Rumori di guerra intorno all'Iran?

È dal 1979 che alcune frange della società iraniana, specie le non-classi schiacciate fra una borghesia che continua a fare i propri affari e un forte proletariato che già dimostrò di saper lottare in modo autonomo contro la dinastia filo-americana dei Pahlevi, aspettano un'azione decisiva americana che le "liberi" dal peso del regime teocratico sciita. Questa attesa di liberazione dall'esterno è tipico delle classi intermedie, impotenti di fronte alla storia. Ma né l'erede al trono, Ciro, né gli americani, hanno per ora un minimo di possibilità. Il primo perché in Iran è troppo vivo il ricordo del sanguinario regime precedente, i secondi perché non potrebbero sostenere due guerre contemporaneamente, tenendo conto che l'Iran, a differenza dell'Iraq, è un paese più grande e più popolato, per di più montagnoso e quindi molto impegnativo da occupare militarmente.

Per gli Stati Uniti, l'unica possibilità di rovesciare il regime iraniano è quella di una nuova sollevazione popolare. Ma questa volta non vi sono forze che all'interno del "popolo" possano rappresentare la struttura portante come lo fu il proletariato urbano e industriale al tempo della cacciata dello Scià. E, oggi più di allora, non è pensabile che i proletari possano lottare per altro che per sé. I Mojahedin non furono mai un movimento radicato nella società iraniana e la loro dipendenza dal regime iracheno li ha tagliati fuori da ogni prospettiva. I riformisti di allora, senza nerbo e rappresentanti della piccola borghesia urbana, sono praticamente scomparsi. La massa studentesca, che potrebbe essere un buon innesco per un movimento filo-americano, ha dimostrato di non essere in grado di affrontare il terrore di stato confidando nell'emergere di una corrente riformista all'interno del "clero" sciita.

Agli Stati Uniti, per conquistare l'Iran, non rimarrebbe che la via diplomatica, un misto di concessioni reciproche e blande minacce. Ma questa via è già stata intrapresa dai maggiori paesi europei, Germania, Francia e Italia in testa, con la partecipazione della Gran Bretagna, quest'ultima al limite del tradimento diplomatico nei confronti del super-alleato americano. L'Iran quindi sembrerebbe un sicuro terreno di scontro fra potenze imperialistiche più che un probabile campo militare. Perciò assumono un significato preciso le dichiarazioni del segretario di stato Condoleeza Rice a proposito del fatto che il paese islamico non sarebbe "in agenda" per i piani militari americani: lo scontro è con altro tipo di nemici.

Il governo di Teheran, non potendo fare altro, ha fiutato semplicemente l'affare che potrebbe scaturire dalla concorrenza fra gli interessati paesi che puntano sul mercato iraniano, fatto di petrolio e di 70 milioni di consumatori, il 30% dei quali è al di sotto dei 15 anni, e quindi assai promettente per i prossimi decenni. Una parentesi storica di 25 anni non è troppo lunga per un paese che aveva isole importanti di modernità industriale e che comunque si è ammodernato anche sotto il regime oscurantista sciita, ha raddoppiato i suoi abitanti, si è ulteriormente industrializzato e ha fatto un uso accorto del petrolio per lo sviluppo industriale. Perciò l'atteggiamento del governo teocratico si è conformato pedestremente alle determinazioni materiali, fino ad aprire le porte al Capitale straniero, con relative "svolte" anche in politica interna, a partire da una revisione del Codice del Lavoro di stampo medioevale, statico, sempre più inadatto rispetto al moderno super-sfruttamento basato sulla produzione di plusvalore relativo e quindi sulla flessibilità e dinamica della compravendita di forza-lavoro.

Rivista n. 17