Afghanistan

La missione Enduring Freedom era iniziata nel 2001, su mandato dell'ONU e interamente condotta dagli americani. Era poi passata nel 2003 sotto il comando NATO con il nuovo nome di International Security Assistance Force. Oggi questa forza conta su 31.000 soldati di 37 paesi, ma il bilancio della sua presenza è fallimentare. Tedeschi, canadesi, olandesi, inglesi, australiani, italiani, ecc. sono stati chiamati a servire la causa americana senza avere assolutamente voce in capitolo nella conduzione della guerra. Le operazioni di "pacificazione" e "assistenza" si limitano a proteggere un governo fantoccio che non riesce neppure ad avere il controllo su tutti i quartieri di Kabul e non durerebbe un minuto senza la protezione degli occupanti. A dispetto della propaganda, l'invasione non ha raggiunto nemmeno uno dei suoi obiettivi: il territorio è in mano a forze guerrigliere afghane, della democrazia neppure parlarne, le donne non sono state "liberate" e il papavero da oppio si coltiva più di prima (+59% nel 2006, il 90% della produzione mondiale). Semmai la situazione è peggiorata per via dei bombardamenti a casaccio e dei conflitti locali tra fazioni tribali.

Il bilancio però non va stilato in base alla propaganda e nemmeno in base alla logica di guerra tradizionale: agli americani, che stanno utilizzando truppe altrui per la loro politica, non importa un bel nulla degli afghani e nemmeno degli "alleati"; quel che a loro interessa è installarsi nel cuore dell'Asia con basi permanenti inavvicinabili, da cui si muovono per via aerea passando sopra le teste dei disgraziati che si massacrano a vicenda. Le truppe "governative" hanno avuto 4.000 morti nel solo 2006, ma la popolazione − civile e guerrigliera, la differenza è un sofisma − ne ha avuti centinaia di migliaia da quando è diventata l'obiettivo di "Libertà Durevole". Le basi ci sono, e per gli americani il resto è dettaglio. Chi fosse scettico digiti "Bagram" sulle mappe satellitari di Google, faccia una zoomata sulla base USA e si chieda a che cosa mai possa servire quell'immane apparato.

Per molti analisti militari la situazione afghana è ancora peggio di quella irachena. I talebani non sono stati affatto "eliminati": come tutti i guerriglieri incalzati da eserciti regolari, hanno traslocato temporaneamente e sono ritornati. E hanno constatato che i 31.000 uomini dell'esercito di invasione non hanno alcuna voglia di rimetterci le penne (e lasciare ai posteri il lauto ingaggio). Per di più i 36 micro-corpi di spedizione agli ordini degli USA non possono nulla in un paese grande più del doppio dell'Italia, con 32 milioni di abitanti abituati alla guerra fin da bambini in un territorio fatto per l'87% di montagne e valli inaccessibili.

Per i talebani non è difficile, con il fiume di dollari ottenuto dalla vendita dell'oppio, comprare i soldati, i funzionari, i poliziotti di Kabul. Tutti hanno perfettamente chiaro che le truppe di occupazione sono forze aliene rintanate nei loro fortilizi su cui non vale neppure la pena di sparare. Il montanaro afghano che, come ha scritto il giornalista sequestrato Mastrogiacomo, cura il suo kalashnikov più di un'amante, avverte senza bisogno di bollettini statistici che ogni 100 dollari di "aiuti" 86 finiscono in tasca alle aziende americane che forniscono killer e logistica di guerra (cfr. Ann Jones, Kabul in Winter). E intanto dà fuoco alle scuole che l'invasore ha ricostruito in fretta e furia per inculcare la propria cultura ai selvaggi. Fa terra bruciata intorno ai fortilizi entro cui si rintana l'invasore obbligandolo a trincerarsi mentre avrebbe bisogno di estrema mobilità, lo costringe a stare sulle sue macchine volanti mentre dovrebbe controllare il terreno. Infine accetta la parvenza di amministrazione locale che il talibano ristabilisce poco per volta, quasi indisturbato, mentre la base di Bagram cresce a dismisura, immensa, permanente.

Rivista n. 21