Metti l'irrazionale magico nel motore

Il petrolio inquina. La Terra si surriscalda. Il biocarburante ci salverà. È, come si dice, una "fonte rinnovabile" di energia. In diversi paesi è già utilizzato e alcuni costruttori di automobili stanno già fabbricando modelli in grado di ottimizzare il rendimento dei carburanti miscelati con etanolo. La produzione è facile e poco costosa, dato che si può partire da qualsiasi biomassa, per esempio dal mais, dal grano, dalla canna da zucchero o dalla barbabietola. Da coltivazioni ricche di zuccheri si ottiene maggior rendimento che non dalla paglia, dagli stocchi del mais o da altri scarti agricoli, ma sono allo studio sistemi di trattamento della cellulosa per ricavarne zuccheri mediante batteri. L'importante comunque è il principio: il biocarburante proviene dalla coltivazione della terra e l'agricoltura è in grado di produrre reiteratamente una biomassa dal rendimento medio sufficiente a miscelare una quantità significativa di derivati del petrolio. A vantaggio dei polmoni, del portafogli, dello strato di ozono e ovviamente del radioso futuro capitalistico.

Fin qui la leggenda. Che fu sostenuta da incauti ecologisti, e adesso è anche sponsorizzata da petrolieri in vena di riciclarsi sfacciatamente. Comunque ci voleva poco per sfatarla. Quando a marzo in Brasile Bush e Lula hanno siglato un accordo per la produzione di etanolo da esportare negli Stati Uniti, migliaia di contadini senza terra e di miserabili delle favelas hanno capito subito l'antifona e hanno manifestato in migliaia: il biocarburante non porterà ricchezza con cui acquistare cibo ma sarà prodotto invece del cibo. Per far circolare le auto dei ricchi yankee. A dire il vero alcuni ecologisti hanno fatto marcia indietro. Meglio tardi che mai.

In Europa entro un paio di anni si passerà da 23 a 60 impianti di produzione e negli Stati Uniti da 101 a 140, per complessivi 460 milioni di ettolitri all'anno. Una goccia rispetto al mare di benzina bruciato dall'economia dei paesi industrializzati (5.450 milioni di ettolitri in USA). Goccia che però ha già provocato l'aumento del prezzo dei cereali, tanto da incidere su quello della carne negli Stati Uniti. Infatti il ritmo accelerato dell'allevamento necessita di mangimi prodotti con materie prime sottratte al ciclo primario dell'alimentazione umana, tipico dei paesi meno sviluppati. Ma non è tutto. Il ciclo dell'etanolo non è per niente "sostenibile". Intanto nessuno è riuscito a dimostrare che, mescolato alla benzina, generi gas a effetto serra in quantità apprezzabilmente minore della benzina stessa; inoltre, per coltivare e distillare un potenziale energetico di 100 joule in etanolo, occorrono attualmente 77 joule di carburanti fossili!

Si dice che la biomassa necessaria alla produzione di etanolo sarà ottenuta da piantagioni su terreni marginali o incolti, che offrono rese scadenti per i prodotti alimentari e quindi profitti troppo bassi. Questa è un'interessante confessione sulla natura dis-umana del capitalismo: la produzione di cibo è dunque subordinata alla realizzazione di un saggio medio di profitto, oltre al quale deve esservi anche una parte supplementare da devolvere come rendita al proprietario del fondo. Ma proprio la teoria della rendita ci dice che il terreno peggiore, dove i costi sono alti, stabilisce solo l'ammontare della rendita assoluta, mentre i terreni migliori offrono una rendita differenziale. Non s'è mai visto un capitalista agrario rinunciarvi, perciò non abbiamo alcun dubbio sul fatto che, pur di intascare questo differenziale, si coltiverà carburante per motori invece che pane per esseri umani.

Rivista n. 21