Elezioni americane
Gli americani hanno appoggiato senza mezzi termini l'esasperata politica di potenza dell'amministrazione repubblicana. Rispetto al 2000 hanno votato 15 milioni di ex astensionisti e, ribaltando ogni previsione, anche questi hanno appoggiato in gran maggioranza la guerra, la politica interna restrittiva e l'eliminazione del residuo welfare. Lo stesso han fatto i giovani che votavano per la prima volta.
Secondo il mito democratico dell'elettoralismo come espressione degli interessi della maggioranza è stato un suicidio collettivo, ma non avrebbe senso spiegare i risultati con il solito lavaggio dei cervelli mediatico sul solito americano medio ottuso e reazionario. Più semplicemente c'è stata la percezione generalizzata – giusta o sbagliata che fosse – di un interesse comune diverso e più importante dei vantaggi immediati. I media aiutano, certo, ma quando il campione sociale è rappresentato da 120 milioni di abitanti del paese che domina il mondo, il pensiero di un individuo o della somma statistica degli individui non conta più, diventa preponderante la polarizzazione sociale intorno a un bisogno, un'aspirazione, una paura. Ciò è confermato anche dal fatto che ha votato il 60% degli aventi diritto, cosa che negli Stati Uniti non succedeva dal 1968.
L'analisi del voto per categorie sociali mostra che è stato determinante un elettore-tipo bianco, maschio, protestante, con più di 30 anni, appartenente alla classe media. L'anti-elettore-tipo è invece nero-latino, femmina, ebreo, cattolico, islamico o senza religione, con meno di 30 anni (ma non elettore per la prima volta). Questo miscuglio genetico-sociale sembra molto "americano", ma mostra anche risvolti tipici da grande crisi, per esempio un divario abissale fra le classi e un inconciliabile scontro fra gli estremi: da una parte i Wasp (bianchi, anglosassoni protestanti), dall'altra la propaggine interna americana dei "dannati della Terra".
Il voto (o il non-voto) per l'uno o per l'altro candidato non era influenzato dall'incolmabile deficit americano, dalla constatazione pura e semplice che lo stato non ha più i soldi per pagare le pensioni sociali, la pubblica assistenza e perfino i soldati che hanno invaso l'Iraq. Nessuno ha votato (o non votato) pensando a come potrà il mondo continuare a mantenere questo pachiderma imperialistico che si muove poco delicatamente nella classica cristalleria, e nessuno s'è chiesto perché esso non sia in grado di fare ciò di cui si vanta nel suo programma per il nuovo secolo americano.
Ha prevalso la paura, comune a tutte le classi in tempo di crisi, di una rovina incontrollabile, che occorre evitare, costi quel che costi. Siamo dunque alla fase in cui le classi sono poste di fronte al pericolo di perdere tutto ciò che hanno avuto finora. E hanno due sole possibilità: o l'estrema conservazione, o la ribellione.