Montezemolo e il riformismo industriale fai-da-te
La relazione d'investitura del nuovo presidente della Confindustria è stata accolta come tutti i discorsi ufficiali: giornalisti, parlamentari e sindacalisti l'hanno spulciata per qualche giorno alla ricerca delle solite frasette favorevoli o contrarie alla frazione borghese cui appartengono, poi l'hanno consegnata al dimenticatoio.
Invece noi l'abbiamo trovata impeccabile e importante. Intendiamoci, non perché possa produrre una qualche svolta nell'economia politica, ma proprio perché è un grido di fronte all'impossibilità di produrre svolte nel capitalismo. La borghesia sente sul collo il fiato di una crisi ormai cronica. Avrebbe bisogno di correre ai ripari. Avrebbe bisogno di coalizzare ogni sua componente per far sorgere un legislativo e un esecutivo che superino il cretinismo parlamentare. Avrebbe bisogno che la sovrastruttura statale si dedicasse anima e corpo alla salvaguardia della produzione di maggior plusvalore. Avrebbe insomma bisogno di un'altra rivoluzione borghese.
Invece si deve accontentare dei condizionali. Il capitalismo è talmente avanzato da produrre con pochi lavoratori produttivi un'enorme quantità di plusvalore, che poi va ripartito nel resto della società, la quale non ne produce affatto. Questo immane sciupìo sociale, che alcuni moralisti chiamano parassitismo, può essere superato solo con una rivoluzione. Ma non sarà ovviamente borghese. Per ora la Confindustria può al massimo puntare su una diversa maggioranza di governo. Il risultato è un po' misero. Specie se pensiamo al livello dei candidati disponibili.
"È un momento drammatico, non solo per l'economia, ma per la vita di noi tutti". Così inizia il discorso, con una sintetica carrellata sul Medio-Oriente. Di fronte ad un ritorno del passato, il capitalismo non può stare fermo. Ha prodotto fame e "intollerabili divari di reddito", ma occorre rifiutare "la logica del declino". Occorre raccogliere l'appello di Ciampi sull'orgoglio nazionale e raccogliere la sfida di una comunità che è omai una realtà pienamente mondiale. Ringraziamo i nostri soldati che difendono la pace in Iraq.
Declino? Noi pensavamo che la bandiera borghese fosse quella del progresso, anche di fronte all'evidenza di miliardi di affamati. Patria e pace? Dicevano i vecchi socialisti che quando qualcuno incomincia a parlare di patria è perché ha bisogno di sangue. La patria s'è allargata, dice infatti il neo-presidente, e deve guardare alla Cina, all'India, all'Asia industriale, che rappresenta metà della produzione del mondo e un mercato appetibile. Esclusa la soluzione autarchica per via della globalizzazione, per conquistare i mercati non c'è che quella produttiva (però è certo che i soldati aiutano, ci vien da commentare). È fondamentale il lavoro in fabbrica, anche se l'operaio non è più quello di una volta. Egli è ormai inserito nel tessuto produttivo e fa parte di un sistema di conoscenze e azioni che portano al risultato, dentro e fuori la fabbrica. Insomma, la Confindustria ci dà una definizione dell'operaio collettivo come la troviamo nei Grundrisse di Marx: lo sviluppo del macchinismo "mostra fino a quale grado il sapere sociale sia divenuto forza produttiva immediata e quindi quanto le condizioni del processo vitale della società siano passate sotto il controllo del cervello sociale".
Allora, continua l'oratore, dobbiamo criticare le definizioni sociologiche e far nostri solo i criteri inerenti al processo produttivo. Cosa vuol dire: industria da una parte e servizi dall'altra? L'impresa ha sempre prodotto manufatti e servizi insieme, non c'è dicotomia. Anzi, ha prodotto e adoperato scienza. Quindi la crescita è un tutto, sono sciocchezze quelle sulla fine del lavoro. In economia la via di mezzo non esiste: o si cresce o si muore. Per questo occorre badare alla concorrenza. Non bastano le panoramiche sui costi, occorre abbinare un discorso sull'efficienza. È qui che interviene lo Stato, con le infrastrutture, la ricerca e l'innovazione che ne deriva. Questo è sistema, non bastano le imprese a realizzarlo. È un problema di scuola, che i governi non riescono a riformare da decenni. È un problema di dimensione dei mercati, quindi un problema d'Europa. Non siamo industriali euroscettici, anzi, bisogna accelerare i tempi perché abbiamo il rimpianto di non aver ancora concluso il processo di unificazione. "Le imprese vogliono che la Costituzione Europea sia firmata il più presto possibile, entro i prossimi giorni". Bisogna contrapporre l'internazionalismo capitalista alla grettezza localistica del federalismo pasticcione. Un uomo abituato al comando.
È assolutamente necessario che nel "far sistema" l'imprenditore non giochi d'azzardo scambiando il profitto con l'interesse sul mercato finanziario, "abbiamo visto com'è andata a finire". Perciò concentriamoci sui classici fondamentali e teniamo conto della realtà produttiva, con impianti, macchine e operai. I quali sono organizzati, in sindacati, con beneficio di tutti.
E qui c'è un bel passaggio sul sindacato che piace al capitalista vero, che non si lamenta sempre per principio dei sindacati e che tratteggia una teoria del capitalismo armonico: ci piace – vi si legge – un sindacato non supinamente fedele all'economia e al profitto ma capace, in un concerto d'interessi, di contrattare miglioramenti per l'operaio che siano anche miglioramenti per l'impresa. La logica, dunque, dev'essere quella della concertazione non-consociativa. Traduzione: le parti non sono come i soci in affari bensì come i musicisti in un concerto, dove ognuno fa la sua parte per ottenere un'armonia non improvvisata ma stabilita da una partitura. Epifani era in brodo di giuggiole, tanto che Ferrara gli ha chiesto a bruciapelo (su La 7): ma perché non lasciate perdere le stupidaggini sull'articolo 18 e simili e non chiedete decisamente qualcosa di concreto? Adesso avete anche il benestare della Confindustria. Il sindacalista s'è agitato sulla sedia, imbarazzato.
Per una buona concertazione, continua Montezemolo, basterebbe ripartire dal Protocollo del 1993, ancor valido nella pratica e soprattutto nello spirito, perché il contratto di scambio e la rottura della spirale inflattiva là stabiliti (leggi: moderazione dei salari) sono la connotazione principale di un buon rapporto fra le parti. La logica è quella della semplificazione dei contratti, non dell'aggiungere norme su norme, perché il capitalismo è un'unica realtà. "Commercio, Banche, Assicurazioni, Artigianato, Agricoltura, Industria, Cooperazione, non sono più categorie statistiche separate da definizioni e da interessi contrastanti. Sono componenti intersecate di un'unica realtà: l'impresa".
Dagli anni '20 in poi, mai un sindacalista era riuscito ad immaginare una cosa così elementare e a staccarsi dalla meschina mentalità aziendalista per introdurre regole semplici valide per tutti i lavoratori, indipendentemente dal mestiere; come suggerivano, e sempre suggeriranno, i comunisti. Montezemolo non è un infiltrato comunista in campo nemico, manifesta solo un po' di comune buon senso industriale, il bisogno di una società più snella rispetto a quella che gli cucina il suo stesso sistema sociale, sindacati compresi.
E aggiunge: la politica deve assecondare il sistema, tutto è politica industriale; "A che serve la politica se deve solo seguire gli umori di qualcuno?". È terribile sentire un governo che si vanta di aver fatto tante leggi, sarebbe positivo sentire un governo che ne ha eliminate. Anche la struttura italiana delle imprese va semplificata. La loro dimensione media e il loro numero sono incompatibili con l'era globale, quindi occorre fondere, centralizzare e coordinare. La logistica e le tecnologie riducono lo spazio e il tempo, innalzano il rendimento del sistema.
E infine il governo diventi un interlocutore serio. Basta con i piagnistei sulle colpe "esterne" dei suoi insuccessi; basta con la pratica dello spoil system che serve solo per ribaltoni politici ogni 5 anni; basta con il nazionalismo antieuropeo; basta con l'impresa non trasparente; basta con la commistione fra proprietà e gestione; basta con il "pericoloso ridursi dell'autorevolezza delle nostre istituzioni, parlamento, governo, amministrazioni locali, magistratura, Autorità di controllo e garanzia"; basta con il decentramento e il federalismo se non servono a snellire il sistema, e se la discussione in corso rischia di affondare il Paese; basta con le manfrine sui Fondi Pensione: "Il Governo crei le condizioni per favorire questo sforzo, non mortifichi tutto questo con impedimenti burocratici e sofismi interpretativi".
Cosa ci tocca vedere: dato che il cretinismo parlamentare, riformista e sindacale è degenerato in baruffa e pura chiacchiera, gli industriali devono arrangiarsi e immaginarsi un riformismo fai-da-te, nella vana speranza di trovare un interlocutore in grado di capire e mettere in pratica. Luca Cordero di Montezemolo sarà stato bravo con la Ferrari, forse sarà bravo con la FIAT e con la Confindustria, ma non potrà – perché non si può – fare sistema in un… sistema siffatto.