Hay gente que te quiere y gente que te USA

C'è gente che ti ama e c'è gente che ti USA. La frase viene da un mural di Buenos Aires. Ha un ritmo musicale ed evoca il tango, ma colpisce nel segno. Si adatta all'Iraq e al significato di ciò che vi sta succedendo, come scriviamo in un altro articolo su questo numero. Gli Stati Uniti uniscono pragmaticamente amore e uso. L'attrazione che sentono per l'Iraq è di vecchia data e da un buon secolo usano massicciamente gli altri paesi per i propri interessi. Di qui la non trascurabile contraddizione: il loro export di democrazia coincide spesso con il sostegno a governi di tagliagole, torturatori e fabbricanti di desaparecidos.

Usare è la parola giusta. Il dopo-bombe è sempre una pioggia di dollari. La nostra corrente disse che i piani di ricostruzione del '45 non servirono tanto ad "aiutare" l'Europa e il Giappone quanto ad alleviare la pletora americana di capitali e merci. In Iraq, di dollari ne sono stati spesi moltissimi per la guerra e relativamente pochi per la pace. Gli americani hanno anticipato 20 miseri miliardi, gli altri paesi 17. Ma fioccano gli investimenti dei privati, sotto la protezione delle truppe e dell'ombrello aereo. In Arabia Saudita ci sono 20.000 funzionari di aziende americane; in Iraq ce ne sono già il doppio, contando anche i mercenari che li proteggono. La presenza aziendale, più di quella militare, mostra il ricorso americano alla guerra per l'utilizzo di amici e avversari. Certo, a combattere vanno soprattutto soldati americani, ma il bilancio costi/ricavi è sempre di gran lunga favorevole.

Ci è stato chiesto come mai attribuiamo agli Stati Uniti caratteri che oscillano fra la superpotenza e il declino. Molto semplice: perché la potenza militare degli Stati Uniti aumenta col diminuire della loro potenza economica. Ciò è naturale per la salvaguardia della funzione che si attribuiscono nel mondo, ma per essi comporta un pericolo estremo: potrebbe crollare la struttura portante che sostiene il modello democratico da esportazione armata. Qualsiasi paese con i conti degli Stati Uniti sarebbe stato declassato dalle agenzie di rating, messo sotto tutela dal Fondo Monetario Internazionale e mandato d'ufficio in quarantena come l'Argentina. Nell'import-export americano c'è da sempre molto import di merci e molto export di guerra, ma questa volta un po' di guerra è stata importata. E c'è il rischio che la situazione precipiti. La struttura dei conti di Washington è una dimostrazione di quanto essa dipenda da un mondo che deve usare sempre di più.

Una situazione paradossale che impone una domanda inquietante: e se il mondo incominciasse ad usare l'America che tanto ama e imita? Parliamo del mondo capitalistico, naturalmente. Sarebbe del tutto rovesciata l'immagine dei neoconservatori sul nuovo secolo americano. O meglio, l'immagine presenterebbe sempre un'America superpotente e superarmata in grado di invadere questo o quel paese, ma la sua mitica missione, il famoso "destino manifesto", sarebbe un po' ridimensionata e la sua immagine ne risulterebbe un po' meno eroica.

Chi si fa sbirro deve poi pensare all'ordine e dar la caccia ai furfanti. Al mondo capitalistico potrebbe convenire pagargli uno stipendio, come fa ogni Stato con la propria polizia. In fondo nessuno si preoccupa in modo razionale del "terrorismo". Il fenomeno, bonificato dal crociatismo propagandistico, produce meno vittime degli incidenti stradali, delle cardiopatie, del cancro e persino degli incidenti domestici. A conti fatti potrebbe risultare che uno sbirro universale costa anche poco.

Rivista n. 14