispetto di una base che, pur senza programma alternativo al parlamentarismo, si dimostrava assai combattiva. Nell'azione pratica del partito di Allende, nulla rifletteva i principii socialisteggianti sbandierati solo ad uso e consumo delle folle.
Di fronte alle forze oggettivamente rivoluzionarie che spingono sempre al superamento del risultato immediato raggiunto, cioè di fronte agli operai e contadini in lotta nonostante ci fosse un governo "socialista", Unidad Popular chiamò i militari al governo (1972), formando un ministero civil-militare e conferendo ai soldati la facoltà di disarmare con ogni mezzo i rivoltosi che, senza un programma, non furono in grado di rispondere su vasta scala a ciò che si stava preparando. Poco organizzati e armati solo per difendersi dalle bande destrorse, erano perfettamente sfruttabili dalla reazione come esempio di "sovversione armata".
Non era sovversione, ma fu proprio Allende a nominare Pinochet comandante supremo dell'esercito per affrontare la situazione con la forza. Nel 1973, il 9 settembre, Allende lo chiamò per discutere i piani contro un eventuale colpo di Stato, mettendolo così al corrente delle già misere contromisure. L'11, due giorni dopo, vi fu il celebre assalto con l'aviazione, il suicidio più o meno spontaneo del presidente, gli oppositori ammassati allo stadio trasformato in lager, il fuggi fuggi generale in seguito alla mancanza di previsione, di organizzazione e di reazione.
Ma il governo Allende non fu abbattuto dai "fascisti" perché fosse socialdemocratico e riformista. In fondo per il Capitale non ha nessuna importanza che a servirlo ci sia un fascista, un riformista o un sedicente comunista alla cinese (ammesso e non concesso che si tratti di termini contrapposti). Allende fu eliminato perché la borghesia cilena non poté capire che non esiste una patria "economica" (come non lo può capire nessuna borghesia nazionalista), basata su un qualsiasi tramite di valore, che sia il rame o altro. Il governo Allende fece con il rame lo stesso errore dell'iraniano Mossadeq con il petrolio tra il '51 e il '53: immaginò che fosse valore in sé, non che lo divenisse tramite applicazione di lavoro, e si illuse che lo si potesse fissare in una patria.
Il bombardamento del palazzo presidenziale aveva interrotto in Cile non solo un esperimento di governo socialdemocratico, ma un tentativo di razionalizzazione delle decisioni economiche e politiche condotto per la prima volta in modo generalizzato, con tecniche molto avanzate per l'epoca. Si trattava di un progetto di controllo, di pianificazione e di gestione dell'economia secondo principi cibernetici (arte del guidare) e sinergici (effetti moltiplicatori delle azioni simultanee e coordinate per raggiungere uno scopo). Il progetto non nasceva in Cile ma vi era stato importato dall'estero, così come erano stati "importati" i molti tecnici necessari per implementarlo nel sistema sociale cileno (il più noto era l'esperto inglese di sistemi di controllo Stafford Beer).
Il modello era stato studiato con lo scopo di applicare l'analisi dei sistemi complessi al comportamento di un governo e per questo lo si adottò. Esso doveva servire ad organizzare la struttura decisionale dell'esecutivo, a organizzare una rete di autocontrollo del sistema economico tramite una serie di retroazioni (feedback) e un opportuno flusso d'informazione, il tutto incentrato sulla fondamentale industria del rame, la quale, a sua volta, aveva interazioni con il mercato internazionale, con la struttura dei rapporti in politica estera ecc. ecc.
Ma un modello capitalistico non contempla né la teoria del valore né quella, derivata, della rendita, che è plusvalore prodotto dalla classe operaia. I tecnici addetti al modello non potevano immaginare che il rame non fosse ricchezza "nazionale", proprietà dello Stato cileno. Non potevano smascherare l'evidenza ingannatrice della proprietà borghese. Il rame cileno sarebbe rimasto sotto terra se i proletari nord-americani non avessero prodotto il plusvalore che, trasformato in capitale e poi in rendita, era necessario per l'acquisto. Il rame non era e non è di proprietà cilena, era ed è un bene dell'industria mondiale che lo utilizza e che lo può pagare. Se furono la CIA, la multinazionale tal dei tali, il presidente yankee, il perfido generale golpista a premere il grilletto, essi non furono altro che strumenti della logica del Capitale. Tutti i Cile della storia non insegneranno niente finché non sarà superata la concezione della patria economica da difendere contro l'aggressore imperialista, dimenticando che il nemico è ovunque, a cominciare dalla propria borghesia nazionale, pinochetista o allendista che sia.