Va bene, sgombriamo il campo
Cari compagni, una serie di affermazioni nel n. 12 di "n+1" ("Abolizione dei mestieri e della divisione sociale del lavoro") ha richiamato in modo particolare la mia attenzione. Eccole riproposte in forma interrogativa: [segue l'elenco che utilizziamo integralmente nella risposta, n.d.r.].
[…] Sarebbe opportuno da parte vostra precisare dettagliatamente i punti da me evidenziati, onde sgombrare il campo da possibili "letture" revisionistiche. Per esempio, a pagina 7, trovo che "il valore si materializza solo quando il prodotto esce dalla fabbrica e si presenta sul mercato". Questa tesi induce a pensare che il valore del prodotto sorga dal suo valore di scambio mentre è vero l'inverso in quanto la "materializzazione" avviene prima del mercato. Infatti il valore è, come spiega Marx, lavoro vivo che si oggettiva nel prodotto come attività sociale astratta e quello che avviene nella sfera della circolazione è solo un cambiamento di forma fenomenica. Se il valore non si fissasse nel valore d'uso non potrebbe espandersi assorbendo continuamente la viva forza del lavoro. Cose note ma che è bene sempre ribadire.
Anche nel vostro studio sull'abolizione dei mestieri non è affatto chiara la ripercussione delle contraddizioni di classe sull'operaio "olonico". Occorre capire se egli avverte praticamente lo sfruttamento e l'alienazione e come si sviluppano nuove eventuali forme di lotta. Gli antichi Egizi misuravano l'onda del Nilo, apportatore di vita al loro Paese, col nilometro; i comunisti misurano l'onda della rivoluzione col barometro della pressione di classe; quali intemperie esso segna, oggi, tra l'operaio "ricomposto" e il borghese "decomposto"?
[…] È sempre utile fare un ripasso insieme, ma come puoi pensare, per esempio, che neghiamo addirittura la validità della legge del valore? Marx afferma che si può produrre valore d'uso senza per questo produrre valore; affinché vi sia valore, occorre produrre sistematicamente valore d'uso per altri attraverso lo scambio, occorre produrre merci. E Marx, nel primo libro del Capitale, afferma categoricamente che l'operaio parziale non produce merci, solo l'insieme degli operai le produce. Il valore che si cristallizza nelle merci è appunto, come da te ricordato, un rapporto sociale. Le letture revisionistiche del nostro lavoro sono sempre possibili, l'hanno fatto con Marx, figuriamoci se non può capitare a noi. Da parte nostra possiamo fare di tutto per evitare le scritture revisionistiche. Naturalmente, l'esposizione si può sempre migliorare, e magari dovremmo fare più attenzione per quanto riguarda la nostra capacità di trasmettere il contenuto dei testi; ma non sembra questo l'argomento della tua lettera, che trancia giudizi più che entrare in atmosfera di "doppia direzione". Comunque da essa riportiamo qui di seguito in corsivo i nostri passi da te criticati, e in carattere normale le risposte che chiedi.
- L'ipotesi di eversione dell'ordine costituito non corrisponde, secondo voi, alla natura del compito rivoluzionario dei comunisti dal Manifesto in poi".
- Infatti. La cosiddetta "eversione dell'ordine costituito", così com'è intesa nei codici e nella percezione giuridica borghese corrisponde alla concezione blanquista o anarchica, quindi è estranea ai comunisti. I quali per "comunismo", quindi per "rivoluzione", intendono un lungo processo storico culminante nella rottura rivoluzionaria, dove i poteri borghesi non valgono più nulla, e nella formazione del partito in grado di rovesciare la prassi e di dirigere forze reali; non nella comparsa di "volontà" eversive individuali o di somme di individui (Il rovesciamento della prassi nella teoria marxista, 1951).
- Tra tante strutture caratterizzate dall'assenza del denaro e dello sfruttamento apparirebbe, secondo voi, la fabbrica manifatturiera del secolo XXI.
- Non solo nel secolo nostro, anche al tempo di Marx. Oggi il fenomeno è solo più accentuato. Nel processo produttivo all'interno di una fabbrica qualsiasi c'è movimento di quantità fisiche e non di valori, né tantomeno di denaro. Nella fabbrica, quindi, non si scambiano merci. È vero che nella società capitalistica vi sono capitalisti che sfruttano operai, ma all'interno della fabbrica non vi sono figure sociali che ne sfruttano altre. Lo sfruttamento non è dovuto alla fabbrica ma al rapporto sociale in cui la fabbrica è immersa. La fabbrica, come luogo di produzione, ci sarà anche nella società futura (cfr. nostra rivista n. 1, Operaio parziale e piano di produzione, vi sono citati, tra l'altro, i testi di Marx).
- Affermate che lo stato, proiettato nella società nuova, diventerà uno degli strumenti per distruggere quella vecchia e soprattutto si estinguerà.
- Certamente. È sbagliato immaginare che lo stato proletario, strumento della dittatura del proletariato, sarà un'istituzione di natura diversa rispetto a quella attuale. È profondamente sbagliato pensare che vi sia uno "Stato comunista" per la semplice ragione che nel comunismo lo Stato non ci sarà. Ma anche nella fase di transizione il proletariato non perderà tempo a darsi uno Stato speciale, si impadronirà di quello che c'è, eliminandone le strutture borghesi, lo adopererà e infine lo "estinguerà" il più in fretta possibile (Lenin, Stato e rivoluzione).
- Non capisco che cosa vogliate dire con: "Rendendo soggettivo il problema del comunismo (padroni contro operai, comunisti contro borghesi) si rende un cattivo servizio al patrimonio teorico della rivoluzione umana".
- Anche qui niente di speciale o di "nuovo": Marx nei Manoscritti critica duramente il "comunismo rozzo", cioè il ridurre ciò che è un rapporto di classe alla mera proprietà dei capitalisti. La critica a questa rozzezza ricomparirà in Critica al Programma di Gotha il quale conteneva la celebre istanza sul "frutto indiminuito del lavoro"; anche in questo caso Marx si scaglierà contro questa richiesta di distribuzione del "maltolto". Il problema non è di rendere tutti eguali proprietari ma di eliminare positivamente la proprietà. Inoltre, ogni marxista sa che l'emancipazione del proletariato è nello stesso tempo la sua negazione in quanto classe e quindi l'emancipazione dell'intera specie umana.
- Che significa: "Nella società futura non vi sarà scambio su basi di valore ma flusso di oggetti e attività, contati secondo quantità e usufruiti secondo qualità"?.
- Al di là del fatto che la frase è molto contratta (comunque è inserita in un contesto inequivocabile, con tanto di esempi di società in cui non vigeva ancora la legge del valore), questa frase provoca una tua richiesta di spiegazione ben strana: è ovvio che se circolano oggetti e non merci, se vengono svolte attività umane e non c'è più lavoro salariato, se la società avrà ovviamente il bisogno di conoscere la sua produzione-riproduzione, cioè sé stessa, vi sarà contabilità in base a elementari quantità fisiche: chilogrammi, litri, metri, ore di attività, ecc. e non certo in denaro o valore qualsiasi (Mai la merce sfamerà l'uomo, tesi 9 ultimo capitolo).
- Voi dite: "Persone mosse da vaghi sentimenti di equità e giustizia commerciale, attratte dall'antiglobalizzazione, cui si sono accodati nella quasi totalità anarchici e sedicenti marxisti. Di questa società non c'è nulla da salvare, c'è solo da raccoglierne i frutti maturi". Raccogliere frutti maturi del capitalismo?
- Ribadiamo con forza: non si tratta di rivendicare un miglior funzionamento di questa società, cosa del resto impossibile, ma di cambiarla. I cosiddetti movimenti attuali non hanno questa prospettiva. I "frutti maturi del capitalismo" sono sempre stati considerati, da Marx, Engels, Lenin, ecc. come "basi del socialismo", come del resto lo è la grande generalizzazione di essi che chiamiamo "forza produttiva sociale" (cfr. per esempio anche Bordiga, in Deretano di piombo, cervello marxista).
- Il valore si materializza solo quando il prodotto esce dalla fabbrica e si presenta sul mercato?
- All'interno della fabbrica capitalistica si produce valore, ma esso per materializzarsi ha bisogno dello scambio, della relazione sociale specificamente capitalistica, e questo avviene solo nell'insieme della fabbrica di chi vi lavora, dei capitalisti e del mercato. Se ci fosse solo la fabbrica ma non il mondo delle merci, non vi sarebbe valore né valore di scambio. Questo fatto non c'entra nulla con la credenza borghese che il valore sia il prezzo realizzato nello scambio.
Nel vostro studio sull'abolizione dei mestieri non è affatto chiara la ripercussione delle contraddizioni di classe sull'operaio 'olonico'. Occorre capire se egli avverte praticamente lo sfruttamento e l'alienazione e come si sviluppano nuove eventuali forme di lotta.
Prima di tutto non ha nessuna importanza se l'operaio individuale avverte o meno la natura della sua collocazione nel processo produttivo: la coscienza di classe non dipende dall'appartenenza degli individui a una determinata classe, questa è una tesi fondamentale di Marx e della Sinistra ribadita contro tutti gli immediatisti-rivendicazionisti (Raddrizzare le gambe ai cani). L'azione di classe dipende dal disporsi delle molecole sociali secondo lo schieramento di classe, col partito (che è la coscienza collettiva), e questo avviene quando si polarizza la situazione sociale, non quando lo "vogliono" gli individui. Inoltre, il nostro articolo non ha uno scopo sindacale ma è inserito nel ciclo sul "programma immediato della rivoluzione proletaria", argomento che interessa la società dopo la presa del potere, per cui "le forme di lotta" attualmente possibili non c'entrano. Però abbiamo più volte ribadito che di fronte all'organizzazione moderna del flusso produttivo l'organizzazione delle lotte e degli organismi sindacali dev'essere di tipo territoriale e non di fabbrica o peggio ancora di reparto. Come diceva la Sinistra già negli anni '20 contro i centristi (e come riprendiamo in I sedici giorni più belli, articolo sulla UPS nel n. 3 della rivista). Ci auguriamo di essere riusciti a fugare i tuoi dubbi.